Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 25 gennaio 2017, n. 305

La DIA, una volta perfezionatasi, costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace, sotto tale profilo equiparabile quanto agli effetti al rilascio del provvedimento espresso, che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 25 gennaio 2017, n. 305

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 588 del 2016 proposto da Ma. La Ro. e Ma. Mi., rappresentati e difesi dagli avvocati Gi. Ca. Di Gi., Lo. Ac., Ro. Ac. e Ma. Bo., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gi. Ca. Di Gi. in Roma, piazza (…);

contro

Comune di La Spezia, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentato e difeso dagli avvocati St. Ca., Et. Fu. e Ma. Pu. dell’Avvocatura civica, e dall’avv. Gi. Co., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA -GENOVA -SEZIONE I, n. 567/2015, resa tra le parti, concernente determina dirigenziale del Comune della Spezia, prot. n. 37 dell’8 aprile 2014, concernente inefficacia di DIA n. 83464 dell’8.9.2011 relativa al frazionamento di una unità immobiliare e contestuale ingiunzione di demolizione delle opere eseguite;

Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune della Spezia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 15 dicembre 2016 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Di Gi., Ca. e Co.;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.Oggetto dell’appello è la sentenza della prima sezione del Tar Liguria, n. 567 del 2015, nella parte in cui ha respinto il primo e (in parte) il terzo motivo, quest’ultimo rivolto a dimostrare la legittimità della destinazione a uso abitativo di un sottotetto, e ha dichiarato inammissibile il quarto motivo, del ricorso proposto dai signori La Ro. e Mi. diretto all’annullamento della determinazione del dirigente dell’Edilizia Privata -Ufficio Illeciti Edilizi, prot. n. 37 dell’8.4.2014, con la quale è stata dichiarata l’inefficacia della DIA n. 83464 dell’8.9.2011 relativa al frazionamento della originaria unità immobiliare sita in Via (omissis), e contestualmente è stato ordinato di procedere, entro 90 giorni, alla demolizione delle opere eseguite e comunque al ripristino dello stato dell’immobile in conformità alla concessione edilizia in variante n. 506 del 24.11.1994.

Più in dettaglio, nelle premesse dell’ordine di demolizione e ripristino dell’8.4.2014 viene rilevato che:

– in data 8.9.2011 era stata presentata una DIA per lavori di manutenzione straordinaria e per il frazionamento del fabbricato, sviluppato su tre livelli, per suddividerlo in due unità abitative distinte, in particolare con due camere, bagno e spogliatoio al piano superiore -sottotetto, come rappresentato nello stato di fatto della DIA;

– nella variante n. 506 del 24.11.1994 alla concessione edilizia n. 226 del 21.6.1989 i locali sottotetto non erano di fatto abitabili stante la limitata altezza di mt 2,20 determinata dalla presenza di un soffitto orizzontale;

– risultano eseguiti interventi che hanno portato all’attuale conformazione e utilizzazione abitativa dei locali sottotetto: si fa riferimento in particolare alla eliminazione del soffitto, che ha determinato l’aumento dell’altezza dei locali che sono attualmente di m. 2,65 al colmo e di m. 1,95 in corrispondenza della ringhiera che delimita il vuoto sul soggiorno, e la realizzazione del bagno;

– nella unità immobiliare posta al primo piano sono state rilevate difformità interne rispetto ai grafici di cui alla citata DIA tali per cui il locale caldaia, rappresentato nei grafici relativi alla concessione edilizia n. 506/1994, secondo quanto rappresentato nella DIA 83464/2011, risulta essere divenuto un vano di ingresso;

– poiché la DIA indica nello stato di fatto destinazioni non conformi ai precedenti progetti approvati e non legittimate da successivi titoli edilizi, nel maggio del 2013 è stato avviato un procedimento per la dichiarazione di inefficacia della citata DIA, nel corso del quale il La Ro. e la Mi. hanno formulato osservazioni asserendo dapprima, in data 4.6.2013, di non avere responsabilità per la mancata presenza del soffitto del locale sottotetto, avendo acquistato l’immobile nel 2002 nello stato di fatto in cui si trova attualmente, e preannunciando la presentazione -mai avvenuta però- di un progetto in sanatoria; e segnalando quindi, in data 18.11.2013, “ipotetiche incongruenze ed erronee rappresentazioni riferite al soffitto dell’originario progetto di fabbricato di cui alla concessione edilizia del 1994”;

– l’Ufficio ha replicato e il dirigente ha dichiarato l’inefficacia della DIA ordinando ai coniugi La Ro. di procedere entro 90 giorni alla demolizione delle opere e al ripristino dello stato dell’immobile in conformità alla concessione edilizia n. 506/1994.

Il ricorso dei signori La Ro. avanti al Tar Liguria è stato accolto soltanto in parte, essenzialmente sulla questione relativa alla trasformazione del vano caldaia in ingresso.

Quanto al sottotetto (v. pagine 6 e 7 sent.):

– per la p. a. la concessione edilizia del 1989 riportava l’altezza massima di detto locale in m. 2,20, come tale insufficiente, in base all’art. 27 del regolamento comunale, per rendere abitabile l’ambiente in questione, come si ricava dai documenti grafici approvati nel 1988 -1989 e nel 1992 -1993 che riportano timbri e date delle deliberazioni assunte al riguardo dalla commissione edilizia;

– i ricorrenti oppongono invece che le ricostruzioni in pianta allegate dal Comune sarebbero frutto di un refuso, che la soletta che limitava l’altezza del solaio non è mai esistita, cosa che sarebbe comprovata anche dalla relazione peritale allegata che ha rilevato l’esistenza di manufatti (un bagno, la colonna di adduzione e abduzione delle acque, le finestre di una determinata altezza) incompatibili con la destinazione a solaio. In sostanza già dal 1992 i locali sottotetto erano nella situazione attuale, ossia privi di soffitto;

– il collegio di primo grado ritiene possibile “che il manufatto per cui è ricorso non sia stato mai realizzato come da progetto, cosa che tuttavia non ripara il fabbricato dall’accusa di abusività: risulta infatti sia dalla sezione b-b (doc 7 ricorrenti) che dallo sviluppo delle superfici del fabbricato assentito dal comune il 21.6.1989 con concessione 226 che il solaio non venne mai considerato come abitabile, sì che esso non può essere reso tale con il titolo depositato dagli interessati. Del resto anche il documento allegato 3 alla relazione peritale dei ricorrenti è riferito alla successiva data del 24.11.1994 e riporta l’esistenza della soletta che limita a m. 2,20 l’altezza massima del solaio, sì che la censura comunque argomentata è infondata e va disattesa”.

Per ciò che riguarda la dedotta illegittimità dell’atto comunale “in quanto esso ha fatto seguito alla d.i.a. dopo molto tempo e non si è dato cura di motivare in merito all’interesse pubblico alla dichiarazione di inefficacia della domanda proposta dalle parti private, (premesso che) la doglianza è incentrata sulla configurazione di autotutela che la giurisprudenza ha attribuito all’atto della p. a. che interviene togliendo efficacia alla d.i.a.”, in sentenza si rileva che la DIA risale al 2011, che l’accesso al cantiere avvenne nel 2013, che in data 7.6.2013 gli interessati contestarono le risultanze dell’accesso degli organi comunali sull’utilizzo del sottotetto preannunciando la presentazione di una domanda di sanatoria il che non avvenne sicché in tale situazione -nella quale il procedimento avviato dal Comune era rimasto sospeso- non può ritenersi che l’amministrazione abbia fatto trascorrere inutilmente il tempo di legge per la verifica e il controllo della legittimità delle opere edilizie.

La DIA -soggiunge il Tar- presuppone un comportamento delle parti secondo buona fede, requisito che non appare soddisfatto nella specie, posto che “l’accertamento dell’ipotesi di violazione non appariva di immediata percezione leggendo la domanda, in quanto, restando sempre nell’ottica accusatoria adottata dall’amministrazione, la lettura della d.i.a. non consentiva la considerazione dell’allegata demolizione del solaio che avrebbe limitato l’altezza del sottotetto, poiché tale manufatto non compariva nelle descrizioni grafiche dello stato dei luoghi di cui all’art. 21 bis comma 3 della legge regione Liguria 6.6.2008, n. 16. Si tratta nella specie di lavori soltanto interni, come tali difficilmente verificabili dall’amministrazione sino alla predisposizione di un sopralluogo; dopo l’esecuzione di tale incombente sopraggiunse il preannuncio della domanda di sanatoria e della richiesta di sospensione del procedimento, sì che il tempo trascorso tra la ricezione di tale istanza da parte del comune e l’adozione del provvedimento repressivo non può essere considerato alla stregua di un ritardo della p.a. tale da comportare l’obbligo di motivare in ordine all’interesse pubblico. Dalle considerazioni esposte risulta che in relazione al canone di buona fede che entrambe le parti debbono rispettare non è possibile ascrivere alla p.a. la trascuratezza che la legge sanziona con la decadenza dall’esercizio della potestà inibitoria spiegata, sì che il motivo non è fondato e va respinto”.

2.Gli appellanti hanno impugnato la sentenza con tre motivi.

Sub 1), è stata dedotta l’erronea reiezione del primo motivo del ricorso al Tar, basato sulla carenza di motivazione del provvedimento impugnato in relazione alle ragioni di pubblico interesse poste a base di esso; sub 2) -demolizione della soletta in cemento armato -altezza e abitabilità del sottotetto, viene rimarcato come la soletta non sia mai stata realizzata, nemmeno dal costruttore, cosicché la stessa non poteva nemmeno essere stata demolita dagli appellanti. La previsione di tale soletta risulta in una sola delle molteplici tavole progettuale allegate alla variante del 1994 e non può non costituire perciò un evidente errore grafico. Segue nell’appello una ricostruzione assai minuziosa di risultanze tecniche derivanti da relazioni di sopralluogo, tavole progettuali, planimetrie e altri documenti, indicati a sostegno dell’errore grafico prospettato nell’appello alle pagine 11 e da 13 a 15, elementi dai quali si ricaverebbe appunto come la soletta non sarebbe mai stata realizzata, nemmeno dal costruttore, e non avrebbe neppure fatto parte del progetto; sub 3), con riguardo al IV motivo del ricorso di primo grado, recante violazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 55 della l. r. n. 16 del 2008, gli appellanti deducono che la sentenza avrebbe errato nel non esaminare il IV motivo avendo ritenuto che l’accoglimento del secondo elidesse l’interesse dei ricorrenti originari e odierni appellanti al suo accoglimento. L’assunto è erroneo e il motivo va riproposto sia pure in via subordinata rispetto alle altre censure formulate.

Gli appellanti hanno concluso per la riforma della sentenza nella parte in cui ha respinto la domanda, e per l’annullamento totale del provvedimento n. 37/2014.

Il Comune si è costituto per resistere.

Le parti si sono scambiate memorie e repliche e all’udienza del 15 dicembre 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

3.L’appello è da ritenersi fondato e da accogliere con riferimento decisivo e assorbente alla prima censura, con la quale è stata dedotta la criticabilità della statuizione con la quale la sentenza di primo grado ha respinto il primo motivo del ricorso di primo grado, basato sulla carenza di motivazione della determinazione in via di autotutela impugnata in ordine alle ragioni di pubblico interesse poste a base di essa.

Al riguardo va premesso che la DIA risale al settembre del 2011, che il sopralluogo dei tecnici del Comune risulta essere stato eseguito (soltanto) nel maggio del 2013, che a esso hanno fatto seguito i rilievi del Comune di cui alla nota 21 maggio 2013 in atti e che il provvedimento impugnato in primo grado -qualificabile come atto in via di autotutela con contestuale adozione di contestuale misura sanzionatorio -repressiva- è intervenuto nell’aprile del 2014.

Ancora in via preliminare va rilevato in termini generali che secondo un orientamento giurisprudenziale della sezione condiviso da questo collegio (Cons. Stato, sez. VI, n. 4780 del 2014), la DIA, una volta perfezionatasi, costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace, sotto tale profilo equiparabile quanto agli effetti al rilascio del provvedimento espresso, che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria.

In presenza di una DIA illegittima è consentito certamente all’Amministrazione di intervenire anche oltre il termine perentorio di cui all’art. 23, comma 6, del d.P.R. n. 380 del 2001, ma solo alle condizioni (e seguendo il procedimento) cui la legge subordina il potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della DIA, ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo (così, Cons. Stato, sez. VI, n. 4780 del 2014).

Nella specie, vero è che dalla lettura della relazione tecnica allegata alla DIA emerge in via esclusiva il riferimento a variazioni di spazi interni.

Ciò peraltro non esimeva il Comune dall’eseguire in via tempestiva sopralluoghi o “verifiche di raffronto” tra la DIA e gli atti edilizi precedenti, al fine di individuare entità e rilevanza di eventuali discrepanze, tanto più considerando la oggettiva complessità della situazione ricavabile dagli atti (non scevra da incertezze, senza che con ciò la sezione intenda pronunciarsi sul merito del secondo motivo di appello il quale come si dirà rimane assorbito).

Sta di fatto che anche alla luce della complessità della “questione soletta”, come ricostruita in modo non implausibile nell’atto di appello, sub 2), non pare che potesse considerarsi “eRo.” la buona fede dei privati acquirenti, a differenza di quanto si afferma in sentenza.

In questa situazione, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, il tempo trascorso tra la DIA (settembre 2011) e l’adozione del provvedimento impugnato (aprile 2014), e in ogni caso tra la DIA e le verifiche comunali (maggio 2013) -e questo a prescindere dalla soluzione da dare alla questione, peraltro nemmeno sollevata nel ricorso di primo grado, dell’osservanza, o meno, del “termine ragionevole” di cui all’art. 21 -nonies della l. n. 241 del 1990, nel testo vigente nell’aprile del 2014, entro il quale poter esercitare in modo legittimo l’autotutela- era obiettivamente tale da “comportare l’obbligo (in capo al Comune) di motivare in ordine all’interesse pubblico”, non potendosi sostenere che l’interesse pubblico alla dichiarazione di inefficacia fosse da ritenersi “in re ipsa”.

La sentenza non persuade là dove afferma che il Comune, a partire dal settembre del 2011, non aveva fatto trascorrere inutilmente il tempo di legge per le verifiche e i controlli sulla legittimità delle opere edilizie, e che il tempo trascorso tra il preannuncio del progetto di sanatoria (giugno 2013-istanza di sanatoria che poi non verrà presentata) e l’adozione dell’atto repressivo (aprile 2014) non poteva essere considerato “alla stregua di un ritardo (del Comune) tale da comportare l’obbligo di motivare in ordine all’interesse pubblico”; mentre per questo collegio andava in effetti considerato in senso favorevole al Comune il tempo trascorso tra il “preannuncio del progetto di sanatoria” con contestuale richiesta di sospensione dal procedimento, e le osservazioni dei ricorrenti del novembre 2013.

In questa situazione, a prescindere dal calcolo del tempo a partire dal quale andava verificata la ragionevolezza del termine per l’esercizio dell’autotutela -se far coincidere il momento “a quo” col sopralluogo del Comune del maggio del 2013 o se individuarlo nella DIA del settembre 2011-, posto che come detto la violazione dell’art. 21 nonies è stata rilevata unicamente sotto il profilo della insufficienza motivazionale e non anche sotto l’aspetto, risolutivo, della violazione del termine ragionevole, e quindi del venire meno in radice del potere di autotutela del Comune; ribadito che la ragione della ritenuta inefficacia della DIA attiene a una rappresentazione di fatto non conforme ai precedenti progetti approvati, ne discende che il Comune ben avrebbe potuto e dovuto esercitare i propri poteri di autotutela motivando in modo congruo in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla dichiarazione di inefficacia della DIA, anziché rimanere inerte per più di un anno e mezzo.

Alla luce della situazione specifica andava quindi accolto il primo motivo, che i ricorrenti avevano imperniato sulla carenza di qualsiasi motivazione, nel provvedimento n. 37 dell’8 aprile 2014, in ordine ai profili di interesse pubblico diversi dal mero interesse al ripristino della legalità violata.

In maniera illegittima il Comune ha dichiarato l’inefficacia della DIA omettendo qualsiasi considerazione in ordine all’interesse pubblico a provvedere, e alla sua comparazione con gli interessi dei destinatari dell’atto contestato.

L’accoglimento del motivo pare satisfattivo e comporta l’assorbimento dei motivi ulteriormente dedotti.

In conclusione l’appello va accolto e, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado va accolto “in toto” e l’ordinanza n. 37 dell’8.4.2014 va annullata.

Le peculiarità, specie in fatto, della vicenda trattata giustificano in via eccezionale la compensazione tra le parti delle spese e dei compensi di entrambi i gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma parziale della sentenza in epigrafe annulla il provvedimento impugnato in primo grado.

Spese del doppio grado del giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15 dicembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo – Presidente

Bernhard Lageder – Consigliere

Marco Buricelli – Consigliere, Estensore

Francesco Mele – Consigliere

Italo Volpe –

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