Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 24 novembre 2014, n. 5779

 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE SESTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3859 del 2014, proposto da D.Li., in proprio e quale amministratore e legale rappresentante della S.a.s. D., rappresentato e difeso dall’avvocato Do.Fa., con domicilio eletto presso Po.Fl. in Roma, via (…);
contro
Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Direzione Territoriale del Lavoro di Foggia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – BARI: SEZIONE III n. 160/2014, resa tra le parti, concernente diniego accesso atti relativi al rilascio copia della documentazione posta a base dell’ordinanza di ingiunzione per sanzione amministrativa
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2014 il consigliere Maurizio Meschino e uditi per le parti l’avvocato Fl. per delega dell’avvocato Fa. e l’avvocato dello Stato Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO

 
1. Il signor D.Li., in proprio e quale amministratore e rappresentante legale della Sm. s.a.s. (in seguito “ricorrente”) con il ricorso n. 1310 del 2013 proposto al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, ha chiesto l’accesso ai documenti inerenti la fase istruttoria conclusasi con l’adozione dell’ordinanza – ingiunzione n. 14882/MA001 del 5 giugno 2013, relativa all’accertamento di violazioni nella gestione di rapporti di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 39, comma 3, del decreto-legge n. 112 del 2008.
2. Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione terza, con la sentenza n. 160 del 2014, ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di interesse; ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite a favore dell’Amministrazione intimata (Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Direzione territoriale del lavoro di Foggia), liquidate in euro 2.000,00
3. Con l’appello in epigrafe è chiesto, in riforma della sentenza di primo grado, che sia preliminarmente dichiarata la parziale cessazione della materia del contendere, che sia annullato l’impugnato diniego di accesso quanto alla documentazione non ancora esibita e ordinata all’Amministrazione la relativa ostensione.
4. Alla camera di consiglio del 7 ottobre 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.
 

DIRITTO

 
1. Nella sentenza di primo grado:
-si richiama che, negato dall’Amministrazione resistente il richiesto accesso con provvedimento espresso, tutti gli atti ispettivi oggetto della relativa domanda sono stati poi depositati in giudizio, essendo stata quindi rinviata l’udienza camerale per verificare l’eventuale cessazione della materia del contendere, e che la difesa del ricorrente ha ribadito l’interesse in ragione della mancata ostensione del verbale unico di accertamento dell’8 novembre 2011 e di ogni altro documento correlato all’ordinanza – ingiunzione, inclusi gli atti delle indagini;
– si dichiara inammissibile il ricorso per difetto di interesse poiché: a) l’istanza di accesso è stata presentata all’Amministrazione il giorno prima della proposizione del ricorso avverso l’ordinanza – ingiunzione, risultando evidente da questa contestualità che l’accesso non è stato richiesto in funzione della tutela giurisdizionale poiché avanzata indipendentemente dalla conoscenza delle indagini ispettive; b) nel giudizio avverso l’ordinanza – ingiunzione l’onere probatorio grava sull’Amministrazione, giovando alle ragioni del ricorrente la mancata produzione della documentazione da parte della stessa e confermandosi, con ciò, la non necessarietà della documentazione per la tutela giurisdizionale del ricorrente; c) come chiarito dall’Avvocatura erariale in sede di discussione orale il richiesto verbale unico di accertamento dell’8 novembre 2011 non esiste (trattandosi di un refuso dell’ordinanza – ingiunzione), come peraltro desumibile dal fatto che gli atti di indagine sono tutti successivi, mentre è generica la richiesta di ogni altro documento connesso non residuando, peraltro, atti di indagine oltre quelli già prodotti.
2. Nell’appello si deduce, in sintesi, che:
– il primo giudice avrebbe dovuto dichiarare la parziale cessazione della materia del contendere riguardo alla documentazione oggetto della richiesta di accesso poi acquisita al giudizio;
– quanto dedotto oralmente dall’Avvocatura dello Stato costituisce una indebita integrazione in giudizio della motivazione dell’impugnato provvedimento di diniego dell’accesso, dovendo essere l’Amministrazione ad asseverare formalmente l’inesistenza dei documenti richiesti e dovendosi altresì considerare che, al contrario di quanto dedotto, le indagini si sono svolte prima della data del citato verbale unico di accertamento;
– l’accesso può essere richiesto indipendentemente dallo scopo della tutela giurisdizionale a tutela di qualsiasi situazione giuridicamente rilevante, ferma restando, comunque, l’utilità per il ricorrente di acquisire la documentazione residua per produrla nel giudizio davanti al giudice del lavoro ove è ammissibile come nuovo mezzo di prova;
– l’onere probatorio nella specie a carico dell’Amministrazione non esclude l’interesse del ricorrente a conoscere l’ulteriore documentazione eventualmente decisiva per escludere la pretesa sanzionatoria;
– l’asserita genericità della richiesta degli ulteriori documenti connessi corrisponde alla identica locuzione con cui ci riferisce alla documentazione istruttoria nell’impugnata ordinanza – ingiunzione;
– sulla base di quanto sinora considerato la sentenza impugnata deve essere riformata anche nella decisione sulle spese processuali.
Si ripropone, infine, la censura dedotta in primo grado avverso il diniego dell’accesso, motivato dall’Amministrazione con l’applicazione del regolamento in materia, n. 757 del 1994, del Ministero del lavoro e della previdenza sociale relativo alle categorie di documenti sottratti all’accesso, deducendo l’inapplicabilità delle relative prescrizioni, non rilevanti nella specie né riguardo alla riservatezza dei lavoratori interessati, in quanto non più alle dipendenze della Sm. s.a.s., né all’ipotesi che dalla divulgazione derivi pregiudizio al diritto alla riservatezza, o indebita concorrenza, a danno di altre aziende, trattandosi di documenti attinenti alla sola sfera giuridica del ricorrente, e, in ogni caso, dovendo recedere tali prescrizioni rispetto all’esigenza della difesa in giudizio ai sensi dell’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990.
3. L’appello è da accogliere nella parte con cui è censurata la mancata dichiarazione della parziale cessazione della materia del contendere mentre non può essere accolto nella parte restante.
3.2. Il deposito in giudizio, infatti, di tutti gli atti ispettivi del procedimento ha comportato la soddisfazione della pretesa azionata dal ricorrente con la relativa domanda di accesso, dovendosi perciò ritenere cessata la materia del contendere rispetto alla controversia sul rigetto della domanda riguardo a tali documenti.
3.2. Quanto alla restante parte dell’appello, il Collegio, vista anche la riproposizione in appello delle censure di primo grado avverso l’impugnato provvedimento di diniego, esamina la questione sostanziale della controversia, consistente nella legittimità del detto diniego in quanto basato sul citato regolamento, n. 757 del 1994, per il quale sono sottratti al diritto di accesso categorie di atti “in relazione all’esigenza di salvaguardare la riservatezza delle persone fisiche, di persone giuridiche” e, in particolare, “documenti contenenti notizie acquisite nel corso di attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possono derivare discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi”.
Al riguardo questo Consiglio, all’esito di un approfondimento in materia, ha definito un indirizzo (Cons. Stato, Sez. VI, n. 863 del 2014), che si condivide, per cui l’esigenza della tutela della riservatezza dei lavoratori che hanno reso dichiarazioni in sede ispettiva:
a) assume una particolare rilevanza “volta sia a prevenire eventuali ritorsioni o indebite pressioni da parte del datore di lavoro, sia a preservare, in un contesto più ampio, l’interesse generale ad un compiuto controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro”;
b) ciò alla luce della normativa costituzionale ed europea (art. 4, 32 e 36 Cost. e art. 8 CEDU), nonché in base all’art. 8 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970), per cui si deve ritenere “in via generale prevalente, se non assorbente, la tutela apprestata dall’ordinamento alle esigenze di riservatezza delle suddette dichiarazioni, contenenti dati sensibili la cui divulgazione potrebbe comportare, nei confronti dei lavoratori, azioni discriminatorie o indebite pressioni”;
c) non essendo peraltro l’ostensione dei detti documenti indispensabile per curare o difendere gli interessi giuridicamente rilevanti dei datori di lavoro, considerato che la compiuta conoscenza dei fatti e delle allegazioni loro contestati risulta di norma assicurata dal verbale di accertamento relativo alle dette dichiarazioni, ferma la possibilità, in ultima istanza, di ottenere accertamenti istruttori in giudizio;
d) costituendo “la prevalenza del diritto alla riservatezza dei lavoratori che hanno reso le dichiarazioni rispetto alla tutela garantita dall’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990 un principio generale che, come tale, opera a prescindere dalla circostanza che l’istante sia o meno il datore di lavoro dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni”.
Quanto sopra si applica compiutamente al caso di specie, essendo le dette ragioni specificamente alla base dell’impugnato diniego di accesso e dovendosi in ogni caso rilevare che, in concreto, il ricorrente ha avuto conoscenza di tutti gli atti ispettivi, come dallo stesso non contestato, rendendo ciò superfluo l’accesso al verbale di accertamento, quand’anche esistente, poiché, come sopra detto eventualmente da ostendere se non siano conosciute le dichiarazioni de quibus.
4. Per le ragioni esposte l’appello è fondato in parte ed è perciò da accogliere quanto alla richiesta della dichiarazione della cessazione parziale della materia del contendere; è infondato, e deve essere quindi respinto, nella parte restante.
Il Collegio ritiene giustificata la compensazione tra le parti delle spese dei due gradi del giudizio, considerato il parziale accoglimento dell’appello come sopra specificato, e, quanto alla soccombenza dell’appellante nella parte restante, essendo intervenuta soltanto di recente la richiamata evoluzione dell’indirizzo giurisprudenziale pertinente al caso in esame.
 

P.Q.M.

 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Sesta – accoglie in parte l’appello in epigrafe n. 3859 del 2014 e dichiara la parziale cessazione della materia del contendere come da motivazione; lo respinge nella parte restante come anche da motivazione.
Compensa tra le parti le spese dei due gradi del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2014, con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Maurizio Meschino – Consigliere, Estensore
Gabriella De Michele – Consigliere
Carlo Mosca – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Depositata in Segreteria il 24 novembre 2014.

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