Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 17 maggio 2017, n. 2348

Occorre il titolo edilizio per la realizzazione di nuovi manufatti, quand’anche sotto il profilo civilistico essi si possano qualificare come pertinenze. La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica. Nell’ordinamento statale, infatti, vi è il principio generale per il quale occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente), quando si tratti di un manufatto edilizio: salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opera, come una tettoia, che ne alteri la sagoma. Viceversa, il testo unico attribuisce rilevanza urbanistica ed edilizia alle pertinenze, ammettendo all’art. 3, comma 1, lett. e.6) che specifiche regole siano contenute nelle norme tecniche degli strumenti urbanistici

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 17 maggio 2017, n. 2348

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 150 del 2017, proposto dal signor Da. Bu., rappresentato e difeso dall’avvocato An. La., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…)

contro

Roma Capitale – XIV Municipio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Cr. Mo., con domicilio eletto presso il suo ufficio in Roma, via (…);

per la riforma della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I quater, n. 13864/2015, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Vista la memoria difensiva depositata da Roma Capitale in data 11 aprile 2017;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 maggio 2017 il pres. Luigi Maruotti e udito l’avvocato An. La.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’appellante è proprietario di un immobile sito nel territorio di Roma Capitale, alla via (omissis).

2. Con l’ordinanza n. 1205 del 13 giugno 2007, Roma Capitale ha emanato un’ordinanza di demolizione di opere realizzate abusivamente su tale immobile, consistenti nella realizzazione di un locale autorimessa, avente una superficie di circa 36 metri quadrati, dotato di una finestra e di una porta a due ante, con la chiusura di tre lati in muratura preesistenti.

3. Con il ricorso n. 9173 del 2007 (proposto al TAR per il Lazio, Sede di Roma), l’appellante ha impugnato tale ordine di demolizione, chiedendone l’annullamento.

4. Il TAR, con la sentenza n. 13864 del 2015, ha respinto il ricorso ed ha condannato l’interessato al pagamento delle spese del giudizio.

5. Con l’appello in esame, l’interessato ha impugnato la sentenza del TAR ed ha chiesto che, in sua riforma, il ricorso di primo grado sia accolto.

Roma Capitale si è costituita in giudizio ed ha chiesto che l’appello sia respinto.

All’udienza dell’11 maggio 2017, la causa è stata trattenuta per la decisione.

6. Con l’unico articolato motivo, l’appellante:

– ha dedotto che il manufatto realizzato dovrebbe essere qualificato come pertinenza, sicché per la sua realizzazione sarebbe stata sufficiente una autorizzazione, con la conseguente impossibilità di emanare l’ordine di demolizione;

– «la struttura sanzionata era già destinata a posto auto», sicché – contrariamente a quanto ha rilevato la sentenza del TAR – non è aumentato il’carico urbanisticò.

7. Ritiene la Sezione che la censura così riassunta sia infondata e vada respinta.

Per la giurisprudenza di questo Consiglio, che il Collegio condivide e fa propria (cfr. Sez. VI, 13 marzo 2017, n. 1155; Sez. VI, 16 febbraio 2017, n. 694), va «rimarcato come occorra il titolo edilizio per la realizzazione di nuovi manufatti, quand’anche sotto il profilo civilistico essi si possano qualificare come pertinenze».

«La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica» (cfr. anche Cons. St., Sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 19; Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952; Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817; Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615).

«Nell’ordinamento statale, infatti, vi è il principio generale per il quale occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente), quando si tratti di un manufatto edilizio (cfr. Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952): salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opera, come una tettoia, che ne alteri la sagoma».

«Viceversa, il testo unico attribuisce rilevanza urbanistica ed edilizia alle pertinenze, ammettendo all’art. 3, comma 1, lett. e.6) che specifiche regole siano contenute nelle norme tecniche degli strumenti urbanistici».

Nel condividere tali considerazioni, osserva il Collegio che nel presente giudizio non è stato dedotto che una norma tecnica dello strumento urbanistico di Roma Capitale abbia considerato irrilevanti le opere in questione sotto il profilo edilizio, sicché le deduzioni dell’appellante risultano infondate e vanno respinte.

8. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.

La condanna al pagamento delle spese e degli onorari del secondo grado di giudizio segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l’appello n. 150 del 2017.

Condanna l’appellante al pagamento di euro 5.000 (cinquemila) in favore della Amministrazione appellata, oltre oneri di legge, per spese ed onorari del secondo grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2017, con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti – Presidente, Estensore

Vincenzo Lopilato – Consigliere

Francesco Mele – Consigliere

Dario Simeoli – Consigliere

Italo Volpe – Consigliere

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *