Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 11 novembre 2016, n. 4676

Le norme di disciplina della materia (e, segnatamente, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 29 dicembre 2003, n. 387) impediscono ad un’amministrazione preposta alla tutela del paesaggio di fornire il proprio assenso nell’ambito della conferenza di servizi ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica all’esercizio di impianti di energia elettrica da fonte rinnovabile e, contestualmente, dare avvio ad un procedimento, formalmente, diverso di dichiarazione dell’area di notevole interesse culturale il cui esito incide, sostanzialmente, sulla determinazione assunta all’esito dei lavori della conferenza, impedendo lo svolgimento dell’attività autorizzata

 

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 11 novembre 2016, n. 4676

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4665 del 2015, proposto da:

Ministero per i beni e le attività culturali e del Turismo, in persona del Ministro pro tempore, Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania, Soprintendenza per beni architettonici e paesaggistici Province di Napoli e (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Te. – Re. El. Na. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Co., Gi. Br., Ma. Ca., Ma. Es., con domicilio eletto presso Ma. Es. in Roma, via (…);

Te. – Re. El. Na. s.p.a., Rti So. s.p.a., Campo Eolico Ar. Ce. s.r.l., non costituiti in giudizio;

nei confronti di

Regione Campania, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza 13 febbraio 2015, n. 2678 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, Sezione III.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio di Te. – Re. El. Na. s.p.a.;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 luglio 2016 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Ba. e l’avvocato Es..

FATTO e DIRITTO

1.- La società So. ha ottenuto una autorizzazione unica, all’esito di una conferenza di servizi, per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. In particolare, la Soprintendenza per i beni architettonici di (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis) ha reso, con nota 1° agosto 2012, n. 22782, parere di compatibilità paesaggistica, con prescrizioni. La conferenza si è conclusa in data 23 marzo 2013. Il provvedimento finale della direzione della Regione Campania è stato adottato in data 23 ottobre 2013, n. 368.

La Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania (d’ora innanzi anche solo Direzione regionale), con atto 31 luglio 2013, n. 1818, ha dichiarato di notevole interesse pubblico le aree interessate dal progetto.

Te.- Re. El. Na. s.p.a. (d’ora innanzi solo Te.), gestore della rete elettrica nazionale, esercente i diritti di proprietà sulla medesima rete, ha impugnato tale ultimo atto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, rilevando che esso contrastava con gli esiti della conferenza di servizi.

2.- Il Tribunale amministrativo, con sentenza 13 febbraio 2015, n. 2678, ha accolto il ricorso.

3.- Il Ministero ha proposto appello.

3.1.- Si è costituita in giudizio la ricorrente in primo grado, chiedendo il rigetto dell’appello.

3.2.- La Sezione, con ordinanza 7 luglio 2015, n. 3036, ha accolto la domanda cautelare e sospeso l’efficacia della sentenza impugnata.

4.- La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 7 luglio 2016.

5.- L’appello non è fondato.

6.- Con un primo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto Te. priva di legittimazione ad impugnare, in quanto non destinataria del provvedimento impugnato. In particolare, si è affermato che So. potrebbe dare in gestione l’impianto a Te. soltanto a seguito della sua ultimazione. Inoltre, si è messo in rilievo come l’atto censurato non precluderebbe la localizzazione degli impianti nell’area in esame.

Il motivo non è fondato.

L’art. 13 del d.lgs. n. 79 del 1999 dispone che a Te. è affidato «l’esercizio dei diritti di proprietà della rete di trasmissione comprensiva delle linee di trasporto e delle stazioni di trasformazione dell’energia elettrica e le connesse attività di manutenzione e sviluppo decise dal gestore». L’art. 2 dello stesso decreto prevede che la rete di trasmissione nazionale è il complesso delle stazioni di trasformazione e delle linee elettriche di trasmissione ad alta tensione sul territorio nazionale gestite unitariamente. Te. è anche titolare della concessione delle attività di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica nel territorio nazionale. In ragione delle sue funzioni, Te. ha l’obbligo, sussistendo determinati presupposti, di connettere alla rete elettrica nazionale tutti i produttori che ne facciano richiesta, compresi quelli che producono energia elettrica utilizzando fonti rinnovabili. Nella specie, So. aveva chiesto a Te. di connettersi alla rete per l’impianto di generazione eolica in esame, assumendo l’obbligo di avviare e completare il procedimento di autorizzazione unica.

Alla luce di quanto esposto, la parte appellata è legittimata ad impugnare l’atto n. 1818 del 2013 della Direzione regionale che, dichiarando di notevole interesse pubblico le aree interessate dal progetto, ha comportato l’oggettiva impossibilità di realizzare l’impianto eolico in esame. Si è, pertanto, determinata, nella prospettiva di Te., una sorta di arresto procedimentale che ha leso, con attualità e immediatezza, la sua sfera giuridica. Se, infatti, non venisse annullato il decreto regionale il Gestore delle rete elettrica nazionale non potrebbe usufruire dei vantaggi derivanti dalla avvenuta richiesta di connessione alla rete. Né varrebbe rilevare che la nuova determinazione regionale non preclude la possibilità che, in quell’area, vengano realizzati impianti, quale quello in esame, in quanto ciò che rileva è che essa determina una immediata impossibilità di esercizio del predetto impianto così come autorizzato.

7.- Con un secondo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado per mancata notifica del ricorso stesso ad almeno uno dei controinteressati, quali i Comuni nel cui territorio ricade l’area in esame ovvero i proprietari di altri lotti.

Il motivo non è fondato.

L’art. 41, comma 2, cod. proc. amm. dispone che il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, ad almeno uno dei controinteressati.

I controinteressati in senso processuale sono soltanto coloro che sono indicati nel provvedimento amministrativo o che sono agevolmente individuabili in base ad esso (requisito formale) e che potrebbero subire un pregiudizio dall’eventuale accoglimento del ricorso (requisito sostanziale). E solo nei confronti di essi che è necessario notificare il ricorso (ex multis, Cons. Stato, sez.V.

1 ottobre 2015, n. 4606). La mancanza del primo requisito legittima l’intervento nel processo ai sensi del primo comma dell’art. 28 cod. proc. amm.

Nel processo amministrativo la qualifica di controinteressato richiede un requisito sostanziale, costituito dalla sussistenza di un interesse qualificato al mantenimento dell’utilità riconosciuta dal provvedimento, di natura eguale e contraria a quello azionato dal ricorrente, ed un requisito formale, rappresentato dall’indicazione nominativa nel provvedimento amministrativo o nella sua agevole individuabilità sulla base di quest’ultimo;

Nel caso in esame, i soggetti pubblici e privati indicati dall’appellante non risultano dal provvedimento impugnato e, pertanto, il ricorrente non aveva alcun onere di notificazione del ricorso, a pena di decadenza, ad almeno uno di essi.

8.- Con un secondo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto la diversità dei procedimenti e dunque la legittimità dell’atto impugnato.

Il motivo non è fondato.

L’art. 12 del decreto 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) prevede che: «La costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione (…)». La stessa norma dispone che la Regione, per acquisire i necessari consensi, deve indire obbligatoriamente una conferenza di servizi. Quest’ultima deve svolgersi nel rispetto delle prescrizioni generali, applicabili ratione temporis, di cui agli artt. 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990.

In particolare, il previgente primo comma dell’art. 14-quater disponeva che: «Il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni ivi comprese quelle preposte alla tutela ambientale, fermo restando quanto previsto dall’articolo 26 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, regolarmente convocate alla conferenza di servizi, a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso».

La norma è chiara nell’escludere qualsiasi rilevanza a dissensi espressi al di fuori del modulo della conferenza di servizi. L’eventuale assegnazione di valore alla manifestazione di volontà espressa “esternamente” vanificherebbe la finalità di semplificazione procedimentale che connota la conferenza di servizi decisoria.

Nella fattispecie in esame, il Ministero per i beni e le attività culturali, mediante i propri organi, ha dato il proprio assenso in data 7 settembre 2012, con le prescrizioni proposte dalla Soprintendenza per i beni archeologici territorialmente competente. La Regione, preso atto delle volontà espresse dai soggetti pubblici coinvolti unitamente alle suddette prescrizioni, ha adottato il decreto 23 ottobre 2013, n. 368 con cui è stata rilasciata l’autorizzazione unica a So..

Nel medesimo periodo la Soprintendenza preposta alla tutela dei beni archeologici per le Province di (omissis) e (omissis) aveva avviato un altro procedimento per la dichiarazione di notevole interesse pubblico, ai sensi degli articoli 138, comma 3, e 141 del d.lgs. n. 42 del 2004, delle aree site nel Comune di (omissis) denominate «(omissis), (omissis), (omissis), (omissis) e (omissis)». Il suddetto procedimento si è concluso con l’adozione da parte della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania del decreto 31 luglio 2013, n. 1818.

Il Collegio, pur condividendo la tesi dell’appellante che si tratta di un procedimento diverso, rileva come esso in ogni caso incida sugli esiti della conferenza di servizi vanificando l’assetto di interessi definito da tutte le parti coinvolte, incluse quelle preposte alla tutela degli interessi sensibili che vengono in rilievo in questa sede.

Si è, pertanto, realizzata una sostanziale elusione delle norme imperative di diritto pubblico che presiedono alle modalità di formazione della volontà amministrativa nel caso in cui occorre acquisire più atti di assenso di competenza di diverse amministrazioni. Ciò non significa che le autorità competenti non possano ritenere necessario adottare un atto che dichiari di notevole interesse l’intera area su cui è stato già costruito l’impianto ma il procedimento che avrebbero dovuto seguire è diverso. In particolare, i soggetti pubblici competenti, incidendo sugli esiti delle conferenza, avrebbero dovuto impugnare il provvedimento adottato a conclusione dei lavori della conferenza ovvero richiedere all’autorità procedente di rivedere, in sede di autotutela, la decisione assunta, nel rispetto delle medesime modalità procedimentali seguite per il provvedimento di primo grado, limitatamente all’incidenza della nuova determinazione su quanto stabilito con il suddetto provvedimento.

In definitiva, le norme di disciplina della materia impediscono ad un’amministrazione preposta alla tutela del paesaggio di fornire il proprio assenso nell’ambito della conferenza di servizi ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica all’esercizio di impianti di energia elettrica da fonte rinnovabile e, contestualmente, dare avvio ad un procedimento, formalmente, diverso di dichiarazione dell’area di notevole interesse culturale il cui esito incide, sostanzialmente, sulla determinazione assunta all’esito dei lavori della conferenza, impedendo lo svolgimento dell’attività autorizzata.

9.- L’appellante è condannata al pagamento, in favore della parte resistente costituita, delle spese del presente grado di giudizio che si determinano in euro 5.000,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:

a) rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;

b) condanna l’appellante al pagamento, in favore della parte resistente costituita, delle spese del presente grado di giudizio che si determinano in euro 5.000,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Ermanno De Francisco – Presidente

Roberto Giovagnoli – Consigliere

Dante D’Alessio – Consigliere

Andrea Pannone – Consigliere

Vincenzo Lopilato – Consigliere, Estensore

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