Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 7 giugno 2017, n. 2727

Per evitare che la condanna inflitta al soggetto che ha ricoperto cariche sociali in una società si ripercuota su di essa precludendole la partecipazione a gare pubbliche, non è sufficiente la sola cessazione dalla carica sociale, per dimissioni o per allontanamento, potendosi trattare di mera sostituzione di facciata, ma occorre la dimostrazione che la società abbia adottato atti concreti e tangibili di dissociazione dalla condotta delittuosa, quale ad esempio, di norma, l’aver iniziato verso lo stesso azione di responsabilità sociale

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 7 giugno 2017, n. 2727

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 3920 del 2016, proposto da:

Da. s.r.l. in proprio e quale mandataria del RTI con Ex. s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato Pa. Be., con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via (…);

contro

Gestore dei Servizi Energetici GSE s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Ar. Ca. e Fr. Va., con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, piazza (…);

nei confronti di

Al. Co. s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato Lu. To., con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, viale (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio – Roma, Sezione III Ter, n. 03414/2016, resa tra le parti, concernente la gara finalizzata all’affidamento di una commessa pubblica.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Gestore dei Servizi Energetici GSE s.p.a. e della Al. Co. s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 maggio 2017 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Pa. Be., Fr. Va. e M. St. Ma., in sostituzione dell’avvocato Lu. To.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con bando pubblicato sulla GUUE in data 15/10/2014 e sulla GURI il successivo giorno 20, il Gestore dei Servizi Energetici – GSE s.p.a. ha indetto una procedura ristretta finalizzata all’affidamento dei “Servizi di Contact Center inbound e autobound a supporto delle attività istituzionali affidate al GSE per promozione e lo sviluppo di energia da fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica e Servizi di Assistenza Tecnica Informatica”.

Alla gara ha, tra l’altro, partecipato il RTI tra la Da. s.r.l. (mandataria) e la Ex. s.p.a. che, all’esito delle operazioni di gara, ha ottenuto la definitiva aggiudicazione dell’appalto, comunicatagli in data 17/7/2015.

Sennonché con sentenza n. -OMISSIS-la Corte di Cassazione ha definitivamente condannato il dr. -OMISSIS- – amministratore delegato della Da. sino al 12/6/2015 – alla pena di anni tre di reclusione per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 216, comma 1, e 223, comma 1, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (bancarotta fraudolenta), con inabilitazione all’esercizio dell’attività di impresa ed incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di dieci anni.

A seguito di tale sentenza il GSE, con nota del 14 settembre 2015, ha invitato la Da. a “fornire idonee e circostanziate informazioni in merito ai reati oggetto di condanna” e a chiarire la sua posizione “rispetto alla condotta dell’Amministratore, precisando quali atti di dissociazione sono stati adottati a dimostrazione dell’estraneità dell’impresa nonché indicando quali azioni intende intraprendere”.

La società ha riscontrato la richiesta con propria nota del 22 settembre 2015, con la quale ha illustrato l’attività posta in essere per dissociarsi dall’operato dell’amministratore cessato dalla carica.

Preso atto della risposta ottenuta il GSE ha adottato la determinazione datate 1 ottobre 2015, con la quale ha escluso dalla gara il suddetto RTI e conseguentemente annullato il provvedimento di aggiudicazione in suo favore.

Con successiva determinazione del 9 ottobre 2015 ha poi affidato l’appalto alla Al. Co. s.p.a.

Ritenendo i suddetti provvedimenti illegittimi, la Da. li ha impugnati davanti al TAR per il Lazio, il quale, con sentenza 18 marzo 2016, n. 3414, ha respinto il ricorso.

Avverso la sentenza ha proposto appello la Da.

Per resistere al gravame si sono costituiti in giudizio il GSE e la Al. Co.

Con successive memorie le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 18 maggio 2017, la causa è passata in decisione.

Può prescindersi dall’esame dell’eccezione di rito dedotta dalla controinteressata, essendo l’appello comunque infondato nel merito.

Con due distinti ed articolati motivi l’appellante deduce che il giudice di prime cure avrebbe errato:

a) nell’affermare che l’attività di dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata sia stata posta in essere solo successivamente al provvedimento di esclusione dalla gara, senza considerare le diverse iniziative tempestivamente poste in essere;

b) nel ritenere sufficientemente motivata la valutazione compiuta dalla stazione appaltante in ordine alla gravità del reato ascritto al dr. -OMISSIS-;

c) nel non sanzionare l’operato del GSE che ha ritenuto inidonee le attività dissociative poste in essere dalla Da.;

d) nel ritenere irrilevante la circostanza che il capitale della Da. fosse posseduto, dapprima all’ottanta percento e poi in via totalitaria, dalla Da. Hu. s.r.l.;

e) nel non valorizzare il brevissimo lasso di tempo intercorso tra il momento in cui il Consiglio di amministrazione ha acquisito conoscenza delle motivazioni della sentenza di condanna e quello in cui ha dato corso alle attività di dissociazione;

f) nell’attribuire rilievo alla circostanza che, nel comunicare, in data 6 luglio 2015, il rinnovo del proprio Consiglio di Amministrazione, la società non avrebbe informato la stazione appaltante della condanna penale a carico del dr. -OMISSIS-;

g) nell’aver ritenuto ininfluente la proposizione del ricorso alla CEDU contro la citata sentenza della Corte di Cassazione.

Le doglianze così sinteticamente riassunte si prestano ad una trattazione congiunta.

In via preliminare la S ezione ritiene opportuno precisare che la stazione appaltante avrebbe potuto disporre l’esclusione dalla gara del RTI capeggiato dalla Da., già in base alla sola condanna inflitta al dr. -OMISSIS-, senza necessità di valutare l’incidenza dell’attività di dissociazione posta in essere dalla detta società.

Difatti, come si ricava dall’art. 38, comma 1, lett. c), del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, tale attività può assumere valore esimente soltanto con riguardo agli amministratori cessati da ogni incarico nell’anno antecedente alla pubblicazione del bando di gara, giammai con riferimento a quelli in carica al momento di presentazione della domanda di partecipazione e che addirittura- come nel caso di specie – l’hanno sottoscritta.

In relazione a questi ultimi opera la diversa regola che impone la presenza del requisito dell’onorabilità sin dalla proposizione dell’offerta e per tutta la durata della gara e del rapporto (in caso di aggiudicazione), senza soluzione di continuità (fra le tante, Cons. Stato, Sez. III, 1 luglio 2015, n. 3274).

In tal caso pertanto deve escludersi ogni rilevanza ad eventuali iniziative di dissociazione da parte degli amministratori succeduti nella carica a quelli condannati.

Ciò premesso può passarsi all’esame delle doglianze prospettate che risultano tutte infondate.

a) La Da. ha comunicato alla stazione appaltante l’esistenza della condanna solo in data 22 settembre 2015, ovvero dopo la richiesta di chiarimenti da quest’ultima inoltratale con la nota del 14 settembre 2015, così violando i principi di correttezza e buona fede a cui dev’essere improntato il rapporto tra amministrazione e concorrente nell’ambito del procedimento ad evidenza pubblica (art. 2 del D. Lgs. n. 163/2006).

b) Le misure dissociative intraprese dalla detta società sono intervenute solo dopo il provvedimento di esclusione e tanto basta a farle ritenere tardive e quindi inidonee al perseguimento della funzione che gli è propria.

Infatti, per evitare che la condanna inflitta al soggetto che ha ricoperto cariche sociali in una società si ripercuota su di essa precludendole la partecipazione a gare pubbliche, non è sufficiente la sola cessazione dalla carica sociale, per dimissioni o per allontanamento, potendosi trattare di mera sostituzione di facciata (ipotesi non del tutto implausibile allorquando, come nella fattispecie, i poteri rappresentativi risultano trasferiti a soggetti legati da vincoli familiari col dr. -OMISSIS-), ma occorre la dimostrazione che la società abbia adottato atti concreti e tangibili di dissociazione dalla condotta delittuosa, quale ad esempio, di norma, l’aver iniziato verso lo stesso azione di responsabilità sociale (Cons. Stato, Sez. V, 30 aprile 2014, n. 2271)

Nel caso di specie, la prima iniziativa a cui può essere riconosciuta concreta efficacia ai fini dissociativi è costituita dall’azione civile intrapresa dalla Da. contro il dr. -OMISSIS-.

La domanda è stata, però, proposta solo con atto di citazione notificato in data 29 ottobre 2015 (il quale, peraltro, non risulta depositato in cancellaria) e quindi dopo il provvedimento di esclusione, mentre non può ascriversi alcun valore “di completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata” alle misure prese dal Consiglio di Amministrazione nelle sedute del 3 agosto 2015 e del successivo giorno 8 settembre, risolvendosi esse in mere dichiarazioni di intenti.

Nelle dette sedute l’organo collegiale si è invero, limitato a “esprimere formale dissociazione” dalla condotta del dr. -OMISSIS- e a deliberare di dare incarico ad un legale per valutare le azioni giudiziarie da intraprendere.

Nella prima di esse ha inoltre deliberato di redigere il modello organizzativo di cui al D. Lgs. n. 231/2001 e il codice etico e di procedere alla relativa mappatura dei rischi connessi all’attività svolta dalla società.

Tutte misure inefficienti, come più sopra rilevato, al fine di dimostrare un’effettiva volontà di dissociazione.

c) Come emerge dal citato art. 38, comma 1, lett. c), gli atti di dissociazione devono esser posti in essere dall’impresa presso la quale il soggetto condannato era in carica, attraverso i propri organi, senza che possa assumere alcun rilievo la circostanza che la stessa impresa sia soggetta a poteri di direzione e coordinamento di altra società che detiene tutto o parte del capitale sociale.

d) Nelle gare pubbliche la valutazione della gravità delle condanne riportate dai concorrenti e della loro incidenza sulla moralità professionale è rimessa alla più ampia discrezionalità tecnico amministrativa della stazione appaltante, non richiedendosi da essa un particolare onere motivazionale, essendo sufficiente che la stessa abbia acquisito tutti i dati utili seguendo lo schema tracciato dalla legge per la verifica del requisito della idoneità morale (Cons. Stato, Sez. V, 25 febbraio 2015, n. 927).

L’onere di motivazione deve ritenersi, poi, ancor meno pregnante nelle ipotesi, come quelle di specie, in cui la condanna si riferisca ad un reato di obbiettiva gravità come la bancarotta fraudolenta (Cons. Stato, Sez. V, 25 novembre 2002, n. 6482).

Ad ogni modo, nel caso in esame la stazione appaltante ha ritenuto grave la condanna riportata dal dr. -OMISSIS- alla stregua di un iter argomentativo sufficientemente motivato, come si ricava dalla lettura del provvedimento di esclusione.

e) Nessun rilievo può, infine, essere ascritto all’azione promossa davanti alla CEDU dal dr. -OMISSIS-, atteso che la stessa, come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, “non toglie, e anzi presuppone, l’efficacia di res judicata della condanna”.

Va, infine, dichiarata inammissibile la censura prospettata dall’appellante con la memoria depositata in data 29 dicembre 2016 concernente l’asserita violazione dell’art. 80 del nuovo codice degli appalti e dell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE.

Trattasi, infatti, di doglianza nuova per di più introdotta con atto non notificato alle controparti.

L’appello va, in definitiva, respinto.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che la Sezione ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore delle parti appellate, liquidandole forfettariamente in complessivi € 4.000/00 (quattromila) per ciascuna, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il dr. -OMISSIS-.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 maggio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli – Presidente

Roberto Giovagnoli – Consigliere

Claudio Contessa – Consigliere

Raffaele Prosperi – Consigliere

Alessandro Maggio – Consigliere, Estensore

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