Palazzo-Spada

La massima

1. L’annullamento dell’aggiudicazione implica la caducazione automatica del contratto, in quanto la fase di evidenza pubblica ne costituisce un requisito legale di efficacia, il cui venire meno – per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione medesima – determina il travolgimento automatico del contratto, in forza del principio generale del simul stabunt, simul cadent, proprio anche dei negozi giuridici privati collegati in via necessaria. Tuttavia, posteriormente al recepimento della cd. Direttiva ricorsi (Dir n. 66 del 2007, recepita con il d. lgs. n. 53 del 2010), devono ritenersi applicabili le regole contenute negli artt. 121 e ss. c.p.a.

2. Le condizioni di validità, efficacia, nullità o annullabilità del contratto, siano esse inerenti o estranee o sopravvenute alla struttura del contratto, comprese quelle derivanti da irregolarità o illegittimità della procedura amministrativa a monte e le fattispecie di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica o sussistenza di vizi che ne affliggono singoli atti possono essere accertate incidentalmente dal giudice amministrativo, quando la loro determinazione sia funzionale all’accertamento rimesso alla cognizione del giudice amministrativo medesimo, poiché ai sensi dell’art. 8, comma 1, c.p.a., il G.A. ha il potere di decidere, senza efficacia di giudicato, tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale.

3. Sebbene l’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, disponga la nullità dell’atto violativo od elusivo del giudicato e non anche della pronuncia del giudice che non abbia ancora il carattere della definitività, sulla base di una supposta equivalenza tra giudicato e giudicato cautelare è da ritenere la nullità dei provvedimenti amministrativi dell’ordinanza cautelare divenuta inoppugnabile. Ciò in ragione di una nozione di giudicato più ampia, comprensiva di tutte le pronunce immediatamente esecutive, in quanto caratterizzate da una certa stabilità. Detta opzione interpretativa è suffragata dall’art. 114, comma 4, c.p.a. che, alla lett. c), prevede che in caso di accoglimento del ricorso il giudice possa pronunciare l’inefficacia degli atti emessi in violazione od elusione di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti.

4. L’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace. Ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto, non può farsi ricorso alla revisione prezzi, tendente ad assicurare al richiedente quanto si riprometteva di ricavare dall’esecuzione del contratto, la quale, non può costituire neppure un mero parametro di riferimento, trattandosi di meccanismo sottoposto dalla legge a precisi limiti e condizioni, pur sempre a fronte di un valido contratto di appalto

5. Il principio espresso dalla Corte di Giustizia (Corte di Giustizia UE 30 settembre 2010, C-314-09), secondo cui la normativa dell’UE osta alle norme nazionali che subordinano il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno compiuto da una p.a. al carattere colpevole della violazione, è strettamente connesso alle violazioni, commesse dalla PA, in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, non assumendo rilievo, invece, in ordine ad aspetti di esecuzione del contratto d’appalto, “ a valle” dell’aggiudicazione.

 

CONSIGLIO DI STATO

SEZIONE V

SENTENZA 7 giugno 2013, n.3133 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6113 del 2011, proposto da:
Monteco Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Silvestro Lazzari e Giuseppe Positano, con domicilio eletto presso l’avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

contro

Comune di Casarano, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Mormandi, con domicilio eletto presso lo Studio Grez e Associati Srl in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA – SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE III n. 00890/2011, resa tra le parti, concernente revisione canoni relativi a contratto di appalto, nonché maggiori oneri relativi all’affidamento coattivo del servizio di igiene urbana.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Casarano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2013 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti e uditi per le parti gli avvocati Loria in delega dell’avvocato Lazzari,Mormandi,Loria in delega avvocato Positano;

FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Lecce, Sez. III, con la sentenza n. 890 del 23 maggio 2011, ha accolto, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso proposto dall’attuale appellante per l’accertamento e la declaratoria del diritto della società ricorrente ad ottenere la revisione dei canoni relativi al contratto di appalto stipulato con il Comune di Casarano, nonché i maggiori oneri connessi all’affidamento coattivo del servizio di igiene urbana e per la condanna del predetto Ente al pagamento di quanto spettante alla Monteco s.r.l.

Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che la revisione prezzi, oggetto di controversia, è stata riconosciuta alla ricorrente di primo grado fino al 28 febbraio 2002 ed in ordine a tale periodo il procuratore della medesima, con dichiarazione espressa a verbale nell’udienza di merito avanti al TAR, ha dichiarato di non esservi contestazione alcuna. Pertanto, per il TAR, il diritto alla revisione prezzi in ordine al periodo suindicato deve essere riconosciuto nei limiti di quanto quantificato e riconosciuto dalla P.A.

Per il TAR, inoltre, con riferimento al periodo 28 febbraio 2002-17 luglio 2003, in cui l’attuale appellante (ricorrente di primo grado) ha svolto il servizio in virtù della deliberazione di G.C. n. 15 del 18 gennaio 2002 e della determinazione dirigenziale n. 284 del 22 febbraio 2002, con le quali si è disposto di rinnovare il servizio in questione, nulla può essere riconosciuto.

I suddetti atti, infatti, ha osservato il TAR, in quanto illegittimi, sono stati annullati con sentenza del Consiglio di Stato n. 2079-2003 con conseguente caducazione ed inefficacia del relativo contratto stipulato con la P.A.; l’inefficacia del contratto scaturita dalla citata sentenza di annullamento ha comportato l’invalidità del rapporto contrattuale, sicché l’assenza di un contratto perfetto ed efficace, ovvero di un presupposto essenziale richiesto dall’art. 6, comma 4, l. n. 537-93 (che richiede ‘contratti ad efficacia periodica e continuativa’), rende inconfigurabile l’applicazione della normativa citata e quindi il diritto alla revisione del prezzo.

Né, secondo il TAR, tale diritto può ritenersi riconoscibile facendo applicazione della normativa in tema di indebito arricchimento ai sensi dell’art. 2041 c.c., poiché in tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all’assenza di un valido contratto di appalto di opere (perché annullato dal giudice amministrativo), tra la P.A. ed un privato, l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace.

Infine, il TAR ha respinto la domanda relativa al riconoscimento del diritto al rimborso dei maggiori oneri derivanti dall’affidamento coattivo del servizio, dal luglio 2003 al 30 marzo 2006 in forza di ordinanze contingibili ed urgenti ex art 50 TUEL, per affrontare una situazione di emergenza di igiene pubblica.

Infatti, per il TAR, tali atti, esercizio di potere pubblicistico, andavano impugnati nei termini decadenziali previsti dalla legge, essendo del tutto irrituale e tardiva la contestazione delle ordinanze contingibili in questione sotto l’aspetto del corrispettivo ivi previsto (parametrato ai patti e condizioni di cui al previgente contratto del 16 dicembre 2002, rep. 1523).

Né l’azione proposta può essere accoglibile, ha concluso il TAR, ove tendente ad ottenere il risarcimento del danno subito parametrato all’incremento dei prezzi di mercato esistenti per la categoria; sia in quanto gli elementi costituivi della pretesa non risultano provati essendosi limitata la ricorrente a dimostrare il quantum della richiesta risarcitoria, senza nulla osservare in merito all’an della pretesa; sia in quanto l’atteggiamento incoerente e poco corretto della ricorrente in primo grado, che anziché contestare immediatamente alla P.A. la incongruenza del corrispettivo previsto nelle varie ordinanze si è uniformata alle stesse, rileva ai fini dell’art. 1227 c.c. ed esclude che possa riconoscersi in capo alla P.A. l’elemento soggettivo della colpa e, quindi, il presupposto del risarcimento.

L’appellante contestava la sentenza del TAR, sostenendo:

– In ordine al diritto alla revisione del canone di appalto: illegittimità, erroneità, difetto di motivazione;

– in ordine al diritto al rimborso dei maggiori oneri derivanti dall’affidamento coattivo del servizio: illegittimità, erroneità e difetto di motivazione.

Si costituiva la parte appellata chiedendo la reiezione dell’appello.

All’udienza pubblica del 9 aprile 2013 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Ritiene il Collegio di dover precisare, sotto il profilo fattuale, che la vicenda oggetto dell’appello riguarda un contratto (rep. n. 1144 del 22 marzo 1994), con cui l’appellato Comune di Casarano aveva affidato all’A.T.I. G.I.ECO srl – SO.GEA.A. srl (poi Monteco srl, attuale appellante) il servizio di igiene urbana e servizi complementari per la durata di otto anni.

Alla scadenza del suddetto rapporto contrattuale (28 febbraio 2002) il medesimo servizio veniva riaffidato alla società concessionaria, inizialmente in virtù della deliberazione di G.C. n. 15 del 18 gennaio 2002 e della determinazione n. 284 del 22 febbraio 2002; poi, in virtù di delibera di G.C. n. 332 del 22 novembre 2002 e determinazione n. 67 del 9 dicembre 2002, fino al 17 luglio 2003.

Successivamente, sia la cit. delibera di G.C. n. 15 del 18 gennaio 2002 che la cit. determina n. 284 del 22 febbraio 2002, venivano annullate da questo Consiglio con sentenza 2079-03; invece, la cit. delibera di G.C. n. 332 del 22 novembre 2002 e la cit. determinazione n. 67 del 9 dicembre 2002 risultavano adottate in violazione dell’ordinanza cautelare di questo Consiglio 28 agosto 2002, n. 3576, reso nel corso dello stesso giudizio d’appello (RG n. 6947/02).

Per fronteggiare la situazione di emergenza, il Comune appellato aveva imposto l’esecuzione dell’attività precedentemente appaltata mediante l’adozione di ordinanze sindacali ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 22-1997 e dell’art. 30 del d.lgs. n. 267-2000 (ordinanza n. 113 del 10 luglio 2003, ordinanza n. 209 del 30 dicembre 2003, ordinanza n. 124 del 29 giugno 2004, ordinanza n. 219 del 30 dicembre 2004, ordinanza n. 98 del 30 giugno 2005, ordinanza n. 212 del 30 dicembre 2005), tutte di durata infrasemestrale).

Nel 2007, quando il Comune aveva affidato il medesimo servizio ad altro concessionario, individuato con apposita gara, la ditta Monteco ha presentato ricorso al TAR Puglia, sezione di Lecce, chiedendo:

– il compenso revisionale (comprensivo degli importi corrispondenti all’alea del 10%) per il periodo dal 1° gennaio 1998 al 17 luglio 2003;

– il recupero dell’importo corrispondente all’alea per il periodo 1° marzo 1995- 31 dicembre 1995 e per il periodo 1° gennaio 1996- 31 dicembre 1997;

– il riconoscimento del diritto al rimborso dei maggiori oneri derivanti dall’affidamento coattivo del servizio.

Il TAR, con la sentenza già riassunta in punto di fatto, riconosceva il diritto della ricorrente alla revisione dei prezzi per il periodo di durata dell’originario rapporto contrattuale (ovvero sino al 28 febbraio 2002) e disconosceva il preteso diritto della ricorrente alla revisione dei prezzi per il periodo successivo (fino al 17 luglio 2003), rigettando la richiesta di rimborso dei maggiori oneri derivanti dall’affidamento coattivo.

L’appellante impugnava detta sentenza limitatamente ai capi 2.2.B e 2.3.C, chiedendone la parziale riforma.

Secondo il Collegio, l’appello non può essere accolto.

Infatti, in primo luogo, con riferimento al periodo 28 febbraio 2002-17 luglio 2003, poiché i provvedimenti con cui è stato affidato il servizio (delibera di G.C. n. 15 del 18 gennaio 2002 e determina n. 284 del 22 febbraio 2002) sono stati annullati da questo Consiglio con sentenza 2079-03, il relativo contratto è da ritenersi invalido è affetto da nullità (rectius: sia stato caducato), come già chiarito in via generale da questo Consiglio con la fondamentale sentenza della sez. V 13 novembre 2002, n. 6281, che ha utilizzato la categoria della nullità virtuale o extratestuale per violazione di norme imperative, ma anche, conseguentemente, di tipo strutturale, per difetto di titolo al contratto in capo all’affidatario.

Secondo la cit. sentenza del 2002 la nullità per violazione di norma imperativa (proibitiva della stipula del contratto con l’affidatario), si traduceva, dunque, anche in una conseguente nullità strutturale per carenza di titolo a contrarre.

Nella consapevolezza delle difficoltà ricostruttive di questa figura, sembra che questa ricostruzione possa ritenersi sostituita dalla tesi della caducazione automatica, che vi si è sovrapposta, secondo la quale la fase di evidenza pubblica costituisce un requisito legale di efficacia del contratto, il cui venire meno, per effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione, determina il travolgimento automatico del contratto, in forza del principio generale del simul stabunt, simul cadent, proprio anche dei negozi giuridici privati collegati in via necessaria (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 5 maggio 2003, n. 2332 e 4 aprile 2007, n. 1523).

Tale opzione fa discendere, come conseguenza dell’annullamento dell’atto amministrativo, l’automatica e retroattiva improduttività degli effetti del contratto, e tale descrizione della trasmissione del vizio di illegittimità del provvedimento sulla validità del contratto stipulato a valle non è circoscrivibile alle sole ipotesi di aggiudicazione di un contratto d’appalto, ma si estende a tutte le ipotesi in cui l’atto amministrativo e l’atto negoziale siano legati da un indissolubile nesso di presupposizione necessaria, nel senso che la stipulazione del contratto consegua al provvedimento di affidamento.

Ovviamente, posteriormente al recepimento della cd. Direttiva ricorsi (Dir n. 66 del 2007, recepita con il d. lgs. n. 53 del 2010), saranno applicabili le regole attualmente contenute negli artt. 121 e ss. c.p.a., non applicabili, tuttavia, al caso di specie, che è antecedente all’introduzione di tali novità normative.

Peraltro, per detto periodo antecedente (così come per i settori della contrattualistica pubblica attualmente non oggetto della Direttiva) potrebbe porsi un problema di giurisdizione riguardo alla cognizione della validità del contratto e della sorte del rapporto contrattuale, poiché, come è noto, in tema di attività negoziale della P.A., rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto tutti gli atti della serie negoziale successiva alla stipulazione del contratto, cioè non solo quelle che attengono al suo adempimento e quindi concernenti l’interpretazione dei diritti e degli obblighi delle parti, ma anche quelle volte ad accertare le condizioni di validità, efficacia, nullità o annullabilità del contratto, siano esse inerenti o estranee o sopravvenute alla struttura del contratto, comprese quelle derivanti da irregolarità o illegittimità della procedura amministrativa a monte e le fattispecie di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica o sussistenza di vizi che ne affliggono singoli atti (cfr. Cass. civile, Sez. Un., 5 aprile 2012, n. 5446 e 28 dicembre 2007, n. 27169)

Tuttavia, le condizioni di validità, efficacia, nullità o annullabilità del contratto, siano esse inerenti o estranee o sopravvenute alla struttura del contratto, comprese quelle derivanti da irregolarità o illegittimità della procedura amministrativa a monte e le fattispecie di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica o sussistenza di vizi che ne affliggono singoli atti possono essere accertate incidentalmente dal giudice amministrativo, quando la loro determinazione, come in questo caso, sia funzionale all’accertamento rimesso alla cognizione del giudice amministrativo medesimo, poiché ai sensi dell’art. 8, comma 1, c.p.a., il G.A. ha il potere di decidere, senza efficacia di giudicato, tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 13 dicembre 2012, n. 6400).

Nel caso di specie, dunque, con riferimento al periodo 28 febbraio 2002-17 luglio 2003, poiché i provvedimenti con cui è stato affidato il servizio (delibera di G.C. n. 15 del 18 gennaio 2002 e determina n. 284 del 22 febbraio 2002) sono stati annullati da questo Consiglio con sentenza 2079-03, il relativo contratto è da ritenersi, con accertamento incidentale, inefficace e caducato retroattivamente, con la conseguenza che manca il presupposto essenziale richiesto dall’art. 6, comma 4, l. n. 537/93 per poter configurare il diritto alla revisione del prezzo.

Per il successivo periodo connesso all’emanazione della cit. delibera di G.C. n. 332 del 22 novembre 2002 e della cit. determinazione n. 67 del 9 dicembre 2002, si deve rilevare che esse risultano adottate effettivamente in violazione dell’ordinanza cautelare di questo Consiglio 28 agosto 2002, n. 3576, reso nel corso dello stesso giudizio d’appello, con conseguente nullità del relativo rapporto contrattuale.

In proposito deve osservarsi che l’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 dispone la nullità dell’atto violativo od elusivo del giudicato e non anche della pronuncia del giudice che non abbia ancora il carattere della definitività.

Il dato letterale della norma ha condotto parte della giurisprudenza di primo grado ad escludere la nullità dell’atto adottato in violazione od elusione delle statuizioni contenute in un’ordinanza cautelare ancorché non più soggetta a gravame, in base all’intrinseca provvisorietà che caratterizza le misure cautelari e nella inidoneità a regolare il rapporto in modo definitivo; oltre a poter essere oggetto di un provvedimento di revoca o di modifica (art. 58 c.p.a.), infatti, esse possono essere travolte da una decisione sul merito della causa di segno differente.

Tuttavia, ragioni di effettività della tutela giurisdizionale, impongono di assicurare l’osservanza del provvedimento cautelare da parte della pubblica amministrazione.

Infatti, alcune recenti pronunce di questo Consiglio (Cons. Stato, sez. VI, 17 luglio 2008, n. 3606; Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2007, n. 2950; Cons. Stato, sez. V, 24 luglio 2007), sulla base di una supposta equivalenza tra giudicato e giudicato cautelare, hanno riconosciuto la nullità dei provvedimenti amministrativi dell’ordinanza cautelare divenuta inoppugnabile; nullità rilevabile anche d’ufficio dal giudice adito, giusto il disposto di cui all’art. 31, comma 4, c.p.a.

Si è adottata, in questi casi, una nozione di giudicato più ampia, comprensiva di tutte le pronunce immediatamente esecutive, in quanto caratterizzate da una certa stabilità.

La questione, peraltro, ha trovato esplicita soluzione nell’art. 114, comma 4, c.p.a. che, alla lett. c), prevede che in caso di accoglimento del ricorso il giudice possa pronunciare l’inefficacia degli atti emessi in violazione od elusione di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti; confermandosi, quindi, la tesi della nullità derivante dalla violazione di un “giudicato” cautelare, come nella specie.

Peraltro, con riguardo alla richiesta di indennizzo ex art. 2041 c.c., si deve rilevare che sussisterebbe il difetto di giurisdizione del giudice adito poiché, a seguito della sentenza della Corte Cost. 6 luglio 2004, n. 204 non appartiene più alla giurisdizione del G.A., neppure nella materia dei pubblici servizi, e rientra dunque in quella del G.O., la controversia avente ad oggetto l’azione di indebito arricchimento (cfr. Cass. civ, Sez. Un., n. 28042-08); tale capo della sentenza non è stato impugnato dalla P.A. che ne eccepisce il difetto, come necessario ai sensi dell’art. 9 c.p.a.

Peraltro, come risulta dalla pacifica giurisprudenza civile, l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace; pertanto, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto, non può farsi ricorso alla revisione prezzi, tendente ad assicurare al richiedente quanto si riprometteva di ricavare dall’esecuzione del contratto, la quale, non può costituire neppure un mero parametro di riferimento, trattandosi di meccanismo sottoposto dalla legge a precisi limiti e condizioni, pur sempre a fronte di un valido contratto di appalto (Cassazione civ., Sez. Un., 11 settembre 2008, n. 23385).

Pertanto, alla luce di tali argomentazioni, il primo motivo d’appello deve essere respinto.

Con riferimento al secondo motivo d’appello, relativo alla richiesta di riconoscimento del diritto al rimborso dei maggiori oneri derivanti dall’affidamento coattivo del servizio, dal luglio 2003 al 30 marzo 2006 in forza delle già citate ordinanze contingibili ed urgenti, questo Collegio condivide la posizione del TAR.

Infatti, la Società ricorrente ha svolto il servizio per tale periodo in virtù di 6 ordinanze sindacali contingibili ed urgenti, successive e autonome, nelle quali di volta in volta era stato sempre indicato in maniera esatta il corrispettivo a cui l’ente si obbligava; corrispettivo che la società ha sempre accettato senza mai contestare alcunché e il cui eventuale ammontare inferiore a quello previsto dalla legge non inciderebbe comunque sulla legittimità dell’atto amministrativo.

Pertanto, non è possibile in questa sede proporre domanda di risarcimento danni, trattandosi di atti del tutto legittimi, per i quali è assente ogni profilo di violazione dell’affidamento da parte della P.A. e in cui, anzi, emerge una contraddittorietà nel comportamento dell’appellante che si è sempre uniformato al provvedimento e non ha mai contestato l’ammontare di quanto pattuito, integrando così il principio del venire contra factum proprium idoneo a paralizzare la relativa azione giudiziaria (cfr., ex multis, Cassazione civ., sez. I, 4 settembre 2004, n. 17888).

Tali argomentazioni sarebbero, dunque, già tranchant e condurrebbero inevitabilmente alla reiezione dell’appello.

Il Collegio ritiene di precisare ulteriormente, al riguardo, che la richiesta tendente al riconoscimento del diritto a percepire le somme che le sarebbero spettate se fosse stato adottato il criterio della “revisione dei prezzi”, può anche essere qualificabile come richiesta risarcitoria trattandosi di una diritto derivante da un provvedimento che si assume come implicitamente illegittimo.

Pertanto, in virtù di tale qualificazione giuridica, devono applicarsi i principi giurisprudenziali indicati nella nota sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 500-1999 che ha affermato chiaramente che l’imputazione della responsabilità alla P.A., riferibile agli elementi costituitivi della responsabilità ex art. 2043 c.c., non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa, poiché il giudice deve svolgere una più penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell’illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, bensì estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma della P.A. intesa come apparato che sarà configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi (punto 11 della motivazione).

Al riguardo, è pur vero che, in materia di appalti pubblici, la giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia UE 30 settembre 2010, C-314-09) ha affermato che la normativa dell’UE osta alle norme nazionali che subordinano il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno compiuto da una Pubblica Amministrazione al carattere colpevole della violazione commessa dalla PA medesima.

Ma tale indirizzo interpretativo è strettamente connesso alle violazioni, commesse dalla PA, in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, procedure che, in relazione alla controversia in oggetto, non vengono direttamente in rilievo, trattandosi di lite relativa ad aspetti di esecuzione del contratto d’appalto, “ a valle” dell’aggiudicazione, ove tale principio non è operante (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 829).

E’ centrale, quindi, l’idea che l’elemento soggettivo della fattispecie aquiliana in esame debba configurarsi come colpa dell’apparato, non predicabili di riflesso in quanto discendenti dai rimproveri eventualmente addebitabili a carico del singolo agente, ma dedotta dalla considerazione dell’intero contegno dell’Amministrazione, ossia dal fatto che questa abbia effettivamente adottato l’atto illegittimo e dannoso mediante un esercizio scorretto della funzione, sindacabile come tale secondo il criterio usuale dell’id quod plerumque accidit.

Anche per la giurisprudenza di questo Consiglio, coerentemente con l’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione, ai fini dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno a carico della Pubblica amministrazione non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessaria la prova del danno subito e la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 23).

Si deve quindi verificare se l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi, con la conseguenza che il giudice amministrativo può affermare la responsabilità dell’Amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e negarla quando l’indagine presupposta conduca al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.

Nel caso in esame, il Comune di Casarano, nell’emanare le ordinanze citate si è sempre uniformato ai Decreti del Commissario Straordinario per l’Emergenza Ambientale in materia di rifiuti, con ciò palesando la conformità ai principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa e l’assenza di ogni imputazione di responsabilità per colpa.

Conclusivamente, anche alla luce di tale argomentazione, il secondo motivo d’appello deve essere respinto, in quanto infondato.

Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),

definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna parte appellante al pagamento, in favore dell’appellato, delle spese di lite del presente grado di giudizio, spese che liquida in euro 4000,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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