Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 5 novembre 2014, n. 5465

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUINTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.

sul ricorso numero di registro generale 8172 del 2014, proposto da:

Comune di Alberobello, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fa.Lo., con domicilio eletto presso Ass. Studio Gr. in Roma, c.so (…);

contro

Sa.Sg., rappresentato e difeso dall’avvocato Ma.La., con domicilio eletto presso Al.Pl. in Roma, Via (…);

nei confronti di

Co.Pe., rappresentato e difeso dall’avvocato At.Sp., con domicilio eletto presso Al.Pl. in Roma, Via (…);

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. PUGLIA – BARI, SEZIONE I, n. 850/2014, resa tra le parti, concernente approvazione regolamento per l’insediamento e l’esercizio di autorimesse, parcheggi a cielo aperto, di automezzi e autoveicoli.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Saverio Sgobba e di Cosmo Perta;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2014 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Lo. ed altri (…);

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

1. La sentenza impugnata ha accolto il ricorso proposto da Sa.Sg. per l’annullamento:

della Delibera di C.C. del Comune di Alberobello n. 23 del 30.4.2014, avente ad oggetto “Approvazione regolamento per l’insediamento e l’esercizio di autorimesse, parcheggi a cielo aperto, di automezzi e autoveicoli”, notificata personalmente al ricorrente il 4.6.2014.

2. Il primo giudice ha riscontrato l’illegittimità dell’atto impugnato rilevando, in particolare, una violazione dei doveri istituzionali assessorili ed, in particolare, del divieto di astensione ex art. 78, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 267/2000, da parte di Co.Pe..

3. Propone appello l’amministrazione comunale, sostenendo l’erroneità della sentenza di prime cure, in quanto: a) ottenuta l’abbreviazione dei termini non avrebbe potuto essere emessa la sentenza in forma semplificata atteso che non sarebbero trascorsi 20 giorni dall’ultima notifica ex art. 60 c.p.a.; b) il Sig. Pe., non sarebbe stato, né legale rappresentate né socio della società P.L.A.T.A. dal 28 febbraio 2014, mentre la delibera sarebbe del 30 aprile 2014, quindi non sarebbe sussistito un conflitto di interessi. Inoltre, non vi sarebbe alcun conflitto di interessi, stante la diversa attività svolta dall’originario ricorrente, atteso che la P.L.A.T.A. svolgerebbe la diversa attività di campeggio. Anche il riferimento operato dal TAR al proprio precedente non apparirebbe corretto, in quanto l’attività dell’originario ricorrente non sarebbe stata ritenuta legittima dal TAR sulla base dell’art. 5 del regolamento comunale modificato, ma ritenendo che l’attività in questione non sarebbe qualificabile come campeggio; c) si riscontrerebbe un’indebita inversione dell’onere probatorio, desumendo una presunzione di interesse in capo al Perta, che contrasterebbe con l’art. 78, D.Lgs. 267/2000. Non risponderebbe al vero che il provvedimento impugnato sia stato notificato ad personam solamente all’originario ricorrente; d) erronea sarebbe la scelta di disporre l’invio della sentenza di primo grado alla Procura della Repubblica ed alla Corte dei Conti territorialmente competenti.

4. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello incidentale autonomo Pe.Co., invocando la riforma della sentenza di primo grado, poiché: a) non vi sarebbe interesse personale dell’appellante incidentale, tale da integrare i requisiti dettati dall’art. 78 D.Lgs. 267/2000, perché l’interesse sarebbe della società PLATA, ed il rapporto concorrenziale al più sarebbe con quest’ultima. Vi sarebbe una manifestazione di ultrapetita, perché il TAR avrebbe prospettato, contrariamente a quanto indicato dal ricorrente, l’esistenza di contrarietà a standard normativi inesistenti. Inoltre, sarebbe stato violato l’art. 115 c.p.c., perché messa in discussione l’efficacia fidefaciente della visura camerale; b) il TAR avrebbe ampliato illegittimamente l’onere di astensione a categorie non previste dalla legge; c) in ogni caso non avrebbe correttamente valutato la mancanza dell’attualità della situazione di conflitto di interessi; d) sarebbe illogica la deduzione inerente la breve distanza temporale tra l’adozione della delibera e le dimissioni presentate dall’appellante incidentale; e) il regolamento impugnato non farebbe riferimento ai parcheggi autorizzati, come erroneamente rilevato dal TAR, ma ai veicoli attrezzati. Il divieto di pernottare nei veicoli attrezzati lederebbe, quindi, i camperisti ma non l’originario ricorrente (nel giudizio di primo grado), titolare del parcheggio.

5. Si costituisce in giudizio l’originario ricorrente che chiede la conferma della sentenza di primo grado, atteso che: a) la mancata contestazione delle parti in sede camerale sulla sentenza breve impedirebbe alle stesse di censurare in appello tale scelta. In ogni caso, la dimidiazione varrebbe per tutti i termini; b) l’accettazione delle dimissioni sarebbe del 27 aprile 2014 ed in ogni caso ai sensi dell’art. 2385 c.c. la rinunzia all’ufficio avrebbe effetto dal momento in cui la maggioranza del Consiglio si sarebbe ricostituita in seguito all’accettazione dei nuovi amministratori, quindi avrebbe effetto solo dal 27 aprile 2014. Inoltre, la cessazione dalla carica non sarebbe opponibile ai terzi, poiché non ancora iscritta nel registro delle imprese.

5.1. Parte appellata, inoltre, ripropone motivi di ricorso assorbiti e non esaminati dal primo giudice.

6. Entrambi gli appelli sono infondati e non possono essere accolti.

7. Occorre, preliminarmente, rilevare che risulta inaccoglibile l’eccezione di nullità della sentenza per violazione dell’art. 60 c.p.a. Risulta, infatti, dal verbale dell’udienza svoltasi dinanzi al TAR la mancata opposizione di tutte le parti alla definizione del giudizio con sentenza breve, circostanza ribadita anche durante la discussione dinanzi a questo Consiglio nell’udienza del 4 novembre 2014. La doglianza, pertanto, si palesa inammissibile in quanto come ribadito dalla costante giurisprudenza di questo Consiglio (Cons. St., Sez. V, 3777/2012; Sez. IV, 4244/2010), la mancata opposizione delle parti, ritualmente avvisate dal T.A.R., in ordine alla definizione del giudizio nelle forme sopra indicate, non consente alle stesse di utilizzare lo strumento dell’appello per introdurre tardivamente motivi di opposizione non palesati dinanzi al giudice di prime cure.

La censura, in ogni caso, appare anche infondata, poiché, contrariamente a quanto sostenuto dall’amministrazione comunale appellante, la dimidiazione dei termini disposta dal TAR ex art. 53 c.p.a. interessa anche i termini a difesa.

8. Del pari inammissibile appare la doglianza con la quale si contesta la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica ed alla Corte dei Conti. Gli effetti dell’invio degli atti (anche ai sensi del comma 4, dell’art. 331 c.p.c.) sono irretrattabili e non possono essere oggetto di sindacato in sede di gravame, in quanto rappresentano attività svolta solo in occasione dell’esercizio della funzione giurisdizionale (Cfr. Cons. St., Ad. Plen., n. 10/2011; Sez. IV, n. 1789/2006).

9. Non può trovare accoglimento la doglianza avanzata dall’appellante incidentale, secondo la cui prospettazione l’originario ricorrente non avrebbe interesse all’annullamento dell’atto impugnato. Non pare dubbio, infatti, che la modifica introdotta alla disciplina regolamentare comunale con l’atto gravato, ha immediata portata lesiva nella misura in cui incide sull’attività imprenditoriale svolta dall’odierno appellante, potendo sortire l’effetto di diminuirne la clientela.

10. Possono, infine, essere trattate congiuntamente, per essere respinte, tutte le doglianze proposte da entrambi gli appelli avverso la sentenza di prime cure nella parte in cui viene contestata la errata applicazione ed esegesi dell’art. 78 D.Lgs. n. 267/2000, risultando del tutto fuori fuoco la censura in ordine alla supposta ultrapetizione in cu sarebbe incorso il primo giudice.

La soluzione, infatti, va rinvenuta innanzitutto nella puntuale ricostruzione dei fatti. Appare incontestato che l’odierno appellante incidentale avesse intrattenuto con l’originario ricorrente un contenzioso avente ad oggetto l’attività di quest’ultimo dinanzi al TAR per la Puglia, che si era pronunciato con sentenza n. 3263/2010, che confermava la legittimità dell’attività imprenditoriale così come svolta dal ricorrente. Allo stesso modo si desume dagli atti che le dimissioni dell’appellante incidentale sono state accettate solo in data 27 aprile 2007 (data sino alla quale lo stesso risultava rappresentante legale della P.L.A.T.A. soc. coop. A r.l.) ma che la proposta della delibera proveniente dall’assessore al ramo, che poi è stata successivamente accolta dal Consiglio è del 23 aprile 2014.

Questi elementi fattuali evidenziano la presenza di una situazione che determina indipendentemente dalla buona fede dell’assessore e dall’apprezzamento del profilo psicologico sul versante penale, che in questa sede evidentemente non viene in rilievo una violazione del principio di imparzialità come declinata nei commi 1 e 2 dell’art. 78, D.Lgs. n. 267/2000 (Cons. St., Sez. V, 13 giugno 2008, n. 2970).

Ai fini della sussistenza in capo al soggetto membro di un organo collegiale dell’obbligo di astensione per incompatibilità è sufficiente, infatti, che il medesimo sia portatore di interessi personali anche soltanto potenzialmente confliggenti o divergenti rispetto all’interesse generale affidato alle cure dell’organo di appartenenza, risultando ininfluente che, nel corso del procedimento, il detto organo abbia proceduto in modo imparziale ovvero che non sussista prova del condizionamento eventualmente subito in sede di adozione delle proprie determinazioni dalla partecipazione di soggetti portatori di interessi personali diversi, atteso che l’obbligo di astensione per incompatibilità è espressione del principio generale di imparzialità e di trasparenza al quale ogni Pubblica amministrazione deve conformare la propria immagine, prima ancora che la propria azione (Cons. St., Sez. V, 12 giugno 2009, n. 3744).

Nella fattispecie non può convenirsi con quanto sostenuto dagli appellanti circa la differenza tra l’interesse della P.L.A.T.A. e l’interesse del suo amministratore, atteso che è evidente che anche quest’ultimo trae diretto beneficio dalla circostanza che il soggetto giuridico che rappresenta possa ottenere l’eliminazione di un concorrente dal mercato turistico all’interno del quale è collocabile l’attività svolta anche dall’originario ricorrente. Rimane ferma l’iniziativa futura del Comune di meglio regolare la disciplina delle aree di sosta a parcheggio a tutela di un sito di rilevanza UNESCO.

11. Entrambi gli appelli devono essere, in definitiva, respinti.

12. Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55.

Il Collegio rileva che la pronuncia di infondatezza degli appelli si fonda, come dianzi illustrato, su ragioni manifeste che integrano i presupposti applicativi delle norme sancite dall’art. 26, co. 1 e 2, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., Sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210; Sez. V, 31 maggio 2011, n. 3252; Sez. V, 26 marzo 2012, n. 1733, cui si rinvia a mente degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della e della pena pecuniaria ex art. 26, co. 2).

Le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul punto in esame sono state, nella sostanza, recepite dalla novella recata dal d.l. n. 90 del 2014 all’art. 26 c.p.a. Invero:

a) l’art. 26, co. 2, c.p.a. prevedeva (e prevede) che il giudice condannasse d’ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria, in misura non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso, quando la parte soccombente aveva agito o resistito temerariamente in giudizio;

b) il d.l. n. 90 del 2014 ha inciso sull’art. 26, comma 2, c.p.a., in termini specifici, valevoli solo per il rito appalti;

c) nell’art. 26, co. 2 c.p.a. si detta una ulteriore regola (non applicabile al caso di specie) sulla sanzione pecuniaria per lite temeraria nel caso di contenzioso sui pubblici appalti soggetto al rito dell’art. 120 c.p.a.; infatti l’importo della sanzione pecuniaria (che come visto va dal doppio al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo), può essere elevato fino all’uno per cento del valore del contratto, ove il valore del contratto sia superiore al quintuplo del contributo unificato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quinta –

definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti:

a) respinge gli appelli;

b) condanna gli appellanti in solido al pagamento delle spese di lite, spese che liquida in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e 15 per cento a titolo di rimborso di spese generali) in favore di Sa.Sg.;

c) condanna ciascun ricorrente al pagamento della somma di euro 2.000,00 (duemila/00) ai sensi dell’art. 26, co. 2, c.p.a., che sono tenuti a versare secondo le modalità di cui all’art. 15 delle norme di attuazione del c.p.a., mandando alla segreteria per i conseguenti adempimenti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli – Presidente FF

Francesco Caringella – Consigliere

Antonio Amicuzzi – Consigliere

Doris Durante – Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 5 novembre 2014.

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