Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 4 gennaio 2017, n. 10

Un organo di autogoverno non è (salva e nei termini di legge la giurisdizione disciplinare) un organo giurisdizionale ma è un organo amministrativo e i suoi atti sono atti amministrativi, come tali sottoposti alla giurisdizione amministrativa

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 4 gennaio 2017, n. 10

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.

sul ricorso numero di registro generale 7394 del 2016, proposto da:

Ob. Jo., rappresentata e difesa dall’avvocato Da. Gr., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso (…);

contro

Ministero della giustizia e Tribunale di Genova, rispettivamente in persona del ministro e del presidente pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Ga. Sa. Gu., rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Co. ed altri, con domicilio eletto, in Roma, viale (…);

per la riforma

della sentenza non definitiva del T.A.R. LIGURIA, SEZIONE I, n. 903/2016, resa tra le parti, con cui è stato dichiarato il difetto di giurisdizione amministrativa su un’impugnazione di un provvedimento del presidente del Tribunale di Genova di redistribuzione degli affari civili tra le sezioni del Tribunale

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del Tribunale di Genova e di Gu. Ga. Sa.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 dicembre 2016 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Da. Gr., Fe. Di. Ma. per l’Avvocatura generale dello Stato e Lu. Co.;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 Cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. L’odierna appellante sig.ra Jo. Ob. promuoveva una causa civile ereditaria contro il sig. Gu. Ga. Sa. davanti al Tribunale di Chiavari (atto di citazione iscritto al n. di r.g. 2964 del 2009). Il giudizio aveva il seguente andamento:

– dopo la dichiarazione di incompetenza del Tribunale di Chiavari adito (sentenza n. 248 dell’11 maggio 2012), era riassunto al Tribunale di Genova, indicato come giudice competente (iscritta al n. di r.g. 10019/2012 e assegnata alla VII sezione civile);

– era quindi sospeso da quest’ultimo giudice (ordinanza pronunciata dal giudice istruttore all’udienza del 15 ottobre 2013), per la pendenza davanti alla Corte d’appello di Genova dell’impugnazione proposta dal convenuto sig. Savoretti nei confronti del capo della sentenza con cui il Tribunale di Chiavari aveva affermato la giurisdizione italiana sulla controversia ereditaria, e non invece quella svizzera, come eccepito dallo stesso convenuto;

– veniva infine proseguito dall’attrice sig. Jole, dopo l’accoglimento del regolamento di competenza ex art. 295 Cod. proc. civ. da essa proposto contro l’ordinanza di sospensione pronunciata dal Tribunale di Genova (Cass., SS.UU., ord. 24 marzo 2015, n. 5894), e perveniva alla fase istruttoria.

2. Accadeva quindi che con ordine di servizio del 16 gennaio 2016 il Presidente del Tribunale di Genova redistribuisse le cause pendenti tra le sezioni civili III e VII, assegnando alla prima parte del carico di quest’ultima, ivi comprese quelle provenienti dal soppresso Tribunale di Chiavari ed iscritte a ruolo del Tribunale di Genova negli anni dal 2012 al 2015, per le quali non era stata fissata l’udienza di precisazione delle conclusioni.

3. La sig.ra Ob., la cui la causa era inclusa nella riassegnazione e che paventava per effetto di questa rischi di slittamento dei tempi di relativa definizione, impugnava al Tribunale amministrativo regionale della Liguria il provvedimento del Presidente del Tribunale ordinario.

Radicatosi il giudizio amministrativo, con istanza in data 21 giugno 2016 la sig.ra Jole chiedeva a quest’ultimo ufficio di accedere alle tabelle di organizzazione del Tribunale ai sensi degli artt. 7-bis e 7-ter dell’ordinamento giudiziario (regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12) e delle relative variazioni a decorrere dal 1° ottobre 2012. In assenza di riscontro, la stessa ricorrente formulava al Tribunale amministrativo adito istanza di accesso a questi atti, ai sensi dell’art. 116, comma 2, del Codice del processo amministrativo. L’istanza era notificata alle parti resistenti il 26 luglio 2016 e depositata il giorno successivo presso la segreteria del giudice di primo grado.

4. Alla camera di consiglio del 28 luglio seguente il Tribunale amministrativo tratteneva in decisione la causa ai sensi dell’art. 60 del Codice del processo amministrativo e declinava la giurisdizione amministrativa, dopo avere respinto l’istanza della difesa della sig.ra Ob. di rinvio della trattazione al fine di proporre eventuali motivi aggiunti contro le tabelle di organizzazione del Tribunale di Genova alle quali la medesima ricorrente aveva chiesto di accedere.

5. Il giudice di primo grado riteneva che il provvedimento di riassegnazione delle cause tra le sezioni civili del Tribunale, impugnato dalla sig.ra Ob., pur astrattamente adottato da una «pubblica autorità», si inserisce nondimeno in «una vicenda incardinata in un giudizio pendente». Pertanto – secondo il Tribunale amministrativo – le questioni hanno una diretta inerenza alle garanzie costituzionali della precostituzione del giudice naturale (art. 25, comma 1) e di indipendenza esterna e interna dei magistrati (artt. 101, 104 e 107), e sono affidate alla cura esclusiva del Consiglio superiore della magistratura, organo di autogoverno di quell’ordine giurisdizionale.

Essendo pertanto collocate in un ambito sottratto all’esercizio di qualsiasi potestà amministrativa discrezionale, secondo il giudice di primo grado l’assegnazione degli affari alle sezioni di tribunale e ai giudici ad essi assegnati è espressione di «una funzione che non sembra tollerare intromissioni da parte di altre giurisdizioni, quanto meno per quel che riguarda il singolo affare», per cui eventuali violazioni di legge verificatesi nel relativo esercizio possono essere fatte valere all’interno dell’ordinamento processuale civile, come motivo di nullità della sentenza di primo grado ex art. 161 del Codice di procedura civile.

6. Con la medesima pronuncia, espressamente qualificata come non definitiva, il Tribunale amministrativo fissava udienza per la prosecuzione del giudizio davanti a sé, per la trattazione dell’istanza di accesso ai sensi del citato art. 116 Cod. proc. amm. della sig.ra Jole.

7. Quest’ultima ha proposto appello contro la pronuncia di primo grado.

La censura per difetto dei presupposti per la definizione del giudizio ai sensi del parimenti citato art. 60 del codice del processo, per contraddittorietà con la prosecuzione del giudizio contestualmente disposta sull’istanza incidentale di accesso in corso di causa, e, inoltre, perché con essa il Tribunale amministrativo avrebbe erroneamente negato propria giurisdizione sulla presente controversia.

8. Si sono costituiti per resistere all’appello il Ministero della giustizia e il Tribunale di Genova, ed inoltre il convenuto nel giudizio civile sig. Gu. Ga. Sa..

DIRITTO

1. È stato impugnato davanti al giudice amministrativo l’atto (“ordine di servizio”) del 16 gennaio 2016 con cui il Presidente del Tribunale di Genova redistribuì la trattazione delle cause pendenti (tra cui quella mossa dall’odierna ricorrente) tra le Sezioni civili III e VII del Tribunale. Dunque un atto di amministrazione della giurisdizione o meglio di amministrazione del (o dei) processo/i civile/i, toccato/i da detta redistribuzione degli affari all’interno delle sezioni di quel medesimo Tribunale.

Le censure che la ricorrente sig.ra Ob., parte in quel processo civile, muove alla declinatoria di giurisdizione precedono nel giudizio, per ragioni logiche e sistematiche, le altre.

Per il principio di legalità in materia giurisdizionale, che vuole che il giudice eserciti i soli poteri che la legge gli conferisce, non può infatti il giudice che non ha – in ipotesi – giurisdizione, prendere alcun provvedimento, se non pronunciarsi in limine negativamente sulla giurisdizione medesima. E’ del resto regola generale dello Stato di diritto che ogni organo pubblico verifichi anzitutto l’esistenza del potere che va ad esercitare. Il che vale nei qui presenti termini dell’art. 9 Cod. proc. amm. sul difetto di giurisdizione.

Quelle censure della ricorrente sono infondate. Il loro rigetto comporta quello dell’appello nella sua globalità, dato il carattere appunto necessariamente pregiudiziale della questione di giurisdizione rispetto a ogni altra oggetto di controversia (art. 88, comma 2, lett. d), Cod. proc. amm., secondo i principi affermati dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato nella sentenza 3 giugno 2011, n. 10).

2. L’appellante premette che oggetto della presente lite non è la sollecita definizione della propria causa civile, ma il rispetto del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge e delle tabelle di organizzazione del Tribunale, i cui provvedimenti di attuazione non hanno natura giurisdizionale (non si sostanziano in uno ius dicere) ma amministrativa; a sostegno dei propri assunti richiama la sentenza della IV Sezione di questo Consiglio di Stato del 1° settembre 2015, n. 4098, a tenore della quale nel processo amministrativo la nomina del relatore di una causa non è un atto giurisdizionale e il principio fondamentale sull’assegnazione del lavoro ai magistrati è quello dell’art. 25, primo comma, Cost., sul giudice naturale, che implica che il giudice di ogni controversia sia precostituito o determinato in base a criteri generali con riferimento a situazioni astratte che non si siano ancora verificate e che si realizzeranno solo in futuro.

La signora Ob. contesta inoltre l’affermazione della sentenza del Tribunale amministrativo secondo cui eventuali vizi nell’assegnazione delle controversie alle sezioni e ai giudici assegnati al Tribunale costituiscono causa di nullità ex art. 161 Cod. proc. civ. della sentenza, evidenziando in contrario che ai sensi dell’art. 7-bis, comma 1, ultimo periodo dell’Ordinamento giudiziario di cui al citato regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, la violazione delle tabelle di organizzazione del Tribunale commessa nell’assegnazione degli affari «non determina in nessun caso la nullità dei provvedimenti adottati».

3. Così riassunta la prospettazione a base del presente appello, la stessa non può essere condivisa.

Anzitutto va rilevato che qui è impugnato, come accennato, un atto presidenziale di amministrazione del processo e non – come invece nell’invocato precedente Cons. Stato, IV, 1° settembre 2015, n. 4098 – un atto a carattere generale di un organo di autogoverno recante i criteri generali per l’assegnazione dei fascicoli di causa e gli atti a questa connessi (delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa 1° luglio 2004 e succ. modd.).

La differenza è essenziale, perché un organo di autogoverno non è (salva e nei termini di legge la giurisdizione disciplinare) un organo giurisdizionale ma è un organo amministrativo e i suoi atti sono atti amministrativi, come tali sottoposti alla giurisdizione amministrativa (Corte cost., 14 maggio 1968, n. 44; 8 febbraio 1991, n. 72; 22 aprile 1992, n. 189; 19 novembre 2002, n. 457; Cons. Stato, IV, 27 dicembre 2004, n. 8210; 20 dicembre 2005, n. 7216; 10 luglio 2007, n. 3893; 27 giugno 2011, n. 3858; 2 settembre 2011, n. 4975; 1 febbraio 2012, n. 486); oggi in virtù dell’art. 7 Cod. proc. amm. che devolve alla giurisdizione amministrativa le controversie concernenti l’esercizio del potere amministrativo, riguardanti atti riconducibili all’esercizio di tale potere posti in essere da pubbliche amministrazioni. Sicché non si pone a quel riguardo il tema che caratterizza il presente caso, vale a dire l’attinenza dell’atto impugnato alla funzione giurisdizionale.

Al contrario, il presidente di un tribunale (come le corrispondenti figure per gli altri organi giudiziari) è il preposto con funzioni di direzione a un organo della giurisdizione e come tale nell’esercizio degli specifici poteri di legge emette vuoi atti monocratici di giurisdizione o inerenti alla giurisdizione vuoi – ad es., per quanto concerne il governo del personale – atti amministrativi in senso proprio.

Quanto a tipologia dell’atto, l’atto di cui si verte ha per contenuto l’assegnazione della trattazione della rammentata controversia ereditaria a una diversa sezione del Tribunale di Genova. Esso appare dunque corrispondere, seppure come contrarius actus rispetto a un precedente, alla prima ipotesi dell’art. 7-ter (Criteri per l’assegnazione degli affari e la sostituzione dei giudici impediti) dell’Ordinamento giudiziario («L’assegnazione degli affari alle singole sezioni ed ai singoli colleghi e giudici è effettuata, rispettivamente, dal dirigente dell’ufficio e dal presidente della sezione o dal magistrato che la dirige, secondo criteri obiettivi e predeterminati, indicati in via generale dal Consiglio superiore della magistratura ed approvati contestualmente alle tabelle degli uffici e con la medesima procedura. […] Qualora il dirigente dell’ufficio o il presidente della sezione revochino la precedente assegnazione ad una sezione o ad un collegio o ad un giudice, copia del relativo provvedimento motivato viene comunicata al presidente della sezione e al magistrato interessato»).

4. Ciò posto, va qui incidentalmente considerato che il rilievo dell’appellante (che ricorda che, a tenore dell’art. 7-bis, primo comma, u.p. dell’Ordinamento giudiziario, «La violazione dei criteri per l’assegnazione degli affari, salvo il possibile rilievo disciplinare, non determina in nessun caso la nullità dei provvedimenti adottati») coglie in effetti un errore nella motivazione (non decisivo, come si vedrà) della sentenza di primo grado: la norma esclude in modo espresso che dai vizi dell’atto di cui si verte derivi una ragione di invalidità di nullità della sentenza ai sensi del poc’anzi citato art. 161 Cod. proc. civ., e dunque motivo di plausibile impugnazione in sede civile della sentenza di quel giudice. Dal che il convincimento – invero eccedentario – del primo giudice che si tratti di un atto non impugnabile davanti al giudice amministrativo perché da ciò rivelato come giurisdizionale.

Nondimeno è poi l’appellante che, in senso opposto, eccede nel direttamente ricavare da questa esclusione la natura semplicemente amministrativa degli atti di assegnazione delle cause civili all’interno del singolo ufficio giudiziario e dunque la loro impugnabilità davanti al giudice amministrativo.

5. In realtà, attraverso questo inciso inserito nel corpo della disposizione concernente le «Tabelle degli uffici giudiziari» (così la rubrica dell’art. 7-bis dell’ordinamento giudiziario) la legge intende solo delimitare – anche a stabilità dei provvedimenti giurisdizionali decisori – gli effetti dell’atto privandolo di rilevanza nei confronti delle parti in causa. La norma del resto è coerente con la ragione dell’atto di assegnazione, che non incide sui contenuti del ius dicere perché non ne rappresenta un parametro né di rito né di merito: esso esaurisce gli effetti in una dimensione meramente organizzativa e gestoria, interna all’ufficio giudiziario e relativa alla ripartizione degli affari tra le articolazioni dell’unitario ufficio. Non si tratta quindi di un atto del processo, perché è un atto di amministrazione del processo. Ma è un atto comunque non amministrativo: non giurisdizionale in senso stretto (cioè processuale), ma comunque inerente alla giurisdizione. Non è infatti cura diretta di interessi pubblici, ma solo necessaria organizzazione della trattazione e della dichiarazione a opera del giudice della volontà di legge nel caso controverso. L’organo da cui emana è un organo giudiziario e non vi è soggetto a controlli esterni o gerarchie ministeriali. I suoi effetti naturali si dispiegano sulla gestione del singolo processo.

La marginale circostanza che il ricordato art. 7-ter imponga la comunicazione dell’atto «al presidente della sezione e al magistrato interessato» è funzionale sia all’ufficiale conoscenza dell’atto per gli immediati destinatari diversi dalle parti, sia alla tutela del rapporto d’ufficio e della professionalità del singolo magistrato su cui l’atto stesso si può riflettere e ha una ragione nel rispetto di quanto vi inerisce nel contesto dell’autogoverno. Ma è un riflesso di stretto ordinamento giudiziario che non trasforma l’atto in un atto senz’altro amministrativo contro cui la persona del magistrato possa, per sé, anche agire in giustizia e che comunque non è suscettibile di oggettivamente invalidare l’atto stesso. A maggior ragione questo vale per le parti, che la disposizione non menziona e dunque nemmeno legittima.

6. A conferma va sottolineato – ove possa rilevare – che l’art. 7-bis fa «salvo il possibile rilievo disciplinare» dei provvedimenti di assegnazione degli affari adottati in violazione delle tabelle di organizzazione dell’ufficio. Essa, dunque, annette alle tabelle il carattere di parametro di valutazione del comportamento del competente dirigente: ma esclude che abbiano natura di norma incidente sulla validità e sulla correttezza degli atti di esercizio della funzione giurisdizionale.

Inoltre, come rilevato dalla sentenza impugnata, l’art. 7-ter pone al vertice del sistema di organizzazione tabellare l’organo di autogoverno della magistratura. In particolare, la previsione demanda al C.S.M. di fissare i «criteri obiettivi e predeterminati» relativi all’«assegnazione degli affari alle singole sezioni ed ai singoli collegi e giudici», contestualmente all’approvazione delle tabelle di organizzazione dei singoli uffici giudiziari (comma 1), ed inoltre di stabilire «i criteri per la sostituzione del giudice astenuto, ricusato o impedito» (comma 2). Ma questa speciale configurazione organizzativa è evidentemente limitata al coerente fine della tutela del rapporto d’ufficio e della professionalità del magistrato. Non concerne cioè gli interessi delle parti oggetto di lite; del resto, al C.S.M. non compete alcun potere di disciplina processuale.

7. L’atto impugnato in via principale in realtà è, come detto, solo un atto di amministrazione del singolo processo, anche se contestualizzato in un atto plurimo (che riguarda cioè anche altri processi) e che proviene da un organo della giurisdizione; ed è oggettivamente inerente alla giurisdizione. Esso esaurisce i suoi effetti nel processo cui è accessorio e strumentale e non è un atto amministrativo.

Non compete a questo giudice – che è altro rispetto a quello della controversia tra i privati, il solo se del caso competente al riguardo – valutare se l’atto produca effetti processuali riflessi sulla validità della costituzione del giudice così determinando nullità processuali (art. 158 Cod. proc. civ.) come si rileva in giurisprudenza civile circa l’affidamento di atti giudiziali a persona estranea all’ufficio e non investita della funzione; ovvero se non ne produca, come per principio consolidato è per la violazione delle regole sulla destinazione della persona del magistrato a una sezione e l’attribuzione dell’affare in conformità delle norme che ne disciplinano l’organizzazione, che ha rilevanza solo interna e la cui inosservanza non incide sulla validità degli atti processuali adottati da giudici irregolarmente investiti del caso (cfr. Cass., III, 18 gennaio 2000, n. 489; 22 maggio 2001, n. 6964; 8 febbraio 2007, n. 2745, che parlano di “mera irregolarità di carattere interno”).

8. La rilevanza interna dell’atto inerisce alla sua funzione istituzionale, consistente nell’assicurare in concreto lo svolgimento della giurisdizione in relazione al singolo processo.

9. Diversamente da quanto sostiene l’appellante sig.ra Ob., il rispetto delle garanzie di precostituzione naturale e di indipendenza del giudice è semmai assicurato in veste processuale – se ne sussistono i concreti presupposti – dalle norme organizzatorie inerenti al processo civile (art. 174 Cod. proc. civ.; art. 79 disp. att.; peraltro v. Cass., II, 30 marzo 2010, n. 7622): ma comunque in sede giudiziale propria, non già ab extra come potrebbe avvenire se si trattasse di un atto amministrativo impugnabile davanti al giudice amministrativo, con irragionevoli rischi pratici di interferenza tra giudici, di insicurezza giuridica e di incoerenza complessiva del sistema.

Così stando le cose, nemmeno compete a questo giudice amministrativo valutare se l’atto ridondi sulla validità processuale dei provvedimenti giurisdizionali che siano stati pronunciati nella singola controversia; così come non gli compete di porre in relazione l’assenza di una espressa comminatoria nell’art. 174 Cod. proc. civ. rispetto all’espressa esclusione sancita dall’art. 7-bis dell’ordinamento giudiziario (cf. Cass.,II, 14 gennaio 2016, n. 466, 30 luglio 2004, n. 14538; III, 8 febbraio 2007, n. 2745, 28 ottobre 2004, n. 20926), o se ricorra il caso dell’art. 79 disp. att. Cod. proc. civ.: o, comunque, se dall’atto in questione derivi una lesione del principio del giudice naturale dell’art. 25, primo comma, della Costituzione.

10. Pertanto, alla luce del ricordato art. 7 Cod. proc. amm., come correttamente affermato dal giudice di primo grado, in questa sede giurisdizionale non vi è luogo al sindacato di legittimità domandato, perché l’assegnazione presidenziale degli affari alle sezioni e ai giudici si esplica attraverso atti che – sebbene non concretizzantesi inius dicere – nondimeno costituiscono atti di “amministrazione del processo civile”, oggetto di disciplina da parte del relativo Codice.

11. Ciò stabilito, si può anche rilevare che, a opinare secondo gli assunti dell’appellante si reintrodurrebbe in modo surrettizio un regime di validità delle sentenze civili che riproporrebbe la questione della stabilità di provvedimenti, in direzione contraria alle previsioni del più volte citato art. 7-bis dell’ordinamento giudiziario.

Questa instabilità sarebbe accentuata dall’inconveniente pratico della devoluzione delle controversie relative all’organizzazione tabellare degli uffici giudiziari a un diverso ordine giurisdizionale: dunque dalla potenziale coesistenza del processo civile con un amministrativo “processo al processo”. L’effetto contrasterebbe lo stesso principio di unità funzionale delle giurisdizioni, tale per cui la pluralità di giurisdizioni «non può risolversi in una minore effettività, o addirittura in una vanificazione della tutela giurisdizionale» (cfr. Corte cost.,12 marzo 2007, n. 77, relativa alla translatio iudicii).

12. Malgrado il rigetto dell’appello la natura e complessità delle questioni controverse sono apprezzabili quali giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio d’appello tra tutte le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

Sezione Quinta,

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese del doppio grado di giudizio

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 dicembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini – Presidente

Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere

Fabio Franconiero – Consigliere, Estensore

Raffaele Prosperi – Consigliere

Alessandro Maggio –

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