CONSIGLIO DI STATO
SEZIONE V
SENTENZA 29 aprile 2015, n.2177
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10397 del 2014, proposto dalla Bindi Pratopronto s.s. di Michele Bindi& C., rappresentata e difesa dall’avvocato Andrea Scafa, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, via Cicerone 44;
contro
Roma Capitale, rappresentata e difesa dall’avvocato Andrea Camarda, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove 21;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II, n. 5985/2014, resa tra le parti, concernente l’ottemperanza alla condanna ex art. 35, comma 2, d.lgs. n. 80/1998 pronunciata dal T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II, di cui alla sentenza n. 13834/2009, concernente una domanda di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale per mancata stipula di una convenzione per la realizzazione e gestione di un campo da golf
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’appello incidentale di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti gli artt. 34, comma 4, e 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 aprile 2015 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Andrea Scafa e Andrea Camarda;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con sentenza del TAR Lazio – sede di Roma del 24 giugno 2009, n. 13834, Roma Capitale è stata condannata ai sensi dell’art. 35, comma 2, d.lgs. n. 80/1998 a risarcire alla società semplice Bindi Pratopronto di Michele Bindi & C. i danni da questa subiti a titolo di responsabilità precontrattuale per la mancata stipula di una convenzione per la realizzazione e gestione di un campo da golf su terreno di proprietà comunale in località Tor dei Cenci.
Non essendo le parti addivenute ad un accordo, la società ha nuovamente adito il TAR Lazio per la determinazione della somma dovuta dall’amministrazione. Con la sentenza in epigrafe il giudice di primo grado ha riconosciuto alla Bindi Pratopronto le sole spese per la realizzazione del centro sportivo, per un importo, comprensivo di interessi e rivalutazione monetaria, pari ad € 80.165,68, nonché le spese di lite liquidate nella sentenza di cognizione.
Con appello principale la Bindi Pratopronto contesta la mancata liquidazione a carico di Roma Capitale dei «mancati guadagni derivati dalla perdita di ulteriori occasioni contrattuali», pur riconosciuti con efficacia di giudicato nella sentenza di cognizione, e l’esclusione di alcune spese per la realizzazione dell’impianto sportivo.
Con appello incidentale Roma Capitale si duole invece della condanna al pagamento delle spese di lite, che assume essere già state corrisposte alla società.
DIRITTO
L’appello principale non è fondato.
Non sono innanzitutto condivisibili i rilievi contenuti nei primi due motivi d’appello, da trattare congiuntamente perché riferiti alla voce di danno consistente nei mancati guadagni conseguenti alla perdita di alternative contrattuali.
In primo luogo, diversamente da quanto assume la società appellante, il fatto che la condanna sui criteri passata in giudicato abbia incontrovertibilmente accertato un danno risarcibile non significa che ad essa consegua automaticamente una liquidazione di una somma per il titolo in questione.
Infatti, questa tipologia di condanna reca innanzitutto l’affermazione della risarcibilità astratta di un danno ingiusto accertato, e cioè di un interesse protetto ingiustamente leso: il c.d. “danno – evento” (secondo la concezione dicotomica del fatto illecito, sancita dalla Cassazione con le sentenze del 31 maggio 2003 nn. 8827 e 8828, e dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 233 dell’11 luglio 2003), nonché dei pregiudizi risarcibili da tale evento lesivo derivanti quali conseguenze immediate e dirette ai sensi dell’art. 1223 cod. civ. (il c.d. “danno – conseguenza”). A quest’ultimo accertamento deve quindi seguire la «determinazione» dei pregiudizi (così l’art. 35, comma 2, d.lgs. n. 80/1998, ora abrogato), sui quali la condanna sui criteri non esplica altra efficacia che, come poc’anzi rilevato, quella limitata alla loro astratta risarcibilità.
In base alle peculiari caratteristiche della condanna “sui criteri” vigente (solo) nel processo amministrativo è quindi demandato all’accordo tra amministrazione e soggetto in favore del quale la pronuncia è stata emessa la quantificazione dei danni – conseguenza individuati nella pronuncia di cognizione. In mancanza di ciò provvede il giudice amministrativo, con i poteri del giudice dell’ottemperanza.
Resta in ogni caso fermo che l’onere della prova dei danni è integralmente posto a carico della parte che invoca il ristoro, in virtù della regola generale sancita dall’art. 2697, comma 1, cod. civ., in combinato con quella altrettanto generale in tema di fatto illecito ex art. 2043 cod. civ., al cui paradigma è pacificamente riconducibile anche la responsabilità precontrattuale, ed in conformità con il sopra citato art. 1223 del codice.
Da ciò si ricava il corollario per cui la mancanza di idonea allegazione e prova da parte del danneggiato comporta l’esclusione di qualsiasi risarcimento.
Sul punto va infatti richiamata l’incontrastata giurisprudenza della Cassazione secondo cui la condanna generica al risarcimento non esonera in alcun modo il danneggiato dall’offrire la prova dei danni subiti «secondo la normale struttura del giudizio risarcitorio», rimanendo dunque a carico di quest’ultimo l’onere «di provare il danno in tutti i suoi elementi» (Cass., Sez. un., 13 febbraio 1997, n. 1324; da ultimo: Sez. II, 24 settembre 2014, n. 20127).
Questa conclusione è poi pienamente traslabile alla condanna sui criteri, perché anche l’effetto di giudicato da essa discendente è comunque limitato all’astratta risarcibilità del danno – evento, oltre che, rispetto alla condanna generica di stampo civilistico, alle voci del danno – conseguenza in essa accertate, fermo restando la necessità che tali pregiudizi siano dimostrati in concreto.
Tutto ciò precisato, nel caso di specie la società Bindi Pratopronto non ha provato in alcun modo, ed in apice dedotto, quali occasioni contrattuali alternative avrebbe perso a causa delle trattative intercorse e mai concluse con l’amministrazione capitolina per la stipula della convenzione per la gestione dell’impianto sportivo da essa realizzato.
Inoltre, come emerge chiaramente dalla narrativa contenuta nel primo motivo d’appello (in particolare a pag. 15), al di là del generico richiamo a tali alternative contrattuali, la società domanda in realtà il risarcimento dell’interesse positivo all’esecuzione della convenzione, vale a dire l’utile che le sarebbe spettato laddove la convenzione fosse stata stipulata e conseguentemente eseguita per l’intera sua durata, quantificato forfetariamente nella misura del 10% del valore dei lavori da eseguire (in applicazione analogica del criterio previsti dalla legge postunitaria sulle opere pubbliche per il recesso dell’amministrazione dal contratto d’appalto: art. 345 l. n. 2248/1865, all. F).
Tuttavia, come evidenzia anche Roma Capitale, la condanna sui criteri è chiara sul punto, laddove statuisce che «l’Amministrazione dovrà liquidare il cosiddetto interesse negativo quantificato (…) ai mancati guadagni derivati dalle altre occasioni contrattuali perdute, oltre interessi e rivalutazione».
E’ dunque evidente che la pretesa in esame da un lato si colloca innanzitutto al di fuori di quanto riconosciuto alla società odierna appellante principale nel giudizio di cognizione, ed inoltre con le incontrastate acquisizioni di teoria generale del diritto civile, ripetutamente affermate dalla giurisprudenza di legittimità, secondo le quali nella figura di responsabilità in questione «non possono essere risarciti i danni che sarebbero derivati dall’inadempimento del contratto, atteso che quest’ultimo non si è concluso e che l’interesse leso – cioè l’affidamento – consiste nel cosiddetto ‘interesse negativo’» (Sez. III, 23 febbraio 2005, n. 3746; negli stessi termini: Sez. I, 20 dicembre 2011, n. 27648, relativa ad una domanda di risarcimento svolta nei confronti di una pubblica amministrazione; ed ancora la stessa Sezione I, 13 ottobre 2005, n. 19883, la quale ha precisato che la perdita dei guadagni che sarebbero conseguiti da altre occasioni contrattuali deve essere sorretta «da adeguate deduzioni probatorie della parte che si assume danneggiata», non potendo farsi luogo alla liquidazione del danno in via equitativa ex art. 1226 cod. civ., se non in caso di impossibilità o rilevante difficoltà dell’esatta quantificazione di un pregiudizio «comunque certo nella sua esistenza»).
Pertanto, deve essere confermata la statuizione di rigetto del TAR nella sentenza qui appellata.
Infondato è anche il terzo ed ultimo motivo dell’appello principale, nel quale la Bindi Pratopronto si duole del mancato integrale ristoro delle spese sostenute per la realizzazione e la gestione del campo da golf.
Anche a questo riguardo il TAR ha correttamente escluso il risarcimento degli importi recati da fatture di spesa per le quali non era stata offerta la prova del relativo pagamento o per le quali nemmeno erano state versate agli atti le fatture; circostanza che peraltro la stessa Bindi Pratopronto ammette (a pag. 20 dell’appello).
Non condivisibili sono invece le critiche che la società appellante rivolge al capo di sentenza in questione.
Non è infatti utilmente invocabile il principio di non contestazione nei confronti di tali spese, dal momento che Roma Capitale ha assunto una posizione di contestazione radicale dell’ammontare degli importi di cui controparte ha domandato il risarcimento – ancora ribadita nel presente giudizio d’appello con riguardo ai danni non riconosciuti dal TAR -, tra l’altro negando la propria legittimazione passiva rispetto alla pretesa ex adverso azionata, e quindi una posizione di difesa attiva atta a contrastare quest’ultima su un piano logicamente incompatibile rispetto al riconoscimento della singola spesa.
Inconferente è poi il richiamo alla natura del debito risarcitorio come debito di valore, poiché tale qualificazione ha rilievo esclusivo ai fini del computo degli accessori di legge e della relativa decorrenza, ma non funge certamente da relevatio ab onere probandi.
Quindi, non miglior sorte ha il tentativo della società appellante di ottenere il ristoro delle spese in questione sottolineando il carattere necessario delle spese, perché ciò non è sufficiente a supplire alla mancanza di prova dell’esborso effettivo e della sua misura concreta. Tanto meno può essere invocato il fatto notorio ex art. 115, comma 2, cod. proc. civ., il quale per costante giurisprudenza della cassazione consiste in un fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile (da ultimo: Sez. I, 19 marzo 2014, n. 6299), non potendosi evidentemente ricondurre a questo caso le spese asseritamente sostenute per la realizzazione di un determinato centro sportivo.
Con specifico riguardo al danno «per la creazione e tenuta del Circolo del Golf Tor de Cenci» deve sottolinearsi, in aggiunta a quanto finora rilevato, che non sarebbe in ogni caso risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale il costo in sé sostenuto dalla società, ma l’eventuale antieconomicità della gestione, e dunque al netto degli introiti, a causa dell’assenza di contributi da parte dell’amministrazione per effetto della mancata stipula della convenzione e dunque sotto il profilo del «minor vantaggio» o del «maggior aggravio economico» sostenuto dalla parte vittima dell’altrui condotta posta in violazione del dovere di buona fede nelle trattative (nei termini esplicitati dalla Cassazione, Sez. I, nella sentenza, 29 settembre 2005, n. 19024). Tuttavia anche sul punto le allegazioni e l’offerta di prove al riguardo non sono rispettose del canone generale sancito dall’art. 2697, comma 1, cod. civ., non avendo l’appellante nemmeno specificato se la gestione è risultata in perdita, ed in ogni caso non avendo prodotto documentazione comprovante le spese sostenute.
Non miglior sorte ha il tentativo, ribadito in sede di discussione dal difensore della società, di richiamare la categoria del dannoin re ipsa, di cui la giurisprudenza di legittimità costantemente nega l’esistenza, imponendo in ogni caso, anche per le lesioni ad interessi di carattere immateriale, la prova in concreto dei danni risarcibili (solo per citare le ultime pronunce espressive di questo orientamento della Cassazione: Sez. I, 3 giugno 2014, n. 12370; Sez. III, 18 novembre 2014, n. 24474, 3 luglio 2014, n. 15240; Sez. VI, 5 settembre 2014, n. 18812).
Per tutte queste ragioni l’appello principale deve essere respinto.
Deve invece essere accolto l’appello incidentale di Roma Capitale.
Come infatti dedotto dall’amministrazione, la Bindi Pratopronto ha ottenuto nel corso del giudizio di primo grado il pagamento delle spese liquidate nella sentenza di cognizione del 24 giugno 2009, n. 13834 (per un ammontare di € 2.000,00). La circostanza è ammessa dalla stessa società nell’appello principale (pag. 6, § 8) e (lealmente) dal difensore di questa in camera di consiglio, il quale ha chiesto che sul punto sia dichiarata la cessazione della materia del contendere ai sensi dell’art. 34, comma 5, cod. proc. amm.
In conclusione, la sentenza di primo grado deve essere riformata per questa sola parte (punto 1 del dispositivo) e confermata per il resto.
Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate per la reciproca soccombenza complessivamente riportata dalle parti litiganti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, così provvede:
– respinge l’appello principale;
– accoglie l’appello incidentale;
– per l’effetto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiara la cessazione della materia del contendere in ordine al pagamento delle spese di lite liquidate nella sentenza del TAR Lazio, sede di Roma, n. 13834/2009, annullando il punto 1) del dispositivo della sentenza n. 5985/2014 appellata;
– compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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