Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 22 gennaio 2015, n. 288

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUINTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9424 del 2000, proposto dalla signora Al.Ca., rappresentata e difesa dagli avvocati Pa.Mo. e Pa.Pa., con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Roma, via (…);

contro

Il Comune di Roma, rappresentato e difeso dall’avvocato Se.Si., domiciliata in Roma, Via (…)

i signori Gr.Gh. ed altri, tutti in qualità di eredi della defunta signora Ce.Ni., rappresentati e difesi dall’avvocato Sa.Ta., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);

il signor Gr.Gi., non costituito;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio, Sez. II-ter, n. 1795/1999, resa tra le parti, concernente un procedimento di revoca della licenza commerciale di rivendita di giornali e riviste;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Roma, della signora Ce.Ni. e, in prosecuzione, dei signori Gr.Gh. ed altri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 gennaio 2015 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Pa.Pa., Se.Si. e Sa.Ta.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. L’odierna appellante signora Al.Ca. ha gestito l’attività di rivendita fissa di giornali e riviste nell’edicola sita in Roma, piazza della Repubblica – angolo via (…), dall’agosto 1984 sino al marzo 1996, sin quando la proprietaria signora Ni.Ce., formale titolare dell’autorizzazione (provvedimento n. 16451 del 21 giugno 1985), ne otteneva lo sfratto.

Il precedente 23 febbraio la Al. aveva tuttavia richiesto al Comune di Roma il rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività in proprio nella medesima edicola. Ciò in seguito al sopralluogo degli ispettori annonari dell’amministrazione capitolina, all’esito del quale questi avevano accertato che l’affidamento in gestione dell’edicola in favore della signora Al. era risalente all’agosto 1984, e conseguentemente avevano avviato nei confronti della signora Ce. il procedimento di revoca dell’autorizzazione.

Più precisamente, nella propria istanza autorizzativa, la signora Al. dichiarava di avvalersi dell’allora vigente disposto dell’art. 14, commi 3 e 4, l. n. 416/1981 (“Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l’editoria”), a mente del quale l’esercizio delle rivendite fisse di giornali e riviste “può essere svolto unicamente dal titolare o dai suoi familiari o parenti”, mentre ne è vietato “l’affidamento in gestione a terzi”, salvo comprovato impedimento per malattia o infortunio o superamento dell’età pensionabile (comma 3), prevedendosi che i terzi affidatari abbiano una “priorità” nel rilascio delle autorizzazioni (comma 4).

2. Accadeva tuttavia che il Comune disponesse l’archiviazione del procedimento di revoca, con nota n. 163 del 9 gennaio 1997, atto che la signora Al. impugnava davanti al TAR Lazio – sede di Roma. Unitamente all’impugnazione dell’atto di archiviazione, la ricorrente chiedeva al giudice di primo grado adito di revocare l’autorizzazione in favore della Ce. e di accertare il proprio titolo ad avvalersi della priorità di cui al citato art. 14, comma 4, l. n. 416/1981.

3. Il TAR adito respingeva la domanda di impugnazione.

Secondo il giudice di primo grado, legittimamente l’amministrazione non aveva ravvisato l’esistenza di un interesse pubblico idoneo a sorreggere il provvedimento invocato dalla ricorrente. Ciò avuto riguardo innanzitutto al fatto che la signora Ce., nata il xxx, aveva compiuto il 65° anno di età il xxx, risultando quindi sanata “l’originaria illegittimità della fattispecie”; ed inoltre in considerazione del “lungo lasso di tempo trascorso”.

4. La signora Al. ha proposto appello, in relazione al quale si sono costituiti in resistenza il Comune di Roma e la controinteressata.

5. Quest’ultima ha eccepito in via pregiudiziale l’inammissibilità del ricorso di primo grado, perché ad essa mai notificato.

6. Il Comune di Roma ha reiterato le eccezioni di inammissibilità della domanda di impugnazione, dedotta dalla natura non provvedimentale alla nota n. 163 del 9 gennaio 1997, nonché per carenza di legittimazione ed interesse della signora Al. a dolersi dell’archiviazione del procedimento di revoca nei confronti della controinteressata sig.ra Ce., non avendo la ricorrente impugnato il diniego di autorizzazione a lei opposto con nota n. 4514 del 4 marzo 1996.

7. Ha replicato la signora Al., nelle memorie depositate in vista dell’udienza del 22 ottobre 2013, deducendo che l’amministrazione è decaduta dalla facoltà di formulare eccezioni, per essersi costituita tardivamente nel giudizio di primo grado, e perché, in assenza di appello incidentale dell’amministrazione, si è formato il giudicato interno sul capo della sentenza di primo grado che ha rigettato dette eccezioni.

8. Con ordinanza resa all’esito della predetta udienza (n. 5788 del 5 dicembre 2013), la Sezione ha dichiarato l’interruzione del processo ex art. 79, comma 2, cod. proc. amm., stante la dichiarazione di decesso della signora Ce. (avvenuto il 12 aprile 2010) resa dal suo difensore.

9. La signora Al. ha quindi provveduto a citare in riassunzione gli eredi di quest’ultima, ai sensi dell’art. 80, comma 3, del codice del processo.

10. Si sono costituiti in resistenza i signori Gh. Ed altri, figli della defunta.

11. Dopo un rinvio disposto all’udienza del 20 maggio 2014 su richiesta del difensore dell’appellante, la causa è stata infine trattenuta in decisione all’udienza del 13 gennaio 2015.

DIRITTO

1. Preliminarmente vanno esaminate le eccezioni pregiudiziali rispettivamente dedotte dalle parti in causa.

2. Quanto all’asserita inammissibilità del ricorso di primo grado per mancata notifica alla defunta Ni.Ce., la stessa risulta smentita in fatto, ed in particolare dall’epigrafe della sentenza appellata, in cui questa viene indicata con la qualifica ‘controinteressata’.

A fronte di ciò non è sufficiente affermare la mancata ricezione dell’atto notificato, e dunque l’eccezione è generica, perché ciò non impedisce il perfezionamento del procedimento notificatorio, incentrato su forme in grado di assicurare la conoscibilità e non già l’effettiva conoscenza dell’atto (come ad esempio nei casi previsti dagli artt. 140 e 143 cod. proc. civ., il primo dei quali si è verificato in occasione della notifica dell’appello alla medesima controinteressata, questa volta con la ricezione dell’atto).

3. Per quanto concerne invece le eccezioni preliminari del Comune di Roma, è innanzitutto inammissibile, come eccepito dall’appellante, quella in cui viene fatto valere il difetto di interesse ad agire di quest’ultima in conseguenza della mancata impugnazione del rifiuto a lei opposto.

Infatti, il TAR ha positivamente riscontrato tale condizione dell’azione, laddove ha affermato che la concorrente istanza autorizzativa formulata dalla Al. colloca quest’ultima “in posizione differenziata (…) nel contestare la legittimità della mancata revoca della precitata autorizzazione” (e cioè quella in favore della controinteressata Ce.).

Ancorché tale capo di sentenza sembri non tenere conto del diniego nel frattempo emesso con la citata nota n. 4514 del 4 marzo 1996, era nondimeno onere del Comune di Roma censurare lo stesso mediante appello incidentale, al fine di impedire la formazione su di esso dal giudicato interno.

4. E’ infondata nel merito – ma non inammissibile, come parimenti eccepito dall’appellante, che erroneamente assume l’esistenza nel giudizio amministrativo di termini di costituzione in giudizio a pena di decadenza (cfr. a questo riguardo la sentenza di questa Sezione 31 dicembre 2014, n. 6450) – anche l’eccezione di difetto di interesse ad agire per l’asserito carattere non provvedimentale della revoca del procedimento avviato nei confronti della signora Ce., disposta dall’amministrazione con la nota n. 163 del 9 gennaio 1997 impugnata nel presente giudizio.

Come si legge dall’epigrafe del ricorso di primo grado, la Al. ha impugnato “l’esito del procedimento amministrativo promosso nei confronti di Ce.Ni. (…) portante il numero 163 Prot. del 9.01.1997 e non notificato, con il quale, in aderenza al parere espresso dall’Avvocatura Comunale, il Comune di Roma ha ritenuto “legittima la titolarità della Sig.ra Ni.Ce. e non compatibile, nel caso di specie, l’applicazione dell’art. 14 L.R. 3/85 per la revoca dell’autorizzazione amministrativa”.

Ora, è pur vero che la nota in questione costituisce in realtà la comunicazione all’odierna appellante dell’esito del procedimento avviato nei confronti della controinteressata, ma dalla citata epigrafe, letta congiuntamente ai motivi di legittimità dedotte e qui riproposte, è evidente che la signora Al. ha inteso censurare proprio quest’ultimo e cioè il provvedimento di archiviazione.

Tale provvedimento, inoltre, è indiscutibilmente lesivo del concorrente interesse della signora Al., azionato nel presente giudizio, ad ottenere la licenza l’attività di rivendita di giornali e riviste in luogo della signora Ce., invece beneficiata da tale arresto procedimentale.

Per concludere sul punto, va rilevato che l’errata individuazione degli estremi del provvedimento impugnato non rende nullo il ricorso, quando dalla lettura complessiva di quest’ultimo l’atto sia comunque chiaramente individuabile (in questo senso si è ancora di recente espressa questa Sezione, con riferimento al regime anteriore all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, in cui si colloca anche il presente contenzioso, con sentenza 5 dicembre 2014, n. 6012).

5. Passando al merito, la signora Al. sostiene che la defunta Ce. è incorsa in un duplice motivo di decadenza.

Oltre all’affidamento della gestione a terzi, la stessa non ha esercitato l’autorizzazione entro sei mesi dal suo rilascio (ai sensi dell’art. 26, ultimo comma, d.p.r. n. 268/1982 “Disposizioni di attuazione della legge 5 agosto 1981, n. 416, concernente disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l’editoria”).

Ella contesta inoltre la qualificazione al provvedimento invocato come ‘revoca’, obiettando trattarsi appunto di ‘decadenza’ ai sensi dell’art. 14, comma 1, l. reg. 3/1985 (“criteri per l’ esercizio da parte dei comuni del Lazio delle funzioni amministrative in materia di rivendite di quotidiani e periodici”), e cioè di una determinazione ancorata ai presupposti fissati dalla legge, il cui accertamento vincola l’amministrazione, senza che la stessa possa effettuare alcuna valutazione discrezionale.

L’appellante reitera inoltre la domanda di accertamento del titolo di priorità nel rilascio dell’autorizzazione conseguente al verificarsi della decadenza in danno della controinteressata.

6. I motivi così riassunti sono fondati.

Il provvedimento impugnato in primo grado e la sentenza appellata si fondano su una premessa errata, e cioè che la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di rivendita fissa di giornali e riviste sia riconducibile al potere di autotutela per ragioni di merito, ora positivizzato all’art. 21-quinquies l. n. 241/1990, e dunque abbia carattere discrezionale.

Al contrario, come esattamente deduce la signora Al., il provvedimento in questione ha carattere sanzionatorio, ed infatti l’art. 26, comma secondo, del regolamento di cui al d.p.r. n. 268/1982, nel vietare la trasferibilità della licenza prevede che questa “decade ove il titolare non la eserciti per un periodo di oltre sei mesi”.

Anche l’art. 14 l. reg. 3/1985 si esprime in termini di ‘decadenza’ dell’autorizzazione per questa ipotesi (comma 1).

Diversa è invece la formulazione letterale del comma terzo, il quale prevede che l’autorizzazione “è revocata” in caso di affidamento a terzi della gestione.

Tuttavia, a livello letterale l’uso dell’indicativo presente denota il carattere vincolato del provvedimento, conseguente al riscontro della violazione del divieto.

La conclusione è avvalorata dalla formulazione della stessa norma primaria corrispondente, vale a dire l’art. 14, comma 3, l. n. 416/1981, contenente un chiaro divieto di affidare la gestione a terzi, per cui non vi possono essere dubbi che ad essa si correli una sanzione e non già un provvedimento che costituisce la paradigmatica espressione di discrezionalità amministrativa, quale la revoca ex art. 21-quinquies sopra citato.

7. Ciò precisato, nel caso di specie l’amministrazione comunale aveva acquisito la prova della violazione in questione, mediante il verbale redatto dagli ispettori annonari all’esito del sopralluogo effettuato nel 1996 presso l’edicola di piazza della Repubblica – angolo via Nazionale e da cui è poi scaturito il procedimento il cui esito è stato impugnato nel presente giudizio.

Gli ispettori hanno infatti accertato che la signora Al. aveva ininterrottamente gestito l’attività sin dal febbraio 1984, mentre l’autorizzazione era stata formalmente rilasciata alla proprietaria Ce. solo nel giugno dell’anno seguente.

Pertanto, risultando violati da quest’ultima sia l’obbligo di non interrompere la gestione per più di sei mesi sia quella di non affidare la stessa a terzi, il Comune di Roma era tenuto a comminare alla signora Ce. la revoca dell’autorizzazione.

8. A questo riguardo, del tutto irrilevante è il fatto che la situazione di irregolarità si sarebbe sanata nel 1989, al raggiungimento da parte della medesima controinteressata dell’età pensionabile.

In realtà nessuna sanatoria può configurarsi nei confronti di una violazione amministrativa definitivamente consumata.

9. Tanto meno possono essere addotte considerazioni, espresse dal TAR ma non risultanti dal provvedimento impugnato, legate al tempo trascorso e dunque al consolidamento dei contrapposti interessi, vale a dire quello della controinteressata Ce., posto che tali circostanze non hanno nessuna attinenza con l’accertamento di violazioni amministrative e l’applicazione delle conseguenti sanzioni.

10. L’appello deve quindi essere accolto ed in riforma della sentenza di primo grado deve essere accolto il ricorso di primo grado della Al., dovendosi annullare gli atti con esso impugnati.

11. Fondata è anche la domanda – riproposta dall’appellante e che comporta l’esame di presupposti previsti dalla legge e di attività vincolata dell’amministrazione – di accertamento del diritto alla priorità sancita in favore dell’affidatario della gestione di rivendite di giornali dal comma 4 dell’art. 14 l. n. 416/1981 (sull’ammissibilità dell’azione di accertamento di interessi legittimi anche in epoca anteriore all’entrata in vigore del codice del processo, si veda la sentenza della VI Sezione di questo Consiglio di Stato n. 717 del 9 febbraio 2009).

12. Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate integralmente tra tutte le cause per l’assoluta novità della questione controversa (la quale costituisce una delle ipotesi residuali di deroga al criterio della soccombenza: art. 92 cod. proc. amm., come modificato dal d.l. n. 132/2014), nonché per l’ambiguità del dato normativo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado della sig.ra Ca.Al. (r.g. n. 4749/1997), annullando gli atti con esso impugnati.

Compensa tra tutte le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Dispone che l’amministrazione appellata – per il 50 per cento – e gli aventi causa della originaria controinteressata – in solido tra loto per il restante 50% – restituiscano all’appellante l’importo effettivamente versato a titolo di contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti – Presidente

Antonio Amicuzzi – Consigliere

Doris Durante – Consigliere

Nicola Gaviano – Consigliere

Fabio Franconiero – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 22 gennaio 2015.

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