Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 20 settembre 2016, n. 3910

L’interesse pubblico alla base del legittimo esercizio del potere di autotutela da parte della pubblica amministrazione non può identificarsi nel mero ripristino della legalità violata ma richiede una valutazione comparativa sulla qualità e concretezza degli interessi in gioco. Nel procedere a distanza di anni all’annullamento di un atto ritenuto illegittimo per un errore commesso dalla stessa amministrazione, questa è tenuta ad indicare espressamente le ragioni di pubblico interesse che, nonostante il notevole decorso del tempo e il consolidamento della situazione, giustificavano il provvedimento di autotutela

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 20 settembre 2016, n. 3910

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1924 del 2016, proposto dalla Vi. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Ma. C.F. (omissis) e Ge. Ma. Am. C.F. (omissis), con domicilio eletto presso Fr. Ma. in Roma, via (…)

contro

Mi. Se. Mi. Ta. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lo. La. C.F. (omissis) e An. Me. C.F. (omissis), con domicilio eletto presso Lo. La.in Roma, via (…)

It. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Um. Gi. C.F. (omissis), Al. Ma. C.F. (omissis) e Ma. Pr. C.F. (omissis), con domicilio eletto presso Ma. Pr. in Roma, via (…)

per la riforma della sentenza del T.A.R. della Lombardia, Sezione I, n. 100/2016

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Mi. Se. Mi. Ta. S.p.a. e della It. S.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 luglio 2016 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato An. Cl. su delega dell’avvocato Am., l’avvocato Ma. Pr., l’avvocato Lo. La. e l’avvocato An. Me.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

FATTO

I fatti di causa sono descritti nei termini che seguono nell’ambito dell’impugnata sentenza del T.A.R. della Lombardia.

Con ricorso proposto dinanzi a quel Tribunale amministrativo e recante il n. 1642/2015 l’odierna appellante Vi. s.p.a. riferiva di aver partecipato alla gara di appalto indetta dalla Mi. Se. Mi. Ta. S.p.A. avente ad oggetto “Lavori di manutenzione delle sovrastrutture e pavimentazioni stradali sulle tratte A7 Mi. Se., Tangenziale Ovest di Pavia e raccordo Pavia – Bereguardo”.

La Vi. era stata in un primo momento esclusa dalla procedura per ritenuta violazione delle previsioni della lex specialis di gara inerenti la distanza massima fra lo stabilimento di produzione dei conglomerati bituminosi e il centro di manutenzione di Tortona, ma il provvedimento di esclusione era stato annullato in via definitiva con sentenza di questo Consiglio n. 5811/2014 il quale aveva altresì annullato la contestata clausola escludente.

A seguito della sentenza da ultimo richiamata (e in ritenuta esecuzione degli obblighi dalla stessa rinvenienti) l’amministrazione aggiudicatrice (la quale aveva medio tempore stipulato il contratto con l’aggiudicataria It. s.p.a. in data 23 luglio 2014) disponeva l’annullamento in autotutela degli atti di gara, annullava l’aggiudicazione e disponeva l’inefficacia del contratto (si tratta del provvedimento in data 3 giugno 2015).

Il provvedimento di autotutela è stato impugnato in primo grado sia dall’aggiudicataria It. s.p.a. (ricorso n. 1542/2015), sia dall’odierna appellante Vi. s.p.a. (ricorso n. 1642/2015).

Con la sentenza in epigrafe il T.A.R. della Lombardia, riuniti i ricorsi, ha accolto il ricorso n. 1542/2015 (It.) e per l’effetto ha annullato il richiamato provvedimento di autotutela e ha sancito il buon diritto dell’aggiudicataria It. a proseguire nelle lavorazioni.

Il T.A.R. ha invece dichiarato inammissibile per carenza di interesse il ricorso di primo grado articolato dalla Vi. s.p.a.. Ciò, in quanto “dal richiesto annullamento [del provvedimento impugnato], la posizione di aggiudicataria della società It. s.p.a. risulterebbe rafforzata, né tale posizione potrebbe essere messa in discussione in ragione della mancata impugnazione dell’aggiudicazione definitiva disposta in data 19.5.2014”.

Il T.A.R. ha altresì dichiarato inammissibile – per violazione del principio del ne bis in idem – la domanda risarcitoria proposta dalla Vi., in quanto “sostanzialmente identica a quella oggetto del separato e pendente giudizio R.G. 1125/2015”.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dalla Vi. s.p.a. la quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi, rispettivamente rubricati:

1) sulla correttezza dell’esercizio dell’azione amministrativa della stazione appaltante in parte qua laddove ha disposto l’annullamento in autotutela del provvedimento di aggiudicazione definitiva in favore di It. s.p.a., con conseguente travolgimento del contratto;

2) sulla illegittimità dell’esercizio dell’azione amministrativa della stazione appaltante in parte qua, laddove ha disposto l’annullamento in autotutela dell’intera procedura di gara;

3) Violazione dell’art. 43 c.p.a. – Sulla legittimità e fondatezza della domanda risarcitoria

L’appellante ha poi riproposto la domanda risarcitoria già articolata in primo grado e ne ha chiesto l’accoglimento anche per il caso in cui questo Giudice di appello confermasse il mancato annullamento del provvedimento impugnato in primo grado.

Si è costituita in giudizio la Mi. Se. Mi. Ta.s.p.a. la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Si è altresì costituita in giudizio la It. s.p.a. la quale ha a propria volta concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Alla pubblica udienza del 14 luglio 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da una società attiva nel settore degli appalti pubblici di lavori (la quale: i) aveva partecipato a una gara di appalto indetta dalla Mi. Se. Mi. Ta. s.p.a. avente ad oggetto lavori di manutenzione di sovrastrutture e pavimentazioni stradali; ii) era stata inizialmente esclusa; iii) e aveva in seguito ottenuto l’annullamento dell’esclusione in sede giurisdizionale) avverso la sentenza del T.A.R. della Lombardia con cui è stato accolto il ricorso della prima classificata e, per l’effetto, sono stati annullati gli atti con cui l’amministrazione aggiudicatrice aveva annullato gli esiti dell’intera procedura.

2. Il Collegio ritiene in primo luogo di esaminare i motivi di appello con i quali la Vi. ha lamentato l’erroneità del disposto annullamento dell’atto in data 3 giugno 2015 con cui la Mi. Se. ha disposto l’annullamento in autotutela dell’intera procedura di gara, prendendo le mosse da quanto statuito dalla sentenza di questo Consiglio n. 5811/2014.

In punto di fatto deve essere chiarito:

– che con la sentenza da ultimo richiamata, resa sull’appello proposto dalla stessa Vi. n. 6760/2014, questo Consiglio ha annullato il provvedimento con il quale, in applicazione della lex specialis di gara, era stata disposta l’esclusione della stessa Vi.;

– che la sentenza in questione, al contrario, nulla statuiva in ordine alla sorte della disposta aggiudicazione (e, a fortiori, del contratto nel frattempo stipulato) per l’assorbente ragione che la Vi. non avesse in alcun modo impugnato l’aggiudicazione medesima (la circostanza è pacifica in atti);

– che tuttavia, la Mi. Se., con il provvedimento impugnato in primo grado, si è spinta sino a disporre l’annullamento in autotutela dell’intera procedura per effetto della richiamata sentenza di appello (la stazione appaltante ha infatti ritenuto di “annullare in via di autotutela il bando di gara perché irrimediabilmente viziato dalla presenza di una clausola di partecipazione giudicata illegittima e, conseguentemente, [di] ripetere l’intera procedura”).

Ebbene, tanto premesso sotto il profilo fattuale, ne emerge la correttezza di quanto statuito dai primi Giudici, secondo cui il provvedimento di annullamento in autotutela dell’intera procedura di gara risulta viziato per difetto di istruttoria e di motivazione e, in ogni caso, adottato in contrasto con il consolidato orientamento secondo cui il legittimo esercizio del potere di autotutela non può fondarsi unicamente sull’intento di ripristinare la legittimità violata, ma deve essere scrutinato in ragione della sussistenza di un interesse pubblico prevalente all’adozione del provvedimento di ritiro.

E’ stato affermato al riguardo che l’interesse pubblico alla base del legittimo esercizio del potere di autotutela da parte della pubblica amministrazione non può identificarsi nel mero ripristino della legalità violata ma richiede una valutazione comparativa sulla qualità e concretezza degli interessi in gioco. Nel procedere a distanza di anni all’annullamento di un atto ritenuto illegittimo per un errore commesso dalla stessa amministrazione, questa è tenuta ad indicare espressamente le ragioni di pubblico interesse che, nonostante il notevole decorso del tempo e il consolidamento della situazione, giustificavano il provvedimento di autotutela (in tal senso -ex multis -: Cons. Stato, IV, 21 settembre 2015, n. 4379; id., VI, 20 settembre 2012, n. 4997; id., VI, 14 gennaio 2009, n. 136).

L’orientamento in questione risulta sostanzialmente trasfuso nel testo del comma 1 dell’articolo 21-nonies della l. 7 agosto 1990, n. 241 (nella formulazione, che qui rileva, anteriore alle modifiche introdotte dalla l. 7 agosto 2015, n. 124), secondo cui “il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”.

Ebbene, alla luce della richiamata disposizione (lo si ripete, recettiva di consolidati orientamenti giurisprudenziali) emerge l’illegittimità del disposto annullamento d’ufficio: i) sia perché l’amministrazione non ha esposto alcuna ulteriore ragione, se non quelle connesse alla riconosciuta parziale illegittimità della lex specialisdi gara; ii) sia perché l’amministrazione non ha in alcun modo dato atto della ponderazione dei vari interessi che nel caso in esame vengono in rilievo, anche alla luce dello stato di avanzamento dell’opera e del tempo trascorso dal provvedimento di aggiudicazione e dalla sottoscrizione del contratto.

Né può in alcun modo ritenersi che l’annullamento dell’intera procedura conseguisse in qualche modo agli obblighi conformativi rinvenienti dalla più volte richiamata sentenza n. 5811/2014, se solo si consideri che il ricorso introduttivo che ha condotto all’adozione di quella sentenza mirava unicamente all’annullamento dell’esclusione e non anche al travolgimento dell’aggiudicazione o alla declaratoria di inefficacia del contratto (domande, queste ultime, che l’odierna appellante riconosce anche nella presente sede di non aver in alcun modo formulato).

Del tutto correttamente, quindi, il T.A.R. ha riconosciuto l’illegittimità del provvedimento di annullamento d’ufficio impugnato in primo grado in quanto difforme sia rispetto ai consolidati acquis formatisi sul tema della legittimità degli atti di ritiro, sia rispetto agli obblighi conformativi rinvenienti dalla sentenza di appello che, pure, costituiva il dichiarato presupposto logico-fattuale per l’adozione del medesimo provvedimento di annullamento.

2.1. Né può giungersi a conclusioni diverse da quelle appena delineate in relazione al motivo di appello con cui si è lamentato che la It. avesse lamentato con il ricorso di primo grado la sola insussistenza dei presupposti per disporre l’inefficacia del contratto e non anche l’insussistenza dei presupposti per procedere all’annullamento in autotutela dell’intera procedura di gara.

2.1.1. Si osserva in primo luogo al riguardo che sussiste un evidente rapporto di continenza logico-giuridica fra le ragioni che impedivano la declaratoria di inefficacia del contratto e quelle che impedivano, ancora più a monte, di disporre il contestato annullamento in autotutela.

2.1.2. Si osserva in secondo luogo che può certamente convenirsi con l’appellante laddove afferma che ciò che nel caso di specie viene in rilievo è la correttezza dell’esercizio del potere di autotutela (il quale può intervenire anche a seguito della stipula del contratto, ma per ragioni afferenti la legittimità della procedura di gara – in tal senso: Cons. Stato, Ad. Plen. 20 giugno 2014, n. 14 -). Ma il punto è che l’esercizio concreto del potere di autotutela risultava nel caso di specie illegittimo per la rilevata contrarietà con i principi e le disposizioni che regolano le condizioni per la legittimità di tale esercizio.

Ai limitati fini che qui rilevano (e rinviando a quanto già in precedenza esposto) si osserva poi che il testo dell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990depone in senso affatto diverso a quanto opinato dalla società appellante, mentre il richiamo operato in sede di appello al testo dell’articolo 21-nonies nella formulazione successiva all’entrata in vigore della l. 124 del 2015risulta inconferente ai fini del decidere, atteso che la novella normativa in questione è intervenuta successivamente all’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio impugnato in primo grado.

2.1.3. Si osserva infine che, in applicazione dei generali principi della domanda e della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (certamente applicabili anche nel giudizio amministrativo anche alla luce del rinvio operato dall’articolo 39, comma 1 del cod. proc. amm.), la Mi. Se.non solo non avrebbe potuto annullare l’intera procedura, ma neppure avrebbe potuto disporre (come richiesto dall’appellante) il solo annullamento dell’aggiudicazione in favore della It. per l’assorbente ragione che tale annullamento non era stato in alcun modo richiesto in sede giurisdizionale.

Non può quindi trovare accoglimento il motivo – riproposto dalla Vi. nella presente sede di appello – secondo cui, a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento di esclusione disposto a carico della stessa Vi. – e anche in assenza di una specifica domanda in tal senso – l’amministrazione avrebbe dovuto procedere sua sponte all’annullamento dell’aggiudicazione medio tempore disposta al fine di consentire l’aggiudicazione in favore della stessa Vi..

3. La domanda risarcitoria riproposta nella presente sede di appello non può trovare accoglimento.

L’appellante ha (ri-)articolato la domanda in questione ipotizzando due possibili scenari: i) quello dell’annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento impugnato in primo grado (ipotesi che qui non ricorre); ii) quello in cui tale provvedimento non fosse effettivamente impugnato in primo grado.

3.1. Va premesso al riguardo che, da quanto sembra emergere dall’atto di appello, i due scenari non vengono riferiti all’ipotesi di annullamento o meno del provvedimento di annullamento in autotutela (annullamento che, comunque, viene nella presente sede di appello confermato), bensì all’ipotesi di annullamento o meno dell’atto di aggiudicazione (annullamento che non può qui essere disposto per la dirimente ragione di non essere stato neppure richiesto al Giudice).

3.2. Tanto premesso, deve quindi essere escluso in ogni caso il richiesto ristoro del danno in forma specifica (attraverso il subentro nelle lavorazioni previa declaratoria di inefficacia del contratto già stipulato con la It.).

Tanto, alla luce del comma 1 dell’articolo 124 del’Codice del processo amministrativo, secondo cui l’accoglimento della domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto è comunque condizionato alla dichiarazione di inefficacia del contratto ai sensi degli articoli 121, comma 1, e 122 (declaratoria di inefficacia che postula un’espressa richiesta di parte nell’ambito della domanda di annullamento che nel caso in esame non risulta proposta).

3.2. Ma la mancata proposizione della domanda di annullamento dell’aggiudicazione preclude anche in radice il riconoscimento del danno per equivalente pecuniario.

L’appellante era infatti consapevole del fatto che la sola richiesta di annullamento del proprio provvedimento di esclusione non poteva condurre ad ottenere l’auspicata aggiudicazione della gara in assenza dell’impugnativa del provvedimento di aggiudicazione medio tempore adottato in favore di altra concorrente.

Ai sensi del comma 2 dell’articolo 124 del cod. proc. amm. la condotta processuale della parte che, senza giustificato motivo, non ha proposto la domanda volta a conseguire l’aggiudicazione (nonché -scil. – la domanda volta ancora più a monte a contestare l’aggiudicazione disposta in favore di altri all’evidente fine di coltivare la sola opzione del ristoro per equivalente pecuniario) è valutata dal giudice ai sensi dell’articolo 1227 del codice civile.

La disposizione in esame esplicita con maggiore ampiezza di implicazioni, nel particolare settore del ristoro del danno da aggiudicazione – in tesi – illegittima, il principio sancito dal comma 3 dell’articolo 30 del medesimo cod. proc. amm. secondo cui “nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.

E’ evidente al riguardo che, laddove l’odierna appellante – invece di limitare la propria domanda di giustizia al solo provvedimento che l’aveva esclusa dalla gara – avesse esteso l’impugnativa anche al provvedimento di aggiudicazione medio tempore disposto in favore di altra impresa, avrebbe con ogni verosimiglianza potuto escludere in radice la ritrazione dei danni conseguenti alla mancata esecuzione dell’appalto per cui è causa.

Si tratta, come è evidente, di una circostanza in radice ostativa al richiesto risarcimento per equivalente pecuniario, non potendosi qui ammettere il ristoro di un pregiudizio (il danno rinveniente dalla mancata stipula ed esecuzione del contratto) che la stessa appellante ha contribuito in modo determinante a cagionare mercé la mancata attivazione degli strumenti di tutela espressamente richiamati dalle menzionate disposizioni codicistiche.

3.3. La reiezione della domanda risarcitoria per le ragioni appena evidenziate esime il Collegio dall’esame puntuale di motivi di appello riferiti al capo della sentenza con cui si è sancita altresì l’inammissibilità della domanda risarcitoria stante la pendenza dinanzi al T.A.R. della Lombardia di un giudizio avente ad oggetto un’identica vicenda risarcitoria (con identità di parti, di petitum e di causa petendi).

4. Per le ragioni sin qui esposte l’appello in epigrafe deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi euro 3.000 (tremila) oltre gli accessori di legge in favore di ciascuna delle controparti costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Caringella – Presidente

Claudio Contessa – Consigliere, Estensore

Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere

Oreste Mario Caputo – Consigliere

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