Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 19 gennaio 2017, n. 215

È illegittima la revoca dell’incarico ad un Assessore, che è stato motivato con il venir meno del rapporto di fiducia, se tale mancanza era imputabile ad un soggetto diverso dall’Assessore revocato.

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 19 gennaio 2017, n. 215

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 3138 del 2007, proposto da:

Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato An. Mo., con domicilio eletto presso lo studio Al. Pl., in Roma, via (…);

contro

Vi. Gr., rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ma. Co. e Gr. Vi., con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA – SEZ. STACCATA DI LECCE, SEZIONE I, n. 831/2007, resa tra le parti, concernente un provvedimento di revoca dall’incarico di assessore comunale;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Gr. Vi.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2017 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Lu. D’Am., in sostituzione dell’avvocato Mo., e Gi. Co.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Puglia – sezione staccata di Lecce – l’avvocato Gr. Vi. impugnava la revoca della nomina ad assessore del Comune di (omissis), con delega alla pubblica istruzione e cultura, disposta nei suoi confronti dal sindaco di quell’amministrazione (decreto n. 4 del 29 giugno 2006). Con successivi motivi aggiunti l’avvocato Vi. impugnava la conferma della revoca adottata dal sindaco (decreto n. 6 del 2 ottobre 2006) all’esito del riesame conseguente alla sospensiva emessa dal giudice di primo grado (ordinanza cautelare n. 934 del 6 settembre 2006).

2. Pronunciandosi quindi nel merito, con la sentenza in epigrafe l’adito Tribunale amministrativo accoglieva i motivi aggiunti contro l’atto di revoca sopravvenuto (il ricorso era invece dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse).

3. Secondo il giudice di primo grado la revoca in questione era illegittima, perché ai sensi dell’art. 46 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267), essa doveva essere motivata non sulla base di «ragioni politiche», ed in particolare non per «mere esigenze di partito o di coalizione», ma, una volta che la giunta era costituita per l’esercizio del suo mandato nell’interesse della collettività rappresentata «per le comuni esigenze di trasparenza, imparzialità e buon andamento». Per contro, il provvedimento impugnato si fondava «solo su ragioni politiche e di partito, senza alcuna dettagliata giustificazione dei riflessi eziologici sul buon andamento della giunta, al di là di frasi generiche di stile».

4. Per la riforma di questa sentenza ha proposto appello il Comune di (omissis).

5. Si è costituita in resistenza l’originaria ricorrente.

DIRITTO

1. Nel censurare la pronuncia di primo grado il Comune di (omissis) premette che la revoca è stata disposta perché l’avvocato Vi. è fuoriuscita dalle forze politiche, che allora formavano la maggioranza consiliare, per approdare ad un partito (democrazia cristiana) attestato su posizioni di dichiarata contrarietà all’indirizzo politico-amministrativo della giunta allora in carica, manifestatosi in plurimi voti contrari espressi in consiglio comunale su alcune importanti proposte di delibera.

Ciò precisato, con il primo motivo d’appello l’amministrazione civica sostiene che la revoca impugnata si fonda in modo legittimo sul disallineamento politico dell’originaria ricorrente dalla maggioranza consiliare e sulla conseguente rottura del rapporto fiduciario con il sindaco che la aveva nominata membro dell’organo esecutivo del Comune. Richiama quindi la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che ha ripetutamente affermato che la revoca dell’assessore ai sensi del citato art. 46 d.lgs. n. 267 del 2000 può fondarsi anche su valutazioni di carattere politico, attesa la natura fiduciaria dell’incarico.

2. Con il secondo motivo d’appello il Comune di (omissis) ribadisce che la revoca ai sensi della disposizione dell’ordinamento degli enti locali ora richiamata non necessita di previa comunicazione dell’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, contrariamente a quanto ex adverso asserito nel ricorso di primo grado.

3. L’avvocato Vi. ha eccepito in limine l’inammissibilità dell’appello, per invalidità della procura alle liti e perché i motivi di impugnazione dedotti dal Comune non sono «pertinenti» ai fatti di causa, ma si riferiscono a fatti successivi alla revoca. La medesima appellata sostiene inoltre che in seguito allo scioglimento degli organi politici dell’amministrazione, avvenuto nel 2007, la materia del contendere è cessata.

4. A confutazione di quest’ultima eccezione, il Comune di (omissis) ha dichiarato il proprio interesse ad una pronuncia di merito in relazione al recupero dell’indennità di carica e delle ulteriori somme a titolo di rimborso spese per l’esercizio del mandato corrisposte all’avvocato Vi..

5. Quest’ultima ha controdedotto al riguardo, segnalando la novità della questione rispetto al perimetro delle domande ed eccezioni proposte e formulate nel giudizio di primo grado.

6. Così riassunte le contrapposte domande, eccezioni e difese delle parti, deve innanzitutto essere esclusa la sussistenza di condizioni ostative all’esame nel merito dell’appello dell’amministrazione.

7. Infatti, l’eccezione di invalidità della procura alle liti apposta in calce a quest’ultimo atto è formulata dall’avvocato Vi. in modo generico e tale non fare comprendere quale sarebbe il vizio da cui il mandato difensivo sarebbe affetto.

Quanto alla non pertinenza dei fatti addotti a sostegno dell’appello, è evidente che tale questione attiene al merito del mezzo di impugnazione.

L’interesse che poi sorregge quest’ultimo è palese ed è stato debitamente prospettato e documentato dal Comune di (omissis): esso si sostanzia nella pretesa a vedersi accertata la legittimità dell’operato dell’allora sindaco ai fini della eventuale successiva ripetizione dell’indennità di carica corrisposta all’avvocato Vi. e dunque in un interesse di ordine patrimoniale che pacificamente “sopravvive” allo scioglimento della giunta di cui quest’ultima ha fatto parte.

A questo riguardo, è manifestamente infondata l’eccezione di novità dei fatti in questione sollevata dall’appellata, dal momento che, in primo luogo, le deduzioni del Comune sul punto sono state svolte in replica ad un eccezione di cessata materia del contendere (recte di sopravvenuta carenza di interesse) formulata proprio dall’avvocato Vi., e, in secondo luogo, che l’interesse ad agire (o come in questo caso ad appellare) è una condizione dell’azione che deve permanere fino al passaggio in decisione della causa e che è in ogni caso soggetta alla verifica anche ufficiosa del giudice.

8. Venendo al merito, occorre premettere che la censura relativa al mancato rispetto del contraddittorio procedimentale per omessa comunicazione di avvio del procedimento di revoca ai sensi dell’art. 7 l. 7 agosto 1990, n. 241, originariamente svolta dall’avvocato Vi., non costituisce oggetto del presente grado d’appello, benché il Comune di (omissis) censuri la pronuncia di primo grado anche per violazione della citata disposizione della legge generale sul procedimento amministrativo.

Infatti, questo motivo di impugnazione è stato espressamente assorbito dal Tribunale amministrativo, dopo l’accoglimento delle censure di ordine sostanziale relative all’assenza di presupposti della revoca, e non è stato riproposto dall’avvocato Vi..

9. Passando allora alle questioni di ordine sostanziale, va rilevato che il giudice di primo grado ha applicato un principio non conforme a quelli espressi dalla costante giurisprudenza amministrativa in materia di revoca di assessori di enti locali, ma che, ciò nondimeno, l’errore in questione non ha inficiato la decisione finale, ma è rimasto limitato alla motivazione della decisione di accoglimento del ricorso.

Questo Consiglio di Stato ha infatti affermato ripetutamente (da ultimo: V, 5 dicembre 2012 n. 6228) che il provvedimento di revoca dell’incarico di un singolo assessore dall’art. 46, comma 4, del testo unico di cui al d.lgs. n. 267 del 2000 può basarsi sulle più ampie valutazioni di opportunità politico-amministrativa rimesse in via esclusiva al Sindaco, e segnatamente anche su ragioni afferenti ai rapporti politici all’interno della maggioranza consiliare e sulle sue ripercussioni sul rapporto fiduciario che deve sempre permanere tra il capo dell’amministrazione e il singolo assessore.

Pertanto, non è conforme a diritto il principio espresso nella pronuncia di primo grado secondo cui queste ragioni sono invece limitate a considerazioni concernenti l’imparzialità e il buon andamento dell’amministrazione, ai sensi dell’art. 97 della Costituzione. Questa affermazione non si addice in particolare ai rapporti sindaco-giunta comunale quali definiti dall’ordinamento degli enti locali, nell’ambito dei quali il primo è organo rappresentativo dell’ente locale a diretta investitura popolare e la seconda è chiamata a “collaborare” con esso (cfr. l’art. 48, comma 1, d.lgs. n. 267 del 2000).

10. Sennonché, come poc’anzi accennato questa non corretta applicazione delle regole di diritto vigenti in materia non si è tradotta in una decisione conseguentemente errata da parte del Tribunale amministrativo, perché in effetti la revoca è illegittima per assenza dei (pur ampi) presupposti richiesti dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato.

11. A questo riguardo, deve essere esaminata la motivazione del provvedimento, oggetto dei motivi aggiunti dell’avvocato Vi. (decreto sindacale n. 6 del 2 ottobre 2006).

Ebbene, il provvedimento di revoca adottato dopo la sospensiva accordata dal Tribunale amministrativo si fonda sulla posizione di contrasto assunta dalla forza politica in cui è confluita l’avvocato Vi. dopo la sua elezione nel consiglio comunale, in surroga di un consigliere dimissionario.

Più precisamente, come si riferisce nella motivazione in esame, l’odierna appellata, candidatasi nel partito popolare italiano, una volta subentrata in consiglio (delibera di convalida n. 3 del 9 marzo 2004), e poi nominata assessore (decreto del sindaco n. 11 del 4 gennaio 2005), si è dimessa dalla «sola carica di consigliere comunale» al fine di «dare più visibilità al proprio gruppo politico, nella consapevolezza di rafforzare la maggioranza con un altro consigliere di indiscusse capacità politico-amministrative»; pertanto – prosegue la motivazione – alla ricorrente subentrava il dott. Michele Sa. (delibera consiliare n. 1 del 17 marzo 2005); entrambi, poi, «comunicavano di aderire alla (sic) partito della Democrazia Cristiana».

12. Quest’ultimo evento è anche il casus belli della revoca e del presente giudizio.

Infatti – a quanto si specifica nella motivazione in esame – con una missiva (non ulteriomente precisata) il dott. Sa. ha assunto «un atteggiamento di disimpegno dell’attuale maggioranza, creando di fatto la mancanza di rappresentanza consiliare del partito della Democrazia Cristiana in seno alla stessa». Secondo il sindaco questa frattura così venutasi a creare in seno al consiglio comunale «non si concilia più con gli obiettivi comuni di questa maggioranza, dal punto di vista politico che amministrativo (sic)». In particolare – si soggiunge nel provvedimento – la nomina ad assessore dell’avvocato Vi. «non risulta più rispondente agli indirizzi di natura politica – sia in termini di obiettivi che di risultati – che la Giunta intende perseguire nella sua attività amministrativa e di gestione», poiché risulta in questo modo pregiudicata «la stessa unitarietà e coesione di azione che deve contraddistinguere il lavoro della Giunta, compromettendo l’efficacia e l’operatività del programma politico sulla base del quale si è ottenuta l’investitura popolare». Il provvedimento in esame conclude che per effetto di questi avvenimenti è venuto meno il rapporto fiduciario tra il vertice dell’amministrazione e il proprio assessore.

13. Il dibattito consiliare svoltosi in conseguenza del provvedimento di revoca si incentra su questioni di identico tenore.

Nel verbale della seduta consiliare del 9 ottobre 2006, in cui è trattata la questione della revoca dell’avvocato Vi. dal suo incarico assessorile, il sindaco allora in carica espone le ragioni di questa sua nuova determinazione (successiva alla sospensiva accordata alla prima dal Tribunale amministrativo). In particolare, nel verbale della seduta si legge che a base del provvedimento vi è l’«atteggiamento di disimpegno dall’attuale Maggioranza» manifestato dal dott. Sa. e che questa frattura interna alle forze politiche presenti in consiglio comunale «non si concilia con gli obiettivi di questa maggioranza» e con «la stessa unitarietà e coesione di azione che deve distinguere il lavoro della Giunta».

14. Tutto ciò premesso, in nessuna parte del provvedimento di revoca, né tanto meno nella successiva seduta consiliare, è enucleata una ragione che possa giustificare il ritiro della fiducia nei confronti della persona dell’avvocato Vi. da parte dell’allora sindaco. Tutte le “accuse” di ordine politico che quest’ultimo formula sono infatti riferite al dott. Sa., che non era componente dell’organo giuntale, ma consigliere comunale, sebbene facente parte della stessa forza politica cui ha aderito l’originaria ricorrente.

Ne consegue che il provvedimento impugnato nel presente giudizio non si fonda su ragioni di ordine politico relative alla persona dell’assessore revocato, ma in modo del tutto improprio, ad un soggetto diverso ed estraneo alla giunta. E allora evidente che il dissenso venutosi a creare all’interno delle forze politiche in consiglio non è minimamente imputabile all’assessore medesimo e che, pertanto, non sussistano nel caso di specie nemmeno quei presupposti di ordine politico che in astratto legittimano una revoca dell’incarico fiduciario ai sensi del citato art. 46, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000.

15. Al fine di corroborare la legittimità dell’operato dell’allora sindaco l’amministrazione odierna appellante sottolinea che la frattura in seno alle forze politiche che allora sostenevano la giunta comunale venutasi a creare per il “disimpegno” manifestato dal dott. Sa. si è poi concretizzato in voti contrari di quest’ultimo «in relazione a numerose proposte della maggioranza», tra cui l’approvazione del bilancio di previsione per l’anno 2006 e altre importati delibere consiliari, tra l’ottobre e il novembre dello stesso anno.

16. Sennonché, come controdedotto sul punto dall’avvocato Vi., i voti contrari in questione sono tutti successivi al provvedimento di revoca impugnato e pertanto non possono integrare in via postuma la motivazione dello stesso ed in particolare i presupposti di legittimità per lo stesso richiesti.

In ogni caso, ancora una volta si tratta di ragioni relative all’atteggiamento assunto in consiglio comunale da un soggetto diverso da quello dell’assessore revocato e che non possono quindi essere riversate su quest’ultimo, perché altrimenti il pur ampio potere del sindaco di riconsiderare le basi fiduciarie del rapporto con i propri assessori trasmoderebbe in una sorta di prerogativa arbitraria, da utilizzare all’occorrenza per “regolare i conti” con esponenti politici sgraditi, a tutto detrimento dei requisiti minimi di stabilità della giunta comunale e delle funzioni di indirizzo politico-amministrativo nei confronti dell’amministrazione locale attribuite a questo organo dall’ordinamento degli enti locali di cui al d.lgs. n. 267 del 2000.

17. Per tutte le ragioni sopra esposte l’appello deve essere respinto.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna il Comune di (omissis) a rifondere all’appellata avvocato Gr. Vi. le spese del presente grado di giudizio, liquidate in € 4.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli – Presidente

Claudio Contessa – Consigliere

Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere

Fabio Franconiero – Consigliere, Estensore

Raffaele Prosperi – Consigliere

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