La massima
1. L’applicazione delle cause ostative contemplate dal d.lgs. n. 235/2012 alle sentenze di condanna intervenute in un torno di tempo anteriore non si pone in contrasto con il principio della irretroattività della norma penale e, più in generale, delle disposizioni sanzionatorie ed afflittive, giacché la normativa in esame non ha natura, neppure in senso ampio, sanzionatoria, penale o amministrativa.
2. Il fine perseguito dal legislatore con il d.lgs. n. 235/2012 è quello di allontanare dallo svolgimento del munus publicum i soggetti la cui radicale inidoneità sia conclamata da irrevocabili pronunce di giustizia, così che la condanna penale irrevocabile viene in considerazione come mero presupposto oggettivo cui è collegato un giudizio di inidoneità morale a ricoprire la carica elettiva: la condanna stessa è dunque un requisito negativo ai fini della capacità di partecipazione alla competizione elettorale.
3. E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme del d.lgs. n. 235/2012 recenti cause di incandidabilità, sollevata con riferimento agli artt. 3 e 25 Cost. Non è apprezzabile neppure un profilo di irragionevolezza collegato alla mancata previsione, per le elezioni regionali, di un limite temporale analogo a quello fissato dall’art. 13 con riferimento alla incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento, stante la diversità di elezioni e di cariche che escludono l’insindacabilità dell’apprezzamento discrezionale operato sul punto dal legislatore.
CONSIGLIO DI STATO
sezione V
SENTENZA 29 ottobre 2013, n. 5222
SENTENZA
ex art. 129 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 7761 del 2013, proposto da:
Laveglia Antonino, rappresentato e difeso dall’avv. Alfonso Amato, per legge domiciliato presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;
contro
Ufficio Elettorale Centrale Regionale Potenza, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
Prefettura di Potenza, in persona del Prefetto pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Basilicata, Sezione I, n. 640/2013, di reiezione del ricorso proposto per l’annullamento dell’atto emanato il 21.10.2013 dall’Ufficio Centrale Regionale presso la Corte di Appello di Potenza, con il quale è stato respinto il ricorso avverso il provvedimento di esclusione, emanato dall’Ufficio Elettorale Circoscrizionale presso il Tribunale di Potenza il 19.10.2013 e notificato ai delegati della Lista “La Destra Fiamma Tricolore” nella stessa giornata del 19.10.2013;
nonché per la declaratoria della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, 12, 13, 15 e 16 del d. lgs. n. 235/2012 per dedotta violazione degli artt. 3 e 25 della Costituzione;
per annullamento del provvedimento impugnato e la riammissione del ricorrente nella lista per la quale è stata pronunciata la non candidabilità;
per l’annullamento delle statuizioni della impugnata sentenza in ordine alla liquidazione delle spese, dichiarandone, con riferimento almeno al ricorso di primo grado, la integrale compensazione o comunque operandosene una congrua riduzione;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella up speciale elettorale del giorno 29 ottobre 2013 il Cons. Antonio Amicuzzi e uditi per le parti gli avvocati Amato;
FATTO e DIRITTO
I.- L’attuale appellante ha proposto ricorso giurisdizionale per l’annullamento dell’atto emanato il 21.10.2013 (notificato ai delegati della Lista “La Destra Fiamma Tricolore” il 22.10.2013) dall’Ufficio Centrale Regionale presso la Corte di Appello di Potenza, con il quale è stato respinto il ricorso avverso il provvedimento di esclusione, emanato dall’Ufficio Elettorale Circoscrizionale presso il Tribunale di Potenza il 19.10.2013 e notificato ai delegati della Lista “La Destra Fiamma Tricolore” nella stessa giornata del 19.10.2013;
II.- Il primo Giudice ha respinto il ricorso deducendo:
a) la irricevibilità del gravame per non essere stato notificato e depositato, ai sensi dell’art. 129, comma 1, del c.p.a., entro tre giorni dalla comunicazione degli atti impugnati, considerato che il proposto ricorso ex art. 10, commi 5, 6, 7, 8 e 9, L. n. 108/1968, essendo un rimedio amministrativo, non sospende l’inizio della decorrenza del termine decadenziale di cui alla sopra indicata norma.
b) la infondatezza del ricorso per essere stata fatta corretta applicazione della normativa di cui all’art. 9 del d. lgs. n. 235/2012 che prevede la esclusione dalla competizione elettorale sia dei candidati che non hanno presentato la suindicata dichiarazione sostitutiva, sia di quelli per i quali, pur avendo gli stessi prodotto la prescritta autodichiarazione, risulti comunque accertata sussistente l’incandidabilità (non essendo stata ritenuta equipollente la dichiarazione “di non presentarsi in alcuna delle condizioni previste dall’art. 15, comma 1, L. n. 55/1990 e successive modificazioni”, sia perché l’art. 15 L. n. 55/1990 era stato espressamente abrogato dall’art.17 D.Lg.vo n. 235/2012, sia perché l’art. 7 di tale D.Lg.vo ha individuato ulteriori fattispecie di inammissibilità non previste dalla precedente normativa).
Il T.A.R., prescindendo dal difetto di interesse, ha anche ritenuto la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta, per insussistenza di contrasti con l’art. 25, comma 2, della Costituzione, per non pertinenza de richiamo sia a detta norma costituzionale, sia all’art. 1 L. n. 689/1981 ed anche al principio ex art. 11 Disp. Prelim. al C.C. (in quanto le disposizioni del D.Lg.vo n. 235/2012 non possono essere qualificate come sanzione penale accessoria o come sanzione amministrativa, ma costituiscono requisiti di ammissione al procedimento elettorale e/o per l’accesso alle cariche elettive). Neppure è stato ritenuto sussistente contrasto con l’art. 3 della Costituzione, sia perché non vi è alcun trattamento differenziato per candidati alle elezioni regionali delle Regioni a statuto ordinario o di quelle a statuto speciale, mentre per la diversità delle funzioni svolte e dell’efficacia dei relativi atti normativi, che si applicano all’intero territorio nazionale, non possono essere messi sullo stesso piano i candidati al Parlamento, nazionale o europeo, ed i candidati alla carica di Consigliere Regionale, per cui non risulta illogica la limitazione della durata dell’incandidabilità, sancita dall’art. 13 D.Lg.vo n. 235/2012, solo dei primi soggetti e non dei secondi. Non irrazionale è stata infine ritenuta la disposizione dell’art. 15, comma 3, stesso D.Lg.vo, nella parte in cui statuisce che “l’unica causa di estinzione dell’incandidabilità” è la sentenza di riabilitazione ex art. 178 C.P., in quanto rimedio di facile attuazione, mentre le parole “periodo” e/o “tempo residuo”, contenute in tale norma, possono trovare applicazione solo nei confronti dei candidati al Parlamento nazionale o europeo.
III.- Con il ricorso in appello l’attuale ricorrente ha dedotto la erroneità della impugnata sentenza deducendo che:
1.- Con riferimento alla circostanza che l’art. 9 del d. lgs. n. 235/2012 non opera riferimenti specifici ai provvedimenti emessi dall’Ufficio Centrale circoscrizionale ai sensi dell’art. 10, comma 1, nn. 1-4, della l. n. 108/1968 piuttosto che a quelli emessi dall’Ufficio Centrale Regionale ex comma 8 dello stesso articolo 10, è indubbio che, ex art. 129, comma 1, del c.p.a., possono essere impugnati entrambi e, tenendo conto dei termini assegnati per la proposizione del ricorso ex art. 10, comma 5, della l. n. 108/1968, la notificazione della decisione dell’U.C. R. può essere successiva al termine di giorni tre ex art. 129 del c.p.a. rispetto al provvedimento della commissione elettorale circoscrizionale, o al massimo coevo con lo spirare di detto termine.
2.- Non è revocabile in dubbio che il d.l. n. 235/2012 non può applicarsi a condanne intervenute precedentemente alla sua entrata in vigore, sia perché, ex art. 11 delle disposizioni preliminari al c.c., la legge non ha effetto retroattivo e a nulla vale che detta norma sia entrata in vigore in epoca antecedente alle elezioni regionali perché nessuna legge sopravvenuta può far scaturire da pregresse sentenze di condanna conseguenze giuridiche pregiudizievoli; sia perché la incandidabilità riferita a dette sentenze è in contrasto con l’art. 25 della Costituzione, tenuto conto che, anche se la incandidabilità non potesse ritenersi strictu sensu una condanna comunque sarebbe incostituzionale la possibilità di prendere in considerazione sentenze precedenti alla entrata in vigore della legge che la prevede.
Ai sensi degli artt. 7 e 17 del d.l. n. 235/2012 al fine di verificare ipotesi di incandidabilità doveva farsi riferimento alla normativa in vigore al momento ed abrogata da detto art. 17.
3.- L’unica condanna del ricorrente è divenuta irrevocabile oltre diciassette anni or sono e, a mente del dell’art. 13 del d. lgs. n. 235/2012 la durata della incandidabilità e riferita a periodi fissati solo con riferimento alle cariche di deputato, senatore o membro del Parlamento europeo, ma , per la collocazione della norma al capo V, riferito a disposizioni comuni, la esclusione della incandidabilità alle altre cariche è incostituzionale per violazione dell’art. 3 applicandosi a situazione analoghe discipline ingiustificatamente diverse.
Peraltro, se non fosse applicabile alle candidature alle elezioni regionali la norma relativa alla durata della incandidabilità la riabilitazione non potrebbe essere l’unica causa anticipata dell’incandidabilità e non sarebbe chiaro rispetto a cosa è riferita la cessazione della incandidabilità per il periodo residuo, essendo insostenibile la tesi che residuo e anticipato si riferiscano alle cariche di senatore e membro del Parlamento europeo.
Rileverebbe dalla combinazione di dette norme con l’art. 16 del d. lgs. n. 235/2012 e con l’art. 15, comma 1, del d. lgs. stesso lesione del principio di uguaglianza perché solo in tal caso sarebbe applicabile l’incandidabilità, per le sentenze ex art. 444 e ss. del c.p.p., alle sentenze successive alla entrata in vigore di detto d. lgs.
4.- La condanna alla refusione delle spese di giudizio è ingiusta ed eccessiva, dovendo quantomeno essere disposta la compensazione delle spese di lite, attesa la non univocità delle norme esaminate con riguardo alla controversia.
IV.- Osserva innanzi tutto la Sezione, con riferimento al primo motivo di gravame, che, pur ritenendo fondata la censura con esso sollevata in relazione alla declaratoria di irricevibilità del ricorso di primo grado, l’appello è infondato nel merito atteso che la disposizione di cui all’art. 9, comma 3, del d. lgs. n. 235/2012 non è incompatibile con quanto previsto dall’art. 10 della l. n. 108/1968.
V.- Con il secondo ed il terzo motivo di gravame si deduce la illegittimità del provvedimento impugnato per violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 12, 15 e 16 del d. lgs. n. 235/2012, sollevando questione di costituzionalità con riferimento agli artt. 3 e 25 della Costituzione.
Anche a voler prescindere dalla considerazione che, come recentemente affermato dall’A.P. con la sentenza n. 22 del 9 ottobre 2013, “la procedura disciplinata dall’art. 129 cod. proc. amm., in considerazione delle esigenze di certezza e di celerità immanenti all’assetto sostanziale connotante gli atti di esclusione dal procedimento per le elezioni comunali, provinciali e regionali, sia incompatibile con qualsiasi tipo di fase incidentale … che possa comportare il differimento dell’udienza o la sospensione del giudizio, poiché ogni esplicazione piena delle garanzie connesse ad eventuali fasi incidentali resta riservata alle impugnazioni degli atti successivi, secondo il rito disciplinato dagli artt. 130 ss. del cod. proc. amm.”, occorre rilevare che la Sezione ha già affrontato le questioni in esame con la sentenza n. 695 del 6 febbraio 2013, cui rinvia espressamente e dalle cui conclusioni non vi è motivo per discostarsi.
E’ stato al riguardo rilevato, tra l’altro:
a.- l’applicazione delle cause ostative di cui allo jus superveniens alle sentenze di condanna intervenute in un torno di tempo anteriore non si pone in contrasto con il dedotto principio della irretroattività della norma penale e, più in generale, delle disposizioni sanzionatorie ed afflittive, giacché la norma in esame non ha natura, neppure in senso ampio, sanzionatoria, penale o amministrativa.
b.- il fine perseguito dal legislatore è quello di allontanare dallo svolgimento del munus publicum i soggetti la cui radicale inidoneità sia conclamata da irrevocabili pronunce di giustizia, così che la condanna penale irrevocabile viene in considerazione come mero presupposto oggettivo cui è collegato un giudizio di inidoneità morale a ricoprire la carica elettiva: la condanna stessa è dunque un requisito negativo ai fini della capacità di partecipazione alla competizione elettorale.
– non è irragionevole il regime di favore previsto per le sole sentenze di patteggiamento.
Ciò in definitiva esclude la pretesa violazione degli artt. 11 delle preleggi e 3 e 25 della Costituzione, rendendo comunque manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, tanto più che, come pure rilevato nella già ricordata sentenza della Sezione, non è apprezzabile un profilo di irragionevolezza collegato alla mancata previsione, per le elezioni regionali, di un limite temporale analogo a quello fissato dall’art. 13 con riferimento alla incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento, stante la diversità di elezioni e di cariche che escludono l’insindacabilità dell’apprezzamento discrezionale operato sul punto dal legislatore.
VI.- Considerato, quanto alla censura sul capo concernente la condanna alle spese del giudizio, che non vi è motivo per discostarsi dal consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui si tratta di una decisione processuale che rientra nella discrezionalità del giudice in ciascuna fase del processo e che di norma può modificarsi in appello solo se il giudice di appello modifica la decisione principale e che non è sindacabile salva la sua manifesta abnormità che non sussiste nel caso di specie..
VII.- L’appello deve essere conclusivamente respinto.
Nessuna determinazione deve essere assunta in ordine alle spese della presente fase del giudizio stante la omessa costituzione delle controparti intimate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello.
Nulla per le spese della presente fase del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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