La presenza di elementi di fatto significativi dell’esistenza di un collegamento tra l’impresa e la criminalità organizzata non presuppone la riferibilità di specifici reati al soggetto dotato dei poteri gestionali, il quale ben potrebbe trovarsi in una situazione di contiguità di fatto subita, non provocata, ma comunque esistente

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[…]

L’appellante evidenzia in particolare che:

– i comportamenti contestati nell’interdittiva del 31.7.2015 sarebbero consistiti nella donazione di alcuni biglietti di concerti, del valore di qualche centinaio di euro, il tutto in una cornice temporale circoscritta ai primi mesi dall’anno 2011; e ciò mentre, nel periodo che va dal 7.6.2011 al 15.2.2013, le intercettazioni telefoniche non avrebbero consentito di rilevare nessun’altra situazione di criticità rispetto alla figura di L.L.R. e alla -OMISSIS-;

– inoltre, questi ultimi due soggetti sono stati coinvolti nella vicenda giudiziaria in qualità di vittime delle richieste estorsive;

– dunque, nel caso di specie difetterebbe integralmente il giudizio di attualità e concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa;

– la D.I.A. Centro Operativo di Milano avrebbe basato i propri giudizi di disvalore sull’esame di soli cinque documenti estratti dal risultato della ben più complessa indagine svolta dalla magistratura torinese e detti documenti sarebbero anche stati “sezionati parzialmente e male interpretati”;

– L.L.R. sarebbe stato “oggetto di pressioni per ottenere il beneficio di pochi biglietti omaggio, ma non si è mai andati oltre questo livello”; si richiamano in proposito alcuni precedenti del Cons. Giust. Amm. Reg. Sic. (29.7.2016, n. 247 e 3.8.2016, n. 257);

– si ritiene non rilevante la circostanza che né L.L.R. né, ancor di più, G.M. abbiano omesso di denunciare la vicenda estorsiva, giacché una volta accertata dal giudice penale di Torino l’insussistenza del reato di estorsione in capo a L.G., si sarebbe dovuto escludere il correlato obbligo di denuncia; e al riguardo si cita la sentenza 15 giugno 2011, n. 3645 di questa Sezione;

– dall’asserita illegittimità dell’interdittiva consegue l’illegittimità di tutti gli atti che dalla stessa ne sono scaturiti e, in particolare, del provvedimento di commissariamento adottato dal Prefetto di Milano il 7.8.2015: il quale sarebbe, comunque, viziato in via diretta in quanto omette completamente di esplicitare le ragioni che hanno indotto ad applicare la più grave misura del c.d. commissariamento di cui alla lettera b) del primo comma dell’art. 32 del d.l. n. 90/2014, che impone “un livello di compromissione dell’impresa forte e diffuso”;

B) con riferimento alle censure contenute nel secondo ricorso per motivi aggiunti: manifesta erroneità di giudizio, contraddittorietà intrinseca e difetto di ponderazione della sentenza gravata.

Questi i rilievi formulati:

– poiché dall’esame dei documenti forniti a supporto dell’informativa antimafia emergeva che “le criticità” riscontrate coinvolgevano principalmente la figura del socio e consigliere L.L.R. (socio, peraltro, di minoranza privo di deleghe gestionali), la -OMISSIS-ha dato corso a un cambiamento della compagine societaria, all’esito del quale il signor L.L.R. ha ceduto agli altri soci la propria quota del capitale sociale, dimettendosi dal Consiglio di Amministrazione;

– nel contempo, la -OMISSIS-poneva in essere ulteriori modifiche di governance (ampliamento da 4 a 5 dei componenti del C.d.A.; costituzione di un organo di controllo composto da soggetti indipendenti e forniti di elevanti standard di professionalità e onorabilità; costituzione di un Comitato di Sovrintendenza al Controllo Interno Aziendale) e sulla scorta di ciò presentava il 16 ottobre 2015 l’istanza di aggiornamento;

– sarebbe arbitraria la valutazione della Prefettura che, nella prima interdittiva “dedica poche righe all’episodio” dell’allora Presidente del Cda dottor G.M., mentre poi sempre lo stesso evento “diviene dirimente e centrale del giudizio espresso dalla medesima Prefettura rispetto alla prima istanza di aggiornamento al solo precipuo fine di far apparire prive di contenuto ed efficacia le importanti modifiche di governance nel frattempo adottate”;

– anche in questo caso, il giudizio espresso dalla Prefettura difetterebbe dei requisiti di concretezza e attualità e si contesta che il dottor G.M., all’epoca in posizione di vertice della -OMISSIS-, abbia mai intrattenuto rapporti diretti o indiretti con esponenti della criminalità organizzata, in quanto è stato coinvolto dalla Prefettura per il solo fatto di aver garantito direttamente quattro ingressi omaggio a L.G. che all’epoca era da lui conosciuto per essere il proprio macellaio;

– neppure, a carico dello stesso dottor G.M. potrebbe essere ravvisata la c.d. “contiguità soggiacente”, come risulterebbe dal verbale di sommarie informazioni rese da L.L.R., in data 3.7.2014, ai ROS.

II.3. In conclusione, la Società appellante “riformula anche in questa sede” l’istanza di risarcimento degli ingenti danni (economici, all’immagine, alla reputazione professionale, alla capacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione ecc.) derivanti dagli atti di cui è causa.

III.1. In vista dell’odierna udienza di discussione, il Ministero dell’Interno ha depositato memoria in cui deduce che le argomentazioni di controparte non tengono nella dovuta considerazione l’unanime orientamento della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (di cui richiama i precedenti), secondo cui in materia di interdittive antimafia:

– il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del “più probabile che non”;

– gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o possono anche essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione;

– la relativa valutazione del Prefetto risulta sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti.

Sotto questo profilo e sulla base del principio “tempus regit actum”, nel caso di specie l’operato della Prefettura di Roma sarebbe immune da censure e del tutto corretta anche la rimessione delle valutazione del caso alla Prefettura di Torino, una volta sopravvenuta l’incompetenza funzionale di quella lombarda.

Infine, il Ministero rimarca l’inerzia della società appellante rispetto al denunziato silenzio serbato dalla Prefettura di Torino.

III.2. Nessuna ulteriore attività difensiva è, invece, stata svolta dalla Società appellante.

III.3. Dopodichè, all’odierna pubblica udienza la causa è passata in decisione.

IV. Il Collegio deve preliminarmente rilevare che il Ministero dell’Interno non si è gravato avverso il capo di sentenza che, in accoglimento dei terzi motivi aggiunti di primo grado, ha annullato, ai fini del riesame, il provvedimento 13 luglio 2016 emesso dalla Prefettura di Milano.

Tale statuizione ha, pertanto, acquisito efficacia di giudicato, dal che discende che la Prefettura di Torino – ora nuovamente competente e che sin dal 29 maggio 2017 ha comunicato alla Società interessata di aver avviato la nuova istruttoria sull’istanza di aggiornamento dell’interdittiva antimafia del 31 luglio 2015 – dovrà concludere rapidamente, ove ciò non fosse ancora avvenuto alla data di pubblicazione della presente sentenza, l’attività conseguente al remand disposto dal Giudice amministrativo, con statuizione divenuta irretrattabile.

V. Meritano, poi, conferma le ulteriori statuizioni contenute nella sentenza di primo grado e censurate con il presente atto di appello.

V.1. Invero, esse si rivelano coerenti all’impianto di principi che si è consolidato nella giurisprudenza di questa Sezione, competente sui provvedimenti emessi dal Ministero dell’Interno, a partire dalla nota sentenza n. 1743 del 3 maggio 2016 e che poi si è andato via via arricchendo ad opera delle pronunce successive, ivi compresa quella (n. 5623 del 30/11/2017) menzionata dal Ministero nella propria memoria.

Da questo punto di vista, risulta già di per sé significativo che l’atto di appello non si misuri in alcun modo con questo quadro giurisprudenziale d’insieme, ma si limiti a citare:

– o una decisione di questa Sezione (n. 3645 del 2011) risalente a ben cinque anni prima di quella “sistematica” n. 1743/2016;

– o una decisione a quest’ultima successiva (n. 2590 del 2017), ma inconferente, siccome riguardante i rapporti di parentela, che non vengono in rilievo nella presente controversia;

– ovvero due sentenze anch’esse di poco successive (luglio-agosto 2016), epperò pronunciate dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione siciliana.

Ciò è ancor più (negativamente) rilevante, posto che in una recentissima sentenza (18 gennaio, n. 4) la Corte Costituzionale, nel respingere la questione di costituzionalità dell’art. 89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011, sollevata dal T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, ha fatto riferimento proprio al più recente orientamento assunto dal Consiglio di Stato.

V.2. In relazione al caso qui all’esame, vanno, pertanto, richiamate le specifiche acquisizioni della costante giurisprudenza di questa Sezione ad esso confacenti, e cioè:

i) in ordine alla generale applicazione della regola causale del “più probabile che non”, sulla base della quale il giudice amministrativo, chiamato a verificare l’effettivo pericolo di infiltrazione mafiosa, possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole che tale rischio sussista: si vedano in particolare 26 aprile 2017, n. 1923 e 28 giugno 2017, n. 3173;

ii) tra le situazioni sintomatiche di infiltrazione mafiosa, la sentenza n. 1743/2016 ha indicato la mancata denuncia di delitti di concussione e di estorsione (in termini, anche la sentenza n. 5143 del 2017, capo 6.2.7. e ivi ulteriori richiami): mancata denuncia che va, ovviamente, riscontrata ex ante (cioè nell’immediatezza del verificarsi dell’evento) e non di certo ex post (all’eventuale esito negativo del giudizio penale);

iii) a proposito degli esiti del giudizio penale, la stessa sentenza n. 1743/2016 ha chiarito che gli elementi posti a base dell’informazione antimafia possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione (cfr. anche

14/02/2017, n. 669 e 10/01/2018, n. 97);

iv) ai fini della misura interdittiva antimafia, l’Amministrazione può, poi, ragionevolmente attribuire rilevanza ai contatti o ai rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia, di titolari, soci, amministratori, dipendenti dell’impresa con soggetti vicini o appartenenti alla malavita organizzata, quando essi non siano frutto di casualità o, per converso, di necessità: 12/09/2017, n. 4295;

v) infine, per l’adozione dell’interdittiva antimafia non è richiesta la prova dell’attualità delle infiltrazioni mafiose, dovendosi solo dimostrare la sussistenza di elementi dai quali è deducibile – secondo, appunto, il principio del “più probabile che non” – il tentativo di ingerenza, o una concreta verosimiglianza dell’ipotesi di condizionamento sulla società da parte di soggetti uniti da legami con cosche mafiose, e dell’attualità e concretezza del rischio: 16/06/2016, n. 2683 (in termini anche: 16/05/2017, n. 2327 e 5/05/2017, n. 2085).

VI.3. Ciò premesso, si può senz’altro passare a fare applicazione al caso di specie di tali consolidate acquisizioni giurisprudenziali.

VI.3.1. Ebbene, come risulta dall’illustrazione fattane al capo 1.2. che precede, la sentenza appellata ha posto in evidenza i seguenti elementi e considerazioni in ordine all’originaria interdittiva antimafia del 31 luglio 2015:

a) l’allora socio L.L.R. aveva stretti legami con L.G. (condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso), essendo anche padrino di nascita del figlio;

b) l’intervenuta pronuncia di assoluzione in favore dello stesso L.G. (per non aver commesso il fatto estorsivo) non inficia la legittimità dell’informativa antimafia;

c) né il socio L..L.R. né il Presidente del Consiglio di Amministrazione G.M. hanno sporto formale denuncia in ordine all’episodio estorsivo e ciò integra un elemento da cui desumere ex lege una delle “situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva” (art. 84, comma 3, e comma 4, lett. c) del d.lgs. n. 159/2011).

VI.3.2. Dal raffronto tra la tavola di principi riportata al capo V.2. e il quadro giuridico-fattuale delineato al successivo capo VI.3.1, emerge che:

aa) la considerazione sub “c” è senz’altro aderente all’enunciazione giurisprudenziale di cui alla lett. “ii” del capo V.2.;

bb) la considerazione sub “b” è, a sua volta, aderente all’enunciazione giurisprudenziale di cui alla lett. “iii” del medesimo capo V.2.;

cc) l’elemento fattuale sub “a” rientra pienamente nel campo di applicazione della lettera “iv” del capo V.2.;

dd) quest’ultimo dato obiettivo vale, altresì, a integrare il requisito dell’attualità del pericolo dell’infiltrazione mafiosa (di cui alla lett. “v”), stante:

– la non eccessiva risalenza dell’episodio addebitato e verificatosi quattro anni prima (2011) dell’epoca di adozione (2015) dell’originaria interdittiva;

– e, comunque, la sua verosimile (secondo il criterio del “più probabile che non”) non occasionalità, stante la continuatività e permanenza del legame, di stampo tradizionale e culturale, intercorrente tra i due protagonisti, dovuto al fatto dell’essere l’uno padrino di nascita del figlio dell’altro.

VI.3.3. Mentre, al contrario e per quanto osservato sub V.1., sono le censure svolte dalla Società appellante a risultare eccentriche rispetto al quadro di riferimento delineato dalla consolidata giurisprudenza di questa Sezione, per cui non può che essere confermata la statuizione della sentenza gravata di reiezione dell’impugnativa dell’interdittiva 31.7.2015.

VI.4. Va, del pari, confermata la statuizione di primo grado di reiezione dell’impugnativa (con i primi motivi aggiunti) del successivo provvedimento di commissariamento del 7 agosto 2015, per l’assorbente rilievo che – cadute ovviamente le censure di illegittimità derivata, avverso lo stesso dedotte nell’atto di appello – la stessa parte appellante non censura, invece, specificamente la motivazione della sentenza di primo grado in cui si ritiene adeguatamente motivato il disposto commissariamento, stante il “congruo riferimento” effettuato dal Prefetto alla nota ANAC, con la quale era stata proposta la più grave misura del commissariamento, al fine di “assicurare la continuità di servizi essenziali e indifferibili”: servizi poi effettivamente espletati, con la regolare conclusione dell’appalto.

VI.5. I motivi dedotti al capo A dell’atto di appello devono, pertanto, essere respinti.

VI.6. Quanto al successivo capo B, relativo al primo diniego 9.2.2016 di aggiornamento dell’interdittiva, la sentenza di primo grado ha correttamente rilevato come le misure di riorganizzazione della governance poste in essere da -OMISSIS-si limitassero fondamentalmente all’estromissione del socio L.L.R. dalla compagine aziendale, ma non intaccassero “gli elementi indiziari relativi alla posizione del Presidente della società, G. M., che mantiene un ruolo determinate nella gestione dell’azienda e al quale sono riferibili elementi indiziari consistenti”.

Invero, risultava a carico di quest’ultimo la circostanza della mancata denuncia del tentativo di estorsione e secondo la giurisprudenza di questa Sezione il ragionamento indiziario può fondarsi anche su un unico elemento presuntivo, purché non contrastato da altro ragionamento presuntivo di segno contrario (12/09/2017, n. 4295 e 8/09/2017, n. 4261): controbilanciamento nella specie non sussistente.

Del resto, che il percorso di “ravvedimento” societario non potesse ritenersi interamente compiuto con la sola estromissione del socio L.L.R., è dimostrato dagli stessi atti di lì a poco posti in essere da -OMISSIS-, nel senso di un fortissimo ridimensionamento del ruolo di G.M., tanto che la sentenza appellata riporta per lui la definizione di “Presidente non operativo”: e a quel punto e coerentemente il Giudice di primo grado ha annullato il secondo aggiornamento (negativo) della Prefettura, che di tale decisivo passo non aveva tenuto adeguatamente conto.

VI.7. Anche i motivi dedotti al suddetto Capo B devono, di conseguenza, essere respinti e con essi la domanda di annullamento parziale della sentenza di primo grado.

VII. Cade, pertanto, il presupposto per l’accoglimento della – peraltro generica, come già quella di primo grado – domanda risarcitoria (ri)proposta dalla Società appellante.

VIII. Conclusivamente, l’appello deve essere respinto.

La fattispecie dedotta in causa presenta, tuttavia, tratti di peculiarità tali da consentire la compensazione, tra le parti, delle spese relative al presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento di qualsiasi dato idoneo ad identificare la società appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Franco Frattini – Presidente

Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere

Stefania Santoleri – Consigliere

Giorgio Calderoni – Consigliere, Estensore

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