Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 12 marzo 2018, n. 1563. Il quadro indiziario dell’infiltrazione mafiosa posto a base dell’informativa deve evidenziare fatti aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del più probabile che non

Il quadro indiziario dell’infiltrazione mafiosa posto a base dell’informativa deve evidenziare fatti aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del più probabile che non, il Prefetto, prima, ed il Giudice amministrativo, dopo, chiamato a verificare l’effettivo pericolo di infiltrazione mafiosa, possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole e più probabile (c.d. probabilità cruciale) che sussista il mero “rischio” di permeabilità dell’impresa, e non l’avvenuta infiltrazione, da parte di associazioni mafiose, valutate e contestualizzate tutte le circostanze di tempo, di luogo e di persona.

Sentenza 12 marzo 2018, n. 1563
Data udienza 15 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3171 del 2014, proposto dalla -OMISSIS-in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocato Fr. Ma. Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato An. Fi. in Roma, via (…);

contro

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore e la Prefettura di Caserta, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE I, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente interdittiva antimafia.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Caserta;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 febbraio 2018 il Consigliere Paola Alba Aurora Puliatti e uditi l’Avvocato Fr. Ma. Ca. per l’appellante e l’Avvocato dello Stato Ma. An. Sc.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1 – La Società appellante, con sede in -OMISSIS-, opera nella provincia di Caserta nel settore dei lavori pubblici dal 2004; il sig. -OMISSIS-, proprietario al 90% delle quote sociali, ne è socio accomandatario e responsabile tecnico e risulta incensurato, così come l’altro socio.

Il sig. -OMISSIS- è stato anche socio, fino al giugno 2013, della Società “-OMISSIS-“, per una quota di partecipazione del 2%, unitamente al sig. -OMISSIS-, unico altro socio di maggioranza, figlio di -OMISSIS-, condannato per il reato di riciclaggio, ai sensi dell’art. 648 bis c.p. con l’aggravante del favoreggiamento di organizzazioni mafiose, con sentenza del Tribunale di Napoli n. 1560 del 28.6.2011, riformata dalla Corte d’appello di Napoli, sez. II, n. 5827 in data 18.12.2012-15.2.2013, che ha dichiarato estinto il reato per prescrizione, pur condividendo il giudizio di colpevolezza dell’imputato.

La -OMISSIS- è stata colpita da interdittiva antimafia nel novembre 2010 e sottoposta a sequestro preventivo dei beni strumentali dalla Procura presso il Tribunale di Napoli con decreto in data 28.1.2011, unitamente alla stessa società -OMISSIS-, nell’ambito del procedimento penale che ha condotto alla condanna in primo grado di -OMISSIS- (decreto successivamente annullato in sede cautelare di riesame).

2 – Nei confronti della -OMISSIS-con nota prot.-OMISSIS–OMISSIS-/-OMISSIS-1^ del -OMISSIS-, la Prefettura di Caserta ha emesso un provvedimento interdittivo antimafia, richiamando gli atti investigativi dei Carabinieri, del Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di finanza di Caserta e del GICO della Guardia di finanza di Napoli, della Direzione Investigativa Antimafia di Napoli, tutte le altre verifiche condotte nei confronti della società dalle forze dell’ordine e le segnalazione del CED del dipartimento di P.S. del Ministero.

2.1 – Il provvedimento veniva impugnato unitamente agli atti presupposti con ricorso al T.A.R. Campania, Sede di Napoli, col ricorso r.g.n. 464 del 2012, integrato da motivi aggiunti.

2.2 – Con sentenza n. -OMISSIS-, il TAR ha respinto l’impugnazione compensando le spese di giudizio.

3 – Avverso tale sentenza, ha proposto appello la Società -OMISSIS-, lamentandone l’illogicità ed erroneità con due articolati motivi e riproponendo i motivi di primo grado; ne ha chiesto, quindi, previa sospensione, la riforma, con conseguente annullamento del provvedimento prefettizio.

3.1 – Si è costituito il Ministero dell’Interno, il quale ha chiesto la reiezione del gravame.

3.2 – Nella pubblica udienza del 15 febbraio 2018, il Collegio, udito l’avvocato dello Stato, ha trattenuto la causa in decisione.

DIRITTO

1 – L’appello della Società ricorrente -OMISSIS- di -OMISSIS-è infondato e deve essere respinto.

1.1 – L’informativa impugnata poggia essenzialmente su tre gruppi di circostanze significative del pericolo di infiltrazioni mafiose e specificamente: a) la partecipazione societaria di -OMISSIS- alla -OMISSIS-; b) il rapporto di parentela con -OMISSIS- (cugino di primo grado); c) il sequestro preventivo disposto dalla Procura presso il Tribunale di Napoli, nell’ambito del procedimento penale nei confronti di -OMISSIS- e altri, con decreto del 28.1.2011, tanto dei beni della -OMISSIS- quanto di quelli della -OMISSIS-.

1.2 – Il T.A.R. per la Campania, rigettando il ricorso, ha richiamato principi giurisprudenziali consolidati nell’interpretazione dell’art. 4 del D. lgs 8.8.1994, n. 490 e dell’art. 10 del D.P.R. 3.6.1998, n. 252 ed ha ritenuto, con specifico riguardo alla fattispecie, che:

– le informative possono fondarsi su accertamenti che prescindono da notizie di carattere processuale destinate a confluire nelle certificazioni penali;

– la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa non presuppone necessariamente stabili relazioni economiche con malavitosi, essendo sufficienti le frequentazioni e le cointeressenze;

– non è necessaria la preventiva comunicazione di avvio del procedimento;

– inammissibile è la doglianza d’illegittimità dell’interdittiva emessa nei confronti della -OMISSIS-, estranea all’oggetto di giudizio e, comunque, sconfessata dalla sentenza del TAR Lazio n. -OMISSIS-, da cui emerge tra l’altro il ruolo del padre dell’amministratore unico della società, l’imprenditore -OMISSIS-, indagato all’epoca degli accertamenti “per diversi procedimenti penali e tratto in arresto in esecuzione di ordinanza emessa nei confronti di fiancheggiatori del clan dei -OMISSIS-per il reato di cui all’art. 416 bis”;

– sufficientemente preciso e concordante è il quadro indiziario fondato su: i) l’appartenenza di -OMISSIS- alla compagine sociale di un’impresa colpita da interdittiva antimafia; ii) il rapporto di parentela con il -OMISSIS- (cugino del Sig.-OMISSIS-e padre dell’altro socio di maggioranza di -OMISSIS-) legato al clan dei -OMISSIS-e condannato per reato tipico degli ambienti della criminalità organizzata; iii) il coinvolgimento della -OMISSIS- nel procedimento penale che ha condotto alla condanna di -OMISSIS-;

– il rapporto di parentela, da solo insufficiente a giustificare il pericolo di condizionamento mafioso, va nella specie integrato con le cointeressenze del Sig.-OMISSIS-nell’ambito della -OMISSIS-;

– è irrilevante l’annullamento del decreto di sequestro preventivo attesa la diversa finalità dell’informativa antimafia.

1.3 L’appellante ha lamentato l’erroneità e ingiustizia della sentenza.

In particolare, secondo l’appellante, dovrebbero considerarsi i seguenti fatti positivi dedotti col primo motivo:

– A) il rapporto con la -OMISSIS- è irrilevante poiché -OMISSIS- è socio al 2% e senza poteri; le quote societarie sono state cedute a far data dal 13.12.2013; soci e amministratori sono incensurati; la ditta mai è stata sottoposta a procedure fallimentari;

– B) il 13.11.2011 il Tribunale del riesame di Napoli ha annullato il decreto di sequestro preventivo;

– C) il rapporto di parentela col -OMISSIS- non è diretto; la Corte d’Appello di Napoli con sentenza del -OMISSIS-, ha dichiarato la prescrizione del reato ed il -OMISSIS-ha proposto ricorso in Cassazione; non vi è alcuna frequentazione tra i due cugini; non è sostenibile alcun automatismo tra rapporto di parentela e permeabilità mafiosa.

Col secondo motivo l’appellante deduce l’error in procedendo e in iudicando per errata valutazione delle circostanze di fatto e di diritto e l’assoluto difetto di motivazione in relazione a tali ulteriori circostanze di fatto:

i)l’interdittiva della -OMISSIS- è stata conosciuta solo dopo il provvedimento prefettizio adottato nei confronti della ricorrente che, pertanto, non poteva conoscere le vicende future della citata società e comportarsi di conseguenza;

ii) -OMISSIS-, da cui traggono origine le informative nei confronti di entrambe le società, non ha mai avuto rapporti economici ed imprenditoriali con la ricorrente -OMISSIS-.

1.4 – La società appellante ripropone, quindi, i motivi del ricorso introduttivo di primo grado: violazione degli artt. 2, 3, 27, 41 e 97 della Costituzione; violazione e falsa applicazione del D. lgs 8.8.1994, n. 490 art. 4, del D.P.R. 3.6.1998, n. 252, art. 10; difetto di motivazione; eccesso di potere per difetto di istruttoria e difetto assoluto dei presupposti essenziali; violazione del giusto procedimento e del contraddittorio per la mancata giustificazione delle ragioni di urgenza che avrebbero consentito di omettere la comunicazione del procedimento.

Ripropone anche i motivi aggiunti del 18.4.2012 e 23.5.2012.

2 – Ritiene il Collegio che nessuno dei fatti evidenziati dall’appellante e le argomentazioni svolte possano incrinare, per le ragioni che meglio si vedranno, la logicità della sentenza impugnata e la ragionevolezza del giudizio di permeabilità mafiosa sotteso al provvedimento adottato dalla Prefettura di Caserta con l’informativa del -OMISSIS-.

2.1 – Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Sezione, l’informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del D. lgs n. 159/2011, come già avevano disposto l’art. 4 del D. lgs 8 agosto 1994, n. 490, e il D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, art. 10, presuppone concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata.

La ratio dell’istituto dell’interdittiva antimafia consiste nella salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: nella sostanza, l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti “affidabile”) e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge.

Con provvedimento costitutivo, si constata una obiettiva ragione di insussistenza della perdurante “fiducia sulla affidabilità e sulla moralità dell’imprenditore”, che deve costantemente esservi nei rapporti contrattuali di cui sia parte una amministrazione (e di per sé rilevante per ogni contratto d’appalto, ai sensi dell’art. 1674 c.c.) ovvero comunque deve sussistere, affinché l’imprenditore risulti meritevole di conseguire un titolo abilitativo, ovvero di conservarne gli effetti.

Sia in sede amministrativa che in sede giurisdizionale, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento istruttorio ed il provvedimento prefettizio si può intendere sufficientemente motivato anche per relationem, se gli atti richiamati nel provvedimento evidenziano con chiarezza elementi indiziari significativi.

Il quadro indiziario dell’infiltrazione mafiosa posto a base dell’informativa deve evidenziare fatti aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del “più probabile che non” il Prefetto, prima, ed il Giudice amministrativo, dopo, chiamato a verificare l’effettivo pericolo di infiltrazione mafiosa, possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole e più probabile (c.d. probabilità cruciale) che sussista il mero “rischio” di permeabilità dell’impresa, e non l’avvenuta infiltrazione, da parte di associazioni mafiose, valutate e contestualizzate tutte le circostanze di tempo, di luogo e di persona (C.d.S., Sez. III, 3171 del 28 giugno 2017; 12 settembre 2017, n. 4295; 7 ottobre 2015, n. 4657; Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2011, n. 15709).

Peraltro, una visione “parcellizzata” di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri (C.d.S., Sez. III, n. 1743 del 3.5.2016).

E’ estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l’accertamento di responsabilità penali) poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante.

Occorre, invece, valutare il rischio di inquinamento mafioso in base all’ormai consolidato criterio del più “probabile che non”, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso; per questo gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o, addirittura, possono essere già stati oggetto del giudizio penale con esito di proscioglimento o di assoluzione.

I fatti che l’autorità prefettizia deve valorizzare sono rilevanti nel loro valore oggettivo, storico e sintomatico, perché rivelatori del condizionamento che la mafia, in molteplici, cangianti e sempre nuovi modi, può esercitare sull’impresa anche al di là e persino contro la volontà del singolo.

Quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche solo indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto. In alcuni contesti sociali, all’interno della famiglia, si può verificare una “influenza reciproca” di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza tali che, proprio per le caratteristiche sociologiche dell’organizzazione mafiosa, la cui struttura “clanica” si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglià, anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del’capofamiglià e dell’associazione. Sotto tale profilo, hanno rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali (C.d.S., Sezione III, 3.5.2016, n. 1743).

Infine, la valutazione del pericolo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata costituisce espressione di ampia discrezionalità, che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua ragionevolezza in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (C.d.S., Sezione III, 1 agosto 2017, n. 4000).

3 – Ebbene, tutto ciò premesso, alla luce dei principi sin qui evidenziati, emerge che nessuno degli elementi addotti dalla Società -OMISSIS- appellante, sopra menzionati, è in grado di scalfire il quadro indiziario di infiltrazione mafiosa risultante dagli atti posti a base dell’informativa.

3.1 – Quanto al primo elemento, di cui alla lettera A) del punto 1.3, la prognosi di infiltrazione mafiosa era ed è giustificata dal fatto che il Sig.-OMISSIS-fosse detentore, all’epoca, di una quota anche esigua (2%) della -OMISSIS-, colpita da interdittiva nel 2010 ed amministrata dal figlio dell’imprenditore -OMISSIS-, delle cui vicende penali e della cui vicinanza e frequentazione di ambienti mafiosi si è detto.

L’entità della partecipazione societaria non esclude né il fatto che l’interdittiva del 2010 abbia colpito una società di cui fa parte il Sig. -OMISSIS-, né la sicura comunanza di interessi economici tra i due unici soci, e, pertanto, la necessaria vicinanza e frequentazione tra gli stessi.

L’essere il socio figlio di -OMISSIS-, a sua volta imprenditore nel medesimo settore, come si è detto coinvolto in vicende penali riguardanti il clan dei -OMISSIS-(cfr. pag. 46 della sentenza della Corte d’appello di Napoli n. -OMISSIS-), al di là della convivenza tra il padre e il giovane figlio, è plausibile elemento sintomatico di potenziale permeabilità della -OMISSIS- di cui il sig.-OMISSIS-è unico amministratore.

Inoltre, la cessione della quota societaria è fatto successivo (13.12.2013) non valutabile ai fini della legittimità dell’atto impugnato, secondo la regola “tempus regit actum”.

La circostanza che l’interdittiva nei confronti della -OMISSIS- sia rimasta sconosciuta alla ricorrente nulla toglie alla sua rilevanza ai fini investigativi, considerato l’insieme degli elementi sintomatici.

L’incensuratezza del Sig.-OMISSIS-e dell’altro socio della -OMISSIS- non esclude il pericolo di condizionamento e infiltrazione, attesa l’irrilevanza dell’accertamento di responsabilità penali di soci e amministratori ai fini dell’informativa antimafia.

Ai fini delle misure atipiche adottate dal Prefetto ex art. 10, comma 7, DPR 252/1998 lett. c), non è necessario che il prevenuto sia stato condannato o destinatario della proposta o del provvedimento di applicazione delle misure di pubblica sicurezza ex l. 575/1965: si richiede soltanto che il Prefetto abbia acquisito elementi di fatto specifici idonei obiettivamente a rilevare concrete connessioni o collegamenti con realtà mafiose.

3.2 Quanto al secondo elemento, di cui alla lettera B) del medesimo punto 1.3, l’annullamento del decreto di sequestro preventivo disposto in data 13.11.2011 dal Tribunale del Riesame di Napoli, pochi giorni prima dell’interdittiva impugnata, non assume rilevanza decisiva in quanto il provvedimento penale di dissequestro è solo misura cautelare, intervenuta cioè con riguardo alle esigenze cautelari in sede penale, che non fa venir meno il sospetto e rischio valutato dal Prefetto ai diversi fini della prevenzione antimafia.

3.3 – Quanto alla insufficienza del rapporto di parentela col -OMISSIS- a provare il rischio di infiltrazione, è evidente che non si tratta dell’unico indizio e che tale elemento va collegato alle cointeressenze economiche del Sig.-OMISSIS-col figlio di -OMISSIS-, attraverso la partecipazione alla -OMISSIS-, dallo stesso detenuta al 98% ed amministrata.

Se i legami familiari non possono senz’altro essere valutati aprioristicamente in senso negativo, tuttavia, il rapporto familiare rappresenta il dato storico che forma la premessa minore di un’inferenza calibrata sulla regola (massima d’esperienza) secondo cui i vincoli familiari, espongono il soggetto all’influenza del terzo. L’attendibilità dell’inferenza dipende, poi, da una serie di circostanze che qualificano il rapporto di parentela, quali, soprattutto, l’intensità del vincolo e il contesto in cui si inserisce oppure, come nel caso in esame, la sussistenza di interessi economici comuni al contesto familiare e l’intreccio di proprietà societarie attraverso le quali avviene il riciclaggio di somme di illecita provenienza (Sez. III, n. 3171del 2017).

4 – Da ultimo, quanto alla legittimità del procedimento, va detto che la mancata indicazione delle ragioni di urgenza a giustificazione dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento, non ne inficiano la legittimità, poiché non è dovuta la comunicazione di cui all’art. 7, l. 7 agosto 1990, n. 241, trattandosi di procedimenti intrinsecamente caratterizzati da “particolari esigenze di celerità” (Consiglio di Stato, sez. III, 28/06/2017, n. 3171).

5 – In conclusione, per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello della Società -OMISSIS- di -OMISSIS- -OMISSIS-deve essere respinto, con integrale conferma della sentenza impugnata, che ha correttamente respinto il ricorso e i motivi aggiunti contro l’informativa del Prefetto di Caserta del -OMISSIS-.

6 – Le spese del presente grado di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza dell’odierna appellante nei confronti del Ministero dell’Interno.

6.1 – Rimane definitivamente a carico della medesima appellante, sempre per l’accertata soccombenza, il contributo unificato anticipato per la proposizione del gravame.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, dalla -OMISSIS- di -OMISSIS- -OMISSIS-lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna la -OMISSIS- di -OMISSIS- -OMISSIS-a rifondere in favore del Ministero dell’Interno le spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 2.500,00, oltre accessori (IVA, CPA e spese generali) come per legge, se dovuti.

Pone definitivamente a carico della -OMISSIS- di -OMISSIS- -OMISSIS-il contributo anticipato versato per la proposizione del gravame.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, D. lgs 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti private.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Franco Frattini – Presidente

Umberto Realfonzo – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere

Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere, Estensore

Pierfrancesco Ungari – Consigliere

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