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Dunque, la manifestata volontà di attivarsi in proprio, conferma ancora una volta la consapevole assunzione di responsabilità, da parte della proprietaria, degli obblighi di ripristino dell’area e di rimozione dei rifiuti.
4.3. Ulteriore ragione di responsabilità della proprietaria del fondo è rinvenibile nel fatto che, a decorrere dalla pubblicazione della sentenza del Pretore di Parma del 1991, l’appellante non ha attivato i rimedi processuali che le avrebbero consentito di portare ad esecuzione, nei confronti del comodatario o dei suoi eredi, il titolo giudiziale con il quale erano state ordinate la restituzione e lo sgombero dell’immobile.
4.4. Da quanto esposto consegue che, nel caso specifico, la responsabilità della appellante non è desunta dal solo fatto che, a distanza di molti anni dall’emanazione dei primi atti formali, permanessero ancora le circostanze che avevano dato luogo alle precedenti ordinanze emesse a carico del comodatario del fondo.
In altri termini, il fatto che la proprietaria sia rimasta inerte nel risolvere la problematica di accumulo dei pneumatici non costituisce un dato neutro, ma, nello specifico contesto sin qui descritto e per le diverse ragioni sopra richiamate, si colora di connotati tali da rilevarne la responsabilità omissiva di tipo colposo, in linea con il parametro normativo di cui all’art. 14 d.lgs. 22/1997.
5. Occorre ora soffermarsi su due ulteriori profili sottesi alla valutazione di responsabilità enunciata nell’ordinanza impugnata.
5.1. Una prima considerazione riguarda il fatto che la posizione del comodante rispetto al bene concesso in comodato non è, come ha sostenuto l’appellante, di totale estraneità ai profili di responsabilità per custodia (si veda in tal senso Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13363, ove si afferma che, in materia di comodato, la clausola che ponga a carico del comodatario tutti i rischi derivanti dalla gestione della cosa data in comodato ha natura vessatoria, non essendo riproduttiva di alcuna regola legale, posto che ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. anche il comodante risponde dei danni derivanti a terzi dalla res commodata, conservandone la custodia; nello stesso senso, Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 1996, n. 8818, per la quale il promittente venditore del bene è ‘custodé ai sensi dell’art. 2051 c.c., pur a seguito dell’avvenuta consegna del bene al detentore – promissario acquirente per effetto della stipula del preliminare di vendita: ebbene, nella impostazione poi accolta da Cass. Sez. Un, 27 marzo 2008, n. 7930, il promittente venditore altri non è che un comodante, il che conduce a conclusioni conformi al precedente del 2015 innanzi richiamato).
D’altra parte, il comodante, oltre ad un generico potere di vigilanza sul buon utilizzo del bene, ha facoltà di chiederne l’immediata restituzione laddove ravvisi che il comodatario stia tenendo rispetto ad esso condotte inadempienti e scarsamente diligenti, quale quella di servirsi del bene secondo modalità non conformi alla destinazione sua propria o convenuta.
Dunque, non risulta conforme ai principi l’affermazione secondo cui sull’appellante non ricadevano gli obblighi giuridici di custodia del bene (anche ai fini dell’applicabilità dell’art. 14 del d.lg. n. 22 del 1997) nella fase di esecuzione del contratto di comodato.
5.2. Una seconda considerazione trae spunto dalla constatazione che, nelle more del giudizio, secondo quanto si ricava dalle allegazioni in atti, il Comune ha provveduto in proprio a rimuovere i copertoni dal fondo, sicché un residuo interesse alla definizione della presente controversia permane unicamente in relazione al tema dell’allocazione degli oneri di spesa relativi alle espletate operazioni di ripristino.
In quest’ottica di ragionamento, occorre altresì considerare che – in tutti i casi in cui la bonifica o il ripristino del fondo rimangano a carico della pubblica amministrazione (che così abbia disposto sua sponte o per un obbligo giuridico preesistente, e comunque in un’ottica di salvaguardia dell’ambiente), i privati proprietari o i detentori dei fondi interessati ricavano un vantaggio, in termini di aumento di valore del fondo, che potrà costituire giusta causa di recupero delle corrispondenti somme, nei limiti ordinari delle azioni di arricchimento (potendosi presumere che l’importo così speso, nel determinare l’«impoverimento» della amministrazione, comporti quanto meno un corrispondente «arricchimento»).
6. Per tutti i motivi esposti, l’appello risulta infondato e va respinto.
Le spese del secondo grado di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo nei rapporti tra la parte appellante e il Comune di (omissis). Possono essere compensate rispetto al Ministero della Salute, stante la sua estraneità ai termini sostanziali della controversia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza,
definitivamente pronunciando sull’appello n. 8330 del 2010, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte appellante alla refusione in favore del Comune di (omissis) delle spese di lite, che liquida in complessivi €. 4.000,00, oltre accessori di legge.
Compensa le spese di lite tra la parte appellante e il Ministero della Salute.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2017, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Gabriele Carlotti – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere, Estensore
Solveig Cogliani – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
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