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– il Comune, previo parere favorevole della commissione edilizia del giorno 5 dicembre 1996, motivato con la presunta assenza di danno ambientale, rilasciava l’autorizzazione paesaggistica con il proprio atto 27 dicembre 1996 meglio indicato in epigrafe (per tutto ciò, si veda la sentenza impugnata; si tratta comunque di fatti non controversi);
– con il provvedimento 18 febbraio 1997 pure meglio indicato in epigrafe, l’amministrazione dei Beni culturali annullava l’autorizzazione in questione; riteneva in particolare che l’autorizzazione annullata non contenesse una motivazione idonea a chiarire i criteri con cui era stata valutata la compatibilità delle opere e che viceversa l’opera abusiva, in base ad una verifica compiuta sul posto, costituisse “un intasamento improprio dell’area di pertinenza dell’immobile… per l’uso di materiali incompatibili con i valori tutelati… [e] per l’entità stessa dell’intasamento”, in contrasto con il complesso tutelato dei Viali, ove la costruzione si trova (doc. 2 ricorrenti appellanti, decreto di annullamento);
– di conseguenza, con il provvedimento 7 marzo 1999, il Comune negava la sanatoria quanto alla tettoia, richiamando l’annullamento da parte della Soprintendenza (doc. 1 ricorrenti appellanti, diniego di condono);
– con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso presentato contro tali atti dai successivi acquirenti dell’immobile in questione, ritenendo effettivamente immotivata l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune, e quindi legittimo l’annullamento di essa;
– contro tale sentenza, i ricorrenti hanno proposto impugnazione, con appello che contiene due motivi, di riproposizione di quelli dedotti in primo grado, così come segue;
– con il primo di essi, deducono violazione dell’art. 82 D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, vigente all’epoca dei fatti, e sostengono in sintesi estrema che l’amministrazione statale avrebbe esercitato sul provvedimento impugnato non il sindacato di legittimità previsto dalla norma, ma un sindacato di merito non consentitole. Affermano in proposito che la tettoia di cui si tratta si troverebbe in una corte da tempo priva di vegetazione e che non sarebbe visibile dalla pubblica strada, sì che sarebbe all’evidenza esclusa ogni interferenza con il sistema dei viali tutelato.
– con il secondo motivo, deducono illegittimità derivata del diniego della sanatoria.
– i ricorrenti appellanti hanno infine contestato, in quanto a loro avviso eccessiva, la liquidazione delle spese a loro carico;
– hanno resistito gli appellati, amministrazione statale e Comune, rispettivamente con atti del 3 luglio 2012 e del 31 gennaio 2013, ed hanno chiesto che l’appello sia respinto;
– con memorie del 19 ottobre 2017 per il Comune e del 20 ottobre 2017 per i ricorrenti appellanti, e con replica del 30 ottobre 2017 per i soli appellanti, le parti hanno infine ribadito le rispettive loro difese. In particolare, il Comune ha sostenuto che la dedotta impossibilità di percepire la costruzione dalla strada non rileverebbe;
– all’udienza del giorno 21 novembre 2017, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione;
– il primo motivo di appello proposto risulta infondato. Secondo costante giurisprudenza, per tutte C.d.S. sez. VI 7 settembre 2012 n. 4747, ove l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica avvenga per difetto di motivazione, la Soprintendenza ha il potere di sottolineare il relativo vizio di eccesso di potere esponendo le ragioni di merito che rendono l’intervento non compatibile con i valori ambientali tutelati dal vincolo. Ciò si è verificato nel caso di specie, in cui a fronte di una motivazione limitata ad una generica assenza di danno ambientale (doc. 1 ricorrenti appellanti, cit., ove essa è riprodotta), la Soprintendenza ha espresso una propria valutazione. Quest’ultima non si può considerare illogica o abnorme, dato che effettivamente i materiali adoperati per la struttura sono del tutto estranei al contesto. Si deve solo aggiungere che l’asserita non visibilità dell’opera dalla pubblica via assume un rilievo limitato, poiché, in base alle stesse fotografie prodotte dai ricorrenti appellanti (doc. 7) essa è pur sempre visibile da un numero indeterminato di abitazioni vicine, sì che non si può dire che essa non faccia parte del paesaggio. Da ultimo, non rileva la circostanza che un abuso in ipotesi similare sia stato sanato (v. memoria ricorrenti appellanti 20 ottobre 2017 p.7). Va infatti ricordato il costante insegnamento giurisprudenziale per cui il legittimo operato dell’amministrazione non è inficiato dall’eventuale illegittimità della sua precedente condotta con riguardo a situazioni analoghe. L’eccesso di potere per disparità di trattamento si può infatti configurare solo sul presupposto, di cui l’interessato deve dare la prova rigorosa, dell’identità assoluta della situazione considerata: così fra le molte C.d.S. sez. VI 11 giugno 2012 n. 3401;
– dagli argomenti appena esposti, segue la reiezione anche del secondo motivo di illegittimità derivata;
– parimenti infondata è la doglianza sull’importo di spese liquidate in primo grado. In proposito, basta rilevare che un calcolo dei compensi dovuti in base ai parametri vigenti, attenendosi ai minimi previsti per una causa di valore indeterminato e complessità bassa porta a un risultato superiore ai 4.000 euro per ciascuna delle parti intimate, al netto di imposte e contributi dovuti;
– sussistono giusti motivi per compensare le spese del presente grado;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 4644/2012 R.G), lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
Alessandro Verrico – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere
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