Un giudicato e’ opponibile a coloro che sono succeduti alla parte nei cui riguardi esso si e’ formato, purche’ tale successione si sia verificata dopo la formazione del giudicato

Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 11 maggio 2018, n. 2828.

Un giudicato e’ opponibile a coloro che sono succeduti alla parte nei cui riguardi esso si e’ formato, purche’ tale successione si sia verificata dopo la formazione del giudicato o, quanto meno, dopo la proposizione della domanda introduttiva del giudizio chiusosi, poi, con detto giudicato

Sentenza 11 maggio 2018, n. 2828
Data udienza 22 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3119 del 2017, proposto dai signori Pa. Tr., ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Ro. Pr., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Fo. in Roma, Via (…);
contro
Il Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. Di. Pe., con domicilio eletto presso lo Studio Pl. in Roma, Via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sez. VIII, n. 4808/2016, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 marzo 2018 il Cons. Italo Volpe e uditi per le parti gli avvocati Ro. Pr. e Lu. Di. Pe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Col ricorso in epigrafe, gli odierni appellanti hanno impugnato la sentenza del Tar della Campania, Napoli, n. 4808/2016, che – a spese compensate – ha accolto il loro ricorso principale ed ha respinto i connessi motivi aggiunti proposti per l’annullamento:
– con il primo, dell’atto d’accertamento di inottemperanza n. 5892 del 22 ottobre 2015 emesso dal dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di (omissis);
– con i secondi, delle note n. 2983 dell’8 aprile 2016 e n. 3572 del 28 aprile 2016, con le quali il Comune ha respinto la loro domanda del 12 febbraio 2015, volta ad eseguire lavori di demolizione parziale di un loro fabbricato.
1.1. La sentenza, premesso che oggetto del ricorso principale doveva ritenersi solo l’accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza comunale n. 25 del 4 agosto 2000 di demolizione di opere abusive, ha motivato la decisione affermando, quanto al ricorso principale, che:
– l’atto di accertamento era illegittimo, in quanto all’epoca dell’ordinanza di demolizione, il fabbricato era già stato alienato dagli originari autori degli abusi agli attuali ricorrenti ed a questi quell’ordinanza non era stata formalmente notificata, né poteva rilevare che i ricorrenti fossero a conoscenza dell’ordine di demolizione impartito ai loro dante causa, in quanto, attesa la natura sanzionatoria “reale” degli effetti dell’impugnato atto di accertamento (i.e., la successiva acquisizione alla mano pubblica dell’edificato abusivo, non demolito), un conto è – come pure affermato in giurisprudenza – il fatto che chi non è autore materiale dell’abuso, e che non si attiva per eliminarlo, possa subire l’acquisizione pubblica (sempre che sia stato a conoscenza dell’abuso), altro conto è invece il fatto che costui non abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’ordine di demolizione e, così, non sia stato in grado di collaborare con l’Amministrazione per ripristinare la legalità violata;
– erano invece infondate le censure tese a sostenere che una sopravvenuta autorizzazione comunale per la trasformazione a parcheggi pertinenziali dell’intero piano interrato del fabbricato, nonché l’intervenuto rilascio dei certificati di abitabilità dei locali di cui si componeva l’edificio avrebbero dimostrato la volontà implicita del Comune di far venir meno gli effetti dell’ordinanza di demolizione, perché, da un lato, la volontà dell’atto implicito deve pur sempre emergere chiaramente dal comportamento dell’Amministrazione e, dall’altro lato, il superamento di un ordine di demolizione può conseguire all’accoglimento di una sanatoria, che nella specie neppure era stata chiesta. L’agibilità, inoltre, deve pur sempre presupporre la conformità urbanistico-edilizia dell’immobile dichiarato abitabile, ma la sua concessione – nuovamente – non comporta automaticamente un’implicita sanatoria di eventuali abusi esistenti.
Quanto ai motivi aggiunti, il TAR ha rilevato che l’ordine di demolizione n. 25/2000 – presupponente la predetta abusività – era ormai inoppugnabile nei confronti sia dei dante causa dei ricorrenti sia di questi ultimi.
A fronte di ciò, dunque, erano possibili soltanto l’esecuzione dell’ordine ovvero una sanatoria per accertamento di conformità dell’edificato, non invece nuovi interventi edilizi, quali quelli oggetto della domanda di permesso di costruire, respinta col secondo provvedimento impugnato.
2. Col loro ricorso gli appellanti premettono, nella sostanza, che:
– i loro dante causa, con concessioni edilizie, anche in variante, del 1983, 1985 e 1988, avevano realizzato nel territorio del Comune un fabbricato che, in progetto, doveva comporsi di un piano interrato, di un seminterrato e di tre sovrastanti piani fuori terra;
– del fabbricato, all’esito dei lavori, il piano seminterrato (c.d. 2° livello) e quello interrato sono, rispettivamente, risultati completamente fuori terra, il primo, e seminterrato (c.d. 1° livello), il secondo. Il primo, inoltre, era stato oggetto di concessione in sanatoria (del 10 marzo 2000), mentre del secondo era stata autorizzata (il 2 luglio 2003) dal Comune la destinazione a parcheggio di veicoli.
In pratica, l’edificio risultava alla fine composto di un seminterrato e di quattro piani fuori terra.
Per i piani 3°, 4° e 5°, il Comune, in ultimo, aveva pure rilasciato il certificato di abitabilità.
Il TAR ha rilevato inoltre che la vendita agli attuali appellanti era avvenuta il 22 giugno 1999 e che nel 2000, a seguito di sopralluogo, l’Ufficio Tecnico aveva rilevato le difformità e la loro successiva, parziale sanatoria, esprimendo l’opportunità di una demolizione delle opere residue ancora difformi.
L’ordinanza di demolizione (n. 25 del 4 agosto 2000), successiva alla vendita, era stata notificata ai cedenti, ma non anche ai cessionari, i quali – per dirimere una controversia con un confinante, che si doleva di uno sconfinamento dell’edificio nel suo terreno – avevano infine chiesto al Comune il permesso di costruire onde demolire la sola parte di fabbricato che invadeva l’altrui proprietà.
Nel novembre 2015 era stato notificato agli appellanti l’accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione del 2000 (primo provvedimento impugnato).
Nel corso del giudizio di primo grado era sopravvenuto il diniego al permesso di costruire a fini demolitori (atti impugnati coi motivi aggiunti).
2.1. Tanto premesso, l’appello è volto a censurare della sentenza di primo grado innanzitutto la statuizione reiettiva dei motivi aggiunti, fondata sulla considerazione che, al tempo della richiesta del permesso di costruire, l’ordinanza di demolizione dell’intero fabbricato sarebbe stata ormai inoppugnabile.
Ad avviso degli appellanti, non sussisterebbe tale presupposto, non essendo stata loro notificata l’ordinanza, che sarebbe divenuta inoppugnabile nei riguardi dei soli cedenti e non anche dei cessionari.
Al riguardo, questa parte della sentenza di primo grado sarebbe pure contraddittoria con quella precedente, nella quale era stato accolto l’originario ricorso principale.
Del resto, il Comune aveva poi autonomamente notificato agli appellanti l’ordinanza di demolizione, ma questa era stata altrettanto autonomamente impugnata in primo grado ed il relativo giudizio era pendente.
Gli appellanti hanno anche impugnato la statuizione con cui il TAR ha respinto il secondo motivo del ricorso principale e il terzo motivo aggiunto, basata sulla considerazione che l’ordinanza di demolizione (del 2000) non poteva considerarsi implicitamente revocata per effetto dei sopravvenuti provvedimenti comunali (autorizzazione della destinazione a parcheggio del piano seminterrato e rilascio di certificati di abitabilità).
Hanno dedotto gli appellanti che “E’ noto che la revoca dei provvedimenti amministrativi non deve necessariamente essere espressa: essa può essere anche tacita, potendosi desumere dal fatto che l’atto successivo e` incompatibile con quello precedente (…)”.
3. Costituitosi, il Comune con memoria del 16 giugno 2017 ha replicato alle deduzione avversarie, in particolare sottolineando che:
– la legittimità dell’ordinanza di demolizione n. 25/2000 era già stata constatata dalla sentenza del Tar della Campania, sede di Napoli, n. 6274/2008, che, per quanto pronunciata nei riguardi dei soli dante causa degli attuali appellanti, aveva acquisito effetto di giudicato perché non appellata e, in quanto tale, era in grado di fare stato anche nei riguardi degli acquirenti del fabbricato (ossia i ricorrenti in epigrafe) in virtù dell’art. 2909 c.c. (oltre che dell’art. 324 c.p.c., richiamato nel processo amministrativo grazie all’art. 39 c.p.a.), secondo il quale “L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”;
– non era comunque vero che agli appellanti fosse stata notificata una nuova ordinanza di demolizione, giacchè ad essi era stata notificata solo una copia della stessa ordinanza n. 25/2000, precedentemente notificata ai loro dante causa;
– la causa ostativa al pur richiesto permesso di costruire risiedeva nello “abnorme incremento volumetrico, al superamento dei limiti di altezza, alla inosservanza del limite di distanza dal confine” del fabbricato, aspetti critici ancora persistenti;
– erano inconsistenti gli argomenti a sostegno della ritenuta revoca implica della predetta ordinanza di demolizione.
4. Il Comune ha quindi riepilogato i propri argomenti con memoria del 13 febbraio 2018.
5. Gli appellanti hanno depositato memoria del 18 febbraio 2018 per replicare alle tesi del Comune e, in particolare, per osservare che il giudicato relativo alla citata sentenza n. 6274/2008 non sarebbe stato a loro opponibile, giacchè formatosi dopo l’intervenuta compravendita, di per se stessa avvenuta prima della proposizione della domanda introduttiva del giudizio chiusosi con quella decisione.
6. La causa quindi, chiamata alla pubblica udienza del 22 marzo 2018, è stata ivi trattenuta in decisione.
7. E’ condivisibile, in primo luogo, l’obiezione della parte appellante volta a sostenere la non opponibilità – nei propri riguardi – del giudicato formatosi sulla citata sentenza n. 6274/2008 e, di conseguenza, l’intervenuta intangibilità della predetta ordinanza di demolizione n. 25/2000.
Nel caso di specie, invero, la compravendita dell’immobile risale all’anno 1999 mentre la contestata ordinanza è dell’anno successivo.
Di conseguenza non è possibile ritenere – come sostiene il Comune – che l’accertamento della legittimità di detta ordinanza, contenuto nella sentenza passata in giudicato (la n. 6274/2008), possa fare stato anche nei riguardi degli odierni appellanti nella loro veste di “aventi causa” (relativamente alla cessione dell’immobile).
Infatti, per orientamento giurisprudenziale risalente e costante (Cass. n. 5194/1985; Cass. n. 22316/2013) un giudicato è opponibile a coloro che sono succeduti alla parte nei cui riguardi esso si è formato, purché tale successione si sia verificata dopo la formazione del giudicato o, quanto meno, dopo la proposizione della domanda introduttiva del giudizio chiusosi, poi, con detto giudicato.
Nella vicenda in oggetto, invece, gli attuali appellanti hanno acquisito la proprietà dell’immobile ben prima dell’adozione del provvedimento amministrativo (ordinanza n. 25/2000) oggetto, poi, della contestazione relativamente alla quale s’è formato il giudicato.
Da questo punto di vista, perciò, non può essere condivisa la ratio decidendi con cui il TAR ha ritenuto opponibile agli appellanti tale giudicato.
8. Peraltro, l’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.
8.1. Infatti, anche a voler considerare il condono del c.d. 2° livello (ex seminterrato, divenuto poi primo piano fuori terra) e l’autorizzazione a parcheggio del c.d. 1° livello (ex interrato, divenuto poi seminterrato), essi comunque nulla tolgono al fatto che l’abuso è persistito, quanto meno sotto forma di violazione dell’altezza complessiva del fabbricato e dell’aumento della sua volumetria.
Inoltre, il permesso di costruire chiesto dagli odierni appellanti era palesemente volto a risolvere un problema di invasione del fondo confinante (da parte dell’edificato).
Esso però nulla avrebbe in ogni caso risolto quanto alla violazione dell’altezza del fabbricato, essa stessa costituente uno dei rilevanti profili di abusività.
Non è comunque possibile attribuire portata dirimente al fatto che il Comune ebbe a rilasciare certificati di abitabilità rispetto ad alcune unità abitative ovvero ad assentire l’immutazione dell’uso di un piano di edificio (onde lo stesso fosse adibito a parcheggi).
Per un verso, infatti, tali atti positivi dell’ente locale nulla tolgono alla illegittimità dell’edificazione dal punto di vista della sua altezza e del suo volume.
In particolare, il rilascio di un certificato di abitabilità di certo non è tale da comportare la sanatoria del precedente abuso edilizio.
Per altro verso, poi, i medesimi atti non possono reputarsi espressivi di una revoca ovvero di un annullamento d’ufficio impliciti della precedente accertata illegittimità (per abusività) dell’edificazione.
Invero, se anche in linea di principio si può ammettere la configurabilità in astratto della categoria della revoca implicita, è comunque necessario che vi sia chiara e consapevole incompatibilità tra due atti, di cui il secondo è destinato a produrre effetti incompatibili con quello precedente.
In materia edilizia (con riferimento agli atti che ordinano la demolizione o dispongano l’accertamento dell’inottemperanza, ovvero inerenti al condono edilizio ovvero al rilascio dell’accertamento di conformità), invece, per il principio di tipicità dell’atto amministrativo – rilevante in materia anche per le implicazioni che attengono al regime proprietario del bene, nonché alle implicazioni penalistiche delle determinazioni amministrative – si deve ritenere che abbiano rilievo soltanto quegli atti che presentino gli elementi essenziali dei provvedimenti espressamente previsti dalla legge.
Nella specie, per di più, non è emerso e non è stato esposto alcun elemento che possa indurre a ritenere che vi sia stata la determinazione di procedere alla invocata revoca.
9. Per le ragioni che precedono, sia pure con parziale riforma della sua ratio decidendi, la sentenza impugnata va confermata, per la sostanziale infondatezza della pretesa degli appellanti, i quali pertanto devono – per la rilevata soccombenza – essere condannati al pagamento in favore del Comune delle spese del presente grado di giudizio, liquidate in complessivi euro 3.000,00.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 3119 del 2017, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna gli appellanti – in solido tra loro – al pagamento in favore del Comune resistente delle spese del presente grado di giudizio, liquidate in complessivi euro 3.000,00, oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2018, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Italo Volpe – Consigliere, Estensore

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