Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 11 giugno 2018, n. 3528.
La massima estrapolata:
Il provvedimento statale di annullamento del nulla osta paesaggistico per una costruzione edilizia non ha natura di atto recettizio, per cui il termine perentorio di sessanta giorni attiene al solo esercizio del potere di annullamento da parte dell’Amministrazione statale e non anche alla sua comunicazione o notificazione ai destinatari del provvedimento.
Sentenza 11 giugno 2018, n. 3528
Data udienza 31 maggio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5335 del 2012, proposto dal signor Lu. De Ro., rappresentato e difeso dagli avvocati Ed. Pa. e An. Fa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Vi. Del Pr. in Roma, via (…);
contro
il Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
del Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituitosi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 504 del 2012, resa tra le parti, concernente la domanda di annullamento del decreto del MIBACT – Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Lazio, in data 5 settembre 2001, recante l’annullamento del parere del Comune di (omissis), in data 18 giugno 2001, favorevole al rilascio di una sanatoria edilizia ai sensi degli articoli 32 della l. n. 47 del 1985 e 39 della l. n. 724 del 1994, per un manufatto di civile abitazione;
Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del MIBACT;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 31 maggio 2018 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti l’avvocato An. Fa. e l’avvocato dello Stato An. Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Con ricorso al TAR del Lazio, n. 350 del 2002, proposto contro il Ministero per i beni e le attività culturali e la Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Lazio, e nei confronti del Comune di (omissis) (LT), il signor Lu. De Ro. impugnava il decreto del Soprintendente, adottato in data 5 settembre 2001, di annullamento del parere, reso dal Comune di (omissis) con atto n. 15720 del 18 giugno 2001, favorevole al rilascio di una sanatoria edilizia ai sensi degli articoli 32 della l. n. 47/1985 e 39 della l. n. 724/1994.
Viene in questione un manufatto per civile abitazione realizzato in (omissis), Via (omissis).
Il Soprintendente ha premesso che il parere del Comune era del 18 giugno 2001 e che la documentazione relativa all’intervento (era) pervenuta completa alla Soprintendenza … del Lazio in data 9.7.2001″ ed ha rilevato che:
– la località interessata dall’intervento ricade in area dichiarata di notevole interesse ex l. n. 1497/1939 ai sensi del d. m. 28.8.1959;
– il Comune non spiega come e perché l’intervento sanato sia compatibile con le esigenze di tutela ambientale;
l’istanza di sanatoria riguarda un manufatto realizzato nel 1993, ubicato in ambito PTP 14 in zona T/S normata dall’art. 35 che prevede in quest’area un’azione di massima tutela con il divieto assoluto di edificazione..
Il Soprintendente ha considerato che:
– si tratta di edificazione avvenuta successivamente alla adozione del PTP ed ha espresso parere negativo in quanto l’abuso, se sanato, comprometterebbe le caratteristiche ambientali della zona in parte ancora integra, che si sono intese tutelare con il d. m. 28.8.1959 e successivamente con la normativa del PTP pertinente;
– il parere favorevolecomporta l’alterazione di tratti caratteristici della località protetta che sono la ragione stessa per cui la località medesima è sottoposta a vincolo, ai sensi della normativa di tutela vigente…attraverso il parere favorevole ex art. 32 della l. n. 47 del 1985 e 39 della l. n. 724 del 1994 si è apportata una modifica del provvedimento di vincolo paesaggistico posto col d. m. 28.8.1959, in contrasto con l’art. 145 del T. U. n. 490 del 1999.
Con la sentenza n. 504 del 17 gennaio 2012, il TAR ha respinto il ricorso del signor De Ro., compensando le spese.
Il giudice di primo grado ha considerato anzitutto non tardiva l’emanazione del provvedimento statale impugnato, in quanto il termine di sessanta giorni, previsto dall’art. 82, comma nono, del d.P.R. n. 616 del 1977 e trasfuso nel testo unico n. 490 del 1999, vigente all’epoca dei fatti, per l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, comincia a decorrere dalla data in cui l’Amministrazione dispone di tutta la documentazione necessaria per poter compiere le proprie valutazioni.
Gli atti depositati dal Comune di (omissis), in seguito all’istruttoria disposta dal Tar, hanno dimostrato che la documentazione relativa all’intervento è pervenuta completa alla Soprintendenza … in data 9.7.2001 e che il provvedimento impugnato è stato adottato in data 5 settembre 2001: dunque, nel termine di legge.
Il TAR ha poi respinto il motivo basato sulla violazione dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990, in relazione alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, trattandosi – si legge nella sentenza – di atto a contenuto vincolato, con la possibilità di applicare l’art. 21 – octies della l. n. 241 del 1990 anche al caso in esame, grazie alla sua natura processuale, che consente di ritenere non annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento il provvedimento amministrativo che non avrebbe potuto avere un contenuto dispositivo diverso da quello effettivamente adottato.
E’ stata giudicata poi irrilevante la circostanza, dedotta dal ricorrente, secondo la quale all’epoca dell’intervento il comparto era già quasi totalmente “compromesso”, atteso che tale questione di fatto, come il vizio di disparità di trattamento, pure dedotto dal ricorrente, non possono privare di vigenza le leggi, lo strumento territoriale paesaggistico e i vincoli in esso contenuti, qualora si tratti di vincoli, anche di inedificabilità assoluta.
Infine, sul “merito” della decisione statale di annullamento, il TAR ha ribadito che il parere ex art. 32 dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo è necessario anche per le opere abusive realizzate prima della imposizione del vincolo, e che nel caso in esame l’area de qua, già da prima della edificazione del manufatto, era sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta in base al c. d. decreto Galasso, poi confermato con la successiva adozione del PTP (quest’ultima statuizione non ha peraltro formato oggetto di impugnazione da parte del signor De Ro.).
2. L’appellante ha impugnato la sentenza con tre motivi.
Sub 1), parte appellante deduce l’erroneità della sentenza per violazione dell’art. 82 del d.P.R. n. 616/1977 e carenza di istruttoria, per non essere state adeguatamente chiarite le date di invio e di ricezione della documentazione completa in questione, al fine di individuare con certezza il momento iniziale del decorso del termine perentorio di sessanta giorni previsto per l’esercizio del potere statale di annullamento, con la conseguenza che, sostiene l’appellante, nella fattispecie si sarebbe formato il silenzio assenso, con conseguente consumazione del potere statale di annullamento. Il termine di legge dei sessanta giorni decorre infatti dal ricevimento, da parte della Soprintendenza, del parere favorevole del Comune e della documentazione tecnico amministrativa “completa” sulla scorta della quale è stato adottato il provvedimento comunale. Nel caso in esame, non vi sarebbe alcuna certezza sulla data in cui la documentazione comunale è pervenuta completa alla Soprintendenza. Il giudice di primo grado avrebbe recepito “l’autocertificazione” contenuta nel provvedimento impugnato, nella premessa del quale si legge che la documentazione è pervenuta completa alla Soprintendenza in data 9 luglio 2001, senza considerare però che già in data 18 giugno 2001 il Comune di (omissis) aveva trasmesso con racc. A/R la documentazione alla Soprintendenza.
L’appellante sostiene che la dilatazione temporale tra il momento della trasmissione della documentazione de qua da parte del Comune di (omissis) con racc. A/R (18 giugno 2001) e il momento del ricevimento della documentazione stessa da parte della Soprintendenza (9 luglio 2001, ossia circa venti giorni dopo l’invio) farebbe supporre che l’organo statale abbia chiesto al Comune una integrazione della documentazione già ricevuta; per provare la data dell’arrivo effettivo, alla Soprintendenza, della documentazione comunale completa, dovrebbe essere prodotta copia del registro generale del protocollo in entrata della Soprintendenza.
Di qui, la richiesta di disporre una specifica istruttoria volta ad accertare la data dell’effettivo ricevimento, da parte della Soprintendenza, del parere comunale del 18 giugno 2001, e dei relativi allegati.
Sub 2), l’appellante deduce l’erroneità della sentenza per violazione dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990, atteso che solo in seguito alle previsioni di cui all’art. 2 del d. m. n. 165 del 2002 e alla entrata in vigore del d.lgs. n. 42 del 2004, l’annullamento del parere paesaggistico non richiederebbe l’avviso di avvio del procedimento ex art. 7 cit., avviso di avvio che sarebbe invece necessario per i procedimenti che, come quello in esame, risultavano cominciati e conclusi prima della entrata in vigore delle norme citate.
Il TAR avrebbe poi errato nel considerare applicabile al presente giudizio la disposizione di cui all’art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241 del 1990, sulla considerazione della natura processuale della disposizione e, quindi, della sua applicabilità immediata anche ai giudizi in corso.
Nell’appello si sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dal TAR, il citato art. 21 – octies, introdotto dall’art. 14, comma 1, della l. n. 15 del 2005, ha natura procedimentale e non processuale e, trattandosi di disposizione sopravvenuta rispetto alla formazione del provvedimento impugnato, non si applica alla vicenda in esame.
Sub 3), infine, parte appellante, nel dedurre violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili, con riferimento, in particolare, alle figure sintomatiche della erronea valutazione dei presupposti, della motivazione illogica e contraddittoria, della disparità di trattamento e della violazione del principio di effettività e di quello di uguaglianza, sottolinea nuovamente che l’immobile in questione, sia al momento della sua realizzazione che attualmente, soltanto formalmente ricade in una zona assoggettata a vincolo assoluto di inedificabilità; in realtà, esso fa parte di un’area sostanzialmente urbanizzata in seguito ai numerosi interventi edilizi attuati da privati e ai correlati provvedimenti di sanatoria rilasciati dal Comune e perfezionatisi per effetto del silenzio – assenso della Soprintendenza.
In punto destinazione urbanistica del bene, sussisterebbe una discrepanza tra la situazione formale e quella sostanziale.
Da oltre un ventennio la zona avrebbe infatti assunto una “destinazione residenziale”: di qui, la violazione del principio di uguaglianza.
L’appellante ha concluso chiedendo l’accoglimento della impugnazione e, in riforma della sentenza, l’annullamento del provvedimento statale in epigrafe ed ha, inoltre, domandato, ove rilevante ai fini del decidere, di disporre l’istruttoria specificata sopra, al p. 1).
Il Ministero si è costituito in giudizio.
3. L’appello è infondato e va respinto.
3.1. Il primo motivo risulta infondato.
Circa il termine perentorio di sessanta giorni, assegnato all’Amministrazione statale, per annullare l’autorizzazione paesaggistica comunale, dall’art. 82, nono comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 (come trasfuso nel testo unico n. 490 del 1999), ancora vigente all’epoca dei fatti per cui è causa, per la giurisprudenza consolidata (v., ex plurimis, le sentenze n. 4273 del 2006 e n. 3851 del 2002, e ivi riferimenti giurisprudenziali ulteriori), il termine di sessanta giorni entro il quale l’Amministrazione statale può annullare l’autorizzazione paesaggistica decorre soltanto dal momento in cui la documentazione perviene completa all’organo statale competente a decidere, potendo inoltre quest’ultimo chiedere le integrazioni documentali necessarie all’esercizio del potere di riesame (ovviamente non per finalità puramente dilatorie).
Il provvedimento statale di annullamento del nulla osta paesaggistico per una costruzione edilizia non ha natura di atto recettizio, per cui il termine perentorio di sessanta giorni attiene al solo esercizio del potere di annullamento da parte dell’Amministrazione statale e non anche alla sua comunicazione o notificazione ai destinatari del provvedimento (ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2004, n. 2985, e 7 giugno 2005, n. 2911).
Nella specie, gli atti depositati dal Comune di (omissis) nel giudizio di primo grado e, in particolare, la copia del provvedimento statale impugnato, con la relativa lettera di accompagnamento, comprovano che il decreto del Soprintendente è stato emesso in data 5 settembre 2001, dunque entro il termine di sessanta giorni decorrente dal momento in cui la documentazione relativa all’intervento è pervenuta completa alla Soprintendenza, vale a dire il 9 luglio 2001.
A quest’ultimo specifico riguardo, in primo luogo è da ritenere fidefacente (e comunque non smentita da alcun elemento) l’affermazione, contenuta nella premessa del provvedimento statale impugnato, secondo la quale la documentazione relativa all’intervento è pervenuta completa alla Soprintendenza in data 9 luglio 2001.
In secondo luogo, risulta meramente presuntiva l’affermazione dell’appellante, secondo la quale, dalla tempistica dell’invio e del ricevimento degli atti, dovrebbe desumersi che l’organo statale avrebbe inoltrato al Comune una richiesta di integrazione documentale.
Il Collegio ritiene dunque che non vi siano i presupposti per disporre approfondimenti istruttori.
3.2. Va respinto, poiché infondato, anche il secondo motivo di ricorso, basato sulla dedotta violazione dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990, e riassunto sopra al p. 2.2).
In primo luogo, vanno richiamati i principi enunciati dalla sentenza n. 9 del 2001 dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, la quale ha evidenziato che la disciplina allora vigente già prevedeva un procedimento diviso in fasi, attivato su iniziativa e su interesse del privato richiedente (che, con la propria diligenza, avrebbe quindi potuto porre all’attenzione dell’organo statale elementi ulteriori, rispetto a quelli esposti nella propria istanza).
In secondo luogo, va osservato che l’art. 21 – octies della l. n. 241 del 1990 costituisce effettivamente una disposizione di carattere processuale, applicabile anche in relazione ai procedimenti già definiti alla data di entrata in vigore della l. n. 15 del 2005 (ex multis, Cons. Stato, n. 3048 del 2013).
E che il contenuto del provvedimento statale impugnato non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto emanato, lo si ricava dalla analisi del provvedimento statale impugnato, oltre che dalla motivazione con la quale il TAR ha respinto il terzo motivo di ricorso – invero, cruciale -, imperniato sulle ragioni poste a base del provvedimento statale di annullamento.
In definitiva, quand’anche vi fosse stata una comunicazione formale di avvio del procedimento concluso con il decreto statale, la Soprintendenza non avrebbe potuto emanare un provvedimento dal contenuto diverso, sicché legittimamente essa ha constatato la violazione della legge, commessa dal Comune.
Va dunque escluso che la violazione della regola procedimentale suindicata possa assurgere a vizio idoneo ad annullare il decreto impugnato in primo grado.
3.3. Anche il terzo motivo, sintetizzato sopra al p. 2.3), e basato, essenzialmente, su profili di violazione del principio di uguaglianza e di eccesso di potere per disparità di trattamento, non può trovare accoglimento.
E’ decisivo considerare che il provvedimento impugnato statale in primo grado ha senz’altro natura vincolata, visto il chiaro disposto della disciplina vincolistica, in relazione cioè all’assoggettamento dell’area a un vincolo di inedificabilità assoluta (così, la sentenza impugnata).
Al riguardo, osserva il Collegio che tale vincolo si desume dal decreto ministeriale 21 settembre 1984 (i cui effetti sono stati “salvaguardata” dall’art. 1 quinquies della legge n. 431 del 1985) e non è stato oggetto di contestazione nel corso del giudizio.
Il Comune prima e la Soprintendenza poi avevano il dovere di emanare atti basati sulla constatazione del vincolo di inedificabilità assoluta.
Quanto alla dedotta disparità di trattamento e alla “compromissione” dell’area in questione, ritiene la Sezione che l’appellante abbia chiesto che si attribuisca rilevanza a circostanze che – anche se sussistenti in fatto – non avrebbero alcuna rilevanza giuridica.
Anche quando si tratti di aree sottoposte a vincolo relativo, non è prospettabile il profilo della disparità di trattamento, poiché il giudizio concreto di compatibilità paesaggistica è normalmente non comparabile con altri concreti giudizi già operati, quand’anche nelle immediate vicinanze (Cons. Stato, sez. VI, 11 settembre 2013 n. 4497): anche se è stata consentita in altri casi la modifica dello stato dei luoghi o la sanatoria di quanto realizzato, le Autorità preposte alla tutela del vincolo devono verificare se la realizzazione o il mantenimento delle opere incida negativamente nel contesto paesaggistico.
Quando poi si tratti di aree sottoposte a vincolo assoluto di immodificabilità, il destinatario di un provvedimento sfavorevole (ma doveroso per legge) non può invocare, come sintomo di eccesso di potere per disparità di trattamento, il provvedimento più favorevole illegittimamente emanato in favore di un terzo che si trovi in una situazione analoga (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2548).
Senza considerare che, dalla lettura del decreto impugnato in primo grado, si ricava che la zona sulla quale è stato compiuto l’abuso risulta ancora parzialmente integra sul piano ambientale.
4. In conclusione, l’appello va respinto e la sentenza impugnata va confermata.
Tenuto anche conto dell’impegno difensivo delle parti, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma secondo, c. p. c., sussistono ragioni per disporre la compensazione integrale delle spese del secondo grado di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente decidendo sull’appello n. 5335 del 2012, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Spese compensate del secondo grado del giudizio.
Dispone che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 31 maggio 2018, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere, Estensore
Francesco Mele – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
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