Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 10 novembre 2017, n. 5180. Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo

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In epoca successiva alla suddetta data sono stati effettuati ulteriori controlli (cfr. relazione tecnica sopra citata ed atti ad essa allegati), che hanno fatto emergere ulteriori significative modifiche dello stato dei luoghi e, segnatamente, gli ampliamenti in questione (sicchè)
una piana lettura della sequenza cronologica degli stadi evolutivi dell’opera induce a dubitare dell’affermata coincidenza delle opere in contestazione con quelle denunciate nelle mentovate istanze di condono, risultando il programma edificatorio coltivato e portato a compimento per effetto di lavori eseguiti in epoca successiva a quella di presentazione delle suddette istanze…”, e ciò in un contesto in cui grava sul privato ricorrente, ai sensi dell’art. 64, comma 1, del c.p.a., comprovare la corrispondenza tra le opere sanzionate e quelle che hanno formato oggetto delle istanze di condono.
In particolare, in base agli atti e ai documenti di causa è ragionevole ritenere che la domanda di condono prot. n. 6604/1995 abbia a oggetto soltanto il manufatto di mq. 47 circa oggetto dell’accertamento tecnico dell’1.2.1994, dell’8.2.1995 e del 27.11.1998, ampliato e completato nel corso degli anni; mentre la domanda di condono prot. n. 7186/1995 ha a oggetto esclusivamente la sistemazione del porticato esterno e la realizzazione di un deposito di mq. 9,70.
Stando agli atti, il manufatto di 22 mq. e quello di 14 mq. oggetto dell’ordinanza di demolizione n. 37 del 2011 non risultano avere formato oggetto di istanza di condono e sono da considerarsi, pertanto, puramente e semplicemente abusivi.
Non sembra inutile soggiungere che l’argomento secondo cui sulle due istanze di condono del 28.2.1995 si sarebbe formato il silenzio assenso è irrilevante e comunque errato.
Irrilevante, poiché va confermato che le istanze riguardano altri e diversi abusi realizzati dall’appellante sull’area, e non quelli sanzionati con l’ordinanza n. 37/2001 i quali ultimi, come rileva correttamente la difesa civica, sono privi di qualsivoglia “copertura”.
Errato poi perché nessun assenso può formarsi in modo tacito su istanze di condono in presenza di una disciplina vincolistica che esige, in quanto tale, l’espressione del parere della Soprintendenza ai sensi dell’art. 32 della l. n. 32 del 1985. Per giurisprudenza pacifica, infatti, il termine di 24 mesi di cui all’art. 35, comma 18, della legge n. 47/1985, nel caso in cui sia richiesta l’acquisizione del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesistico, decorre soltanto, ai sensi del successivo comma 19, dall’emanazione del parere stesso (v., “ex multis”, Cons. Stato, sez. IV, n. 5366 del 2016).
Sui restanti motivi di appello il Collegio osserva quanto segue.
In primo luogo, è corretta la qualificazione delle opere edilizie, realizzate su area assoggettata a vincolo paesaggistico, e della cui demolizione si tratta, come nuove costruzioni, e non come interventi pertinenziali.
Si tratta, come rilevato in sentenza, e come si desume dagli atti e dal preambolo dell’ordinanza di demolizione n. 37 del 2011, di un ampliamento di 22 mq. al piano superiore e della realizzazione, al piano inferiore del fabbricato, di un locale adibito a deposito di 14 mq..
Vengono in considerazione opere edilizie che, per consistenza e tipologia, hanno comportato una trasformazione del territorio e del suolo tutt’altro che irrilevante e che in modo corretto sono state fatte ricadere nella categoria di interventi che richiedono il permesso di costruire ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001.
In particolare, non può trovare accoglimento la deduzione per cui verrebbero in rilievo opere di natura pertinenziale.
In proposito, più volte questo Consiglio di Stato ha rimarcato come occorra il titolo edilizio per la realizzazione di nuovi manufatti, quand’anche sotto il profilo civilistico essi si possano qualificare come pertinenze.
La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto a opere di modesta entità e accessorie rispetto a un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici “et similia”, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 694 del 2017, n. 19 del 2016, n. 3952 del 2014; Sez. V, n. 817; del 2013; Sez. IV, n. 615 del 2012).
Più in dettaglio, l’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che occorre il permesso di costruire soltanto per gli interventi pertinenziali “che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale”.
La giurisprudenza di questo Consiglio è costante nel ritenere che, a differenza della nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul “carico urbanistico” mediante la creazione di un “nuovo volume” (Cons. Stato, Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615, cit.).
Nell’ordinamento statale, infatti, vige il principio generale per il quale occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente), quando si tratti di un “manufatto edilizio” (cfr. Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952): salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opere, come ad es. una tettoia, che ne alteri la sagoma.
Nella specie, a parte che non risulta comprovata la sussistenza del contenimento dell’ampliamento e del locale entro il limite del 20 % del volume dell’edificio principale assentito con la licenza edilizia del 1962, il carattere pertinenziale delle opere è escluso proprio in ragione del fatto che si tratta di un ampliamento e di un nuovo locale, che fanno corpo con un fabbricato preesistente, di per sé già in parte abusivo e oggetto di istanze di condono.

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