Non e’ sufficiente il mero decorso del termine fissato in sentenza per provvedere affinche’ l’amministrazione perda il relativo potere

Consiglio di Stato, sezione quinta,Sentenza 5 giugno 2018, n. 3378.

La massima estrapolata:

Non e’ sufficiente il mero decorso del termine fissato in sentenza per provvedere affinche’ l’amministrazione perda il relativo potere, rimanendone invece titolare fintantoche’ il commissario ad acta non si sia insediato, in quanto soltanto all’atto del suo insediamento si verifica un definitivo trasferimento di poteri, rimanendo precluso all’amministrazione ogni margine di ulteriore intervento, con conseguente nullita’ degli atti da essa compiuti oltre la suddetta data

Sentenza 5 giugno 2018, n. 3378

Data udienza 25 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA NON DEFINITIVA
sul ricorso numero di registro generale 8768 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Mi. Cu., rappresentato e difeso dagli avvocati Fe. Eu. Lo., Fa. Ci., con domicilio eletto presso lo studio Fa. Ci. in Roma, via (…);
contro
Regione Puglia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Pi. Ba., Ro. La., con domicilio eletto presso lo studio Al. Pl. in Roma, via (…);
Consiglio Regionale della Regione Puglia non costituito in giudizio;
nei confronti
Studio Va. Pr. in proprio e quale Mandataria Rti ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Er. St. Da., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);
De. Co. S.p.A. in proprio e quale Mandataria Ati ed altri, non costituiti in giudizio;
per l’ottemperanza della sentenza del CONSIGLIO DI STATO – SEZ. V n. 02237/2015, resa tra le parti, concernente il silenzio serbato dall’amministrazione su istanza di annullamento della gara per la progettazione della sede del Consiglio della Regione Puglia.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Puglia e di Studio Va. Pr. in proprio e quale Mandataria Rti e di Rti – Pr. Sa. Pr. Sa. S.r.l. e in Proprio e di Rti – St. Te. Sy. La. S.r.l. e di Arch. Va. Gi. e di Arch. Va. To. e di Arch. Va. Gi. e di Arch. Va. Ce. e di Arch. Va. Gi. e di Arch. Va. Ma. Ca. e di Arch. Va. Em. e di Arch. Va. Si. e di Mi. Ar. As.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2018 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Fe. Eu. Lo., Fa. Ci., Pi. Ba., Ro. La., Ug. De Lu. in dichiarata delega dell’avvocato Er. St. Da.;
Visto l’art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La vicenda oggetto del presente giudizio di ottemperanza trae origine dalle istanze rivolte alla Regione Puglia, dall’attuale ricorrente, ing. Mi. Cu., di verifica in autotutela di tutti gli atti relativi alla gara indetta nel dicembre 2002 per la progettazione preliminare della nuova sede del Consiglio regionale, a seguito di accertamento in sede penale di reati commessi da componenti della commissione giudicatrice, incidenti sull’esito della gara.
A causa del silenzio serbato dall’amministrazione, l’ing. Cu. ha adito il giudice amministrativo perché accertasse l’obbligo della Regione di provvedere e la condannasse ad adottare gli atti di autotutela.
Il ricorso, respinto in primo grado, è stato accolto con la sentenza di questo Consiglio di Stato n. 2237 del 4 maggio 2015, dichiarando l’obbligo della Regione Puglia di pronunciarsi sulle istanze formulate dall’appellante in sede amministrativa.
1.1.Con ricorso per ottemperanza del 19 ottobre 2015, preceduto da note stragiudiziali del 13 giugno e del 14 luglio 2015 rimaste senza esito, l’ing. Cu. ha proposto giudizio per l’ottemperanza a detta sentenza.
Nelle more della fissazione della camera di consiglio, la Regione Puglia ha adottato la delibera di Giunta n. 147 del 23 febbraio 2016, con la quale, in dichiarata esecuzione del giudicato, ha deciso di conservare gli atti della procedura conclusasi con l’aggiudicazione in favore del raggruppamento costituito dallo Studio Va. Pr., Pr. Pr. Sa. Srl, Società Sy. La. In. e Ar. As. Srl, Mi. Ar. e As., nonché tutti gli atti successivi relativi alla realizzazione dell’opera.
Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 22 aprile 2016, in seno al giudizio di ottemperanza, l’ing. Cu. ha impugnato tale ultima deliberazione, chiedendone la declaratoria di nullità, per violazione e/o elusione del giudicato.
Con sentenza 12 gennaio 2017, n. 51, questa Sezione, accogliendo il ricorso principale ed i motivi aggiunti, ha dichiarato nulla, per elusione del giudicato, la delibera di Giunta Regionale n. 147 del 23 febbraio 2016, “con conseguente obbligo dell’Amministrazione regionale di pronunciarsi entro 30 giorni dalla comunicazione o notificazione, se precedente, della presente decisione per dare piena e completa ottemperanza alla sentenza n. 2237 del 2015 di questa sezione”; ha contestualmente nominato, quale commissario ad acta, il Prefetto di Bari, in caso di ulteriore persistente inottemperanza; ha condannato la Regione Puglia e i controinteressati in solido al pagamento delle spese della fase esecutiva.
2. A seguito di tale decisione, la Regione Puglia, con nota del 24 gennaio 2017, ha comunicato l’avvio del procedimento per ottemperare alle sentenze del Consiglio di Stato n. 2237/2015 e n. 51/2017 e con delibera di Giunta n. 143 del 7 febbraio 2017 ha deliberato di respingere le istanze dell’ing. Cu..
2.1. Avendo la Regione riscontrato che quest’ultimo non aveva ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento (per un errore di trasmissione), con nota del 21 febbraio 2017, ha comunicato l’avvio di un secondo procedimento per l’annullamento della DGR n. 143 del 7 febbraio 2017 e la ri-adozione di un provvedimento di ottemperanza alle dette sentenze.
Decorso il termine assegnato agli interessati per presentare osservazioni, la Regione ha emanato una nuova delibera di Giunta in data 21 marzo 2017, n. 365, con la quale ha deciso di respingere le istanze dell’ing. Cu. per la medesima motivazione posta a base della delibera n. 143/2017, interamente richiamata e confermata.
3. Con ricorso per incidente di esecuzione notificato il 13 giugno 2017, da valere, se del caso, come ricorso ordinario, l’ing. Mi. Cu. ha agito “per la piena e corretta esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 2237 del 4 maggio 2015, nei termini e secondo le modalità stabilite nella sentenza della V sezione del Consiglio di Stato n. 51/2017”, nonché “per la declaratoria di nullità, ovvero, in subordine, per l’annullamento della delibera di Giunta Regionale n. 365 del 21.3.2017 […] nonché della precedente delibera di Giunta Regionale n. 143 del 7.2.2017 […]”.
Il ricorso è basato su quattro motivi e contiene anche domanda di risarcimento del danno per inottemperanza al giudicato.
3.1. La Regione Puglia ed i controinteressati Studio Va. Pr., Pr. Pr. Sa. Srl, Società Sy. La. In. e Ar. As. Srl, Mi. Ar. As. si sono costituiti per resistere al gravame ed hanno depositato memorie difensive.
Il ricorrente ha depositato memoria di replica.
All’esito della camera di consiglio del 25 gennaio 2018 è stata riservata la decisione.
4. Col primo motivo è dedotta la violazione del termine di trenta giorni assegnato per l’ottemperanza dalla sentenza n. 51/2017, in quanto, non potendo essere presa in considerazione la prima delibera adottata il 7 febbraio 2017 (non preceduta da regolare comunicazione di avvio del procedimento), la seconda delibera, adottata il 21 marzo 2017, è intervenuta oltre il termine, che era scaduto l’11 febbraio 2017.
Ad avviso del ricorrente, poiché il valido ed efficace esercizio del potere di ottemperanza è riconducibile soltanto alla seconda delibera, questa sarebbe nulla perché adottata in carenza di potere, in quanto trasferitosi automaticamente in capo al commissario ad acta, nominato con la sentenza n. 51/2017.
4.1. Il motivo è infondato.
L’orientamento giurisprudenziale espresso dalla sentenza del TAR Catania, 4 ottobre 2007, n. 1560 (secondo cui all’inutile scadenza del termine assegnato per l’adempimento, l’amministrazione non dispone più del potere di provvedere), citata nel ricorso, è superato dal più recente e consolidato indirizzo giurisprudenziale, richiamato dalle parti resistenti e condiviso dal Collegio. Si è infatti affermato che non è sufficiente il mero decorso del termine fissato in sentenza per provvedere affinché l’amministrazione perda il relativo potere, rimanendone invece titolare fintantoché il commissario ad acta non si sia insediato, in quanto soltanto all’atto del suo insediamento si verifica un definitivo trasferimento di poteri, rimanendo precluso all’amministrazione ogni margine di ulteriore intervento, con conseguente nullità degli atti da essa compiuti oltre la suddetta data (cfr. Cons. Stato, IV, 1 dicembre 2014, n. 5912; id. 3 novembre 2015, n. 5014, nonché, tra le altre, di recente TAR Molise, I, 22 marzo 2017, n. 104, anche per la citazione di precedenti conformi).
Nel caso di specie, il commissario ad acta, nominato con la sentenza, nonché col provvedimento di delega adottato dal Prefetto di Bari in data 18 gennaio 2017 (quando ancora non era scaduto il termine per l’adozione dei provvedimenti da parte dell’amministrazione regionale), non si è insediato; quindi, la delibera della Giunta regionale n. 365/2017, seppur tardivamente emanata rispetto alla scadenza del termine stabilito con la sentenza n. 51/2017, è stata adottata quando ancora l’amministrazione si trovava nella titolarità del potere di provvedere.
Il primo motivo di ricorso va respinto.
5. Col secondo motivo (Nullità per violazione e/o elusione dell’ordine del giudice. Inosservanza del precetto di cui alla sentenza n. 2237/2015 anche alla luce di quanto statuito dalla successiva sentenza n. 51/2017. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, illogicità manifesta), il ricorrente sostiene che la deliberazione n. 365/2017 sarebbe elusiva del giudicato non avendo l’amministrazione ottemperato all’obbligo, imposto con la sentenza n. 2237/2015 e ribadito con la sentenza n. 51/2017, di valutare e ponderare, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, la gravità dei fatti accertati in sede penale. Tale assunto si basa sulle seguente considerazioni:
– dalle motivazioni di cui alla pagina 4 del provvedimento (trascritta nel ricorso), emergerebbe che la Regione non ha valutato la gravità dei fatti accertati in sede penale, ma “ha, surrettiziamente, sostituito a tale valutazione, quella della portata e degli effetti della sentenza della Cassazione penale”, con argomenti che sarebbero stati già dedotti nel giudizio definito con la sentenza n. 2237/2015;
– al di fuori dell’oggetto della valutazione imposta dalle sentenze sarebbe anche l’affermazione, contenuta nella delibera, secondo cui “i rilievi penali della vicenda” sarebbero stati valutati dall’amministrazione con la DGR n. 1623/2011, poiché quest’ultima riguardava la decisione della Regione di non costituirsi parte civile nel giudizio di cassazione e non avrebbe nulla a che vedere con la valutazione dei fatti successivamente e definitivamente accertati come reati in sede penale;
– la Regione avrebbe omesso di ponderare tutti gli interessi ritenuti rilevanti (avanzato stadio di realizzazione dell’opera, risparmio di ingenti risorse pubbliche …) con il contrapposto interesse pubblico ad annullare un’attività amministrativa, frutto di gravi reati.
5.1. Col terzo motivo (Nullità per violazione e/o elusione dell’ordine del Giudice. Violazione di legge. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti, ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria), il ricorrente sostiene che la Regione, più che una comparazione dei contrapposti interessi pubblici, ha effettuato una valutazione degli effetti negativi a cui avrebbe portato la riedizione del procedimento e rispetto ai quali avrebbe ritenuto recessivo l’interesse privato dell’ing. Cu.. Per di più, ad avviso del ricorrente, gli effetti negativi considerati dalla Regione sarebbero stati soltanto i pregiudizi economici, per via degli oneri già sopportati e da sopportare nel caso di rinunzia totale al progetto ed all’opera conformata sulla base dello stesso, omettendo così di considerare l’interesse della comunità regionale “ad ottenere un’opera che risponda pienamente alle “esigenze” espressamente indicate nelle “Linee Guida”, costituenti parte integrante del bando di gara”, malgrado tale interesse fosse stato fatto valere dalla stessa Regione già nel corso del giudizio penale di primo grado.
6. I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono infondati.
Giova premettere che l’ing. Cu., partecipante alla gara ed, a seguito del giudicato formatosi con la sentenza di questo Consiglio di Stato n. 458/2007, collocatosi al secondo posto in graduatoria, ha chiesto alla Regione Puglia, con istanze del 7 febbraio 2013 e del 16 marzo 2013, avanzate dopo l’emissione della sentenza della Corte di Cassazione, sezione V penale, 7 febbraio 2013, n. 6240, di esercitare l’autotutela in riferimento agli atti della gara indetta per la progettazione preliminare della nuova sede del Consiglio regionale ed agli atti successivi per la realizzazione dell’opera, previa interruzione dei lavori.
6.1. La sentenza di questa Sezione, n. 2237 del 4 maggio 2015, di accoglimento del ricorso avverso il silenzio serbato dall’amministrazione sulle istanze di cui sopra, contiene, tra le altre, le seguente statuizioni rilevanti per la fase esecutiva esitata nel giudizio di ottemperanza:
– “[…] sussisteva e sussiste effettivamente l’obbligo dell’amministrazione regionale di provvedere espressamente sulle diffide inoltrate dall’odierno appellante in ordine all’esercizio o meno del potere di autotutela nei confronti degli atti della procedura di selezione del progetto preliminare per la realizzazione della nuova sede del Consiglio regionale della Puglia e della successiva gara per l’appalto dei relativi lavori”;
– “[…] in ragione della sua natura e per il principio di completa autonomia delle giurisdizioni, il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione non consente di attribuirle un’efficacia decisiva, tale da vincolare di per sé gli organi della Regione Puglia ad annullare gli atti della gara riguardante la procedura concorsuale di selezione della progettazione preliminare per la realizzazione della nuova sede del Consiglio regionale, e gli atti conseguenti”; tuttavia, l’amministrazione non può disinteressarsi delle statuizioni del giudice penale, come se non esistessero;
– si deve affermare che “l’accertata sussistenza (ai fini degli effetti civili) dei fatti contestati in sede penale e della loro ascrivibilità agli imputati non determina la “nullità ex post” degli atti del procedimento di gara di selezione del progetto preliminare” e che “la Regione non è vincolata ad emanare provvedimenti di rimozione degli atti risultati illegittimi, in conseguenza delle condotte contra legem dei componenti la commissione giudicatrice”;
– peraltro, si tratta di condotte “obiettivamente incidenti sulla genuinità degli esiti della gara”, caratterizzate da intrinseca gravità e da perdurante offensività anche in riferimento all’interesse pubblico al rispetto dei principi costituzionali cui si deve conformare l’azione amministrativa;
– “la perdurante attualità della lesione arrecata agli interessi pubblici è palesata dal fatto che – da quanto risulta dagli atti ed è stato dedotto dalle parti – dopo la conclusione della gara e l’emanazione di ulteriori provvedimenti non vi è stata la realizzazione delle opere cui la gara stessa era finalizzata, con la conseguenza che in sede amministrativa può ancora esservi una compiuta valutazione su quale sia il progetto effettivamente migliore e sul se gli atti amministrativi, risultati illegittimi, siano meritevoli di conservazione, in ragione degli interessi pubblici da perseguire”.
6.2. All’esito del giudizio di ottemperanza introdotto nella perdurante inerzia della p.a. e proseguito con la notificazione di atto di motivi aggiunti per la declaratoria di nullità della deliberazione n. 147 del 23 febbraio 2016, frattanto adottata dalla Giunta regionale, è intervenuta la sentenza di questa Sezione, n. 51 del 12 gennaio 2017. Questa decisione, nel dichiarare detto provvedimento nullo ex art. 21 septies della legge n. 241 del 1990, in quanto emesso in elusione del giudicato derivante dalla sentenza n. 2237/15, ha dettato le seguenti ulteriori direttive per le determinazioni da adottarsi da parte dell’ente territoriale, pur riconoscendo che il potere discrezionale dell’amministrazione non è stato in alcun modo vincolato da tale sentenza:
– occorre adeguata valutazione dei “rilievi penalistici della vicenda su cui si è soffermata la sentenza ottemperanda”, dovendo ritenersi elusivo il provvedimento di esecuzione che pone a suo esclusivo fondamento “mere considerazioni economiche”;
– nell’ambito del giudizio di comparazione degli opposti interessi non è legittima la presa d’atto della “mera circostanza dell’avvenuto avanzamento dei lavori […] invece che giustificare l’eventuale prosecuzione dell’esecuzione dei lavori sulla base di interessi oggettivamente ed indiscutibilmente pubblici, come tali riferibili all’interesse della comunità regionale” e non soltanto dell’ente Regione;
– la valutazione degli interessi coinvolti non può risolversi nel mero confronto tra l’interesse pubblico (della comunità regionale) e l’interesse privato, identificato con quello del progettista discriminato, ma deve tenere conto degli altri interessi pubblici compromessi nel caso di specie, e precisamente: “un interesse pubblico riferibile alla generalità dei consociati al corretto svolgimento della procedura, in termini di liceità formale e sostanziale […]; e un interesse pubblico alla tutela della concorrenza […]”.
7. Nel dare ottemperanza alla prima sentenza, secondo le indicazioni fornite dalla seconda, la Regione Puglia ha adottato la deliberazione di Giunta n. 365 del 21 marzo 2017, di integrale conferma della deliberazione n. 143 del 7 febbraio 2017, dando atto delle osservazioni dell’ing. Mi. Cu. acquisite al protocollo regionale in ingresso n. 5128 del 2 marzo 2017.
Si ritiene che il dispositivo di rigetto delle istanze di annullamento in autotutela sia basato su argomentazioni rispettose delle indicazioni contenute nella sentenza n. 2237/2015 sopra riportata e non elusive né del giudicato derivante da tale sentenza né delle modalità di ottemperanza dettate dalla sentenza n. 51/2017, in ragione di quanto appresso.
7.1. La delibera è interamente fondata sul presupposto dell’illegittimità della procedura seguita per l’aggiudicazione della gara in favore del raggruppamento Pro.Sal.
Considerato il giudicato amministrativo con il quale era stato definitivamente respinto il ricorso dell’ing. Cu. per l’annullamento degli atti di gara, la presa d’atto dell’illegittimità di questi ultimi da parte della stessa amministrazione aggiudicatrice è conseguenza sia dell’accertamento dei fatti a rilevanza penale -già emersi nella loro materialità (in particolare, quanto alla preventiva visione collegiale di tutti i progetti ed alla mancata esecuzione del confronto a coppie da parte dei commissari) nei gradi di merito del giudizio penale (cui è riferita la deliberazione n. 1623/2011 ed il cui richiamo nelle delibere qui impugnate è perciò pertinente)- sia della loro definitiva qualificazione come reati (falso materiale e ideologico in atto pubblico e turbativa d’asta), anche sotto il profilo soggettivo -risultante dalla motivazione della sentenza della Cassazione penale n. 6240/2013.
Premesso che la delibera impugnata dà conto sia dei fatti accertati che dell’esito del giudizio penale, così come della motivazione della sentenza predetta (in gran parte riportata nel provvedimento), la (ulteriore o diversa) valutazione della “gravità dei fatti accertati in sede penale” che il ricorrente invoca, sulla scorta della corrispondente statuizione della sentenza n. 51/2017, non può rilevare in sé e per sé, se non a rischio di tradursi -come nota la difesa della Regione Puglia- in un mero formale rinvio ai fatti incidenti sulla regolarità della gara. Piuttosto, la valutazione della gravità dei fatti accertati in sede penale (o, se si vuole, dei rilievi penalistici della vicenda) rileva, ai fini dell’ottemperanza della sentenza sull’obbligo di provvedere, in relazione alle determinazioni che, in ragione di detti gravi fatti penali, la Regione avrebbe dovuto assumere, e in thesi non ha assunto.
Posto che nemmeno il ricorrente ha chiarito -nel presente incidente di esecuzione- quali avrebbero dovuto essere, a suo avviso, le conseguenze che l’amministrazione avrebbe dovuto trarre ottemperando all'< /> la gravità dei fatti accertati in sede penale, se non l’annullamento tout court di tutti gli atti, e quali percorsi e modalità procedurali avrebbe dovuto seguire per pervenire a tale radicale esito, lo scrutinio dell’operato degli organi deliberativi regionali non può che prendere le mosse dalla constatazione che già la sentenza n. 2237/15 ha escluso sia la nullità degli atti di gara che l’obbligo della Regione Puglia di annullarli, soltanto per il vizio conseguente all’essere avvenuta l’aggiudicazione per effetto di condotte costituenti reato, e che la stessa sentenza contestualmente non ha in alcun modo vincolato il potere discrezionale dell’amministrazione, come ribadito anche con la sentenza n. 51/2017.
Va altresì evidenziato che la sentenza della cui ottemperanza si tratta -decidendo nel presupposto di fatto (ancora contestato e sul quale si tornerà) che, quanto meno alla data della decisione, non vi fosse ancora stata “la realizzazione delle opere cui la gara stessa era finalizzata”- aveva sollecitato la Regione Puglia ad una “compiuta valutazione su quale sia il progetto effettivamente migliore e sul se gli atti amministrativi, risultati illegittimi, siano meritevoli di conservazione, in ragione degli interessi pubblici da perseguire”.
Ne consegue che in tanto la valutazione della gravità dei fatti penali rileva in quanto sia considerata, in tutta la sua portata, al fine dell’individuazione di tali interessi pubblici e del bilanciamento con gli altri interessi contrapposti o coinvolti nella vicenda.
Come è evidenziato negli scritti delle parti resistenti, proprio siffatta considerazione sta a fondamento dell’iter motivazionale della delibera n. 365/2017.
7.2. Questa, non solo non trascura la gravità dei reati ascritti ai commissari di gara, ma, oltre a considerarli come definitivamente accertati, nemmeno prescinde da un fatto che, in sé, pur avrebbe meritato di essere oggetto di ulteriore verifica (per come palesato dal passaggio della sentenza n. 2237/15 su citato, laddove allude alla riconsiderazione di quale “sia il progetto effettivamente migliore”): la motivazione della delibera mantiene infatti intatta tutta la sua coerenza anche assumendo come dato di partenza che l’aggiudicazione, proprio perché conseguenza di gravi illeciti penali, non abbia raggiunto lo scopo di veder approvato e realizzato il progetto migliore e più rispondente alle esigenze della stazione appaltante, che si sarebbero dovute perseguire mediante il rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento che avrebbero dovuto improntare lo svolgimento della gara.
In sintesi, l’amministrazione -rinunciando a rivalutare, sia pure in via di mera simulazione, “ora per allora”, gli esiti della gara- ha sostanzialmente finito per inserire nella valutazione degli interessi coinvolti, non solo la compromissione dell’interesse pubblico alla liceità formale e sostanziale della gara ed alla tutela della concorrenza, ma anche la detta eventualità (essere cioè il progetto prescelto, in tutto o in parte, inadeguato, qualitativamente od economicamente), vale a dire la peggiore delle conseguenze possibili, in concreto, che avrebbe potuto trarre dall’essere l’aggiudicazione illegittima perché conseguita non solo in violazione di detti principi, ma addirittura violando la legge penale.
8. Pertanto, al fine di decidere sulla nullità per elusione del giudicato della delibera n. 365 del 21 marzo 2017 risulta determinante esaminare quali interessi pubblici la Giunta Regionale abbia contrapposto agli elementi di fatto di cui sopra e con quali criteri ne abbia attuato il confronto ed il bilanciamento, onde pervenire alla decisione di conservare gli atti amministrativi illegittimi.
Sostiene il ricorrente, nella parte finale del secondo motivo, che la Regione avrebbe omesso di ponderare tutti gli interessi ritenuti rilevanti (avanzato stadio di realizzazione dell’opera, risparmio di ingenti risorse pubbliche […]) con il contrapposto interesse pubblico ad annullare un’attività amministrativa, frutto di gravi reati; aggiunge, col terzo motivo, che la Regione non avrebbe nemmeno effettuato una comparazione di contrapposti interessi, ma si sarebbe limitata a valutare gli effetti di un’eventuale riedizione del procedimento.
8.1. Nessuna delle due censure coglie nel segno.
Quanto alla prima, si è già detto che l’intero provvedimento si basa sul riconoscimento della sussistenza e della gravità dei reati e, per ciò soltanto, inserisce, nella ponderazione dei contrapposti interessi, non solo il dato di fatto dell’esito viziato della gara (da cui prende le mosse), ma inevitabilmente il correlato interesse pubblico al ripristino della legalità violata e quello -sottolineato nella sentenza n. 2237/15- al rispetto dei principi costituzionali cui si deve conformare l’azione amministrativa, non essendo necessario allo scopo il richiamo formale di siffatti interessi -non contenuto nella delibera- ma essendo sufficiente la loro evidente ineludibile considerazione. Questa, d’altronde, non si sarebbe potuta fermare alla mera constatazione che la gara era stata falsata dai reati, ma necessariamente avrebbe dovuto scrutinare -così come è stato fatto dalla Regione- gli effetti del suo annullamento (e dell’annullamento di tutti gli atti successivi consequenziali), essendo questo l’unico strumento utilizzabile ex post per tutelare appieno gli interessi pubblici, intesi come interessi della generalità dei consociati, individuati nella sentenza n. 51/2017 (al corretto svolgimento della procedura ed alla tutela della concorrenza).
Ancora, venendo adottata le delibere nei mesi di febbraio e marzo 2017, anche a voler soprassedere sulle fasi intermedie di esecuzione dei lavori (sulle quali si tornerà), la Regione non avrebbe potuto non tenere conto dell’oramai avanzata realizzazione dell’opera, della quale è fatta menzione sia nei “considerato” (c) ed (e), quanto al passato, sia nel “considerato” (f), quanto all’attualità (dato che vi si dice che l’unica sede del Consiglio regionale è “ormai quasi ultimata”).
Si tratta, infatti, di dato di fatto logicamente imprescindibile per il corretto bilanciamento degli interessi pubblici coinvolti e quindi per il corretto esercizio della discrezionalità amministrativa, come d’altronde risulta anche dalle sopra richiamate argomentazioni della sentenza n. 2237/2015, che -non rileva qui se in termini esattamente corrispondenti allo stato di fatto dell’epoca- comunque dello stadio, più o meno avanzato, dei lavori di costruzione si sono fatte carico.
8.2. Quanto ai criteri di valutazione degli interessi contrapposti, non risulta fondata la censura del ricorrente che questi ultimi sarebbero stati declinati soltanto in termini di mero pregiudizio economico derivante dall’eventuale riedizione del procedimento.
Infatti, alla considerazione dei pregiudizi di ordine economico già contenuta nella delibera n. 147 del 23 febbraio 2016, annullata perciò con la sentenza n. 51/2017, la successiva delibera n. 365 del 2017 (riprendendo la precedente n. 143/2017) aggiunge la considerazione degli interessi della Regione e della comunità regionale a poter beneficiare in tempi brevi dell’opera pubblica, usufruendo di un’unica sede da destinare a tutti gli uffici del Consiglio regionale e delle strutture dipendenti dal Consiglio, a fronte del rischio, non solo di un lungo differimento per i tempi necessari all’abbattimento ed alla ricostruzione dell’opera, ma addirittura dell’impossibilità di realizzare nel futuro una struttura analoga per la prevedibile carenza di risorse pubbliche.
Questi interessi -unitamente ad altri, esposti e valutati in specie nel “considerato” (f), cui è qui sufficiente fare rinvio- sono stati ritenuti prevalenti rispetto a quelli pubblici di tutela della concorrenza e di corretto svolgimento delle procedure, con valutazione discrezionale, nel merito non sindacabile in sede giurisdizionale, atteso che il giudicato della cui ottemperanza si tratta attiene all’obbligo di provvedere sulle istanza dell’ing. Cu., sostanzialmente volte alla riedizione della procedura di affidamento del progetto preliminare.
Giova precisare che siffatta conclusione non significa affatto, come sostiene la difesa del ricorrente, attribuire alle deliberazioni impugnate una motivazione che queste non contengono -così violando in radice uno dei principi cardine che governano il sindacato giurisdizionale dei provvedimenti amministrativi- ma significa trarre dall’articolata motivazione risultante dalla combinazione delle due deliberazioni tutte le implicazioni logicamente inevitabili, escludendo quelle altrettanto logicamente incompatibili. In particolare, la valutazione dei detti interessi pubblici -non espressamente menzionati, ma ben definiti nella sentenza n. 51/2017 invece espressamente richiamata- non è nient’affatto implicita o addirittura omessa, ma presupposta dal giudizio di prevalenza degli interessi pubblici che l’amministrazione ha ritenuto meritevoli di tutela a discapito degli altri parimenti rilevanti.
In sintesi, la Regione ha ritenuto preferibile -considerato il complesso degli interessi coinvolti, compresi quelli perseguiti già con l’indizione della gara del 19 dicembre 2002- tenere in piedi un edificio quasi ultimato, per la cui costruzione sono stati impiegati anni ed ingentissime risorse pubbliche, malgrado realizzato in conformità ad un progetto preliminare (più o meno adeguato, comunque) prescelto in esito ad una gara gravemente inficiata da fatti di reato, piuttosto che procedere all’annullamento degli atti di questa gara e di quelli successivi e quindi all’abbattimento dell’opera ed alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi. Si tratta di una scelta adottata nell’esercizio legittimo della discrezionalità amministrativa, oltre che pressoché obbligata, se non altro per ragioni di buon senso, quanto meno alla data della deliberazione impugnata.
8.3. Del tutto marginale, se non addirittura irrilevante, nell’adozione di quest’ultima è la mancata espressa considerazione dell'(asserito) interesse della comunità regionale ad ottenere un’opera che risponda pienamente alle “esigenze” espressamente indicate nelle “Linee Guida” costituenti parte integrante del bando di gara, su cui si insiste col terzo motivo, presupponendone la lesione.
Si tratta di un’eventualità che -oltre a non avere un riscontro oggettivo, non potendo certo essere tale l’affermazione contenuta negli scritti difensivi della Regione Puglia costituita parte civile nel processo penale-, anche ove positivamente riscontrata, è da reputarsi logicamente soccombente rispetto agli interessi che la Regione ha ritenuto prevalenti, per le ragioni desumibili dall’iter motivazionale sopra esaminato.
In conclusione i motivi secondo e terzo del ricorso vanno respinti.
9. Col quarto motivo (Nullità per violazione e/o elusione dell’ordine del Giudice. Violazione di legge. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti), il ricorrente sostiene che la deliberazione impugnata (indicata in ricorso col n. 143/2017, interamente riprodotta nella deliberazione n. 365/2017 e da questa confermata) conterrebbe affermazioni erronee “relative alla percentuale dei lavori e alla loro accelerazione”. Nell’illustrare il motivo, si sofferma, nell’ordine: sul “considerato (a)”, nella parte in cui fa riferimento allo stato dell’opera nel 2015; sulla nota della Sezione Lavori Pubblici prot. 27749 del 13 novembre 2015; sulla nota della stessa Sezione prot. 17190 del 23 aprile 2013; sul “considerato (f) della delibera, laddove afferma che, alla data della decisione del Consiglio di Stato n. 2247/2015, l’opera “… era già realizzata quasi per metà, come peraltro aveva già rilevato il TAR nella sentenza 1612/2013”; ancora, sul “considerato (a), nella parte in cui nega che, dopo la sentenza n. 2237/2015, vi sia stata un’accelerazione dei lavori ed afferma che l’ing. Cu. non avrebbe fornito la prova dei propri assunti; sullo stato di avanzamento dei lavori alla data del 18 dicembre 2012, quando venne depositato il dispositivo della sentenza della Cassazione n. 6240/2013.
9.1. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse, in riferimento alla domanda di ottemperanza alla sentenza n. 2237/15 e di dichiarazione di nullità per elusione del giudicato della deliberazione n. 365/2017 (e della deliberazione n. 143/2017 ivi riprodotta).
Le circostanze esposte possono rilevare, infatti, tutt’al più in riferimento alla domanda di risarcimento danni, di cui appresso, poiché volte a dimostrare che, tenuto conto dello stato dei lavori in ciascuno dei periodi di tempo presi in considerazione, la Regione Puglia avrebbe potuto diversamente determinarsi nel provvedere sulle istanze rivolte dall’ing. Cu..
Tuttavia, al fine di scrutinare la legittimità della deliberazione qui impugnata rileva che lo stato di fatto e dei lavori preso in considerazione dalla Giunta regionale non è, o meglio non è soltanto, quello (pur contestato) che era al momento della sentenza n. 2237/2015, bensì anche quello venutosi a determinare nei primi mesi del 2017, per come detto trattando del secondo e del terzo motivo. Giova precisare che l’affermazione contenuta nel “considerato (f)”, secondo cui alla data dell’ultima deliberazione, l’opera fosse “quasi ultimata”, non è specificamente contestata dal ricorrente.
Ne consegue che, anche valutando favorevolmente le argomentazioni esposte nel quarto motivo, circa l’andamento dei lavori a far data dalla consegna del 21 marzo 2012 e fino all’anno 2015, non si perverrebbe alla dichiarazione di nullità per elusione del giudicato delle delibere n. 143/2017 e n. 365/2017.
Se è vero, infatti, che le sopravvenienze di diritto e di fatto posteriori al giudicato non possono di norma incidere sull’assetto di interessi cui il giudicato ha posto capo, tuttavia qualora intervengano circostanze tali da rendere impossibile ciò che, alla data di presentazione del ricorso per ottemperanza si sarebbe potuto fare o non fare, queste circostanze non possono essere ignorate ai fini della concreta attuazione, ed attuabilità, del giudicato. Significativo riscontro normativo di siffatta conclusione si rinviene nella previsione dell’art. 112, comma terzo, cod. proc. amm., con il quale si è introdotta l’azione volta, appunto, al ristoro del danno derivante dall’impossibilità dell’esecuzione del giudicato o dalla sua violazione od elusione.
Le considerazioni che precedono sono vieppiù rilevanti in una situazione processuale come la presente, nella quale la sentenza da eseguire è stata emessa all’esito dell’accoglimento di un ricorso avverso il silenzio della p.a. sulla richiesta di autotutela, sicché la fattispecie si atteggia non tanto come impossibilità assoluta di provvedere da parte della p.a., quanto piuttosto come ineseguibilità di determinate modalità di ottemperanza al dictum del giudice che ha dichiarato illegittimo il silenzio serbato dall’amministrazione.
10. Il ricorrente, d’altronde, ha avanzato, in subordine, la domanda risarcitoria, sin col ricorso introduttivo del giudizio di ottemperanza e quindi col ricorso introduttivo del presente incidente esecutivo.
Ha chiesto, infatti, la condanna dell’amministrazione regionale al risarcimento del danno derivante dall’impossibilità totale o parziale di attuazione del giudicato; impossibilità, che attribuisce al comportamento omissivo ed elusivo della Regione.
La decisione su tale domanda risarcitoria necessita di istruttoria, essendo tuttora contestate tra le parti circostanze di fatto che vanno verificate.
In particolare, per decidere in merito all’an ed, eventualmente, al quantum della domanda di risarcimento del danno è necessario disporre, ai sensi degli artt. 19 e 66 Cod. proc. amm., una verificazione avente ad oggetto il progressivo avanzamento dei lavori di realizzazione dell’opera pubblica (in termini assoluti e percentuali, avuto riguardo all’importo contrattualizzato), a far data dal 7 febbraio 2013, quindi, via via, alla data del 4 maggio 2015, alla data del 23 febbraio 2016 e fino alla data del 21 marzo 2017, tenuto conto di quanto risultante dai documenti depositati nel presente giudizio, sia dall’ing. Cu., che dalla Regione Puglia, nonché di quanto risultante da ogni altro documento da fornirsi da parte dei competenti uffici della Regione Puglia.
Tale adempimento istruttorio va affidato, in qualità di verificatore, al Prefetto di Bari, con facoltà di delega.
11. In conclusione, con sentenza non definitiva vanno respinti i primi quattro motivi e, per l’effetto, vanno respinte le domande di cui ai capi a) e b) del ricorso per incidente di esecuzione notificato il 13 giugno 2017.
Si provvede, invece, ad istruire la domanda risarcitoria, come sopra specificato, riservando alla sentenza definitiva la decisione su questa domanda e sulle spese processuali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta), non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, respinge le domande di cui ai capi a) e b), secondo quanto specificato in motivazione.
Riservata ogni altra statuizione, dispone la verificazione ai sensi della motivazione, demandando l’esecuzione dell’incombente istruttorio al Prefetto di Bari, con facoltà di delega.
Fissa termine di giorni sessanta, decorrente dalla comunicazione della presente decisione, per il deposito dell’elaborato presso la Segreteria.
Rinvia per l’ulteriore trattazione alla camera di consiglio del 18 settembre 2018.
Riserva alla sentenza definitiva anche la decisione sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Giovagnoli – Presidente FF
Raffaele Prosperi – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere, Estensore

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