Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 27 febbraio 2018, n. 1176. L’errore revocatorio, oltre ad apparire immediatamente rilevabile, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche, non va confuso con quello che coinvolge l’attività valutativa del giudice

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5.2. Quanto alle deduzioni, svolte pure nel secondo motivo, al fine di censurare il mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia anche in riferimento alla questione della natura giuridica del Consorzio, non possono che richiamarsi le considerazioni esposte trattando del primo motivo di revocazione.
Giova peraltro aggiungere che sulla questione della natura di consorzio stabile di TP. la sentenza è adeguatamente motivata, laddove ha affermato che tale natura non era a base del provvedimento di esclusione (dato che, infatti, la società consortile non è stata esclusa per la sua forma giuridica, ma perché ha violato l’obbligo di rendere la dichiarazione sul riparto dei servizi tra le consorziate) ed ha giudicato che (essendo stata posta la natura di consorzio stabile a fondamento del motivo di illegittimità del provvedimento di esclusione) spettasse alla ricorrente la prova del fatto costitutivo della sua pretesa di annullamento, dimostrando appunto l’invocata natura stabile del consorzio; ha coerentemente concluso nel senso che, in difetto di tale prova, la questione non potesse essere rimessa alla Corte di Giustizia, né potesse essere riformata la sentenza di primo grado. L’una e l’altra affermazione che stanno a base di questa conclusione presuppongono la valutazione del materiale istruttorio da parte del giudicante, così come il superamento dei contrari argomenti in diritto svolti in primo grado e in appello (per come si desume in particolare dai punti 25 e 26 della motivazione), dei quali non è possibile un nuovo esame nel giudizio di revocazione.
6. Col quarto motivo si censura la ragione di rigetto dei motivi di gravame dal quarto al nono, riassunta “nella considerazione che avendo il Consorzio partecipato alla gara, presentato l’offerta addirittura considerata la migliore, tali circostanze dimostrerebbero nei fatti che non corrisponderebbe a realtà che gli atti di gara, per come concepiti e definiti, non consentirebbero di presentare offerte ragionevoli, competitive e remunerative”.
Secondo la ricorrente l’errore di fatto starebbe nell’avere il giudicante presupposto “un dato di fatto che ritiene non confutabile”, cioè la presentazione di un’offerta congrua e remunerativa, mentre questo dato non si sarebbe potuto desumere allo stato degli atti.
6.1. La censura non attiene ad un errore revocatorio poiché, pur se relativa ad una circostanza di fatto, e non ad una questione di diritto, involge la valutazione che di siffatta circostanza ha compiuto il giudice al fine di trarne le conseguenze giuridiche. Non si tratta di un errore di percezione, ma appunto – tutt’al più – di un errore di valutazione avente ad oggetto un fatto, che, in quanto considerato dal giudice, non è più rivalutabile a fini revocatori.
La revocazione è perciò inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara inammissibile la revocazione.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore di ciascuna delle parti resistenti, nella somma di Euro 7.500,00, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Roberto Giovagnoli – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere, Estensore

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