Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 27 febbraio 2018, n. 1176. L’errore revocatorio, oltre ad apparire immediatamente rilevabile, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche, non va confuso con quello che coinvolge l’attività valutativa del giudice

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Alla pubblica udienza del 25 gennaio 2018, la causa è stata discussa e posta in decisione.
3. Il ricorso per revocazione è inammissibile poiché, per come risulta dall’esposizione che precede, ha ad oggetto fatti che costituirono punti controversi sui quali la sentenza ha pronunciato. Rispetto a questi fatti, la ricorrente non evidenzia alcun errore revocatorio rilevante ai sensi dell’art. 106 Cod. proc. amm. e dell’art. 395, n. 4 Cod. proc. civ..
L’errore di fatto deducibile per revocazione deve:
a) derivare da errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;
b) attenere ad un punto controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;
c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 10 gennaio 2013, n. 1 e numerose altre, tra cui Cons. Stato, 14 maggio 2015, n. 2431; id., V, 5 maggio 2016, n. 1824).
In sintesi, l’errore revocatorio, oltre ad apparire immediatamente rilevabile, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (cfr., tra le altre, Cons. Stato, IV, 13 dicembre 2013, n. 6006), non va confuso con quello che coinvolge l’attività valutativa del giudice e non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento (cfr., tra le più recenti, Cons. Stato, V, 11 dicembre 2015, n. 5657; id., 12 gennaio 2017, n. 1296; id., 6 aprile 2017, n. 1610; id., 21 agosto 2017, n. 4047).
Siffatta confusione tra errore revocatorio ed errore di giudizio si rinviene appunto nel caso di specie, per le ragioni di cui appresso.
4. Col primo motivo si deduce, in primo luogo, un errore revocatorio sui seguenti fatti: momento della procedura di gara in cui era collocato l’onere di dichiarazione sulla ripartizione dei servizi; possibilità di integrare la dichiarazione mediante applicazione del soccorso istruttorio; rilevanza del regolamento consortile, ai fini di detta dichiarazione; ripartizione dei servizi all’interno del Consorzio e quota di partecipazione dell’impresa Li..
Le deduzioni svolte nell’illustrare il motivo di revocazione attengono alla valutazione del materiale istruttorio da parte del giudice d’appello ed al giudizio espresso in merito al riferimento della dichiarazione sulla ripartizione dei servizi alla fase dell’offerta, all’inapplicabilità del soccorso istruttorio ed all’inidoneità allo scopo del regolamento consortile.
Tutte le questioni poste sono state oggetto della pronuncia impugnata e le relative censure riguardano gli apprezzamenti in diritto, che presuppongono la natura consortile di TP. ed il suo inquadramento nello schema del consorzio ordinario, con applicazione di norme e principi elaborati per i raggruppamenti temporanei.
Non è possibile configurare alcun errore revocatorio, in quanto la motivazione è argomentata e chiara nell’affermare che la dichiarazione con cui le imprese di un consorzio ordinario specificano le ripartizioni del servizio ex art. 37, comma 4, d.lgs. n. 163 del 2006 è elemento che attiene all’offerta, anche in caso di procedura ristretta (quale quella seguita nel caso di specie, che il giudice ha valutato essersi espletata, come di regola, nella fase della pre-qualificazione ed in quella della valutazione delle offerte), sicché non è regolarizzabile mediante soccorso istruttorio né, nella specie, si sarebbe potuta ritenere fornita per il tramite della produzione del regolamento consortile.
4.1. Analogamente è a dirsi quanto al preteso errore revocatorio nel quale, a detta della ricorrente, sarebbe incorsa la sentenza impugnata nella parte in cui, sempre con riferimento al primo motivo di appello, ha escluso un contrasto col diritto dell’Unione europea delle norme interne sul soccorso istruttorio.
E’ incontestabilmente materia di giudizio – non certo di percezione documentale – la valutazione sull’applicabilità o meno al caso di specie delle norme comunitarie non ancora in vigore al momento della gara (in particolare le direttive n. 2014/23/UE, n. 2014/24/UE e n. 2014/25/UE).
Parimenti non si configura alcun errore revocatorio nell’ulteriore affermazione contenuta nella sentenza circa il fatto che la questione pregiudiziale europea fosse stata posta in modo generico. In proposito, la ricorrente deduce che la questione pregiudiziale avrebbe dovuto essere sollevata, anche d’ufficio, tenendo conto della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, invocata già con l’atto di appello, non essendo necessaria l’introduzione della questione pregiudiziale alla stregua di un motivo di ricorso o di appello.
La portata della censura è chiara nel contestare il mancato rinvio pregiudiziale per ragioni di rito, ma essa è inammissibile in sede di revocazione, poiché attiene alla questione di puro diritto concernente le regole processuali che governano la proposizione ed il rilievo officioso della questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE. Orbene, di tale questione il giudice a quo si è occupato, prendendola in esame ed escludendone la rilevanza, per un verso, per la ragione suddetta dell’inapplicabilità delle direttive sopravvenute e, per altro verso, per la mancata indicazione da parte appellante della norma del diritto dell’Unione “alla quale conformarsi nel delineare l’ambito di applicazione del soccorso istruttorio quale disciplinato dal previgente codice dei contratti pubblici”.
Di certo non è invocabile la giurisprudenza in tema di revocazione citata dalla ricorrente, che ammette il rimedio solo quando per una “svista” il giudice non si sia pronunciato su un motivo o su un’eccezione, vale a dire quando dell’uno o dell’altra non si sia affatto accorto, finendo per ometterne l’esame (cfr. Cons. Stato, IV, 25 giugno 2010, n. 4130, nonché, di recente, id., VI, 22 agosto 2017, n. 4055); il che palesemente non è avvenuto nel caso di specie.
Conseguentemente, essendo inammissibile il rimedio eccezionale della revocazione, in questa sede non è neppure autonomamente valutabile -come richiesto dalla ricorrente in via subordinata- la rilevanza della questione pregiudiziale, al fine di rimettere gli atti alla Corte di Giustizia ex art. 267 TUEF. La questione pregiudiziale, infatti, attiene alla fase rescissoria del giudizio di revocazione, cui non è possibile accedere quando sia inammissibile la fase rescindente.
5. Parimenti inammissibili sono il secondo e il terzo motivo del ricorso per revocazione nella parte in cui censurano la dichiarazione di inammissibilità del secondo e del terzo motivo di appello.
L’illustrazione delle censure evidenzia l’equivoco nel quale incorre la ricorrente, qualificando come omessa pronuncia la situazione che consegue alla dichiarazione di inammissibilità. L’unica eccezionale ipotesi nella quale è ammessa la revocazione per omessa pronuncia è quella di cui si è detto trattando del precedente motivo. Nel caso in cui invece il giudice prenda espressamente in esame il motivo o l’eccezione e ritenga l’uno o l’altra inammissibile per questioni di rito, come accaduto nel caso di specie, la sentenza, che pure non si è pronunciata nel merito, non è certo viziata per omessa pronuncia.
5.1. Quanto alle deduzioni svolte al fine di dimostrare che sarebbero frutto di errore revocatorio le dichiarazioni di inammissibilità impugnate, la ricorrente ripetutamente richiama, in più punti, il contenuto dell’atto di appello, in base al quale il giudice a quo è pervenuto al giudizio di inammissibilità. In sostanza, si censura – sotto specie di mancata, “frettolosa” od erronea lettura degli atti di causa – l’esame critico di questi atti per il cui tramite il giudice d’appello è pervenuto alla dichiarazione di inammissibilità. Questa censura non è ammissibile poiché presupporrebbe un terzo grado di giudizio avente ad oggetto la correttezza, in fatto ed in diritto, della decisione di inammissibilità, quale non è il rimedio straordinario della revocazione.

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