La trasformazione di una società da un tipo ad un altro previsto dalla legge, ancorché connotato di personalità giuridica, non si traduce nell’estinzione di un soggetto

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 19 luglio 2018, n. 4389.

La massima estrapolata:

La trasformazione di una società da un tipo ad un altro previsto dalla legge, ancorché connotato di personalità giuridica, non si traduce nell’estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di uno nuovo in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale comporta soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa, senza incidere sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all’originaria organizzazione societaria.

Sentenza 19 luglio 2018, n. 4389

Data udienza 28 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6665 del 2017, proposto da
Ot. Me. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati To. Di Ni. e Ma. Fa., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via (…);
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ro. Ro. e Al. Ri., con domicilio eletto in Roma, via (…);
per la revocazione
della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, n. 00768/2017, resa tra le parti, concernente l’installazione di mezzi pubblicitari.
Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 giugno 2018 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Di Ni. e Gr. in dichiarata delega di Ri. e Ro.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con sentenza 8/1/2007, n. 40 il T.A.R. Lazio – Roma ha respinto il ricorso con cui l’O. Me. s.r.l. aveva chiesto l’annullamento della determinazione del Comune di Roma (ora Roma Capitale) del 1/9/2000 n. 2018, nella parte in cui, autorizzato il trasferimento in capo alla detta società della titolarità di alcune autorizzazioni all’installazione di impianti pubblicitari a suo tempo rilasciate alla Ot. Me. s.a.s. di M. Me. & C., ha previsto che l’autorizzazione decadesse “alla data del 5 novembre 2000 trattandosi di impianto non conforme alla vigente normativa”.
Avverso la sentenza l’O. Me. ha proposto appello.
Alla pubblica udienza del 13/12/2016 il ricorso è passato in decisione e con sentenza 21/2/2017, n. 768, è stato respinto.
Contro la sentenza d’appello l’O. Me. ha proposto ricorso per revocazione.
Per resistere all’impugnazione si è costituita in giudizio Roma Capitale.
Alla pubblica udienza del 28/6/2018 la causa è passata in decisione.
Col primo motivo si deduce che il giudice d’appello sarebbe incorso in un errore di fatto revocatorio consistente nell’aver trattenuto in decisione il causa senza che ai difensori dell’appellante fosse stato comunicato l’avviso di fissazione dell’udienza.
La doglianza è fondata.
Come risulta dagli atti di causa il detto avviso è stato, infatti, inviato all’indirizzo di posta elettronica certificata (omissis), che non corrisponde a quello degli avvocati Ga. Am. e Fr. Am., del foro di Roma, difensori dell’O. Me..
Costoro, quindi, non hanno ricevuto l’avviso in questione.
L’omissione, peraltro, non risulta nemmeno sanata dalla comparsa dei difensori della parte in udienza, posto che dal relativo verbale emerge l’assenza dei procuratori di entrambe le parti.
Ne consegue che il gravame è stato definito in violazione dell’art. 71, comma 5, del c.p.a. posto a presidio del diritto di difesa (Cons. Stato, Sez. V, 5/2/2018, n. 732; Sez. VI 28/7/2017, n. 3802).
La sentenza risulta, pertanto, inficiata dal dedotto errore revocatorio per cui dev’essere annullata (Cass. Civ., Sez. Trib., 12/1/2018, n. 602).
Vanno, quindi, esaminati, sotto il profilo rescissorio, i motivi già prospettati in appello e in questa sede riproposti.
Col primo motivo si deduce che l’autorizzazione al trasferimento della titolarità delle autorizzazione avrebbe sostanzialmente valenza di atto di diniego al trasferimento.
La doglianza non è fondata.
Infatti, con l’impugnata determinazione dirigenziale n. 2018 del 1/9/2000 il Comune di Roma ha espressamente autorizzato il trasferimento di titolarità delle pregresse autorizzazioni.
Il menzionato effetto tipico del provvedimento è cessato solo in ragione della circostanza che l’amministrazione ha posto un termine finale di efficacia alla rilasciata autorizzazione.
Correttamente, pertanto, il giudice di prime cure ha ritenuto che “in nessun caso la resistente amministrazione comunale ha negato il diritto della società ricorrente al trasferimento”.
Con gli ulteriori motivi si deduce che il Tribunale avrebbe errato a ritenere che:
a) la contestata prescrizione della determinazione n. 2018/2000, fosse meramente applicativa di quanto disposto in materia dalle deliberazioni consiliari n. 289/1994 e 254/1995.
b) la medesima determinazione fosse sufficientemente motivata;
c) la ricorrente non avesse subito alcuna lesione del proprio affidamento.
I tre mezzi di gravame, che si prestano ad una trattazione congiunta, non meritano accoglimento.
Nell’ipotesi di voltura delle autorizzazioni in favore di soggetti subentranti, le norme transitorie inserite dopo l’art. 9 della deliberazione n. 254 del 1995 stabiliscono che gli impianti non conformi alla normativa in vigore potranno essere tollerati per un massimo di cinque anni, decorrenti dalla data di esecutorietà della delibera in esame e, in ogni caso, non oltre la data del 5 novembre 2000. Tale disposizione è stata ripresa poi dall’art. 9 della deliberazione consiliare n. 260 del 1997.
Le suddette previsioni hanno regolato i casi di “nuova sistemazione, ristrutturazione o trasformazione degli impianti”, stabilendo che, in ipotesi del genere, gli impianti dovranno essere adeguati alla normativa vigente in materia.
La voltura delle autorizzazioni in favore di nuovi soggetti viene equiparata alla risistemazione o alla trasformazione degli impianti, con la conseguenza di assoggettare all’obbligo di adeguamento alla nuova normativa tanto coloro che intendano avvalersi di mezzi pubblicitari già autorizzati, quanto i soggetti, già titolari di vecchie autorizzazioni, che intendano apportare modifiche alle proprie insegne.
La normativa in parola si applica sia ai nuovi soggetti che vogliano intraprendere un’attività avvalendosi di insegne tassabili già esistenti, sia ai soggetti che intendano trasformare o modificare le proprie insegne tassabili già autorizzate, ma non più conformi alla nuova disciplina.
La trasformazione societaria dell’impresa appellante, che da “Ot. Me. s.a.s. di M. Me. & C.” è diventata “Ot. Me. s.r.l.”, non costituisce una modifica soltanto formale, ma rappresenta un mutamento di soggettività giuridica, con diversa imputazione dei beni e diverso assetto di responsabilità, civili e tributarie, che ben rientrano nel concetto di trasferimento sottoposto, quanto alla materia dell’autorizzabilità delle insegne, al regime normativo di cui alla citata deliberazione n. 254 del 1995: il quale, giova ripetere, stabilisce che gli impianti non conformi alla normativa in vigore potranno essere tollerati per un periodo massimo di cinque anni, decorrenti dalla data di esecutorietà della delibera in esame e, in ogni caso, non oltre la data del 5 novembre 2000.
E’ pur vero che, sotto il profilo societario, come ha chiarito la giurisprudenza civile (cfr., Cass. Civ., Sez. I, 19/5/2016, n. 10332), la trasformazione di una società da un tipo ad un altro previsto dalla legge, ancorché connotato di personalità giuridica, non si traduce nell’estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di uno nuovo in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale comporta soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa, senza incidere sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all’originaria organizzazione societaria (cfr., Cass. Civ., Sez. I, 14/12/2006, n. 26826; Sez. III, 20/6/2011, n. 13467; Sez. II, 2/7/2013, n. 16556; Sez. VI, 20/9/2016, n. 18373).
Nondimeno, dal punto di vista amministrativo, in concreto rimaneva qui necessaria una voltura dell’intestazione, il che d’altronde lo stesso appellante aveva domandato (qualificando egli stesso tale voltura come “trasferimento”) e l’Amministrazione aveva disposto, secondo quanto si evince dal provvedimento impugnato in questo giudizio (determina n. 2018/2000).
Tale determina è stata impugnata nella parte in cui comporta la decadenza dell’autorizzazione, ma l’appellante non smentisce che abbia domandato la voltura/trasferimento.
In altre parole, la fattispecie regolamentare locale impone la voltura sia quando cambia in toto il soggetto giuridico del rapporto amministrativo (il che qui non ricorre, per la giurisprudenza di legittimità sopra citata), sia comunque quando cambiano gli assetti formali della responsabilità verso l’Amministrazione del persistente medesimo soggetto (il che è ciò che qui si verifica).
Nello specifico, le Norme Tecniche – Allegato A2 della Delibera di Consiglio comunale n. 254 del 1995, non impugnate dall’appellante (pag. 57 del relativo documento prodotto dallo stesso appellante), precisano e prescrivono espressamente che “In caso di voltura di autorizzazioni o concessioni per impianti non conformi alle attuali norme questi potranno essere tollerati per un periodo massimo di 5 anni decorrenti dalla data di esecutorietà delle presenti norme” (cioè dal 5 novembre 2000, come chiarisce anche la nota 25 nella medesima pagina ad illustrare ulteriormente il significato di tale prescrizione).
Pertanto è la mera voltura, necessaria a fini amministrativi per la regolare gestione della pratica amministrativa anche in caso di trasformazione societaria, così come prescritto dalla norma regolamentare non impugnata, a dar luogo all’applicazione della norma transitoria e, per l’effetto, allo spirare del termine sopra indicato, a provocare la decadenza dall’autorizzazione.
Di conseguenza, non è applicabile al caso in esame l’art. 5, comma 6, della deliberazione consiliare n. 289 del 1994, essendo pienamente operante la disciplina di cui alla deliberazione n. 254 del 1995, la quale prevede che gli impianti non conformi alla normativa in vigore possano essere tollerati per un periodo massimo di cinque anni, decorrenti dalla data di esecutorietà della delibera in esame, e comunque non oltre la data del 5 novembre 2000.
L’anzidetto riferimento alla deliberazione applicabile e alla disciplina applicata è sufficiente a concretare la motivazione doverosa ai sensi dell’art. 3, comma 1, della L. 7/8/1990, n. 241 essendo pienamente comprensibile l’iter logico seguito dall’Amministrazione nella determinazione impugnata, peraltro all’evidenza vincolata e, in quanto conforme ad una disciplina regolamentare generale non impugnata, immune dal vizio di violazione del legittimo affidamento dedotto dall’appellante.
Il ricorso va, quindi, respinto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Sussistono eccezionali ragioni, connesse all’accoglimento della fase rescindente dell’odierno ricorso, per disporre l’integrale compensazione di spese e onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 giugno 2018 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Fabio Franconiero – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere, Estensore
Angela Rotondano – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere

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