Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 18 dicembre 2017, n. 5945. L’errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 106 c.p.a. e 395 n. 4 c.p.c., deve rispondere a tre requisiti

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Insomma, l’errore di fatto, eccezionalmente idoneo a fondare una domanda di revocazione, è configurabile solo riguardo all’attività ricognitiva di lettura e di percezione degli atti acquisiti al processo, quanto a loro esistenza e a loro significato letterale, per modo che del fatto vi siano due divergenti rappresentazioni, quella emergente dalla sentenza e quella emergente dagli atti e dai documenti processuali; ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento e apprezzamento, cioè di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento del giudice (Cons. Stato, V, 7 aprile 2017, n. 1640).
Così, si versa nell’errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4 Cod. proc. civ. allorché il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo (Cons. Stato, III, 24 maggio 2012, n. 3053); ma se ne esula allorché si contesti l’erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali o di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita.
In tutti questi casi non sarà possibile censurare la decisione tramite il rimedio – di per sé eccezionale – della revocazione, che altrimenti verrebbe a dar vita ad un ulteriore grado del giudizio, non previsto dall’ordinamento (ex multis, Cons. Stato, V, 11 dicembre 2015, n. 5657; IV, 26 agosto 2015, n. 3993; III, 8 ottobre 2012, n. 5212; IV, 28 ottobre 2013, n. 5187).
Nel caso di specie, l’eccezione sollevata dal ricorrente non attiene ad un ipotetico errore materiale “di fatto”, bensì al contenuto stesso (recte, alla correttezza) dell’interpretazione giudiziale del petitum, a mezzo della quale viene individuata la tipologia, l’oggetto e l’estensione delle domande poste dalle parti.
Tale interpretazione dev’essere condotta alla luce del contenuto complessivo dell’atto processuale, non potendosi per contro operare delle artificiose distinzioni tra i passaggi espositivi in cui lo stesso si articola (ad mero titolo di esempio: premesse in fatto, questioni di diritto e conclusioni), quasi si trattasse di parti tra loro indipendenti e dotate di autonoma valenza processuale.
Non è quindi corretto sostenere che, nei propri scritti difensivi, l’Ati Sa. non avesse formulato, in via diretta ed autonoma, la domanda di subentro nel contratto: si legge infatti, sin dalle premesse del suo ricorso in appello (“Thema decidendum”, pag. 2 p.to b) che l’introduttivo ricorso – così come il successivo gravame – era volto ad ottenere, tra l’altro, “la declaratoria di inefficacia del contratto, ove nelle more stipulato, con diritto di subentro del ricorrente”.
Ciò, in particolare, alle pp. 3, 33 e 36 del ricorso di primo grado.
Né ha pregio la tesi secondo cui la mancata ripetizione di tale richiesta in successive memorie difensive avrebbe comportato l’implicita rinuncia della stessa: invero, da un lato tale istanza risulta ribadita nella memoria difensiva del 9 maggio 2016 (pag. 30) ed in quella di replica del 13 maggio 2016 (pag. 8), nelle cui conclusioni si chiede di “dichiarare l’inefficacia del contratto già stipulato con condanna dell’ANAS al risarcimento ? in forma specifica”.
Dall’altro, va comunque rilevato che la funzione delle suddette memorie, ove depositate, è semplicemente quella di approfondire gli argomenti a sostegno delle domande già proposte: per l’effetto – salva ovviamente l’ipotesi in cui contengano un’espressa rinuncia a parte delle precedenti richieste – dalla loro formulazione testuale mai potrebbe essere dedotta un’implicita rinuncia a parte del petitum o della causa petendi.
Alla luce di tali premesse, deve quindi concludersi che la censura formulata dalla ricorrente non si riferisce ad un’ipotetica svista del giudice d’appello nella lettura degli atti di causa, tradottasi nell’erronea convinzione dell’esistenza di una domanda in realtà mai formulata (neppure per implicito), bensì alla stessa qualificazione delle domande processuali e, quindi, alla correttezza o meno della declaratoria di subentro nel contratto, alla luce delle istanze formulate dalle parti.
Censura che però nulla ha a che fare con l’errore di fatto revocatorio, riferendosi a questioni prettamente giuridiche.
Né valgono gli ulteriori rilievi circa l’oggetto del giudizio di anomalia e la congruità o meno dell’offerta dell’Ati Sa.: la richiesta di parte ricorrente è volta, in realtà, a dar vita ad un inammissibile terzo grado di giudizio (di merito) proprio sulla questione che aveva costituito oggetto centrale della controversia – ossia il giudizio di anomalia – e sulla quale il giudice d’appello si era già pronunciato, riconoscendo l’illegittimità dell’esclusione della predetta società e la congruità della relativa offerta.
Anche sotto tale profilo difettano quindi, in toto,i presupposti del giudizio revocatorio, considerato che, ai sensi degli artt. 106 Cod. proc. amm. e 395 n. 4 Cod. proc. civ., lo stesso deve “attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato” (ex multis, Cons. Stato, V, 7 aprile 2017, n. 1644; VI, 19 gennaio 2017, n. 233).
Per completezza va detto che il giudice d’appello ha espressamente motivato il rigetto delle singole censure sollevate dalla Ti. Sc. s.p.a. in ordine ai profili di anomalia, che, ad avviso della stessa società, la Commissione di gara non avrebbe riscontrato sull’offerta presentata dall’Ati Sa., dando atto che “anche accogliendo le censure in parola, l’offerta non risulterebbe anomala” e ricordando, al riguardo, che – per consolidata giurisprudenza – “deve ritenersi congrua l’offerta che, anche incrementando le voci di costo sottostimate, mantenga comunque un utile ancorché esiguo”.

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