La decisione di annullamento – che per i limiti soggettivi del giudicato esplica in via ordinaria effetti solo fra le parti in causa – acquista efficacia erga omnes nei casi di atti a contenuto inscindibile

Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 4 aprile 2018, n. 2097.

La decisione di annullamento – che per i limiti soggettivi del giudicato esplica in via ordinaria effetti solo fra le parti in causa – acquista efficacia erga omnes nei casi di atti a contenuto inscindibile, ovvero di atti a contenuto normativo, secondari (regolamenti) o amministrativi generali, rivolti a destinatari indeterminati ed indeterminabili a priori, in relazione ai quali gli effetti dell’annullamento non sono circoscrivibili ai soli ricorrenti, essendosi in presenza di un atto a contenuto generale sostanzialmente e strutturalmente unitario, il quale non può esistere per taluni e non esistere per altri

Sentenza 4 aprile 2018, n. 2097
Data udienza 26 ottobre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5115 del 2008, proposto dai signori De To. Ro. e Ca. Gi., rappresentati e difesi dall’avvocato Co. Ve., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Ga. in Roma, via (…);

Mu. Ch. e De Na. Do., rappresentate e difese, da ultimo, dall’avvocato Ez. Pr., domiciliate ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della Quarta Sezione del Consiglio di Stato, in Roma, piazza (…);

Vi. Gi., nella qualità di erede di De Na. Ma., rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ma. To. e Vi. Am., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. M. To. in Roma, viale (…);

contro

Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Gen. dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);

Comune di (omissis) e Regione Puglia, non costituiti in giudizio;

nei confronti

Impresa Edile De Le. Gi., Ed. Co. Si. S.r.l., non costituite in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Puglia – Bari – Sez. III, n. 206 del 12 febbraio 2008, resa tra le parti, concernente diniego di permesso di costruire.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2017 il Cons. Giuseppa Carluccio e uditi per le parti gli avvocati L. D’A. su delega di Ve., Mi. su delega di Pr., To. su delega di Am., e l’avvocato dello Stato Ba.

FATTO e DIRITTO

1.La presente controversia concerne alcuni terreni, siti nel Comune di (omissis), di proprietà dei signori Ro. De To., Gi. Ca., Ch. Mu., Do. De Na. e Ma. De Na., alla quale è succeduto quale erede il signor Gi. Vi. (d’ora in poi originari ricorrenti o appellanti).

2. Ai fini della migliore comprensione delle questioni ora all’attenzione del Collegio, è opportuno dare sinteticamente conto delle vicende urbanistiche, che hanno coinvolto nel tempo le aree comunali entro le quali tali terreni si collocano e che hanno originato, anche in sede civile, un cospicuo contenzioso con l’amministrazione da parte di molti proprietari dei suoli.

2.1. Nel 1979 fu approvato un Piano di Edilizia Economica e Popolare (d’ora in poi PEEP) ai sensi della legge n. 167 del 1962; sulla base dello stesso, furono emanati i decreti di espropriazione, tra i quali quelli (nn. 2, 3 e 4 del 1° aprile 1983) che hanno riguardato i terreni dei ricorrenti.

Altri destinatari dei decreti di espropriazione proposero ricorsi avverso il PEEP; il T.a.r. per la Puglia li accolse annullandolo (sentenze nn. 147 e 148 del 26 aprile 1984); le decisioni furono confermate da questo Consiglio (sentenze nn. 36 e 37 del 20 gennaio 1994).

La zona PEEP fu solo in parte realizzata, con l’assegnazione per l’edificazione e l’utilizzazione per le opere di urbanizzazione, e si aprì un contenzioso di diversi proprietari, anche per la restituzione delle aree già espropriate e non utilizzate (tra le quali quelle degli originari ricorrenti).

2.2. Nel 2002 (delibere Consiglio Comunale nn. 37, 57 e 89) il Comune, sulla base di un nuovo Piano Regolatore approvato nel 2001 e considerate soddisfatte le esigenze di edilizia economica e popolare, destinò a residenziale l’area ex PEEP non utilizzata e altre aree libere ricomprese nel nuovo PRG, con la previsione di un piano di lottizzazione ad iniziativa pubblica.

In tale contesto, disciplinò la restituzione, a richiesta e previa rinuncia a qualsiasi pretesa, delle aree già oggetto di espropriazione, non utilizzate e non oggetto dei ricorsi che avevano portato all’annullamento del PEEP. Per il caso di mancata realizzazione di tale presupposto, previde:

– l’inglobamento delle stesse nel piano di lottizzazione pubblico quale aree di proprietà comunale per effetto dei decreti di espropriazione emanati;

– il pagamento delle indennità di esproprio, ovvero la cessione di lotto con valore venale corrispondente per il caso di adesione al piano di lottizzazione.

2.3. Negli anni 2003/2005, per le stesse aree non utilizzate e per quelle già considerate nel piano di lottizzazione ad iniziativa pubblica, il Comune – sul presupposto della proprietà comunale per effetto dei decreti di espropriazione -pose in essere una serie di atti concernenti il programma innovativo in ambito urbano denominato “contratti di quartiere”.

3. L’odierna controversia si inserisce in questo contesto ed ha origine da un diniego (n. 13525 del 2006) del permesso di costruire, chiesto nel 2005, per l’edificazione di quattro edifici sul lotto 1 (soggetto a lottizzazione di iniziativa pubblica e già facente parte delle aree ex PEEP).

Gli originari ricorrenti hanno impugnato dinanzi al T.a.r.:

a) il diniego del permesso di costruire: a1) assumendo erroneo il presupposto fatto proprio dall’amministrazione che i terreni fossero di proprietà comunale per effetto dei decreti di espropriazione; a tal fine facendo valere: I) la mancanza di dichiarazione di pubblica utilità, per essere stato il PEEP annullato, con efficacia erga omnes, mediante sentenze passate in giudicato; II) comunque, la nullità dei decreti di esproprio ex art. 21-septies l. n. 241 del 1990, per carenza di potere in astratto in mancanza della dichiarazione di pubblica utilità; III) la conseguente violazione dell’art. 1 Prot. CEDU, secondo il quale nessuno può essere privato della sua proprietà se non per una causa di pubblica utilità); a2) fondando il diritto alla utilizzazione edilizia dei suoli, sul diritto alla restituzione scaturente dalla suddetta delibera n. 37 del 2002, che avrebbe riconosciuto, autolimitandosi, efficacia erga omnes all’annullamento, mentre l’opzione della richiesta di restituzione o di convenzione non sarebbe stata resa possibile da vizi nella pubblicità delle delibere del 2002;

b) varie delibere concernenti i “contratti di quartiere”, con l’eccezione della signora Mu. che riferisce (cfr. ricorso di primo grado pag. 28) di averle impugnate con distinto ricorso al T.a.r.; sostanzialmente, i ricorrenti hanno dedotto incompetenza, contrasto con la citata delibera n. 37 del 2002, mancata comunicazione dell’avviso di procedimento, eccesso di potere, difetto di motivazione, difetto di pareri previsti dalla legge; in generale hanno precisato che, seppure queste successive determinazioni comunali non erano state espressamente indicate come ostative nel diniego del permesso di costruire, costituivano <> affinché il Comune desse attuazione alla delibera n. 37 cit.

Inoltre, hanno chiesto il risarcimento del danno.

4. Il T.a.r. adito, con la sentenza specificata in epigrafe:

a) ha rigettato il ricorso, ritendo infondate le censure volte alla dichiarazione di nullità dei decreti di esproprio e all’annullamento del diniego di permesso di costruire;

b) ha dichiarato inammissibili le domande rivolte all’annullamento degli atti relativi al programma dei “contratti di quartiere”.

5. Gli originari ricorrenti hanno proposto un unitario atto di appello. Successivamente, revocando il precedente mandato, i signori Mu. (per ben due volte), Vi. e Do. De Na., si sono costituiti con nuovo difensore. Tutti hanno depositato memorie.

La signora De To. ha depositato (il 13 settembre 2017) sentenza della Corte di appello di Bari n. 65 del 2014, di condanna del Comune alla retrocessione del bene.

La signora Mu. ha depositato anche documenti (nel numero di 176) il 29 settembre 2017.

La signora Do. De Na. ha depositato (il 29 settembre 2017) perizia di parte, effettuata successivamente alla sentenza di primo grado.

6. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si è costituito con memoria depositata il 17 ottobre 2017, chiedendo dichiararsi il difetto di legittimazione passiva.

7. Non si sono costitute le altre parti intimate.

8. Preliminarmente va rilevata la tardività della memoria difensiva depositata dal Ministero in violazione dei termini a ritroso sanciti dall’art. 73, comma 1, c.p.a., ferma restando la ritualità della costituzione in giudizio e la legittimità della partecipazione all’udienza pubblica (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 5 del 2013).

9. Sempre preliminarmente, vanno dichiarate inammissibili, per violazione del divieto delle nuove prove in appello sancito dall’art. 345 c.p.c. (ratione temporis applicabile, ora art. 104, comma 2, c.p.a.), le produzioni documentali: a) della signora Do. De Na., trattandosi di perizia di parte successiva alla decisione gravata; comunque irrilevante ai fini della decisione; b) della signora Mu., comunque irrilevanti ai fini della decisione.

10. Va dichiaro il difetto di legittimazione passiva del Ministero, avendo lo stesso provveduto solo ad approvare le graduatorie delle proposte dei programmi innovativi in ambito urbano, cd. “contratti di quartiere”, ammessi a finanziamento da parte della amministrazione centrale, tra i quali rientra il progetto del Comune di (omissis).

11. La sentenza gravata ha fondato il rigetto della pretesa nullità dei decreti di esproprio sulle essenziali argomentazioni che seguono:

a) anche ad ammettere l’erroneo assunto attoreo della caducazione dei decreti di esproprio (emanati nel 1983) per effetto del successivo annullamento giudiziale del PEEP (1984), e, quindi, la caducazione successiva della dichiarazione di pubblica utilità, non si verserebbe in un’ipotesi disciplinata dall’art. 21-septies della l. n. 241 del 1990, ma si tratterebbe, semmai, di illegittimità sopravvenuta e di inefficacia degli atti ablativi;

b) piuttosto, è erroneo il presupposto assunto dai ricorrenti della avvenuta caducazione dei decreti di esproprio per effetto dell’annullamento giudiziale del PEEP e della connessa declaratoria di pubblica utilità, che risulterebbe dall’accoglimento del ricorso cui sono rimasti estranei; infatti, secondo la giurisprudenza consolidata, la dichiarazione di pubblica utilità implicita nell’approvazione del PEEP, ai sensi dell’art. 9 della l. n. 167 del 1962, non costituisce un atto collettivo, ma va inquadrato nella categoria degli atti plurimi (scindibili), riguardando una pluralità di soggetti individuabili in relazione alla titolarità dei vari beni vincolati e considerati uti singuli, e il giudicato di annullamento non valendo erga omnes non si estende ai proprietari restati estranei al giudizio amministrativo, ma produce effetti solo per i ricorrenti;

c) con la conseguenza, che la declaratoria di pubblica utilità nei confronti dei ricorrenti, resta valida ed efficace, non essendo mai stata oggetto di impugnazione e restano validi ed efficaci i decreti di esproprio emanati nei loro confronti.

12. Gli appellanti, riproponendo sostanzialmente le censure avanzate con l’originario ricorso, ne chiedono l’accoglimento. Le censure sono prive di pregio e vanno rigettate.

12.1. La giurisprudenza di questo Consiglio, oltre che della Corte di cassazione, che ha avuto ad oggetto specifico i PEEP e della quale il primo giudice ha fatto corretta applicazione, è coerente con l’applicazione dei principi generali in tema di effetti soggettivi del giudicato amministrativo di annullamento e si ricollega alla evoluzione giurisprudenziale tendente a limitare l’estensione soggettiva degli effetti del giudicato in riferimento agli strumenti urbanistici.

12.1.1. In generale, è principio consolidato che la decisione di annullamento – che per i limiti soggettivi del giudicato esplica in via ordinaria effetti solo fra le parti in causa – acquista efficacia erga omnes nei casi di atti a contenuto inscindibile, ovvero di atti a contenuto normativo, secondari (regolamenti) o amministrativi generali, rivolti a destinatari indeterminati ed indeterminabili a priori, in relazione ai quali gli effetti dell’annullamento non sono circoscrivibili ai soli ricorrenti, essendosi in presenza di un atto a contenuto generale sostanzialmente e strutturalmente unitario, il quale non può esistere per taluni e non esistere per altri (ex multis, da ultimo, Cons. Stato, sez. III, n. 3307 del 2016; sez. IV, n. 5449 del 2013; sez. III, n. 2350 del 2012; sez. V, n. 4390 del 2008; Cass. civ., sez. I, n. 2734 del 1998).

Tali principi sono stati da ultimo ribaditi dall’Adunanza Plenaria n. 11 del 2017, la quale – in una fattispecie in cui veniva in rilievo il termine per proporre ricorso e la sua decorrenza e veniva assunta come rilevante la conoscenza dell’accertamento dell’illegittimità – ha affermato che il sopravvenuto annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non può giovare ai cointeressati che non abbiano tempestivamente proposto il gravame e per i quali, pertanto, si è già verificata una situazione di inoppugnabilità, con conseguente esaurimento del relativo rapporto giuridico, fatta eccezione per l’ipotesi degli atti ad effetti inscindibili.

12.1.2. In tale contesto generale, la giurisprudenza consolidata ha escluso l’attribuibilità al PEEP del carattere generale, unitario e inscindibile, tale da determinare l’effetto erga omnes e la deroga al principio dell’efficacia soggettiva in caso di accoglimento dell’annullamento proposto da alcuni destinatari.

Proprio in riferimento all’annullamento del PEEP del Comune di (omissis) per cui è causa e ai precedenti decreti di espropriazione emanati nei confronti di soggetti che non avevano impugnato il primo (tra i quali la stessa signora Mu. che in quella diversa causa aveva fatto valere il diritto alla restituzione del bene espropriato con lo stesso decreto e l’accertamento dell’illegittimità della pretesa comunale di aver acquisito la proprietà del suolo espropriato), questo Consiglio (sez. IV, nn. 3694 e 156 del 2009) ha ritenuto il PEEP atto plurimo e scindibile, ancorché formalmente unico, perché caratterizzato dalla singolarità dei destinatari, con conseguente limitazione soggettiva dell’annullamento dello stesso.

Le stesse decisioni hanno precisato che l’annullamento integrale di un piano di zona per l’edilizia economica e popolare in sede giurisdizionale produce i suoi effetti anche nei confronti di chi non abbia proposto ricorso, solo nel senso che, una volta pronunciato l’annullamento, il piano non può più essere legittimamente assunto come presupposto di nuovi provvedimenti attuativi (come per esempio, quelli espropriativi), ma non nel senso che restano travolti e caducati anche gli atti espropriativi emanati precedentemente all’annullamento.

12.1.3. Né, in senso contrario, può invocarsi, come hanno fatto i ricorrenti e appellanti, la decisione di questo Consiglio sez. IV n. 6921 del 2002, avendo questa risolto la questione in termine strettamente processuali, non rinvenendo la qualità di soccombente in capo al Comune che in appello aveva censurato l’improcedibilità, ritenuta dal T.a.r. sulla base del successivo annullamento del PEEP, del ricorso proposto dal privato avverso il decreto di espropriazione.

12.1.4. In senso conforme all’orientamento del Consiglio di Stato, è anche la giurisprudenza civile, secondo la quale, il soggetto che non ha partecipato al giudizio amministrativo non può avvalersi del giudicato relativo all’annullamento di un piano di zona per l’edilizia economica e popolare al fine di ottenere dal giudice ordinario la cancellazione della trascrizione del decreto di espropriazione e il risarcimento dei danni, in quanto la dichiarazione di pubblica utilità, implicita nell’approvazione del piano di zona, non è un atto collettivo, ma deve essere inquadrato nella categoria degli atti plurimi, caratterizzati dall’efficacia soggettivamente limitata ai destinatari individuabili in relazione alla titolarità delle singole porzioni immobiliari oggetto della potestà ablatoria, con la conseguenza che il suo annullamento non spiega efficacia erga omnes (Cass. civ., sez. I, n. 11920 del 2009, n. 7253 del 2004, n. 2038 del 1996).

12.1.5. La correttezza della scelta di limitare gli effetti soggettivi del giudicato di annullamento del PEEP trova giustificazione anche nella evoluzione giurisprudenziale tendente a limitare l’estensione soggettiva degli effetti del giudicato in riferimento agli strumenti urbanistici in generale.

Da un lato si è affermato che la sentenza che conduce all’annullamento di un atto generale non sempre ha efficacia erga omnes, il che accade facilmente nel caso dell’annullamento di un piano regolatore, in cui l’interesse fatto valere nel ricorso resta circoscritto alle aree individuate o a parti specifiche del territorio comunale, pertinenti alle posizioni dell’istante (Cons. Stato, sez. IV, n. 7771 del 2003).

Dall’altro, che le prescrizioni contenute in una variante al piano regolatore generale vanno considerate scindibili, ai fini del loro eventuale annullamento in sede giurisdizionale, con la conseguenza che, nel caso in cui il ricorso prospetti vizi relativi solo ad alcune determinazioni, l’annullamento del provvedimento non può essere che parziale, stante il principio generale della specificità dei motivi proponibili nei ricorsi davanti al giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, n. 8146 del 2003).

Ed ancora, si è messo in collegamento tale orientamento con il principio giurisprudenziale, secondo cui sono inammissibili per carenza di interesse le censure concernenti la disciplina urbanistica di aree estranee a quelle di proprietà del ricorrente, giacché le prescrizioni dello strumento urbanistico vanno considerate scindibili ai fini del loro eventuale annullamento in sede giurisdizionale, salva la possibilità di proporre impugnativa allorquando la nuova destinazione urbanistica, pur concernendo un’area non appartenente al ricorrente, incida direttamente sul godimento o sul valore di mercato dell’area stessa, o comunque su interessi propri e specifici del medesimo esponente (Cons. Stato, sez. IV, n. 6619 del 2007; n. 4977 del 2003).

12.1.6. Resta da aggiungere che, al contrario di quanto sostengono gli appellanti nella memoria, (soprattutto la signora De To.), la sopravvenuta sentenza della Corte di appello di Bari n. 65 del 2014 che ha condannato il Comune alla retrocessione del bene a favore della De To., lungi dal confermare la fondatezza dell’appello, ha ritenuto il bene legittimamente espropriato ed integrati i diversi presupposti della retrocessione.

12.1.7. La persistente validità dei decreti di espropriazione, stante gli effetti solo tra le parti in causa dell’annullamento del PEEP, esonerano il Collegio dall’esaminare i profili di censura incentrati sulla applicabilità e violazione dell’art. 21-septies della l. n. 241 del 1990 e dell’art. 1 Prot. CEDU che presuppongo il venir meno della dichiarazione di pubblica utilità (contenuta nel PEEP).

13. In ordine agli altri profili di censura (§ 3, a2), volti all’annullamento del diniego di permesso di costruire, la sentenza gravata ha così essenzialmente argomentato:

a) è legittimo il diniego fondato sulla mancanza del titolo giuridico della disponibilità dei suoli, per essere gli stessi di proprietà comunale, e come tali inseriti nel piano di lottizzazione e nel programma dei contratti di quartiere;

b) le delibere del 2002 non sono state impugnate da parte dei ricorrenti;

c) né si è inverata l’opzione, offerta ai proprietari con la delibera n. 37 del 2002, di richiedere la restituzione dei suoli, peraltro previa rinuncia ad ogni pretesa; né i ricorrenti si sono mai attivati per la sottoscrizione della convenzione di lottizzazione, a parte la disponibilità data in sede di osservazioni al preannuncio di diniego di permesso di costruire.

13.1. Gli appellanti, sostanzialmente riproponendo le censure di primo grado, insistono sul diritto alla utilizzazione edilizia dei suoli fondandolo sul diritto alla restituzione scaturente dalla suddetta delibera n. 37, che avrebbe riconosciuto, autolimitandosi, efficacia erga omnes all’annullamento, evidenziando che non avevano interesse alla impugnazione della stessa; rilevano, comunque, che l’opzione ivi prevista della richiesta di restituzione o della convenzione non sarebbe stata resa possibile da vizi nella pubblicità delle delibere del 2002.

13. 2. Le censure non hanno pregio e va confermata la decisione e le argomentazioni del primo giudice di cui sopra (§.11).

13.2.1. Va aggiunto che del tutto priva di fondamento è la pretesa di rinvenire nella delibera n. 37 del 2002 l’estensione del giudicato amministrativo relativo all’annullamento del PEEP, anche per i soggetti non ricorrenti. Questa delibera, infatti, si limita a riconsiderare, in esecuzione del giudicato nella sua parte prescrittiva, il fabbisogno delle aree destinate ad edilizia residenziale pubblica; mentre, per i proprietari espropriati sulla base del PEEP, e non parti del giudizio di annullamento, prevede le opzioni di cui si è detto (§. 2.2.).

13.2.2. Né assume rilievo, come ipotizzano gli appellanti, la circostanza che la richiesta di permesso di costruire i quattro edifici concerneva anche suoli mai oggetto di espropriazione, posto che la mancanza di disponibilità di una parte di essi è ragione sufficientemente idonea al rigetto in toto del richiesta di titolo edilizio.

Cosi come non assume rilievo il richiamo alle richieste di restituzione, in forma giudiziale e stragiudiziale, fatte dai ricorrenti e appellanti, atteso che neanche si deduce che le stesse rispondevano alla condizione (previa rinuncia a qualsiasi pretesa) prevista dalla delibera n. 37 del 2002; anzi, si argomenta nel senso di vizi nella pubblicità della stessa delibera che non avrebbero consentito l’esercizio delle opzioni previste.

13.2.3. In generale, va ribadito che la mancata tempestiva impugnazione delle suddette delibere rende inammissibile ogni censura in ordine alla legittimità delle stesse avanzata dai ricorrenti e, in parte ampliata con l’appello e con le memorie.

14. Il primo giudice ha dichiarato inammissibili le domande rivolte all’annullamento degli atti relativi al programma dei “contratti di quartiere”.

Essenzialmente, ha ritenuto che, stante la proprietà pubblica dei suoli, i ricorrenti non fossero titolari di una posizione qualificata e differenziata, né potessero vantare alcun interesse concreto sulle modalità di utilizzazione di quei suoli; neanche avuto riguardo alla previa approvazione del piano di lottizzazione pubblico, stante la mancanza di ogni convenzione stipulata sulla base di quello.

14.1. In primo luogo va precisato che la signora Mu., secondo quanto dichiarato dalla stessa (cfr. ricorso di primo grado pag. 28) ha impugnato i suddetti atti in altro procedimento (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 3694 del 2009, già cit.).

14.2. La decisione è corretta e le censure in appello sono inidonee ad inficiarla.

14.2.1. Gli stessi ricorrenti non hanno ben perimetrato il loro interesse all’impugnazione degli atti concernenti i cd. “contratti di quartiere”. Già nel ricorso di primo grado avevano dedotto che l’interesse nasceva dalla circostanza che questi costituivano <> affinché il Comune desse attuazione alla delibera n. 37 cit. Riprendendo in appello la censura, sostengono che queste ulteriori determinazioni comunali impedirebbero al Comune di dare attuazione alla delibera n. 37 del 2002. Ma, secondo quanto già esplicato (§ 13.2.1.) quest’ultima è stata erroneamente assunta dai ricorrenti-appellanti come a loro favorevole.

14.2.2. In appello, poi, introducono un nuovo profilo di censura, come tale inammissibile. Infatti, sostengono che il difetto di un interesse giuridicamente tutelato è stato erroneamente assunto dal giudice di primo grado sulla base di un presupposto erroneo, non avendo questi considerato la non coincidenza tra le aree originariamente espropriate e le aree di proprietà degli istanti, mai incise dalla procedura ablativa e pure comprese nel piano di lottizzazione pubblico confluito nei contratti di quartiere, con conseguente interesse ad impugnare questi ultimi.

14.2.3. Né in questa sede possono avere ingresso censure e argomentazioni nuove fatte valere con le memorie (in particolare quella depositata il 29 settembre 2017 dalla signora Mu., unitamente a documenti successivi ai fatti di causa).

15. In conclusione, l’appello va integralmente rigettato.

16. Le spese processuali seguono la soccombenza.

16.1. In ragione della tardività della costituzione del Ministero, la misura delle stesse è ridotta, potendosi prendere in considerazione solo la partecipazione alla pubblica udienza.

16.2. Nei confronti delle altre parte intimate non sussistono i presupposti per la liquidazione delle spese processuali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando

sul ricorso meglio specificato in epigrafe (n. r.g. 5115/2008), così provvede:

a) respinge l’appello e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza;

b) condanna gli appellanti, in solido, al pagamento, in favore del Ministero, degli onorari, che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli – Presidente

Oberdan Forlenza – Consigliere

Giuseppe Castiglia – Consigliere

Daniela Di Carlo – Consigliere

Giuseppa Carluccio – Consigliere, Estensore

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