L’esecuzione della sentenza di primo grado da parte dell’amministrazione soccombente, non fa venir meno l’interesse della stessa all’appello, poiché si tratta della mera (e doverosa) ottemperanza ad un ordine giudiziale provvisoriamente esecutivo.

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 31 maggio 2018, n. 3259.

La massima estrapolata:

L’esecuzione della sentenza di primo grado da parte dell’amministrazione soccombente, non fa venir meno l’interesse della stessa all’appello, poiché si tratta della mera (e doverosa) ottemperanza ad un ordine giudiziale provvisoriamente esecutivo. Solo nel caso in cui emerga in modo esplicito la volontà dell’amministrazione di accettare l’assetto di interessi conseguente alla sentenza di primo grado potrebbe ipotizzarsi un interesse contrario a quello palesato con la proposizione dell’appello.

Sentenza 31 maggio 2018, n. 3259

Data udienza 1 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6562 del 2014, proposto da:
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato An. Ba., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ar. Po. in Roma, via (…);
contro
Ma. delle Gr. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Ra., con domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, via (…)
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per l’Umbria, Sez. I, n. 241 del 2014.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ma. delle Gr. s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 1 marzo 2018 il Cons. Silvia Martino;
Uditi per le parti rispettivamente rappresentate gli avvocati De. (su delega di Ba.) e Ra.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con deliberazione del Consiglio comunale n. 82 del 29 aprile 1999 il Comune di (omissis) approvava il piano particolareggiato riguardante il progetto di “mobilità alternativa per (omissis) città aperta all’uomo, ovvero (omissis) città senz’auto” con indicazione, relativamente al complesso edilizio “La Po.”, delle opere da espropriare e la previsione della realizzazione, in area di proprietà della Fi. s.r.l., di un edificio per l’edilizia privata con volumetria massima pari a mc. 15.000.
Con accordo sottoscritto il 23 novembre 2000 tra il Comune di (omissis) e la suddetta Fi. veniva convenuta la cessione a titolo gratuito di aree da espropriare localizzate nel suddetto complesso edilizio, potendo quest’ultima beneficiare secondo la delibera di adozione del piano particolareggiato (C.C. n. 135 del 12 ottobre 1998) della prevista volumetria (15.000 mc.) per interventi residenziali; con l’accordo veniva inoltre prevista la possibilità di modificare la destinazione d’uso del piano terra dell’edificio da realizzare da residenziale ad attività commerciale.
Con istanza del 13 febbraio 2006 la Fi. presentava istanza di permesso di costruire per la realizzazione del sopra citato intervento residenziale.
L’odierna appellante, società controllata da Fi., subentrava il 19 aprile 2006 nella pratica edilizia quale acquirente dell’area di cui trattasi, ed otteneva rispettivamente in data 28 aprile 2006 ed 11 marzo 2009 i permessi di costruire n. 7107/2006 e n. 26462/2009.
Successivamente in data 31 gennaio 2012 la società Ma. delle Gr. avanzava istanza di “variante, voltura per cointestazione e nuovo permesso per lavori non ultimati” relativamente al P.d.C. n. 7107/06.
La variante concerneva la modifica di destinazione d’uso con opere edilizie di una porzione del fabbricato da residenziale a commerciale.
Con la successiva istanza del 18 marzo 2013 la società presentava nuovi elaborati grafici e chiedeva la riduzione degli interventi rispetto all’istanza iniziale.
Con atto prot. 0028784 del 4 luglio 2013, il Comune di (omissis) disponeva l’archiviazione della suddetta istanza e relativa integrazione, sull’assunto della necessità di “individuare i parcheggi di uso pubblico relativi al 50% degli standards previsti per l’edificio residenziale realizzato cosi come previsto dalla L. 122/89”, e con la precisazione che “per poter giungere alla stipula di una convenzione tra l’amministrazione comunale e la società Ma. delle Gr., che regoli gli standards di uso pubblico di cui sopra e l’accesso alla rampa che conduce al piano interrato dell’edificio, è necessario che la società Fi. s.r.l. ceda a pieno titolo le aree così come stabilito dall’accordo bonario in data 23.11.2000”.
L’amministrazione comunale soggiungeva che le soluzioni proposte da Fi. con nota prot. 22008 del 21.5.2013, avrebbero potuto essere praticate solo dopo che l’amministrazione fosse stata in grado di disporre liberamente della proprietà delle aree che la stessa società si era impegnata a cedere.
2. La società impugnava siffatti provvedimenti innanzi al TAR di Perugia, deducendo;
I. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e 10-bis della legge 241/90 in combinato disposto con l’art. 17 c. 10 della L.R. n. 1/2004, eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione:
II. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 241/90 in combinato disposto con l’art. 17 c. 10 della L.R. n. 1/2004, eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione sotto ulteriore profilo, sviamento e contraddittorietà: sarebbe stato evidente il decifit motivazionale del diniego risultando l’area de qua dotata di parcheggi pubblici sufficienti e comunque conformi agli standard di cui alla legge 122/1989 e consentendo l’accordo del 2000 tra il Comune e il dante causa della ricorrente il negato mutamento di destinazione d’uso;
III. Difetto di istruttoria e motivazione sotto ulteriore profilo, eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità ed irrazionalità dell’azione amministrativa, sviamento: sarebbe stata del tutto illegittima la pretesa comunale di condizionare il rilascio del richiesto permesso di costruire alla stipula dell’atto di cessione tra il Comune stesso e la Fi., trattandosi di rapporto inter alios non opponibile alla ricorrente;
IV. Violazione e falsa applicazione dell’art. 34 della L.R. 1/2004, eccesso di potere per carenza dei presupposti e travisamento dei fatti: la pretesa carenza dei parcheggi pubblici era, secondo la società, insussistente, essendo le rampe d’accesso ed uscita del garage interrato di via (omissis) da tempo realizzate ed utilizzate dall’amministrazione comunale, potendo essa acquisire anche in via autoritativa la proprietà, a prescindere da ogni questione circa il preteso inadempimento della Fi. all’obbligo di cessione gratuita dell’area derivante dall’accordo sottoscritto nel 2000; sarebbe stata pertanto non veritiera la stessa circostanza della carenza di parcheggi pubblici assunta dal Comune a fondamento del diniego, risultando l’opera pubblica realizzata e utilizzata dalla collettività, a prescindere dalle connesse pretese restitutorie e risarcitorie.
3. Con motivi aggiunti, la società estendeva l’impugnativa al provvedimento prot. n. 56975 del 5 dicembre 2013 con il quale il Comune di (omissis) aveva rigettato anche la nuova istanza di rilascio del titolo abilitativo presentata dalla ricorrente il 16 luglio 2012 con disponibilità alla monetizzazione degli standard prevista dall’art. 14 c. 1 lett a) del R.R. n. 7/2010, ritenendo non conforme all’interesse pubblico prevalente tale richiesta, in considerazione “dell’attuale assetto urbanistico dell’area nonché della carenza di idonei servizi”.
Unitamente alla domanda di annullamento avanzava anche quella relativa all’accertamento del proprio diritto ad ottenere il rilascio del permesso di costruire richiesto con istanza del 31 gennaio 2012 rettificata come dalla suesposta richiesta del 13 marzo 2013.
I motivi aggiunti erano così articolati:
V. Violazione e falsa applicazione dell’art. 33 della L.R. 1/2004 in combinazione con l’art. 26 della L.R. 11/2005, dell’art. 58 delle N.T.A. parte operativa allegate al P.R.G., eccesso di potere per travisamento, manifesta contraddittorietà, difetto di motivazione: in quanto vi sarebbe stata piena conformità urbanistica del mutamento di destinazione d’uso per cui è causa, ai sensi dell’art. 58 delle N.T.A. del vigente P.R.G., come del resto avrebbe già riconosciuto lo stesso Comune mediante il parere favorevole emesso in data 20 dicembre 2011;
VI. Eccesso di potere per difetto di motivazione ed errata valutazione dei fatti, illogicità manifesta: il carattere vincolato del richiesto titolo abilitativo rendeva possibile, stante la fondatezza della pretesa azionata in giudizio, anche la richiesta condanna pubblicistica al rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 34 c. 1 lett. c) cod. proc. amm.;
VII. Violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 14 del R.R. n. 7/2010, degli artt. 28, 29, 30 delle N.T.A. parte operativa del P.R.G., violazione dei principi di trasparenza e correttezza dell’agire amministrativo, degli artt. 1, 2 e 3 della legge 241/90, difetto di motivazione ed istruttoria, eccesso di potere per irrazionalità ed illogicità manifesta e contraddittorietà: poiché ai sensi della disciplina normativa regionale applicabile e delle N.T.A. del P.R.G. risultavano sussistenti tutti i presupposti per la concessione della monetizzazione o del finanziamento dell’intervento sostitutivo in relazione al contesto urbanistico ed alla situazione di fatto della zona; la norma regolamentare non avrebbe posto alcun limite economico per la monetizzazione e vi sarebbe stata la presenza di tutti i servizi pubblici ivi compreso il parcheggio pubblico;
VIII. Violazione degli artt. 3 e 10 – bis della legge 241/90.
4. Nella resistenza del Comune di (omissis), il Ta.r. per l’Umbria accoglieva il ricorso per la ritenuta fondatezza delle censure “sostanziali” di cui al III e IV motivo di gravame.
In particolare, secondo il T.a.r., l’area risultava dotata degli standard urbanistici, rispetto ai quali nemmeno poteva ritenersi necessaria, per il rilascio del permesso di costruire, la preventiva cessione da parte della Fi. s.r.l. (pur se socio di maggioranza della ricorrente e suo dante causa) dell’area trasformata ed utilizzata a parcheggio pubblico.
Era infatti pacifico che il complesso edilizio denominato “La Po.” fosse dotato di parcheggio pubblico, avendo il Comune di (omissis) trasformato ed utilizzato l’area destinata a parcheggio nel piano particolareggiato, area che la Fi. si era impegnata a cedere a titolo gratuito in forza dell’accordo sottoscritto il 23 novembre 2000, in alternativa all’esproprio.
Risultava parimenti pacifico l’utilizzo pubblico del parcheggio da parte del Comune e della collettività locale così come la relativa idoneità a soddisfare gli standard urbanistici, fermo restando la questione della necessità di accertare definitivamente il regime proprietario.
La circostanza del mancato trasferimento definitivo del diritto di proprietà per inadempimento della Fi. al suesposto accordo, eccepita dal Comune, non poteva tuttavia opporsi alla ricorrente, benché essa fosse effettivamente subentrata nella medesima posizione della Fi. stessa, originario proprietario e dante causa della Ma. delle Gr. s.r.l..
A tale riguardo il T.a.r. rinviava alla sentenza n. 238 del 5 maggio 2014 resa dallo stesso Tribunale amministrativo tra il Comune di (omissis) e la Fi. s.r.l., con la quale era stata accertata la detenzione sine titulo da parte del Comune di (omissis) dell’area adibita a parcheggio e respinta la domanda comunale di accertamento costitutivo dell’obbligo di trasferimento in favore dell’amministrazione per sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità.
Detta sentenza aveva altresì accertato l’obbligo per il Comune di “adeguare lo stato di fatto a quello di diritto”, provvedendo a sua scelta o all’acquisto mediante decreto di acquisizione coattiva (art. 42 bis del d.P.R. 327/2001) o in via consensuale, in alternativa alla restituzione secondo i criteri civilistici ivi richiamati.
Sicché, secondo il giudice di prime cure, si era verificato un classico caso di sviamento di potere, in cui il richiesto titolo abilitativo inerente il mutamento di destinazione d’uso era stato negato per presunti inadempimenti imputabili a diverso rapporto amministrativo, allo scopo di dirimere il contenzioso sorto con la Fi. inerente il mancato trasferimento delle aree adibite a parcheggio.
Il richiesto mutamento di destinazione d’uso da residenziale a commerciale risultava poi consentito dal combinato disposto di cui all’art. 33, comma 7, della l.r. n. 1/2004 e art. 58 delle N.T.A. del P.R.G. vigente nel Comune di (omissis).
La descritta conformità urbanistica in uno con la dotazione degli standard urbanistici comportava quindi il conseguente obbligo di assentire il richiesto mutamento di destinazione d’uso, non emergendo dagli atti di causa ulteriori ragioni ostative.
Il T.a.r. non esaminava i motivi aggiunti concernenti il diniego di monetizzazione degli standard ritenendo rispetto ad essi venuto meno l’interesse, stante l’accertata dotazione degli standard urbanistici in riferimento all’area urbanizzata.
Si spingeva poi ad accogliere anche la connessa domanda di accertamento e condanna al rilascio del permesso di costruire richiesto con l’istanza del 31 gennaio 2012 come integrata nel marzo 2013 facendo applicazione dell’art. 34, comma 1 lett.c) del c.p.a..
5. La sentenza è oggetto di appello da parte del Comune di (omissis).
L’amministrazione premette i contenuti dell’accordo del 23.11.2000 raggiunto con la Fi., il quale era stato espressamente richiamato nel permesso di costruire rilasciato alla società odierna appellata. In particolare, l’art. 8 di tale accordo consentiva alla Fi. di presentare un progetto di variante esclusivamente per modificare la destinazione d’uso del piano terra da residenziale ad attività commerciali e per porzione dei piani superiori da residenziale a direzionale.
L’amministrazione – verificate le effettive esigenze dei parcheggi – si impegnava poi a sottoporre tale variante del Piano attuativo al Consiglio, per la delibera di adozione entro 60 giorni dalla sua approvazione.
La Fi. però, si sottraeva all’obbligo di definitiva cessione delle aree destinate a parcheggio pubblico, impedendo quindi all’amministrazione di ottenerne la proprietà.
Il Comune sottolinea che è proprio in tale parcheggio pubblico – previa stipula di apposita convenzione con il Comune – che, in base all’art. 7 dell’accordo del 23.11.2000, si sarebbero potuti individuare i parcheggi necessari al rispetto degli standard relativi all’intervento di edilizia residenziale in esame.
Tale mancanza determina ancora oggi una inevitabile carenza di aree adibite a parcheggio, necessarie al soddisfacimento degli standard urbanistici residenziali di cui alla l. n. 122/89, attesa l’impossibilità di individuare nell’intervento edificatorio realizzato dall’appellata sufficienti aree private a ciò adibite.
Prosegue poi il Comune osservando che, nel corso dell’istruttoria preliminare al cambio di destinazione d’uso, erano state le stesse società a prospettare la possibile monetizzazione degli standard, prevista nella Regione Umbria dalla l.r. n. 25 marzo 2010, n. 7.
Nell’istanza di permesso (all. 1 al doc. 12 primo grado), esse dichiaravano espressamente che l’intervento avrebbe comportato la modifica delle dotazioni territoriali e funzionali previste dal precedente permesso di costruire (peraltro già carenti) in ragione dei nuovi insediamenti commerciali e per servizi.
Successivamente, l’odierna appellata, approssimandosi la scadenza dell’originario permesso di costruire, e richiamando la circostanza di essere subentrata alla Fi. nei diritti ed obblighi derivanti dalla formazione del comparto edificatorio, richiedeva espressamente che venisse redatta la convenzione prevista dall’art. 7 dell’accordo.
Tuttavia, non essendosi pervenuti alla cessione delle aree, il Comune riteneva che l’intervento richiesto dalla società mancasse delle aree a parcheggio destinate a soddisfare gli standard, sull’assunto dell’impossibilità di stipulare una convenzione relativamente ad aree di cui non aveva la proprietà.
Né a tal fine poteva risultare utile l’offerta di Fi. di vincolare un’area contigua all’edificio residenziale, sulla quale però era stata prevista la realizzazione delle rampe di accesso ai garage del Piano interrato del Palazzo della Po. (ovvero il parcheggio pubblico a pagamento).
Si giungeva così al provvedimento impugnato in primo grado e alla sentenza che lo ha annullato la quale, secondo il Comune, si basa sull’erroneo convincimento che l’area sia dotata degli standard urbanistici necessari
Deduce pertanto:
1) Travisamento dei fatti posti alla base della decisione gravata in ordine all’asserita sussistenza degli standard urbanistici minimi ex art. 41- sexies della l. 1150 del 1942, così come modificata dall’art. 2 della l. n. 122/89; contraddittorietà della sentenza gravata in ordine alla intervenuta cessione delle aree destinate a parcheggio, difetto di motivazione.
Il fatto che le aree non siano state ancora cedute dalla Fi. non consente di predisporre in favore dell’appellata la richiesta convenzione di utilizzo del parcheggio. Inoltre, il parcheggio pubblico suddetto non può ancora ritenersi pacificamente utilizzato ed utilizzabile dalla collettività locale, essendo l’opera ancora in fase di realizzazione.
La sentenza, al riguardo, non reca una puntuale motivazione in ordine all’inopponibilità all’odierna appellata della circostanza relativa al mancato trasferimento del diritto di proprietà per inadempimento della Fi., mentre, contraddittoriamente, la stessa riconosce che Ma. delle Gr. è subentrata in tale accordo nelle medesima posizione di Fi..
2) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 33, comma 7, l.r. Umbria n. 1/2004 ed artt. 25 e 58 Nta parte operativa del vigente PRG con riguardo alla possibilità di mutamento della destinazione d’uso da residenziale a commerciale.
La sentenza ha ritenuto conforme il mutamento di destinazione d’uso di cui si verte alle disposizioni in rubrica senza considerare che l’art. 58, commi 5 e 6 delle N.T.A. al P.R.G. ribadisce la necessità che nelle nuove costruzioni vengano riservati appositi spazi per parcheggi che, nel caso di specie, non sono mai stati compiutamente individuati dalla società appellata.
In particolare, secondo le citate disposizioni, nelle nuove costruzioni debbono essere riservati spazi per parcheggi in misura pari ad 1 mq per ogni 10 mc e una percentuale di detti spazi, pari come minimo al 50% di superficie netta, dovrà essere reperita all’esterno dell’edificio in area facilmente accessibile da pubbliche vie e piazze e sistemata a parcheggio pubblico.
Nel caso di specie, gli standard minimi di cui all’art. 41- sexies cit. non possono dirsi integrati dalla mera presenza di un parcheggio pubblico mai entrato in funzione.
Stante la mancanza degli standard per l’uso residenziale non sarebbe stato quindi possibile assentire nemmeno il mutamento di destinazione d’uso.
L’amministrazione comunale prosegue osservando che tale valutazione non era impedita dal fatto di avere già rilasciato il precedente P.d.C. n. 7107/2006 perché esso è scaduto nell’agosto 2012 per mancato completamento dell’opera sicché l’odierna appellata ha presentato istanza di nuovo permesso con contestuale cambino di destinazione d’uso.
Ciò ha comportato una nuova ed autonoma verifica dei presupposti richiesti, secondo la giurisprudenza formatasi sull’art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001.
Per quanto riguarda il reperimento delle aree da destinare a parcheggio ad uso pubblico, quale standard per le attività commerciali e ricreative, l’art. 25 delle NTA, prevede la possibilità di computare oltre alle aree pubbliche, aree ad uso pubblico “in base a convenzione o atto d’obbligo”.
Anche in questo caso, non vi è stata alcuna individuazione degli spazi adibiti a parcheggio pubblico né tanto è stato possibile mediante convenzione, in ragione della mancata cessione delle aree da parte di Fi..
3) Travisamento dei fatti. Difetto di motivazione. Violazione e/o falsa applicazione art. 58, comma 4, NTA, parte operativa del vigente PRG, con particolare riguardo alla condanna pubblicistica del Comune all’adozione del provvedimento richiesto.
Il Ta.r. non ha considerato, al riguardo, che l’istanza rigettata non riguardava solo il mutamento di destinazione d’suo ma anche il rinnovo del permesso originario, per cui mancavano gli standard minimi. Non sarebbe poi vero che il rilascio del titolo per cambio di destinazione d’uso sia un’attività del tutto vincolata. Nel caso di specie, ad esempio, in cui viene aumentato il carico urbanistico del Centro Storico, l’art. 58 comma 4 della N.T.A. prescrive che è facoltà del dirigente vietare, tra le altre, anche la destinazione a negozi e pubblici esercizi quando ciò pregiudichi “le caratteristiche estetiche e funzionali di ambienti edilizi e di edifici esistenti”.
6. Si è costituita, per resistere, la società appellata, depositando una comparsa di stile.
Il Comune e la società, rispettivamente in data 7.2.2008 e 9.2.2008, hanno depositato memorie di “replica”.
6.1. Il Comune ha rappresentato che la Corte di Appello di Firenze, con la sentenza n. 2579 del 16.7.2014, ha condannato i legali rappresentanti della società Ma. delle Gr. s.r.l., odierna appellata, della società Fi. s.r.l., nonché alcuni tecnici privati e funzionari comunali, in relazione ai reati previsti e puniti dagli artt. 44, lett. c) d.P.R. n. 380/2001, affermando l’illegittimità del permesso di costruire originario (7107/2006), in ragione della non corretta interpretazione data all’art. 7 d.m. n. 1444/1968, con conseguente violazione dei limiti di densità edilizia previsti dalla disposizione medesima
Con tale sentenza, oltre ad essere sancita l’illegittimità del permesso di costruire originario, di cui l’appellata pretenderebbe la variazione, la Corte d’Appello ha, altresì, ordinato l’integrale demolizione del fabbricato realizzato sulla base di tale titolo.
Ne discenderebbe che dovrebbe ritenersi venuto meno l’interesse dell’odierna appellata a conseguire il rilascio del p.d.c. in variante al titolo edilizio originario n. 7107/2016, relativo ad un’opera per la quale è stata disposta l’integrale demolizione.
Si sarebbe cioè determinata una situazione in cui dovrebbe essere dichiarata l’improcedibilità del ricorso di primo grado con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
6.2. La società appellata, dal canto suo, ha replicato all’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse significando che, in esecuzione della sentenza appellata, il Comune di (omissis), a seguito della sentenza 241/2014 (oggetto del presente giudizio) ed in esecuzione alla stessa, ha rilasciato alla società Ma. delle Gr. S.r.l. il permesso di costruire n. 5455/2014.
Pertanto è in capo al Comune di (omissis) che mancherebbe oggi l’interesse a coltivare l’appello in questione.
Asserisce poi che avverso la sentenza delle Corte di Appello di Firenze fu proposto ricorso per cassazione e, avverso la pronuncia di inammissibilità del medesimo, pende il giudizio di revisione, e che, in ogni caso, è ancora pendente innanzi al Tribunale di Firenze il giudizio di esecuzione relativamente all’ordinanza di demolizione.
La società ha comunque presentato istanza di regolarizzazione amministrativa dell’intervento edilizio.
Quanto al merito della vicenda, ricorda che la sentenza n. 238/2014 del T.a.r. per l’Umbria, richiamata da quella appellata per affermare l’illegittimità del diniego adottato sulla base dell’inadempimento di Fi. agli accordi risalenti al 2000, è stata confermata da questo Consiglio con la sentenza di questa Sezione n. 4000 del 2015.
7. L’appello, infine, è passato in decisione alla pubblica udienza del 1° marzo 2018.
8. Le eccezioni preliminari debbono essere rigettate.
8.1. Relativamente alla pretesa, intervenuta acquiescenza da parte del Comune, ricorda il Collegio che l’esecuzione della sentenza di primo grado da parte dell’amministrazione soccombente, non fa venir meno l’interesse della stessa all’appello, poiché si tratta della mera (e doverosa) ottemperanza ad un ordine giudiziale provvisoriamente esecutivo (Cons. St., sez. V, 21 giugno 2017, n. 3030; id., Sez. IV, 11 agosto 2016, n. 3618 e 23 giugno 2015, n. 3182).
Secondo questo indirizzo – applicativo dell’effetto espansivo esterno della sentenza di riforma in appello previsto dall’art. 336, comma 2, c.p.c. – solo nel caso in cui emerga in modo esplicito la volontà dell’amministrazione di accettare l’assetto di interessi conseguente alla sentenza di primo grado potrebbe ipotizzarsi un interesse contrario a quello palesato con la proposizione dell’appello.
Non è tuttavia questo il caso in esame, nel quale non è stato addotto dalla società appellata alcun elemento idoneo a dimostrare una siffatta volontà da parte del Comune di (omissis).
8.2. Per quanto invece concerne il rilievo della sentenza penale invocata dall’amministrazione, ed in disparte l’autonomia che sussiste tra giudizio e penale e giudizio amministrativo, osserva il Collegio che la presente controversia riguarda un aspetto dell’intervento edilizio realizzato dalla società appellata distinto da quello specificamente analizzato in sede penale, in cui si è trattato del rispetto degli indici di densità fondiaria previsti dall’art. 7 del d.m. n. 1444 del 1968.
La società afferma, al riguardo, di avere presentato una istanza di regolarizzazione postuma, la cui eventualità – a ben vedere – non è stata esclusa nemmeno dal giudice penale, il quale ha adottato l’ordine di demolizione integrale del compendio sull’assunto dell’inesistenza, all’epoca, di “atti amministrativi che comportino, eventualmente, una parziale regolarizzazione postuma di quanto realizzato” (pag. 20).
Non si può escludere, pertanto, che residui l’interesse dell’appellata a conseguire una pronuncia definitiva in ordine agli ulteriori aspetti critici del progetto che il Comune di (omissis) aveva messo in luce nei provvedimenti all’odierno esame.
9. Nel merito, l’appello del Comune è fondato.
La materia del contendere, invero, si riduce ad una sola questione, ovvero se l’intervento progettato, sia nella versione originaria, che nella variante richiesta al fine di realizzare una parziale modifica della destinazione d’uso, fosse dotato degli standard a parcheggio ad uso pubblico prescritti dalla disciplina urbanistica vigente nel Comune di (omissis).
Nel diniego impugnato, l’amministrazione ha infatti ritenuto carenti i “parcheggi di uso pubblico relativi al 50% degli standards previsti per l’edifico residenziale realizzato”.
Il T.a.r. ha escluso tale carenza esclusivamente in ragione del fatto che, sull’area ancora nella titolarità della società Fi., fosse stato realizzato il parcheggio pubblico previsto dal Piano Particolareggiato approvato con la delibera di C.C. n. 82 del 29 aprile 1999.
Al riguardo, è bene ricordare che la società Fi. s.r.l., dante causa dell’odierna appellante, con accordo sottoscritto mediante scrittura privata del 23 novembre 2000, aveva convenuto con il Comune la cessione a titolo gratuito di tale area, potendo beneficiare secondo la delibera di adozione del piano particolareggiato (C.C. n. 135 del 12 ottobre 1998) di volumetria destinata ad interventi residenziali per 15.000 mc..
Il T.a.r. ha richiamato, in motivazione, la propria sentenza n. 238 del 2014 (successivamente confermata da questo Consiglio con sentenza n. 4000/2015) con la quale lo stesso Tribunale amministrativo aveva in precedenza:
– accertato la sopravvenuta inefficacia dell’accordo (qualificato come “preliminare atipico dicessione bonaria”) (parr. 3 e 6.1.);
– accertato, conseguentemente, la permanente occupazione sine titulo dell’area da parte del Comune (par. 6.1.);
– ordinato all’amministrazione di pronunciarsi espressamente in ordine alla richiesta di Fi. di procedere all’acquisizione sanante, ai sensi dell’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, valutando se addivenirvi o meno (par. 7 e dispositivo).
Orbene, pare al Collegio che le statuizioni contenute in tale sentenza avrebbero dovuto portare ad una valutazione esattamente opposta a quella effettuata nella successiva sentenza n. 241/2014, qui in esame.
In primo luogo, in base all’accertamento, oggi passato in giudicato, contenuto nella sentenza n. 238 del 2014, all’epoca di cui si verte l’area risultava ancora occupata sine titulo dal Comune.
Sicché, la circostanza che su di essa fosse stato realizzato, di fatto, un parcheggio pubblico non poteva avere alcun rilievo ai fini della verifica del rispetto degli standard relativi al progetto di cui trattasi, trattandosi di un asservimento precario privo di alcun titolo giuridico.
Tale circostanza, a parere del Collegio, ha carattere obiettivo sicché nella stessa non è possibile in alcun modo ravvisare il presupposto dello sviamento di potere rilevato dal T.a.r..
Il titolo abilitativo è stato infatti negato dal Comune non già allo scopo “di dirimere il contenzioso con la Fi. inerente il mancato trasferimento delle aree adibite a parcheggio” bensì perché la società richiedente non era stata in grado di individuare le aree da sistemare a parcheggio ad uso pubblico, così come richiesto dall’art. 58, commi 5 e 6, della N.T.A. del P.R.G. di (omissis) (per gli interventi residenziali), nonché dall’art. 25 (per le attività “commerciali e ricreative”).
Vero è che l’amministrazione precisava anche che “per poter giungere alla stipula di una convenzione tra l’amministrazione comunale e la società Ma. delle Gr., che regoli gli standards di uso pubblico di cui sopra e l’accesso alla rampa che conduce al piano interrato dell’edificio, è necessario che la società Fi. s.r.l. ceda a pieno titolo le aree così come stabilito dall’accordo bonario in data 23.11.2000”.
Tuttavia, anche in questo caso, non si tratta del tentativo da parte del Comune di conseguire un risultato che gli era stato negato in sede giurisdizionale (ovvero l’esecuzione coattiva dell’obbligo di cessione) quanto della mera constatazione delle conseguenze della mancata attuazione, e comunque, della sopravvenuta inefficacia di quell’accordo accertata in sede giurisdizionale.
Va in particolare osservato che – proprio per effetto dell’accertamento contenuto nella sentenza n. 238/2014 del T.a.r. – doveva ormai ritenersi inefficace anche la prescrizione contenuta nell’articolo 7 delle medesime pattuizioni, secondo cui “Resta convenuto tra le parti che, qualora fosse necessario alla società Fi. s.r.l. disporre di parcheggi per esigenze progettuali dovute al rispetto di standard urbanistici per l’edilizia residenziale, il Comune di (omissis) permetterà l’utilizzo di quelli pubblici, previa stipula di apposita convenzione per determinare il corrispettivo e le rispettive modalità”.
Pertanto, indipendentemente dal fatto che le prescrizioni dell’accordo del 2000 fossero o meno opponibili alla società odierna appellata, non è chiaro in quale modo la stessa intendesse dotare il compendio della prescritta dotazione di parcheggi ad uso pubblico.
Premesso, infatti, che il citato articolo 25 delle N.T.A. prevede che “ai fini dell’applicazione degli standards di cui ai commi 1, 2 e 3 della L.R. 31/97 come modificata dalla L.R. 24/1999 sono computabili, oltre alle aree pubbliche, anche quelle ad uso pubblico in base a convenzione o ad atto d’obbligo”, può osservarsi che in atti non risulta essersi verificata alcuna delle condizioni richieste da tale disposizione perché possano computarsi quali parcheggi pubblici le aree innanzi indicate.
In particolare:
le aree non sono pubbliche, perché il Comune, come accertato giudizialmente, ne è un mero occupante sine titulo;
la mera possibilità che il Comune acquisisca tali aree ai sensi dell’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 parimenti non consente al momento di qualificare tali aree come pubbliche, in quanto l’acquisizione al patrimonio comunale costituisce un evento futuro e incerto, condizionato all’esercizio da parte del Comune di una semplice “facoltà” di acquisizione (come espressamente precisato rispetto alla fattispecie in esame nella sentenza della Sezione n. 4000/2015);
non risultano in atti né convenzioni già stipulate né atti d’obbligo già adottati che destinino le aree ad uso pubblico.
Non ricorre, quindi, alcuna delle fattispecie di cui all’art. 25 N.T.A., mentre non è riconducibile a tali ipotesi la situazione di aree destinate a parcheggio pubblico senza titolo e solo in via di fatto, ossia in modo precario e contra legem. Trattasi, quindi, di aree non computabili.
Le esposte considerazioni – che riflettono la situazione come risultante in atti e comunque alla data di adozione dei provvedimenti impugnati in primo grado – sono di per sé autonomamente idonee a motivare l’accoglimento del ricorso in appello.
In aggiunta a tali rilievi può, comunque, osservarsi che la parte appellata non aveva attuale titolo né per sottoscrivere atti d’obbligo né per stipulare la convenzione con il Comune prevista dall’accordo bonario firmato dalla propria dante causa. Essa, infatti, non disponeva delle aree all’uopo destinate, in quanto ancora di pertinenza della Fi. (che con note del 17 e 18 maggio 2013 aveva solo dichiarato al Comune “di poter mettere a disposizione della Ma. delle Gr. srl un’area […] contigua all’edificio residenziale”, come precisato alla p. 14 dell’atto di appello), né comunque aveva titolo, anche nell’ipotesi in cui il Comune avesse deciso di acquisirle in via autoritativa, per imporre all’amministrazione l’attuazione dell’accordo bonario sottoscritto dalla propria dante causa; accordo che, come già evidenziato, per effetto della pronuncia n. 238 del 2014, aveva comunque perduto efficacia e non poteva più legittimare le contrapposte pretese.
10. La fondatezza dei rilievi del Comune in ordine alle statuizioni di annullamento rese dal T.a.r., travolge, ovviamente, anche la parte della pronuncia che ha accolto la domanda ex art. 34, comma 1, lett. c) del c.p.a., ordinando al Comune di (omissis) il rilascio del permesso di costruire.
11. In definitiva, per quanto appena argomentato, l’appello deve essere accolto, con il conseguente rigetto, per l’effetto, del ricorso e dei motivi aggiunti di primo grado.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, di cui in premessa, lo accoglie e, per l’effetto, respinge il ricorso e i motivi aggiunti di primo grado.
Condanna la società appellata a rifondere al Comune di (omissis) le spese del doppio grado di giudizio che liquida in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre IVA, CPA e rimborso spese generali, se dovuti, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Troiano – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere, Estensore

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