Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 24 maggio 2018, n. 3105.
La massima estrapolata:
Dinanzi all’illecito spossessamento del privato da parte della p.a. e all’irreversibile trasformazione del terreno per la costruzione di un’opera pubblica, il privato è nella facoltà (e non già nell’obbligo), anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, di domandare la restituzione del bene, ben potendo decidere di abdicare al suo diritto e chiedere – invece – il risarcimento del danno per equivalente.
Il suddetto principio, applicabile in via generale a tutti i casi di illegittima occupazione per ragioni di pubblica utilità dell’opera, rende irrilevante l’approfondimento dell’ulteriore argomento (speso dagli appellati) concernente la previsione, nella specifica materia delle occupazioni per finalità di edilizia residenziale pubblica, dell’asserito (solo) diritto al risarcimento del danno con esclusione di ogni forma di retrocessione del bene (in base al combinato disposto di cui agli artt. 3 della legge n. 458/1988 e 58, comma 1, del d.P.R. n. 327/2001, in relazione ai progetti approvati prima del 30 giugno 2003).
Sentenza 24 maggio 2018, n. 3105
Data udienza 22 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 738 del 2009 proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Me., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fr. Ga. Sc. in Roma, via (…);
contro
So. De Be., Ro. De Be., St. De Be. ed Em. De Be. (in qualità di eredi di Ce. Ma. Ga., Po. Or. d’A., in proprio e in qualità di procuratore generale di Ro. Br. Ma. d’A., tutti rappresentati e difesi dall’avvocato Gi. Er. Ce., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pa. Ti. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Bari, Sezione III, n. 2573 del 12 novembre 2008, resa tra le parti, concernente domanda di risarcimento dei danni da illegittima occupazione di bene privato per ragioni di pubblica utilità.
Visti il ricorso in appello principale e i relativi allegati;
Visto il controricorso contenente, altresì, l’appello incidentale degli intimati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2018 il consigliere Daniela Di Carlo e uditi per le parti gli avvocati Ad. To. (su delega dell’avvocato Gi. Me.) e Gi. Mi. (su delega dell’avvocato Gi. Er. Ce.);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La controversia riguarda l’azione proposta dai signori Ce. Ma. Ga., Po. Or. d’A., in proprio e in qualità di procuratore generale di Ro. Br. Ma. d’A., per:
a) l’accertamento dell’illecita occupazione del fondo di loro proprietà (sito in agro di (omissis), località (omissis), distinto in Catasto alla partita (omissis), foglio (omissis), particelle (omissis), per un’estensione di mq 4.717, utilizzato a fini di edilizia residenziale pubblica);
b) il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno conseguente all’anzidetta occupazione;
c) la condanna al pagamento dell’indennità per il periodo di legittima occupazione temporanea.
1.1. Il fondo è stato occupato in via temporanea e d’urgenza con decreto n. 6 del 1 luglio 1985 per la durata di cinque anni.
1.2. L’immissione in possesso è avvenuta con verbale del 16 settembre 1985.
1.3. L’occupazione del fondo si è protratta oltre il termine quinquennale di scadenza (16 settembre 1990) prevista dall’anzidetto decreto e anche oltre quella (16 settembre 1994) consentita dalla proroga automatica del termine ai sensi delle leggi n. 47/1988 e n. 158/1991.
1.4. Il decreto definitivo di esproprio non è mai stato adottato.
1.5. In data 12 dicembre 1998 è intervenuto tra le parti un accordo bonario per la cessione delle aree, a mezzo del quale si concordava in lire 30.000 al mq il prezzo di cessione e si subordinava l’efficacia del medesimo, nei confronti del comune, alla condizione che lo Stato concedesse il mutuo per l’acquisto.
2. Il T.a.r. per la Puglia, Bari, Sezione III, con la sentenza n. 2573 del 12 novembre 2008 ha:
a) dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda di pagamento dell’indennità per il periodo di legittima occupazione temporanea, per essere fornito di giurisdizione il giudice ordinario (il capo non è stato impugnato);
b) riconosciuto l’intervenuto perfezionamento della fattispecie dell’accessione invertita da occupazione acquisitiva e, per l’effetto, acclarato la definitiva perdita del bene da parte del privato;
c) qualificato le aree occupate come edificabili;
d) condannato, per l’effetto, il comune di (omissis), al risarcimento del danno patito, da quantificarsi – ai sensi dell’art. 35, comma 2 del D.lgs. n. 80/1998 – secondo i criteri stabiliti in motivazione (“poiché l’illegittimità dell’occupazione si è verificata il 16.9.1990, opera il disposto del comma 7-bis all’art. 5-bis del d.l. n. 333/1992 (convertito nella legge n. 359/1992), introdotto con l’art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e, vertendosi in materia di risarcimento conseguente all’occupazione acquisitiva di aree edificabili, il danno il danno va determinato mediando il valore venale del bene e il reddito dominicale rivalutato dall’ultimo decennio, con esclusione della riduzione del 40% e con incremento del 10%”);
e) stabilito che la somma così determinata andasse rivalutata in base agli indici ISTAT dalla data di effettiva occupazione e fino al deposito della sentenza;
f) riconosciuto la spettanza, sulla somma così rivalutata, degli interessi anno per anno in base agli indici annuali medi di svalutazione;
g) condannato, infine, il comune al pagamento delle spese di lite liquidate in complessivi euro 2.500,00.
3. La sentenza è stata oggetto di due impugnazioni, in via principale da parte dell’amministrazione comunale e in via incidentale da parte degli originari ricorrenti.
4. Il Comune di (omissis) ha censurato la sentenza unicamente nella parte in cui ha accolto la domanda di risarcimento del danno per la definitiva perdita della proprietà del fondo, ritenendo perfezionata la fattispecie dell’accessione invertita da occupazione acquisitiva e ordinando al comune di “formulare un’offerta alla parte ricorrente, entro il termine di giorni 90 dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione a cura di parte (se più tempestiva) della presente sentenza”.
4.1. A sostegno del gravame ha dedotto due motivi di censura:
1) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 327/2001 – Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto – Ingiustizia manifesta – Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.”. Si assume che il primo giudice, violando l’art. 112 c.p.c., abbia pronunciato – accogliendola – su una domanda di risarcimento del danno che, invece, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile a cagione dell’impossibilità di applicare, a seguito della giurisprudenza europea maturata sull’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU e di quella interna a far data dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 2016, l’istituto – di creazione giurisprudenziale – dell’accessione invertita da occupazione acquisitiva. Pertanto, in mancanza di adozione di formale decreto di esproprio ai sensi dell'(allora vigente) art. 43 del d.P.R. n. 327/2001, il bene deve essere restituito e va esclusa ogni alternativa tecnica risarcitoria da perdita del diritto di proprietà.
2) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. – Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto – Ingiustizia manifesta”. Si assume che il primo giudice ha omesso di pronunciare sulle ulteriori eccezioni sollevate dall’amministrazione comunale, concernenti: 1) il difetto di giurisdizione sul presupposto che la questione oggetto del giudizio riguardasse la misura delle indennità espropriative; 2) la stipulazione, tra le parti, di un accordo bonario sulla misura delle indennità espropriative, sicché i ricorrenti avrebbero avuto titolo unicamente al pagamento delle sole indennità concordate.
5. Con controricorso contenente, altresì, appello incidentale, i signori So. De Be., Ro. De Be., St. De Be. ed Em. De Be. (in qualità di eredi di Ce. Ma. Ga., Po. Or. Po. d’A., in proprio e in qualità di procuratore generale di Ro. Br. Ma. d’A.):
a) hanno ribadito l’infondatezza dell’avversa eccezione di difetto di giurisdizione giacché:
a.1) la domanda originariamente proposta aveva ad oggetto l’accertamento e la condanna al risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza dell’illegittima occupazione, ivi compresa la perdita del bene conseguente all’irreversibile trasformazione, e non già la domanda al pagamento dell’indennità di espropriazione;
a.2) l’accordo bonario di cessione delle aree intervenuto tra le parti non è mai divenuto efficace, non essendosi realizzata la condizione alla quale era stato sottoposto;
b) hanno sostenuto, altresì, l’infondatezza dell’avversa eccezione di inammissibilità della domanda risarcitoria, rappresentando che:
b.1) l’art. 3 della legge n. 458/1988, in materia di occupazione di aree destinate all’edilizia residenziale pubblica, prevede il diritto al risarcimento del danno con esclusione della retrocessione del bene. La disposizione è, anche ratione temporis, applicabile al caso all’esame – secondo la previsione dell’art. 58, comma 1, d.P.R. n. 327/2001 – trattandosi di fattispecie connessa a progetti approvati prima del 30 giugno 2003;
b.2) in ogni caso, anche a prescindere da tale previsione, il privato resta libero di optare per il risarcimento del danno per equivalente, in luogo della restituzione del bene irreversibilmente utilizzato a fini di pubblica utilità.
c) hanno, infine, impugnato in via incidentale la pronuncia nella parte in cui ha previsto che la misura del risarcimento del danno debba essere determinata facendo applicazione dell’art. 5 bis, comma 7 bis della legge n. 359/1992 (dichiarata incostituzionale con sentenza n. 349/2007), anziché degli artt. 3 della legge n. 458/1988 e 55 del d.P.R. n. 327/2001, come modificato dall’art. 2, commi 89 e 90 della legge n. 244/2007. Si predica, in particolare, l’applicazione del principio generale dell’integralità del ristoro del pregiudizio patito in conseguenza dell’illegittima occupazione del bene o della sua definitiva perdita.
6. Alla camera di consiglio del 17 febbraio 2009 la Sezione ha respinto con l’ordinanza n. 856/2009 la domanda cautelare proposta dal comune sulla base della seguente motivazione: “Considerato che, nella valutazione sommaria tipica di questa fase, la sentenza gravata non appare affetta dai vizi evidenziati; considerato che il decisum non appare concretizzare un immediato pregiudizio, rimettendo alla successiva proposta dell’amministrazione la quantificazione del risarcimento dovuto”.
7. Con ordinanza collegiale n. 2952 del 16 giugno 2017, invece, è stata dichiarata l’interruzione del giudizio, ai sensi degli artt. 79, co. 2, c.p.a. e 299 e ss. c.p.c., a cagione della morte del difensore del comune di (omissis) (l’avvocato An. Me., deceduto in comune di Foggia il 9 gennaio 2014, come risulta dal certificato di morte rilasciato dal medesimo comune in data 10 gennaio 2014), comunicata con atto depositato in data 6 marzo 2017.
8. Gli appellati-appellanti incidentali hanno riassunto il giudizio con ricorso notificato a mezzo di avviso spedito in data 29 maggio 2017 e ricevuto dall’appellato il giorno successivo.
9. Il comune di (omissis) si è costituito con atto depositato il 4 agosto 2017.
10. Le parti hanno ulteriormente insistito nelle rispettive tesi difensive mediante il deposito di documenti (il comune in data 11 gennaio 2018), memorie difensive (il comune il 17 gennaio 2018 e gli appellati in data 22 gennaio 2018) e di replica (il solo comune il 30 gennaio 2018).
11. All’udienza pubblica del 22 febbraio 2018 la causa è stata discussa e trattenuta dal Collegio in decisione.
12. L’appello principale svolto dal comune di (omissis) è infondato e non merita, dunque, accoglimento per i seguenti motivi.
13. In ordine logico-giuridico va preliminarmente esaminata la riproposta (col secondo motivo di appello) eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore di quello ordinario.
13.1. Secondo la difesa comunale, la controversia apparterrebbe alla giurisdizione ordinaria perché sarebbe in contestazione l’an e il quantum della spettanza dell’indennità espropriativa, essendo intervenuto tra i danti causa delle odierne controparti e il comune un accordo di cessione bonaria delle aree.
13.2. Il rilievo non ha pregio per i seguenti motivi:
a) è incontestato che, nella vicenda de qua, non sia mai stato formalmente adottato alcun decreto di esproprio;
b) non corrisponde a verità, inoltre, l’asserire che tra le parti sia intervenuto un valido ed efficace accordo di cessione delle aree, giacché – è documentale – l’accordo era stato sottoposto alla condizione che lo Stato concedesse al comune il mutuo per l’acquisto del fondo dai privati. L’accordo non è mai divenuto efficace tra le parti (o, almeno, di ciò non vi è prova in atti) a cagione del mancato avveramento della condizione, sicché la pretesa – oggi vantata dal comune – di essere tenuto al ristoro dei danni nella misura di lire 30.000 al mq non è assolutamente da condividersi. Quel prezzo, infatti, era stato concordato dalle parti per il (solo) caso che fosse andata a buon fine la cessione delle aree al tempo della stipulazione, e non già per il diverso caso (per il quale oggi è causa) concernente il ristoro dei danni patiti in conseguenza dell’illegittima occupazione protrattasi sine die senza adozione di valido ed efficace decreto di esproprio.
14. Non migliore sorte incontra l’altra censura con cui si contesta l’ammissibilità e, comunque, la fondatezza dell’avversa domanda risarcitoria, in ragione della mancata proposizione, da parte dei ricorrenti, della domanda di restituzione del bene.
14.1. L’assunto è privo di pregio.
14.2. Giova ricordare, sul punto, il fondamentale arresto cui è pervenuto, in materia di occupazione sine titulo, il Consiglio di Stato.
14.2.1. L’Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 2 del 2016, ha ricostruito in termini chiarissimi il quadro dei principi che, successivamente all’ordinanza di rimessione di questa Sezione, sono stati elaborati dalla Corte costituzionale (sentenza n. 71 del 2015), dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (decisioni n. 735 del 19 gennaio 2015 e n. 22096 del 29 ottobre 2015) e dal Consiglio di Stato stesso (sentenze Sez. IV, n. 4777 del 19 ottobre 2015; n. 4403 del 21 settembre 2015; n. 3988 del 26 agosto 2015; n. 2126 del 27 aprile 2015; n. 3346 del 3 luglio 2014), all’interno della consolidata cornice di tutele delineata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (ex plurimis e da ultimo, con riferimento all’ordinamento italiano, Corte europea dei diritti dell’uomo, Sez. II, 3 giugno 2014, Rossi e Variale; Sez. II, 14 gennaio 2014, Pascucci; Sez. II, 5 giugno 2012, Immobiliare Cerro; Grande Camera, 22 dicembre 2009, Guiso; Sez. II, 6 marzo 2007, Scordino; Sez. III, 12 gennaio 2006, Sciarrotta; Sez. II, 17 maggio 2005, Scordino; Sez. II, 30 maggio 2000, Soc. Belvedere alberghiera; Sez. II, 30 maggio 2000, Carbonara e Ventura).
14.2.2. La Plenaria, in particolare, dopo avere ricordato che la condotta illecita dell’amministrazione, quale che sia stata la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), non può comportare l’acquisizione del bene medesimo, giacché essa configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c., ha precisato che la suddetta condizione di illiceità può cessare solo in conseguenza:
a) della restituzione del fondo;
b) di un accordo transattivo;
c) della rinunzia abdicativa (e non traslativa, secondo una certa prospettazione delle SS.UU.) da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo;
d) di una compiuta usucapione, ma solo nei ristretti limiti individuati dal Consiglio di Stato (Sez. IV, n. 3988 del 2015 e n. 3346 del 2014);
e) di un provvedimento emanato ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001, solo impropriamente definito “acquisizione sanante”.
14.2.3. Nel caso di specie, deve essere affermata la pacifica e indiscussa ricorrenza dell’ipotesi delineata sub c).
E invero:
a) fin dal primo grado del giudizio i ricorrenti hanno agito per il solo risarcimento del danno (per equivalente monetario) patito in conseguenza dell’illegittima occupazione del fondo;
b) hanno qualificato loro stessi, la propria domanda, come volta alla dichiarazione dell’avvenuta accessione invertita in favore del comune per effetto dell’irreversibile trasformazione del bene a seguito della costruzione dell’opera pubblica (alloggi di edilizia residenziale pubblica);
14.2.4. Come recentemente precisato da questa Sezione del Consiglio di Stato (sentenza 30 giugno 2017, n. 3234, cui si rinvia anche ai sensi del disposto di cui agli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a.), ai fini dell’affermazione dell'(avvenuta) produzione dell’effetto abdicativo al diritto di proprietà, resta irrilevante, tra le altre, perfino la circostanza che non sia stato adottato il provvedimento (impropriamente detto, di cd. acquisizione sanante) ai sensi dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001: l’operatività di tale meccanismo postula, sul piano logico-giuridico, che la formale titolarità della proprietà risulti ancora in capo al privato, sicché l’adozione dell’atto, unitamente alla liquidazione dell’indennità, rappresentano il necessario presupposto per il trasferimento del diritto di proprietà in favore dell’amministrazione.
Quando invece, come nel caso all’esame, si è già realizzata una perdita del diritto di proprietà dei fondi occupati di tipo abdicativo e non traslativo, in virtù dell’atto (implicito) di rinuncia al diritto stesso, per avere il privato, nel libero esercizio del proprio potere di autodeterminazione, azionato una domanda giurisdizionale volta ad ottenere il solo risarcimento del danno, nessun senso logico ha (prima ancora che giuridico) continuare a sostenere la tesi secondo cui la teorica della cd. occupazione acquisitiva non farebbe più parte del nostro diritto vivente.
14.2.5. Resta fermo, pertanto, il principio secondo cui, dinanzi all’illecito spossessamento del privato da parte della p.a. e all’irreversibile trasformazione del terreno per la costruzione di un’opera pubblica, il privato è nella facoltà (e non già nell’obbligo), anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, di domandare la restituzione del bene, ben potendo decidere di abdicare al suo diritto e chiedere – invece – il risarcimento del danno per equivalente (Corte di Cassazione, sentenza 7 marzo 2017 n. 568; sulla possibilità per l’interessato di scegliere di abbandonare l’immobile danneggiato all’amministrazione occupante e ottenere in cambio l’integrale risarcimento del danno v. anche Consiglio di Stato, sez. IV, 7 novembre 2016, n. 4636).
1.4.2.6. Il suddetto principio, applicabile in via generale a tutti i casi di illegittima occupazione per ragioni di pubblica utilità dell’opera, rende irrilevante l’approfondimento dell’ulteriore argomento (speso dagli appellati) concernente la previsione, nella specifica materia delle occupazioni per finalità di edilizia residenziale pubblica, dell’asserito (solo) diritto al risarcimento del danno con esclusione di ogni forma di retrocessione del bene (in base al combinato disposto di cui agli artt. 3 della legge n. 458/1988 e 58, comma 1, del d.P.R. n. 327/2001, in relazione ai progetti approvati prima del 30 giugno 2003).
A prescindere, infatti, dalla fondatezza del rilievo e dalla possibilità, all’attualità, di ammettere (cfr. in argomento Corte di cassazione, sez. un., sentenza n. 735 del 19 gennaio 2015), tale residua forma di acquisizione della proprietà privata nel nostro ordinamento giuridico alla luce della cornice interpretativa europea sopra descritta e divenuta, oramai, parte integrante del nostro sistema normativo (v. art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001) e del diritto vivente (cfr. Adunanza Plenaria n. 2/2016), resta decisivo – nel caso all’esame – che è la natura giuridica da riconoscere alle due azioni a militare nel senso dell’alternatività dei due rimedi tra di loro, sicché non ha pregio l’assunto del comune secondo cui la mancata proposizione dell’uno (l’azione restitutoria) implicherebbe l’inammissibilità dell’altro (l’azione risarcitoria).
14.3. In definitiva, per le considerazioni suesposte, l’appello principale non può trovare accoglimento.
15. Va, ora, scrutinato l’appello incidentale svolto dai privati.
15.1. La critica alla decisione di prime cure involge l’applicazione (rectius, la mancata applicazione) del principio dell’integralità del ristoro patito. Si censura, infatti, la scelta del primo giudice di ancorare la determinazione del quantum del risarcimento del danno all’art. 5 bis, comma 7 bis della legge n. 359/1992 (norma dichiarata incostituzionale con sentenza n. 349/2007), anziché agli artt. 3 della legge n. 458/1988 e 55 del d.P.R. n. 327/2001, come modificato dall’art. 2, commi 89 e 90 della legge n. 244/2007.
15.2. Il rilievo è fondato.
15.3. Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato (Consiglio di Stato, sez. IV, 7 novembre 2016 n. 4636), in caso di occupazione di bene privato per ragioni di pubblica utilità, non esitata in espropriazione legittima, possono configurarsi:
a) un danno da perdita del bene, che va determinato con riferimento al valore venale del bene, senza applicazione di alcuna decurtazione, al momento in cui il negozio unilaterale di rinunzia comporta abbandono della proprietà (e, quindi, in rapporto ai vincoli e in vista delle destinazioni urbanistiche imposti al bene prima di detta rinuncia); nel caso all’esame tale momento va individuato nel mese di settembre 2007 (ovvero quando è stato proposto il ricorso di primo grado); la somma corrispondente costituisce debito di valore, soggetto a rivalutazione e interessi al tasso legale (da calcolarsi separatamente sulla sorte capitale) sino alla stima che sarà effettuata dal comune;
b) un danno da perdita di godimento del bene, a seguito della compressione delle facoltà dominicali per l’intervallo di tempo fra l’inizio dell’occupazione illecita (16 settembre 1990) e l’atto abdicativo (settembre 2007); detto danno può essere computato, in difetto di prova rigorosa di ulteriori e diversi profili di danno, in via equitativa e con applicazione del criterio della taxatio rei, tenendo conto dei criteri risarcitori dettati dall’art. 42 bis, comma 3, d.P.R. 327 del 2001, nonché dell’andamento del tasso degli interessi legali e della svalutazione monetaria nel periodo di riferimento e, dunque, in una somma onnicomprensiva pari al cinque per cento annuo del valore del terreno, come da vincoli e destinazioni urbanistiche concretizzatisi prima della rinuncia al diritto di proprietà (ovvero sopra al valore dei fondi al settembre 2007 e per 17 anni); sulla sorte capitale così determinata a titolo di risarcimento del danno da perdita del godimento, decorrono gli interessi al tasso legale dalla stima effettuata dalla Amministrazione e fino all’effettivo soddisfo.
15.4. Pertanto, in accoglimento dell’appello incidentale in parziale riforma della sentenza impugnata, il comune di (omissis) dovrà proporre agli odierni appellanti incidentali, ai sensi e per gli effetti dell’art. 34, co. 4, c.p.a., con riferimento ai beni illecitamente occupati ed entro il termine di centottanta giorni dalla data di comunicazione della presente sentenza, o da quella di notificazione se anteriore, il pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno da perdita del diritto di proprietà, nonché di una somma per risarcimento del danno da mancato godimento dei beni occupati, ambedue definite secondo i criteri innanzi indicati e nei limiti temporali innanzi precisati.
15.5. La somma complessivamente offerta dovrà, inoltre, essere decurtata di quanto già eventualmente corrisposto agli appellanti incidentali (o, eventualmente, ai loro danti causa) a titolo di acconto sul dovuto (lire 23.585.000 in base alla delibera di consiglio comunale n. 216 del 30.9.1987; nonché tutti gli ulteriori importi versati per tale causale, fra cui quelli risultanti dai mandati di pagamento depositati dal comune in data 12.1.2018, e segnatamente i mandati: n. 399 per euro 10.125,00; n. 400 per euro 10.125,00; n. 401 per euro 10.125,00; n. 402 per euro 40.500,00; n. 403 per euro 10.125,00; n. 883 per euro 3.116,09; n. 884 per euro 3.116,09; n. 885 per euro 3.116,09; n. 886 per euro 3.116,09; n. 887 per 12.464,36); tutte le somme versate dal comune devono essere maggiorate degli interessi legali calcolati dalla data dei singoli pagamenti e fino alla stima effettuata dal comune.
15.6. Tali somme sono da ritenersi omnicomprensive di ogni ulteriore posta di danno secondo il noto criterio della taxatio rei (cfr. da ultimo, in materia di danni da occupazione abusiva, Cons. Stato, sez. IV, 26 ottobre 2017, n. 5262).
15.7. Su tutti gli importi come sopra liquidati spettano, invece, gli interessi legali dalla data della stima effettuata dalla Amministrazione e fino all’effettivo saldo.
16. La regolazione delle spese di lite del doppio grado, liquidate come in dispositivo secondo i parametri di cui al regolamento n. 55/2014 e s.m.i., segue il principio della soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
a) rigetta l’appello principale del comune di (omissis);
b) accoglie l’appello incidentale dei signori So. De Be., Ro. De Be., St. De Be. ed Em. De Be. (in qualità di eredi di Ce. Ma. Ga., Po. Or. d’A., in proprio e in qualità di procuratore generale di Ro. Br. Ma. d’A., nei sensi di cui in motivazione;
c) per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna il comune di (omissis) al risarcimento del danno da perdita della proprietà e da mancato godimento della medesima, nei sensi e limiti indicati in motivazione;
d) ordina al comune, ai sensi dell’art. 34, co. 4, c.p.a., di proporre agli appellanti incidentali, entro il termine di centoottanta giorni decorrente dalla data di comunicazione della presente sentenza, o da quella di notificazione se anteriore, l’eventuale pagamento di una somma di denaro, a titolo di risarcimento dei danni, calcolata secondo i criteri e nei limiti temporali indicati in motivazione;
e) condanna, infine, il medesimo comune alla rifusione, in favore degli appellanti incidentali, in solido tra di loro, delle spese di lite del doppio grado liquidate in complessivi euro 10.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere, Estensore
Nicola D’Angelo – Consigliere
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