Ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di un permesso di costruire da parte di terzi

Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 23 maggio 2018, n. 3075.

Ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di un permesso di costruire da parte di terzi, l’effetto lesivo si atteggia diversamente a seconda che si contesti l’illegittimità del titolo per il solo fatto che esso sia stato rilasciato (ad esempio, per contrasto con l’inedificabilità assoluta dell’area) ovvero che si contesti il contenuto specifico del permesso (ad esempio, per eccesso di volumetria o per violazione delle distanze minime tra fabbricati). Il momento da cui computare i termini decadenziali di proposizione del ricorso, nell’ambito dell’attività edilizia, è infatti individuato: nell’inizio dei lavori, nel caso si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area, ovvero, laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.), dal completamento dei lavori o dal grado di sviluppo degli stessi, se si renda comunque palese l’esatta dimensione, consistenza, finalità, dell’erigendo manufatto, ferma restando la possibilità, da parte di chi solleva l’eccezione di tardività, di provare, anche in via presuntiva, la concreta anteriore conoscenza del provvedimento lesivo in capo al ricorrente e l’onere di chi intende contestare adeguatamente un titolo edilizio di esercitare sollecitamente l’accesso documentale. La richiesta di accesso non è però idonea ex se a far differire i termini di proposizione del ricorso, perché se, da un lato, deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall’altro lato, deve parimenti essere salvaguardato l’interesse del titolare del permesso di costruire a che l’esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche contraria ai principi ordinamentali.

Sentenza 23 maggio 2018, n. 3075
Data udienza 19 aprile 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9268 del 2013, proposto dalla Ga. s.p.a, ora Fallimento Ga. s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Fr. Fe., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Gi. Ca. non costituito in giudizio;
nei confronti
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ma. e Pi. Pi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Ma. in Roma, via (…);
Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Liguria, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Liguria, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Liguria, Sezione I, n. 719 del 24 aprile 2013.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Regione Liguria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 aprile 2018 il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti gli avvocati Fe. e P. Ca. su delega di A. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il T.a.r. per la Liguria, Sezione Prima, con sentenza 24 aprile 2013, n. 719, ha accolto il ricorso proposto dal signor Gi. Ca. per l’annullamento del permesso di costruire n. 8 del 9 settembre 2010, rilasciato dal Comune di (omissis) alla Ga. s.p.a. (in prosieguo anche la Società) in attuazione del piano di recupero urbanistico di iniziativa pubblica, via del Fondaco, in variante in corso d’opera al permesso n. 75 del 27 novembre 2007 per l’edificio ex Caserma Carabinieri di (omissis), del medesimo permesso n. 75 del 2007, delle autorizzazioni paesaggistiche nn. 5 del 2009 e 7 del 2010 nonché degli atti presupposti.
1.1. La Società ha impugnato tale sentenza, formulando, innanzitutto, il seguente motivo di appello:
Erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha respinto le preliminari eccezioni di irricevibilità ed inammissibilità dedotte dall’appellante. Irricevibilità ed inammissibilità del ricorso di primo grado. Insufficienza della motivazione e travisamento dei fatti.
Il ricorso di primo grado sarebbe irricevibile per tardività e l’impugnazione del signor Carbone sarebbe comunque inammissibile.
Con riguardo al permesso di costruire n. 75 del 21 novembre 2007, l’impugnazione sarebbe tardiva tenuto conto che, nel febbraio 2009, il ricorrente signor Carbone sarebbe stato già a conoscenza del titolo edilizio contestato e ne avrebbe già percepito la portata lesiva. Tale circostanza sarebbe dimostrata dalla nota del 24 febbraio 2009, con cui il signor Carbone aveva manifestato al Comune preoccupazioni in ordine alla conformità dell’intervento alla disciplina sulle distanze ed alle previsioni del Piano di recupero del Fondaco.
In relazione al permesso di costruire in variante n. 8 del 9 settembre 2010, l’impugnazione sarebbe inammissibile per difetto di interesse, tenuto conto che la variante era stata presentata proprio al fine di assecondare le richieste dell’interessato e, in ogni caso, sarebbe irricevibile per tardività poiché i lavori erano stati ultimati, con riguardo alle parti strutturali ed alle modifiche del prospetto, già nel febbraio 2011, momento dal quale il ricorrente sarebbe stato in grado di percepire la portata lesiva dell’intervento.
Il primo giudice avrebbe trascurato di esaminare la documentazione prodotta in giudizio in quanto proprio le fotografie allegate alla perizia depositata dal ricorrente renderebbero percepibile quanto poteva effettivamente apprezzare l’interessato dalla sua proprietà in termini di entità e stato di avanzamento dei lavori, non solo dalla data del settembre 2011 (data della perizia), ma già dal febbraio 2011, quando le opere erano ormai ultimate.
Alla data del 24 febbraio 2009, l’interessato avrebbe avuto quantomeno il ragionevole sospetto che l’intervento della Società Ga. potesse pregiudicare la sua proprietà, ma avrebbe atteso due anni prima di esercitare il diritto di accesso (maggio 2011) e, dopo l’ultimazione dei lavori (febbraio 2011) avrebbe atteso ancora tre mesi prima di presentare istanza al Comune.
In definitiva, non si comprenderebbe come il Tribunale abbia potuto considerare tempestiva l’impugnazione dei permessi di costruire n. 75/2007 e n. 8/2010, risalente al novembre 2011, tenuto conto che i due titoli si riferiscono a lavori noti al signor Carbone sin dal febbraio 2009, ultimati nel febbraio 2011, rispetto ai quali l’appellato ha atteso più di due anni dalla loro conoscenza prima di esercitare il diritto di accesso.
Con ulteriori doglianze la Ga. ha censurato le statuizioni di merito contenute nella sentenza appellata.
Ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza del T.a.r. per la Liguria n. 719 del 24 aprile 2013 e, in sua riforma, instando per la dichiarazione di irricevibilità, inammissibilità o. comunque, infondatezza, del ricorso di primo grado.
1.2. La Società è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Genova con sentenza n. 98/2015 ed il ricorso in appello è stato riassunto dal Fallimento Ga. S.p.a. (in prosieguo il Fallimento), in persona del Curatore, ai sensi dell’art. 80 c.p.a.
1.3. Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio chiedendo l’accoglimento dell’appello.
1.4. Il Fallimento ha prodotto altra memoria a sostegno della proprie difese.
1.5. All’udienza pubblica del 19 aprile 2018, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. Il Collegio, in primo luogo, rileva che l’appello, in quanto notificato alla parte appellata in data 6 dicembre 2013 e rivolto avverso una sentenza pubblicata in data 24 aprile 2013, è stato tempestivamente proposto, ai sensi dell’art. 92, comma 3, c.p.a., in ragione del periodo di sospensione feriale dei termini (dal 1° agosto al 15 settembre) ratione temporis vigente ai sensi dell’art. 1 della legge n. 742 del 1969.
3. Il primo motivo di appello, con il quale è stata dedotta l’erroneità della statuizione contenuta nella sentenza che ha disatteso l’eccezione di irricevibilità del ricorso proposto in primo grado, è fondato.
3.1. In limine, deve essere senz’altro condiviso il principio, richiamato nella sentenza gravata, secondo cui la fondatezza degli elementi di fatto posti a sostegno della eccezione di tardività deve essere provata dalla parte che la formula.
3.2. L’art. 41, comma 2, c.p.a. dispone che, qualora sia stata proposta azione di annullamento, il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione e ad almeno uno dei controinteressati che sia individuato nell’atto stesso entro il termine previsto dalla legge, decorrente dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza, ovvero, per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge.
3.3. Ne consegue che la decisione della presente controversia impone di precisare il concetto di “piena conoscenza” del provvedimento, vale a dire di quella conoscenza idonea a far decorrere il termine perentorio di sessanta giorni per l’impugnazione.
3.3.1. La giurisprudenza (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, n. 5675 del 2017; Sez. IV, n. 5654 del 2017) ha avuto modo di chiarire che la “piena conoscenza” non deve essere intesa quale “conoscenza piena ed integrale” del provvedimento stesso, ovvero di eventuali atti endo procedimentali, la cui illegittimità sia idonea a viziare, in via derivata, il provvedimento finale, dovendosi invece ritenere che sia sufficiente ad integrare il concetto la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere riconoscibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso.
La norma intende per “piena conoscenza”, quindi, la consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività e tale consapevolezza determina la sussistenza di una condizione dell’azione, l’interesse al ricorso, mentre la conoscenza “integrale” del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi.
La previsione dell’istituto dei motivi aggiunti cc.dd. propri – per il tramite dei quali il ricorrente può proporre ulteriori motivi di ricorso derivanti dalla conoscenza di ulteriori atti (già esistenti al momento dell’introduzione del giudizio, ma ignoti) o dalla conoscenza integrale di atti prima non pienamente conosciuti, e ciò entro il (nuovo) termine decadenziale di sessanta giorni decorrente da tale conoscenza sopravvenuta – comprova la fondatezza dell’interpretazione resa in ordine al significato della “piena conoscenza”.
Infatti, se quest’ultima dovesse essere intesa come “conoscenza integrale”, il tradizionale rimedio dei motivi aggiunti non avrebbe una pratica ragion d’essere, o dovrebbe essere considerato residuale.
3.3.2. Con specifico riferimento alla impugnazione dei titoli edilizi, va innanzitutto rilevato che la vicinitas, come nella fattispecie in esame, di un soggetto rispetto all’area e alle opere edilizie contestate induce a ritenere che lo stesso abbia potuto avere più facilmente conoscenza della loro entità anche prima della conclusione dei lavori.
3.3.3. Ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di un permesso di costruire da parte di terzi, l’effetto lesivo si atteggia diversamente a seconda che si contesti l’illegittimità del titolo per il solo fatto che esso sia stato rilasciato (ad esempio, per contrasto con l’inedificabilità assoluta dell’area) ovvero che si contesti il contenuto specifico del permesso (ad esempio, per eccesso di volumetria o per violazione delle distanze minime tra fabbricati).
Il momento da cui computare i termini decadenziali di proposizione del ricorso, nell’ambito dell’attività edilizia, è infatti individuato, secondo la giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, n. 5754 del 2017; Sez. VI, n. 4830 del 2017; Sez. IV, n. 3067 del 2017; Sez. IV, 15 novembre 2016, n. 4701; Sez. IV, n. 1135 del 2016; Sez. IV, nn. n. 4909 e 4910 del 2015; Sez. IV, 22 dicembre 2014 n. 6337; Sez. V, 16 aprile 2013, n. 2107; Sez. VI, 18 aprile 2012, n. 2209, che si conformano sostanzialmente all’insegnamento dell’Adunanza Plenaria n. 15 del 2011 sviluppandone i logici corollari): nell’inizio dei lavori, nel caso si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area; ovvero, laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.), dal completamento dei lavori o dal grado di sviluppo degli stessi, se si renda comunque palese l’esatta dimensione, consistenza, finalità, dell’erigendo manufatto, ferma restando:
a) la possibilità, da parte di chi solleva l’eccezione di tardività, di provare, anche in via presuntiva, la concreta anteriore conoscenza del provvedimento lesivo in capo al ricorrente (ad esempio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 20, comma 6, e 27, comma 4, t.u. edilizia, avuto riguardo alla presenza in loco del cartello dei lavori [specie se munito di rendering e indicazione puntuale del titolo edilizio] ovvero alla effettiva comunicazione all’albo pretorio del comune del rilascio del titolo edilizio; alla consistenza del tempo trascorso fra l’inizio dei lavori e la proposizione del ricorso; alla effettiva residenza del ricorrente in zona confinante con il lotto su cui sono in corso i lavori; ecc. ecc.);
b) l’onere di chi intende contestare adeguatamente un titolo edilizio di esercitare sollecitamente l’accesso documentale.
In altri termini, la giurisprudenza di questo Consiglio (ex multis: Cons. Stato, Sez. IV; n. 5675 del 2017; Sez. IV, n. 4701 del 2016; Sez. IV, n. 1135 del 2016) ha sistematizzato i seguenti principi sulla verifica della piena conoscenza dei titoli edilizi, al fine di ponderare il rispetto del termine decadenziale per proporre l’azione di annullamento:
– il termine per impugnare il permesso di costruire decorre dalla piena conoscenza del provvedimento, che ordinariamente s’intende avvenuta al completamento dei lavori, a meno che (come nel caso di specie) è data prova di una conoscenza anticipata da parte di chi eccepisce la tardività del ricorso anche a mezzo di presunzioni semplici;
– l’inizio dei lavori segna il dies a quo per la tempestiva proposizione del ricorso laddove si contesti l’an dell’edificazione;
– dal momento della constatazione della presenza dello scavo (a quella data, si badi, deve per legge essere presente il cartello dei lavori e deve essere stata data effettiva pubblicità sull’albo pretorio del rilascio del titolo edilizio), è ben possibile ricorrere enucleando le censure (ivi comprese quelle in ordine all’asserito divieto di nuova edificazione) senza differire il termine di proposizione del ricorso all’avvenuto positivo disbrigo della pratica di accesso agli atti avviata né, a monte, che si possa differire quest’ultima;
– la richiesta di accesso non è idonea ex se a far differire i termini di proposizione del ricorso, perché se, da un lato, deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall’altro lato, deve parimenti essere salvaguardato l’interesse del titolare del permesso di costruire a che l’esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche contraria ai principi ordinamentali.
3.3.4. L’applicazione dei descritti principi al caso di specie porta a ritenere che l’originario ricorrente, proprietario confinante di un immobile posto di fronte a quello oggetto dei contestati titoli edilizi, quanto meno dal 24 febbraio 2009, avesse la “piena conoscenza” dell’esistenza del permesso di costruire n. 75 del 2007 e della sua portata lesiva, sicché da tale data è iniziato a decorrere il termine per l’impugnazione, che risulta inevitabilmente spirato alla data di notifica del ricorso di primo grado (15 novembre 2011).
In particolare, con nota del 24 febbraio 2009 indirizzata alla Società ed al Comune di (omissis), il signor Gi. Ca. – proprietario dell’immobile sito in (omissis), Località La Villetta, confinante con quello oggetto di ristrutturazione – ha rappresentato che “venuto ufficiosamente a conoscenza dell’esistenza di un permesso di costruire potenzialmente lesivo dei diritti di proprietà dello scrivente, nel timore che i lavori iniziati nel febbraio 2008 possano non rispettare le distanze dal confine e/o non corrispondere al piano particolareggiato del fondaco, chiede che il Comune di (omissis) effettui i dovuti controlli al fine di non pregiudicare i diritti del confinante”.
Pertanto, in ragione del tenore dell’istanza, che fa esplicito riferimento al permesso di costruire ed al timore che i lavori, iniziati già da un anno, possano violare le distanze dal confine o non corrispondere al piano particolareggiato del fondaco, non può sussistere dubbio che l’interessato avesse già all’epoca “piena conoscenza” dell’iniziativa edilizia.
Inoltre – nonostante i lavori fossero iniziati nel febbraio 2008, l’interessato avesse avuto “piena conoscenza” del permesso di costruire n. 75 del 2007 almeno dal 24 febbraio 2009, i lavori fossero ultimati, con riguardo alle parti strutturali ed alle modifiche del prospetto, come sostenuto dall’appellante, o, comunque, fossero in fase molto avanzata al febbraio 2011 – l’istanza di accesso agli atti presso il Comune per “verifica regolarità distanze e vedute per diritti di vicinato” è stata presentata dall’interessato, proprietario di immobile confinante, solo in data 3 maggio 2011 e, quindi, in chiara violazione dell’onere di tempestivo esercizio dell’accesso documentale.
3.3.5. Di qui, sulla base dei principi richiamati e degli evidenti elementi indiziari sulla “piena conoscenza” degli atti lesivi da parte del signor Carbone, la non condivisione delle statuizioni contenute sul punto nella sentenza appellata e l’accoglimento dell’appello per la tardività del ricorso proposto in primo grado.
4. La complessità fattuale e giuridica della fattispecie costituisce un eccezionale motivo per disporre la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, dichiara irricevibile il ricorso proposto in primo grado.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2018 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere, Estensore

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