Il verbale ha il compito di attestare il compimento dei fatti svoltisi al fine di verificare il corretto iter di formazione della volontà collegiale

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 18 luglio 2018, n. 4373.

La massima estrapolata:

Il verbale ha il compito di attestare il compimento dei fatti svoltisi al fine di verificare il corretto iter di formazione della volontà collegiale e di permettere il controllo delle attività svolte, senza che sia peraltro necessario indicare minutamente le singole attività compiute e le singole opinioni espresse.

Sentenza 18 luglio 2018, n. 4373

Data udienza 18 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2027 del 2014, proposto da:
Re. Sp. Onlus, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Ra., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri – Commissione per le Adozioni Internazionali, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);
nei confronti
N.O. Onlus e altri non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO, SEZ. I n. 06493/2013, resa tra le parti, concernente esclusione dal finanziamento di progetti di sussidiarietà per gli anni 2011-2012 dei progetti n. 6 “adotta una speranza” e n. 5 “futuro donna”
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri – Commissione per le Adozioni Internazionali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2018 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Ra. e Ga. (Avv.to dello Stato);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.1.Con l’appello in esame, Re. Sp. onlus, ente autorizzato ad agire nel settore delle adozioni internazionali, impugna la sentenza 1 luglio 2013 n. 6493, con la quale il TAR per il Lazio, sez. I, ha in parte dichiarato improcedibile, in parte rigettato il ricorso proposto avverso gli atti con i quali, attribuendo ai progetti da essa presentati un punteggio non utile, la Commissione per le adozioni internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha disposto la sua non ammissione ai finanziamenti dei progetti di sussidiarietà per gli anni 2011 e 2012.
Tali progetti – denominati “adotta una speranza” e “futuro donna” – erano stati presentati dall’appellante a seguito di un bando di “Finanziamento di progetti di sussidiarietà per gli anni 2011 – 2012, da realizzarsi nell’ambito dello stanziamento previsto per l’anno finanziario 2011” (pari a tre milioni di euro), dove era disposto che ciascun progetto utilmente valutato ottenesse un finanziamento nella misura massima di Euro 200.000.
In un primo tempo, i progetti erano stati dichiarati inammissibili ma, riammessi a valutazione dopo una sentenza favorevole del TAR, hanno conseguito un punteggio inferiore alla soglia minima richiesta dal bando per l’ammissione all’intervento (punti 48).
1.2. La sentenza impugnata – dopo avere dichiarato l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dell’istanza di accesso formulata ai sensi dell’art. 116 Cpa – ha affermato, in particolare, che non assume alcun rilievo, ai fini della legittimità dell’atto, la circostanza che, al momento della adozione della delibera che riporta l’attribuzione dei punteggi ai progetti presentati (26 luglio 2012), non risultasse ancora approvato il verbale della Commissione attributivo dei medesimi punteggi.
E ciò in ragione del fatto che la riunione istruttoria avente ad oggetto i progetti si è svolta il 19 luglio 2012 e che in data 26 luglio 2012 la Commissione ha ritualmente deliberato l’esito, poi confluito nel provvedimento 26 luglio 2012 n. 13/2012/SG, comunicato alla ricorrente.
Secondo la sentenza:
“se è vero che la verbalizzazione delle attività espletate da un organo amministrativo collegiale costituisce un atto necessario, in quanto, consentendo la verifica della regolarità delle relative operazioni, rappresenta un requisito sostanziale per la stessa esistenza di detta attività, essa si inquadra pur sempre tra i mezzi di mera documentazione dell’attività collegiale. Ne deriva che il momento dell’esaurimento di tutti gli incombenti, volti all’esternazione documentale delle operazioni collegiali effettuate, non può essere confuso né sotto il profilo logico né sotto il profilo funzionale con quello nel quale si determina compiutamente la volontà dell’organo, la quale, laddove necessario o utile all’efficienza dell’azione amministrativa, nelle more della formalizzazione del verbale, può essere rappresentata a mezzo di altri atti a rilevanza esterna, ferma restando, naturalmente, la necessità dell’assoluta identità di contenuto tra tali atti e il verbale”.
Inoltre, la sentenza afferma:
– quanto al lamentato difetto di motivazione in ordine al punteggio negativo di cui al verbale della seduta del 26 luglio 2016, lo steso fa riferimento all’esame istruttorio del 19 luglio 2012;
– la Commissione per le adozioni internazionali, ai sensi dell’art. 4, co. 2, DPR n. 108/2007, in assenza del Presidente, “può validamente deliberare sotto il coordinamento del Vice Presidente”, che sostituisce il Presidente in caso di assenza;
– poiché nella seduta del 26 luglio 2012, la Commissione si è riunita con la presenza del Vice Presidente e di oltre nove componenti, risulta rispettato quanto disposto dall’art. 8, co. 2, del DPR citato, non assumendo alcun rilievo la circostanza che tale numero di presenze non si riscontri nella riunione istruttoria del 19 luglio 2012 (svoltasi con la presenza di un gruppo ristretto formato dal Vice Presidente e da quattro componenti della Commissione);
– stante l’assoluta autonomia che caratterizza le procedure concorsuali “anche laddove esse intervengano periodicamente nella stessa materia”, non assume alcun rilievo che, nel caso di specie, sia stata introdotta per la prima volta una soglia minima di punteggio per l’ammissibilità a finanziamento dei progetti;
– corrisponde a principi di buona amministrazione che i bandi tengano conto “delle esperienze maturate nelle precedenti procedure, al fine di implementare il raggiungimento dell’interesse pubblico sotteso al bando”;
– nell’ambito delle procedure concorsuali, la fissazione in via preventiva dei parametri di valutazione si connota per alta discrezionalità, il che ne consente la sindacabilità solo laddove manifestamente incongrui o illogici.
1.3. Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello (come desumibili dalle pagg. 10 – 20 del ricorso):
a) error in iudicando, poiché “la decisione di escludere dal finanziamento i due progetti della ricorrente è stata assunta senza che fosse stato rispettato il precedente passaggio procedimentale di approvazione del verbale della Commissione da parte del Presidente” (la seduta del 26 luglio 2012 corrisponde nella data alla delibera di assegnazione dei punteggi non utili, ma il relativo verbale risulta approvato solo due mesi dopo, in data 27 settembre 2012);
b) error in iudicando, violazione art. 3 l. n. 241/1990, poiché la delibera che dispone la non ammissione dei progetti si limita “ad indicare un punteggio numerico per ciascuno dei progetti… ed affermare che il punteggio attribuito è inferiore a 48, indispensabile per l’ammissione”. Tale carenza di motivazione è ancor più grave nel caso del progetto “adotta una speranza”, che risponde “all’esigenza di completare ed integrare un percorso didattico, formativo e di aiuti già avviato nel 2006, sempre ritenuto dalla CAI meritevole di finanziamento”. Né vi è alcun riferimento – come invece sostenuto in sentenza – all’esame istruttorio del 19 luglio 2012, di modo che è da escludersi ogni motivazione per relationem;
c) error in iudicando, poiché: c1) per un verso, “le decisioni afferenti l’ammissione a finanziamenti della Commissione di progetti degli enti autorizzati rientra certamente tra i compiti istituzionali e funzionali del Presidente”; c2) per altro verso, nella seduta del 19 luglio 2012 (quella ove sono stati assegnati i punteggi) la Commissione non era validamente costituita, mancando la presenza di almeno nove membri oltre al Vice Presidente, né è ammessa la composizione di sottocommissioni o gruppi ristretti;
d) error in iudicando, poiché “quello che è necessario rispettare ai fini dell’ammissibilità del progetto è la rispondenza agli obiettivi delineati dal bando. Una volta che tali obiettivi sono perseguiti è corretto, alla luce delle finalità umanitarie della normativa comunitaria e nazionale di riferimento che il progetto venga ammesso alla graduatoria”, di modo che “per l’effettiva ammissione al finanziamento, farà stato la collocazione nella graduatoria finale in relazione alla capienza dei fondi stanziati”. Nel bando, invece, “non vi è alcuna motivazione (tanto meno negli atti istruttori che lohanno preceduto) che giustifichi o renda comprensibile la scelta di introdurre una soglia minima di accessibilità dei punteggi a finanziamento”. Nel caso di specie, inoltre, la stessa parametrazione dei punteggi appare illogica, sproporzionata, non funzionale agli interessi pubblici, poiché “il range di punteggio utile resta limitato a 33 punti (81-48), con l’effetto d condizionare l’operato della Commissione in sede di valutazione dei progetti”;
e) error in iudicando, poiché la valutazione della Commissione appare censurabile, in quanto: e1) relativamente al progetto “adotta una speranza”, non si è tenuto conto che lo stesso “è il completamento dell’ultima fase di un progetto programmato per cinque anni e che proprio nell’ultimo anno si vede privato dei finanziamenti necessari alla sua realizzazione e al suo completamento”. In questo caso, il contesto nel quale il finanziamento viene negato è lo stesso che ha visto la concessione per quattro volte consecutive, laddove lo stesso bando indica, tra i criteri meritevoli di punteggio, il fatto che il progetto rappresenta una seconda fase di un precedente progetto (ed inoltre il progetto è apprezzato dalle autorità brasiliane e dal Tribunale dei Minori di Paranà; e2) quanto al progetto “futuro donna”, non sono stati assegnati punteggi per caratteristiche rispondenti ai criteri ed il progetto, in particolare, rappresenta la seconda fase di un precedente progetto ed è una integrazione del progetto “adotta una speranza”.
1.4. Si è costituita in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
Con ordinanza 9 aprile 2014 n. 1530, questa Sezione ha rigettato l’istanza volta ad ottenere la sospensione dell’esecutività della sentenza di I grado.
All’udienza pubblica di trattazione, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
2.1. Giova ricordare, in punto di fatto, che l’appellante (come dalla stessa esposto in ricorso) è stata esclusa dalla graduatoria per il Finanziamento di progetti di sussidiarietà per gli anni 2011 – 2012, con delibera della Commissione per le adozioni internazionali del 26 luglio 2012 n. 13/2012/SG, adottata a seguito della seduta della Commissione medesima (di assegnazione dei punteggi), tenutasi lo stesso 26 luglio, dopo che vi era stata una riunione di un gruppo ristretto in data 19 luglio 2012.
2.2. Con riferimento a tali circostanze di fatto (ed a quanto in relazione ad esse affermato dalla sentenza impugnata, nel rigettare i relativi motivi di ricorso), Re. Sp. lamenta:
– per un verso, che la delibera (recante la decisione di esclusione) sia stata assunta senza che venisse antecedentemente approvato il verbale della seduta da parte del Presidente (motivo sub a) dell’esposizione in fatto);
– per altro verso, che la Commissione non era presieduta dal Presidente (motivo sub c1);
– per altro verso ancora, che la Commissione, nella seduta del 19 luglio 2012 (quella dove sarebbero stati “assegnati i punteggi”), era composta da soli cinque membri, invece del numero minimo di nove previsto (motivo sub c2), a nulla rilevando la successiva seduta del 26 luglio 2012.
I motivi ora riportasti sono infondati.
3.1. Come è noto, il verbale, atto giuridico appartenente alla categoria degli atti certificativi, è il documento preordinato alla descrizione di atti o fatti, rilevanti per il diritto, compiuti alla presenza di un soggetto verbalizzante, appositamente incaricato di tale compito. Esso ha quindi lo scopo di garantire la certezza della descrizione degli accadimenti constatati, documentandone l’esistenza.
Proprio per questa sua funzione di documentazione di accadimenti, il verbale, quale atto amministrativo, va tenuto distinto sia dagli atti o fatti in esso descritti, sia dagli ulteriori atti nei quali si concretizzerà l’atto già adottato (ad esempio, deliberazione dell’organo collegiale).
Più in particolare, l’esternazione dell’atto in quanto “adottato”, cui attiene la problematica della forma (necessità della forma scritta ovvero principio di libertà della forma), va tenuta distinta dalla documentazione dell’atto, che avviene normalmente per iscritto e che, in linea di massima, non può non esservi.
E ciò in quanto la documentazione dell’atto amministrativo per iscritto – soprattutto per quegli atti per i quali non sia prevista come “scritta” la forma di esternazione – costituisce regola direttamente strumentale all’affermazione sia del generale principio di impugnabilità degli atti amministrativi (che risulterebbe frustrato ove non si conoscesse bene l’atto da impugnare), sia del principio di generale sindacabilità degli atti amministrativi da parte del giudice, principi ambedue espressi nell’art. 113 Cost..
Alla luce di quanto ora esposto, occorre ricordare come normalmente la forma scritta non costituisca affatto la forma tipica degli atti adottati dagli organi collegiali, che vengono a giuridica esistenza e si perfezionano (validità) con un’esternazione che avviene attraverso il ricorso a forme diverse dalla scritta (es., modalità di votazione e proclamazione del risultato della medesima). Ciò che si traduce per iscritto (deliberazione) è la documentazione di un atto amministrativo già valido, la cui forma di esternazione non è rappresentata dallo scritto in cui esso si conserva, che ne rappresenta, appunto, la documentazione.
Negli organi collegiali, dove la funzione di verbalizzazione e il verbale assumono rilievo decisivo e necessità indefettibile, il tratto di collegamento tra esternazione dell’atto amministrativo (che normalmente avviene in forme diverse dalla scritta) e documentazione dell’atto (ad esempio, deliberazione) è rappresentato dal verbale della seduta, che costituisce la “memoria” di quanto è accaduto e documenta i fatti salienti della seduta stessa, affinché questi possano essere successivamente (ed ulteriormente) documentati, secondo le modalità di volta in volta prescritte.
Come affermato dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. IV, 25 luglio 2001 n. 4074), il verbale ha il compito di attestare il compimento dei fatti svoltisi al fine di verificare il corretto iter di formazione della volontà collegiale e di permettere il controllo delle attività svolte, senza che sia peraltro necessario indicare minutamente le singole attività compiute e le singole opinioni espresse.
Proprio per effetto della descritta distinzione, si è inoltre affermato (Cons. Stato, sez. VI, 11 dicembre 2001 n. 6208), che il difetto di verbalizzazione non comporta l’inesistenza dell’atto amministrativo, dato che la determinazione volitiva dell’organo è ben distinta dalla sua proiezione formale.
3.2. Quanto al contenuto, principio generale resta quello della certificazione in verbale degli atti o fatti salienti ai fini della documentazione dell’attività amministrativa (Cons. Stato, sez. IV, 25 luglio 2001 n. 4074). Ovviamente, non tutti gli atti o fatti devono essere necessariamente documentati nel verbale, ma soloquelli che, secondo un criterio di ragionevole individuazione, assumono rilevanza proprio in relazione alle finalità cui l’attività di verbalizzazione è preposta. Quindi, nel caso dell’attività di un organo collegiale, non potranno mancare l’indicazione del luogo e della data della seduta, i componenti dell’organo presenti, l’oggetto delle singole deliberazioni, le modalità di formazione della volontà della pubblica amministrazione, con particolare riguardo all’espressione del voto (scrutinio palese o segreto).
3.3. Quanto alla redazione ed approvazione del verbale, occorre distinguere, in coerenza con la prassi amministrativa, tra una prima fase di redazione del verbali (minuta, brogliaccio di seduta, appunti, o altre denominazioni), rispetto ad una redazione formalizzata del verbale stesso.
La giurisprudenza (Cons. Stato, sez. IV, 30 gennaio 2001 n. 709; sez. VI, 23 aprile 2002 n. 2199) ritiene che la redazione del verbale e la sua approvazione non devono avvenire necessariamente in concomitanza della seduta, ben potendo intervenire in un momento successivo, anche rispetto al provvedimento adottato nella seduta della quale il verbale costituisce documentazione (Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 2001 n. 1189).
D’altra parte, l’approvazione del verbale non costituisce atto di controllo, ma una mera verifica in ordine alla corrispondenza di quanto documentato con quanto effettivamente svoltosi; né, tantomeno, da tale approvazione può dipendere l’efficacia degli atti adottati dal collegio nel corso della seduta (salvo che non sia diversamente disposto).
3.4. Nel caso di specie, il DPR 8 giugno 2007 n. 108 (Regolamento recante riordino della Commissione per le adozioni internazionali) prevede, per quel che interessa nella presente sede, che:
– il Presidente della Commissione (da identificarsi nel Presidente del Consiglio dei Ministri o nel Ministro delle politiche per la famiglia) “rappresenta la Commissione, ne coordina l’attività e vigila sul suo operato” (art. 3, co. 2);
– della Commissione fa altresì parte un Vicepresidente che “sostituisce il Presidente in caso di assenza o impedimento ed esercita le funzioni che il Presidente gli delega” e che può “adottare, nei casi di urgenza che non permettono la convocazione in tempo utile della Commissione, provvedimenti di competenza della stessa”, e che vengono da questa ratificati nella prima seduta successiva alla loro adozione (art. 4, co. 2);
– “per la validità delle deliberazioni della Commissione è necessaria la presenza del Presidente o del Vicepresidente, che ne dirige i lavori, e di almeno nove componenti. Le deliberazioni sono adottate a maggioranza dei votanti e il voto è sempre palese; in caso di parità prevale il voto del Presidente o in sua assenza del Vicepresidente” (art. 8, co. 2).
3.4.1. Dalla lettura delle disposizioni ora riportate appare, innanzi tutto, evidente come la Commissione (o meglio, le sedute della medesima) possano essere presiedute sia dal Presidente che dal Vice Presidente.
3.4.2. Inoltre, non è prevista alcuna forma di particolare condizionamento dell’efficacia degli atti assunti nel corso della seduta con l’approvazione del verbale.
Devono, quindi, trovare applicazione i principi generali innanzi espressi, di modo che, poiché l’atto amministrativo si intende assunto con il perfezionamento delle modalità a tal fine previste (votazione a scrutinio palese), è da quel momento che esso esiste ed è (in via di presunzione) valido, a nulla rilevando la successiva approvazione del verbale, che – occorre ribadirlo – costituisce mero atto di documentazione dei fatti avvenuti in seduta, da tenere distinto sia dall’atto durante la medesima assunto, sia dalla successiva documentazione di questo (mediante deliberazione).
Ciò comporta che, nel caso di specie, la circostanza che la deliberazione di attribuzione del punteggio ai progetti presentati dall’appellante sia stata redatta il giorno stesso della seduta (26 luglio 2012), non inficia ex se la legittimità dell’atto, dovendosi escludere ogni collegamento e/o subordinazione sia della validità sia dell’efficacia dello stesso con l’approvazione del verbale della seduta nel corso della quale esso è stato adottato.
3.4.5. In assenza di espressi divieti normativi, nulla osta a che la Commissione possa far precedere il proprio momento deliberativo da una istruttoria svolta da uno o più dei suoi componenti. D’altra parte, se – come previsto dall’art. 8, co. 1, del Regolamento – il Presidente ha il potere di designare “i relatori” per gli argomenti iscritti all’ordine del giorno, appare evidente come possa anche esseredeferito ad uno o più relatori ovvero a un “gruppo ristretto” l’esame della “pratica” all’ordine del giorno.
Ciò che rileva – ed è quanto avvenuto, nel caso di specie, nella seduta del 26 luglio 2012 – è che la decisione definitiva venga assunta dalla Commissione in seduta che presenti il quorum strutturale di validità stabilito dall’art. 8, co. 2 (presenza del Presidente o del Vice Presidente e di almeno nove componenti).
4. Altrettanto infondati sono gli ulteriori motivi di appello sub lett. b) e d) dell’esposizione in fatto, con i quali si censura la sentenza impugnata per non avere considerato:
– il vizio di difetto di motivazione della delibera di attribuzione del punteggio (motivo sub lett. b);
– la illegittimità/irragionevolezza della previsione, nel bando, di una soglia minima per l’ammissione dei progetti a finanziamento, scelta peraltro non giustificata da idonea motivazione (motivo sub lett. d).
4.1. Orbene, la scelta di prevedere un punteggio minimo che costituisca “soglia di ammissione” dei progetti a finanziamento costituisce una modalità procedimentale possibile e non irragionevole dell’amministrazione, né essa risulta impedita da alcuna norma primaria e/o secondaria (peraltro non indicata dall’appellante).
Ed infatti, nel caso di una procedura concorsuale dove è rimessa alla potestà dell’amministrazione la definizione dei criteri valutativi (e dunque per l’attribuzione dei punteggi), quest’ultima ben può – in assenza di norme contrarie – stabilire sia i criteri con i quali giudicherà le domande ed il loro contenuto, sia introdurre un punteggio minimo di ammissione.
Né tale scelta (contenuta in un atto a contenuto generale quale il bando, non soggetto come tale a particolari oneri di motivazione, ai sensi dell’art. 3 l. n. 241/1990) è impedita dal fatto che, in occasione di precedenti procedure concorsuali analoghe, l’amministrazione non abbia stabilito la predetta soglia minima: per un verso, il principio di autonomia di ogni singolo procedimento concorsuale ben consente – non ostandovi la legge – la possibilità di introdurre differenti modalità valutative, purché non irragionevoli (e ciò non è avvenuto nel caso di specie); per altro verso, proprio l’esperienza maturata in precedenti procedure analoghe può determinare un “affinamento” dei criteri valutativi sia per meglio selezionare e valutare le domande presentate, sia per meglio perseguire l’interesse pubblico che sorregge la stessa previsione ed attribuzione dei finanziamenti.
Come riportato nella sentenza impugnata (pag. 21), “l’opportunità di introdurre il punteggio minimo nei bandi di cui trattasi è emersa, come pure riferisce l’amministrazione, in considerazione delle attività susseguenti ai precedenti bandi, nell’ambito dei quali progetti che pur si connotavano per bassa qualità hanno ottenuto il finanziamento esclusivamente a causa della capienza del budget”.
D’altra parte l’appellante, pur affermando che “ai fini dell’ammissibilità del progetto (è necessario rispettare) la rispondenza agli obiettivi delineati dal bando”, di modo che “per l’effettiva ammissione al finanziamento farà stato la collocazione nella graduatoria finale in relazione alla capienza dei fondi stanziati” (pag. 15 app.), non indica quale norma di legge o regolamento prescriverebbe ciò, non potendo essere di per sé sufficiente la sola circostanza di versare in materia di “sostegno economico agli enti non profit” a determinare particolari ed indefettibili modalità procedimentali
4.2. Quanto, più in particolare, al contestato difetto di motivazione del giudizio di non ammissione e/o all’insufficienza del punteggio numerico a costituire ex se motivazione del giudizio, giova osservare, in adesione a quanto affermato dalla Corte Costituzionale edalla giurisprudenza del giudice amministrativo (da ultimo, Cons. Stato, Ad. Plen., 20 settembre 2017 n. 7) che il punteggio numerico costituisce un giudizio sintetico sull’oggetto della valutazione (prova di esame, progetto, etc.), che nell’espressione numerica contiene già la motivazione del giudizio che contestualmente per suo tramite si esprime, e ciò a maggior ragione laddove l’amministrazione abbia predisposto appositi criteri valutativi, cui riferire i punteggi da assegnare in seguito.
Nel caso di specie, come condivisibilmente affermato dalla sentenza impugnata, ciò è avvenuto con l’allegato 4 al bando di concorso e, dunque, non è dato riscontrare il difetto di motivazione del giudizio prospettato dall’appellante.
5. Infine, è infondato l’ultimo motivo di appello, con il quale si censura, in sostanza, la ragionevolezza del giudizio di non ammissione, riferito sia al progetto “adotta una speranza” (sub lett. e1), sia al progetto “futuro donna (sub lett. e2).
Occorre, innanzi tutto, ricordare i limiti del sindacato giurisdizionale di legittimità in ordine ai giudizi espressi dall’amministrazione, caratterizzati da discrezionalità tecnica e censurabili solo per difetto di motivazione ovvero per eccesso di potere per irragionevolezza e/o illogicità.
Tanto precisato, non può che essere condiviso quanto affermato dalla sentenza impugnata (che ha, tra l’altro, ricordato quanto affermato in sede di preesame delle domande nella riunione del 19 luglio 2012), laddove essa ha ritenuto esaustive e comprensibili le ragioni sulle quali l’amministrazione ha fondato il proprio giudizio negativo, escludendo, al tempo stesso, di poter procedere al “riesame di una valutazione di merito”.
Giova, in ogni caso, osservare che non può assumere rilevanza la circostanza – più volte sottolineata dall’appellante – relativa ad una sorta di “contraddittorietà di giudizio”, derivante dal non avere ammesso un progetto (quello denominato “adotta una speranza”) in passato finanziato, così escludendone la realizzazione e il completamento.
Ed infatti, ciò che rileva è il giudizio singolarmente espresso, in sede di autonoma procedura concorsuale, sul progetto ivi specificamente presentato.
Se il “collegamento” con progetti precedenti (e finanziati) può ben costituire oggetto di considerazione, nondimeno ciò non può prefigurare una sorta di necessitata ammissione a finanziamento. Se ciò fosse, sarebbe sufficiente proporre, nell’occasione di un bando, un progetto che costituisce una “fase” di un più ampio programma, per condizionare (se non, al limite, rendere superflua) la valutazione propria di successive ed autonome procedure concorsuali.
6. Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Stante la natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta),
definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Re. Sp. Onlus (n. 2027/2014 r.g.), lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa tra le parti spese ed onorari di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Oberdan Forlenza – Consigliere, Estensore
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere

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