Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 13 novembre 2017, n. 5197. L’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno da ritardo della P.A. non possono, in linea di principio, presumersi iuris tantum

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3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello l’originaria ricorrente, secondo la quale il TAR avrebbe errato in quanto: a) il comportamento colposo/doloso serbato dall’amministrazione si desumerebbe dal ritardo maturato rispetto al termine perentorio normativamente definito. In particolare, la Regione Puglia dalla data della seconda Conferenza dei Servizi (14 dicembre 2010) a quella di pubblicazione della determina dirigenziale con cui veniva rilasciata la autorizzazione unica (30 giugno 2011), avrebbe fatto decorrere un termine superiore di per sé al termine perentorio di 180 giorni stabilito dall’art. 12 Dlgs 387/2003 per la conclusione dell’intero iter procedimentale. Tale ritardo sarebbe idoneo da solo a cagionare l’evento dannoso, senza che alcuna colpevole condotta della società appellante possa ritenersi avere interrotto il nesso di causalità (ciò perché tutte le integrazioni progettuali richieste, sarebbero, ovviamente, precedenti alla chiusura della conferenza dei servizi). Se la Regione avesse adottato contestualmente alla data di conclusione della conferenza dei servizi (14 dicembre 2010) il provvedimento autorizzatorio, la società appellante avrebbe certamente realizzato l’impianto fotovoltaico in tempo utile per usufruire degli incentivi statali. Se la Regione Puglia non avesse in via continuativa omesso di assumere alcune decisioni (anche in sostituzione di altre Amministrazioni coinvolte) e ritardato di convocare le due conferenze di servizi tenutesi in data 12 gennaio 2010 e 14 dicembre 2010, la società Appellante avrebbe adeguato il progetto alle prescrizioni imposte dalla Regione, ottenendo così il favorevole provvedimento autoritativo non a distanza di quasi tre anni dall’inizio del procedimento, ma quantomeno un anno e mezzo prima della data effettiva di emanazione dello stesso; ciò, ovviamente, avrebbe consentito alla società De Stern di ottenere le certe le tariffe incentivanti riconosciute dallo Stato; b) nel caso de quo, deve ritenersi sussistere l’elemento soggettivo della colpevolezza, atteso il manifesto carattere dilatorio della condotta tenuta dall’Amministrazione Regionale, insito nella ripetuta adozione di atti endoprocedimentali, privi di oggettive ragioni giustificative ed accompagnati da un comportamento d’inerzia giuridicamente rilevante, sebbene il provvedimento favorevole avesse potuto e dovuto essere rilasciato nei termini normativamente previsti. Così come dovrebbe ritenersi integrato l’elemento dell’antigiuridicità del ritardo connotante l’azione amministrativa, posta in essere non iure, in violazione delle prescritte cadenze procedimentali, oltre che contra ius, ledendo l’interesse pretensivo dell’odierna appellante ad ottenere il provvedimento favorevole nel rispetto dei termini di legge. Al più, infine, il TAR avrebbe dovuto concludere per la sussistenza di un concorso di colpa per il danneggiato, che non porterebbe ad escludere ex se la responsabilità dell’amministrazione; c) erronea, infine, sarebbe l’affermazione del TAR, in ordine al difetto di prova in relazione al quantum del danno subito. In particolare, l’appellante avrebbe ampiamente provato che l’accesso agli incentivi è stato alla stessa definitivamente precluso a causa del ritardo con il quale la Regione ha emanato il provvedimento finale. Ciò in quanto l’accesso sarebbe stato “libero” fino a tutto il III° Conto Energia ed in particolare per tutti gli impianti entrati in connessione entro il 31.08.2011. Pertanto, avrebbe percepito gli incentivi oltre ovviamente al prezzo di vendita dell’energia. Inoltre, poiché il ritardo avrebbe determinato il mutamento in senso negativo (assoluto) della disciplina delle tariffe incentivanti, la mancata realizzazione dell’impianto non assumerebbe, ai fini della debenza e quantificazione del risarcimento, rilievo alcuno, atteso che il soggetto privato non potrebbe essere onerato dell’obbligo di realizzare l’investimento a condizioni peggiori di quelle legittimamente stimate, poiché ciò si risolverebbe in una impropria tutela del comportamento illegittimo della P.A. rispetto ai termini normativamente definiti del procedimento. Infine, La misura del risarcimento non potrebbe che essere corrispondente al mancato utile, esposto nel piano economico finanziario accettato dalla Regione e discendente dalla applicazione delle tariffe incentivanti esistenti al momento in cui il procedimento avrebbe dovuto essere chiuso. Al più sarebbe spettato alla Regione nel giudizio di primo grado contestare adeguatamente tale documentazione anche solo sulla base di elementi indiziari, idonei a far dubitare di quanto in fase procedimentale accettato senza riserve.
4. Costituitasi in giudizio l’amministrazione regionale argomenta in ordine alle ragioni per le quali la pronuncia di prime cure andrebbe confermata, non potendosi imputare il ritardo nell’adozione del provvedimento favorevole all’amministrazione.

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