Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 6 giugno 2016, n. 2395

E’ legittimato a impugnare il titolo edilizio ad altri rilasciato chi, lamentando la lesione dell’interesse a godere della veduta e, più in generale, del mantenimento al preesistente assetto dell’area, dimostri la titolarità di una costruzione limitrofa a quella in cui sono eseguiti i lavori, anche se non abbia fornito la prova che questi ultimi abbiano provocato uno specifico danno, costituendo questa una questione di merito irrilevante sulla condizione dell’azione

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 6 giugno 2016, n. 2395

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3215 del 2007, proposto dalla signora
Li. Ra., rappresentata e difesa dagli avvocati Fl. Po., Mo. Pa. e Pi. D’Am., con domicilio eletto presso quest’ultimo difensore in Roma, via (…);
contro
Comune di Firenze, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Cl. Vi., ed altri, con domicilio eletto presso Ma. At. Lo. in Roma, via (…);
nei confronti di
Pa. Sc. e Ce. Sc., rappresentate e difese dall’avvocato Fa. Fa., con domicilio eletto presso Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…);
Al. Ma. e Gi. Pa.;
sul ricorso numero di registro generale 3309 del 2007, proposto dai signori Al. Ma. e Gi. Pa., rappresentati e difesi dall’avvocato Du. Ma. Tr., con domicilio eletto presso il medesimo difensore in Roma, via (…)
contro
Comune di Firenze, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Cl. Vi., Ma. At. Lo., ed altri, con domicilio eletto presso Ma. At. Lo. in Roma, via (…);
nei confronti di
Pa. Sc. e Ce. Sc., rappresentate e difese dall’avvocato Fa. Fa., con domicilio eletto presso Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…);
per la riforma, quanto a entrambi i ricorsi,
della sentenza del T.A.R. per la Toscana – Sezione III, n. 496 del 17 febbraio 2006;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Firenze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 maggio 2016 il cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Po., Lo., Ga. Pa. (su delega dell’avvocato Fa.) ed Em. Pa. (su delega dell’avvocato Tr.);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. I signori Li. Ra., Al. Ma. e An. Mi.sono proprietari di immobili nel Comune di Firenze, adiacenti alla proprietà delle signore Pa. e Ce. Sc., composta da un fabbricato principale, un resede e un annesso-deposito, a ciascuna delle quali entità corrisponde una distinta particella catastale.
2. Con concessione edilizia n. 543 del 20 ottobre 2003, il Comune ha consentito la realizzazione di “opere di risanamento conservativo dell’edificio principale, intervento di ristrutturazione edilizia R2 sull’edificio adiacente e realizzazione di garage interrato pertinenziale”.
3. I vicini hanno impugnato la concessione insieme con gli atti connessi, in particolar modo l’art. 117 del regolamento edilizio comunale, chiedendone l’annullamento e il risarcimento del danno subito.
4. Con sentenza 17 febbraio 2006, n. 496, il T.A.R. per la Toscana, sez. III, ha respinto il ricorso, compensando le spese di lite.
5. Il Tribunale territoriale ha ritenuto che il ricorso fosse:
a) (implicitamente) inammissibile, in quanto i ricorrenti, sulla base della mera vicinanza, non fossero portatori di un concreto interesse all’annullamento della concessione edilizia nella parte in cui consente il risanamento dell’immobile principale e la costruzione del garage interrato del giardino, per trattarsi di lavori di nessuna rilevanza esterna (opere interne al fabbricato e garage non emergente dal terreno) o prospicienti la strada pubblica (apertura di finestre) e non le rispettive proprietà;
b) infondato nel merito quanto alle censure mosse alla sopraelevazione del deposito per il supposto mancato rispetto della normativa sulle distanze (le sole esaminate), trattandosi di ristrutturazione e non di nuova costruzione.
6. Contro la sentenza gli originari ricorrenti hanno proposto separati appelli, rubricati come n. R.G. n. 2007/3215 (Ra.) e n. R.G. 2007/3309 (Ma. e Pa.).
7. Con argomenti coincidenti o integrabili, gli appellanti insistono sulla sussistenza del proprio interesse a ricorrere, alla luce delle caratteristiche dell’intervento in oggetto, che vengono dettagliatamente esposte.
7.1 Sia che l’intervento venga considerato unitario, sia che venga preso in esame nelle sue distinte articolazioni, sarebbe innegabile l’interesse a contestare un’opera che inciderebbe anche sulla parte esterna dell’edificio (ampliamento di una terrazza ed elevazione di una parete sul confine), con occlusione della visuale del giardino e minor circolazione d’aria, comporterebbe il mutamento dell’ornato della facciata principale dell’immobile, alterando gli allineamenti dei davanzali, e l’alterazione del sistema di drenaggio, violerebbe le norme sulle distanze delle tubazioni di acqua e di gas, produrrebbe una diminuzione del valore delle rispettive proprietà a seguito dell’aumentato carico urbanistico.
8. Nel merito delle censure formulate, gli appellanti sostengono che:
8.1. l’intervento sul fabbricato principale, alla luce del raffronto tra le definizioni degli artt. 6 e 7 delle N.T.A. al P.R.G., avrebbe caratteristiche tali (modifica di elementi verticali, creazione di un piano seminterrato con innalzamento del solaio di calpestio del piano terreno, inserimento di una scala, trasformazione delle unità immobiliari da tre a due, modifica della distribuzione interna con creazione di nuovi bagni e spogliatoi) da configurarsi come ristrutturazione edilizia (e non semplice risanamento), non ammessa dal piano sull’immobile in oggetto. Inoltre l’apertura di finestre e luci comporterebbe l’alterazione degli aspetti architettonici e compositivi del fabbricato, in contrasto con le prescrizioni delle N.T.A., che consentirebbero solo piccole modifiche dei prospetti e la conservazione degli aspetti architettonici e decorativi;
8.2. la realizzazione del piano interrato adibito a garage, tale da interessare tutta la superficie del giardino esistente e quella sottostante l’annesso-deposito, violerebbe il divieto di realizzare pavimentazioni impermeabili nelle aree inserite in classe 9; mentre l’abbattimento di un albero di alto fusto, preesistente nel giardino, non potrebbe essere supplito dalla messa a dimora di una nuova pianta (come previsto dal progetto), perché nell’area interessata non residuerebbero zone adatte, sgombre da pavimentazione;
8.3. la demolizione dell’annesso e la sostituzione con un fabbricato di due piani non potrebbe essere qualificata come ristrutturazione, ma come nuova costruzione, per essere l’edificio risultante totalmente diverso dal preesistente per superficie, volume e sagoma. Occorrerebbe dunque rispettare la distanza minima dal confine e – fermo restando che gli spazi scoperti degli originari ricorrenti non costituirebbero tecnicamente cortili – si sarebbe al di fuori dell’ambito disciplinato dall’art. 117 del regolamento urbanistico. Anche se per avventura considerato sopraelevazione, l’intervento a confine non sarebbe comunque autorizzabile perché ben diverso da quelle “opere di trasformazione delle coperture” acconsentite dall’art. 7 delle N.T.A.
8.4. Definito il danno sofferto come diminuzione di luce e di aria ai giardini e alle abitazioni di proprietà e come diminuzione del valore dei beni, gli appellanti ne chiedono il risarcimento per equivalente e la riduzione in pristino dei luoghi.
9. Le signore Sc. e il Comune di Firenze si sono costituite in giudizio per resistere all’appello, affidando le proprie difese a successive memorie.
10. Con memoria depositata il 7 aprile 2016, il Comune, ripercorso il complesso iter che ha condotto al rilascio della concessione edilizia, sostiene la carenza di interesse degli odierni appellanti, come già dichiarato dal T.A.R. Indiscussa la vicinitas, questi non avrebbero dimostrato la concreta lesione di un proprio interesse qualificato, non essendo sufficiente – a fronte delle aspettative legittimamente acquisite dalle concessionarie – prospettare una generica riduzione della visuale godibile.
10.1. Nel merito della questione, il Comune ribadisce la piena legittimità del proprio operato.
10.2. Esaminando nel dettaglio le opere relative al fabbricato principale, afferma che sarebbe incontestabile trattarsi di risanamento conservativo, dovendosi rinnovare l’organismo edilizio introducendo elementi accessori nuovi, nel rispetto degli elementi tipologici e formali dell’edificio preesistente.
10.3. Il parcheggio sotterraneo sarebbe legittimato dall’art. 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122 e la soluzione tecnica proposta in sede progettuale (una rete di subirrigazione drenante per la dispersione delle acque meteoriche) sarebbe una soluzione soddisfacente per ovviare al ristagno delle acque in superficie e non un meroescamotage.
10.4. L’intervento sul manufatto a uso deposito, in quanto incidente su un immobile esistente e non qualificabile come nuova costruzione, non sarebbe stato soggetto alla normativa sul rispetto delle distanze minime e sarebbe conforme alla normativa edilizia locale.
10.5. Mancherebbero infine tutti i presupposti del risarcimento del danno richiesto, con particolare riguardo alla colpa dell’Amministrazione.
11. Il successivo 8 aprile, gli appellanti hanno depositato separate, succinte memorie.
12. In data 11 aprile le signore Sc. hanno depositato un’amplissima memoria nella quale affermano l’inammissibilità delle nuove produzioni documentali delle parti appellanti, espongono le proprie ragioni in ordine alla legittimità dell’intervento assentito e, quanto alla domanda risarcitoria, sostengono che questa potrebbe essere indirizzata solo nei confronti del Comune, mentre la domanda ripristinatoria sarebbe di competenza del giudice ordinario.
13. Le parti hanno quindi depositato memorie di replica.
14. Con l’ultima memoria depositata il 21 aprile 2016, i signori Ma. e Pa. considerano inammissibile la censura con cui il Comune contesta l’ammissibilità del ricorso anche in relazione all’intervento di ristrutturazione del volume esterno, perché – già formulata e respinta in primo grado – avrebbe dovuto essere proposta con appello incidentale.
15. All’udienza pubblica del 12 maggio 2016, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. In via preliminare, il Collegio:
a) a norma dell’art. 70 c.p.a., dispone la riunione degli appelli, i quali sono proposti avverso la medesima sentenza di primo grado;
b) osserva che la ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio;
c) dichiara inammissibile la censura con cui il Comune contesta l’ammissibilità del ricorso anche in relazione all’intervento di ristrutturazione del volume esterno (pag. 9 della memoria depositata il 7 aprile 2016), perché – già formulata e respinta in primo grado (si veda la pag. 5 della memoria Ma. e Pa. depositata il successivo 21 aprile, non contestata dal Comune) – avrebbe dovuto essere proposta con appello incidentale;
d) dichiara inammissibile – ai sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a. – la documentazione versata in atti dalle parti appellanti per la prima volta in questa sede di appello; documentazione che, peraltro, non appare indispensabile ai fini della decisione.
2. Il primo motivo comune a entrambi gli appelli, concernente l’interesse a ricorrere parzialmente escluso dal T.A.R., è fondato.
2.1. La prospettazione del primo giudice non può essere condivisa.
2.2. Che la regola sancita dall’art. 31, nono comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (secondo cui “chiunque può prendere visione presso gli uffici comunali, della licenza edilizia e dei relativi atti di progetto e ricorrere contro il rilascio della licenza edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione”) non abbia inteso introdurre una forma di azione popolare, è affermazione troppo consolidata da non richiedere il sostegno di specifici precedenti.
2.3. Sebbene l’art. 31 sia stato formalmente abrogato dall’art. 136, comma 1, lett. a), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (c.d. testo unico dell’edilizia; d’ora in poi: t.u.), in ordine all’impugnazione dei titoli edilizi – secondo l’orientamento ormai consolidato di questo Consiglio di Stato, che da quella disposizione si sviluppa – deve essere riconosciuta una posizione qualificata e differenziata solo in favore dei proprietari di immobili siti nella zona in cui la costruzione è permessa e a coloro che si trovano in una situazione di “stabile collegamento” con la stessa. Di conseguenza, è legittimato a impugnare il titolo edilizio ad altri rilasciato chi, lamentando la lesione dell’interesse a godere della veduta e, più in generale, del mantenimento al preesistente assetto dell’area, dimostri la titolarità di una costruzione limitrofa a quella in cui sono eseguiti i lavori, anche se non abbia fornito la prova che questi ultimi abbiano provocato uno specifico danno, costituendo questa una questione di merito irrilevante sulla condizione dell’azione (cfr. per tutte, in termini, sez. VI, 15 giugno 2010, n. 3744; sez. IV, 8 luglio 2013, n. 3596; sez. IV, 18 novembre 2014, n. 3596; sez. IV, 12 novembre 2015, n. 5160).
2.4. Varrà anzi la pena di ricordare, per completezza di esposizione, che la giurisprudenza di questo Consiglio, pur notoriamente incline a richiedere – in punto di legittimazione e interesse a impugnare strumenti urbanistici generali – requisiti più stringenti di quelli necessari con riguardo ai permessi di costruire, ammette i proprietari confinanti a ricorrere, ad esempio, contro il piano attuativo di insediamento edilizio interessante un’area con la destinazione urbanistica di “aree per servizi – parchi a verde attrezzato”, con la realizzazione delle opere di urbanizzazione strumentali all’insediamento residenziale, quando la nuova destinazione urbanistica, al di là della possibile incidenza sul valore dei beni, possa apportare un pregiudizio in termini di sottrazione di visuale, luce ed aria (cfr. sez. IV, 13 novembre 2012, n. 5715; sez. IV, 12 giugno 2013, n. 3257).
2.5. Non vi era dunque alcuna ragione per negare legittimazione e interesse ad agire agli odierni appellanti, che, per effetto dei lavori assentiti dal Comune, lamentano la diminuzione di luce e di aria (Ra.) o pregiudizi di ordine estetico e patrimoniale (Ma. e Pa.) ai danni delle rispettive proprietà.
2.6. In questo punto, pertanto, la sentenza di primo grado deve essere riformata. Il che consente di passare all’esame del merito della questione.
3. Il secondo motivo, anch’esso comune ai due appelli, deve essere esaminato partitamente, in relazione alle singole opere assentite con il titolo edilizio impugnato.
3.1. Quanto all’intervento sul fabbricato principale, per il quale il Comune ha rilasciato concessione per “opere di risanamento conservativo”, l’appello è fondato.
3.1.1. La nozione di “risanamento conservativo” è data dall’art. 3, comma 1, lett. c), t.u., le cui definizioni “prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi” (art. 3, comma 2, primo periodo).
3.1.2. La lett. c) intende per “interventi di restauro e di risanamento conservativo” “gli interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio”.
3.1.3. Il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall’orientamento del tutto prevalente di questo Consiglio di Stato, secondo cui gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, non si configurano né come manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo, ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia. In sostanza, affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi, ovvero l’ordine in cui erano disposte le diverse porzioni dell’edificio, per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d’uso esistente. Infatti, anche in questi casi si configura il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio e un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie (in termini, sez. V, 12 novembre 2015, n. 5184; ma si vedano anche, nel medesimo senso, sez. V, 17 marzo 2014, n. 1326; sez. V, 17 luglio 2014, n. 3796, sez. IV, 14 luglio 2015, n. 3505; sez. V, 14 aprile 2016).
3.1.4. Le parti discutono le caratteristiche dell’intervento contestato, ovviamente per negarne (gli appellanti) o affermarne (i resistenti) la compatibilità con lo schema del risanamento conservativo.
3.1.5. Al di là di cambiamenti che possono anche considerarsi di dettaglio (quali modifiche e aperture di luci e finestre), il Collegio ritiene che almeno tre lavori siano del tutto incompatibili con il semplice risanamento conservativo:
a) la sopraelevazione del piano di calpestio del piano terra al fine di creare un piano seminterrato;
b) la realizzazione di una nuova scala tra piano terreno e primo piano;
c) la significativa modifica distributiva interna, con la realizzazione di due appartamenti in luogo dei tre preesistenti.
3.1.6. Sotto tutti e tre i profili in esame, le difese della signore Sc. non colgono il segno, là dove – nella memoria unica depositata il 20 aprile 2016, anche richiamando le successive relazioni del proprio progettista e citandone brani – sostengono che:
a) i lavori avrebbero ritrovato una parte interrata, ulteriore e assolutamente più ampia di quella già fruibile, posto che il progetto prevedrebbe comunque l’ampliamento del preesistente piano seminterrato: al di là della credibilità del fortuito ritrovamento e delle disposizioni edilizie e urbanistiche locali circa la fruibilità dei luoghi in relazione all’altezza (e alla conseguente invarianza della superficie utile lorda), la variazione strutturale del complesso dell’edificio è indiscutibile;
b) la scala metallica di collegamento tra il piano terra e il primo piano (venuti meno, rispetto al progetto originario, il collegamento interno fra il piano interrato e il piano terra e tra il primo piano e il secondo piano) sarebbe configurabile quale opera di arredo interno, compatibile con la natura generale dell’intervento proposto: il che va in parte contro la natura delle cose (per comune apprezzamento, una scala ha una destinazione funzionale e non ornamentale), in parte costituisce una petizione di principio (quanto all’affermata compatibilità dell’intervento);
c) la riduzione del numero delle unità immobiliari da tre a due non corrisponderebbe al vero, sarebbe smentita dalla relazione generale del progettista e in concreto sarebbe frutto di un inspiegabile errore nel grafico di progetto: errore che, per la sua abnormità (omessa indicazione di angolo cottura al primo piano, non è chiaro dove) più che tale sembra il frutto di un escamotage difensivo.
3.1.7. I signori Ma. e Pa. ipotizzano addirittura che le trasformazioni progettate renderebbero il fabbricato più simile a una tipologia ricettiva che residenziale (pag. 12 del ricorso in appello).
3.1.8. Tuttavia – si ripete -, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio anche un intervento che non determini cambiamento di destinazione d’uso ma sia effettuato (così come è stato effettuato in concreto) con le modalità poco sopra indicate è da considerarsi un intervento di ristrutturazione. E, ad avviso del Collegio, le modalità sommariamente riassunte sono tali da rendere inutile l’esame di un filone giurisprudenziale di questo stesso Consiglio, richiamato dalle signore Sc. e peraltro minoritario, che si mostrerebbe più liberale nel determinare i confini degli interventi di restauro e risanamento conservativo e peraltro sembra formulato in relazione a fattispecie eterogenee (sez. IV, 3 agosto 2010, n. 5150; sez. V, 6 marzo 2013, n. 1366; sez. IV, 30 settembre 2013, n. 4863; sez. VI, 30 marzo 2015, n, 1641).
3.2. La concessione impugnata è invece legittima riguardo il garage interrato pertinenziale, costruito sullo spazio prima destinato a verde.
3.2.1. Al di là delle disposizioni edilizie e urbanistiche comunali, deve farsi applicazione dell’art. 9, comma 1, primo periodo, della legge n. 122 del 1989, il quale dispone che “i proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti”.
3.2.2. D’altronde, gli inconvenienti segnalati dagli appellanti non appaiono decisivi in senso contrario.
3.2.3. La realizzazione di una rete di subirrigazione drenante, se eseguita a regola d’arte, è in grado di realizzare un’adeguata dispersione delle acque meteoriche (si tratta peraltro della tecnica adoperata sulle autostrade).
3.2.4. L’abbattimento del leccio può essere compensata mettendo a dimora una pianta analoga (o più piante) in vaso.
3.2.5. In definitiva, e ferma restando la prevalenza della disposizione di legge ricordata, appaiono rispettate le prescrizioni delle N.T.A., di cui gli appellanti censurano invece la violazione.
3.3. Nella parte in cui contesta la concessione edilizia riguardo all’intervento di ristrutturazione sull’annesso, l’appello è fondato.
3.3.1. Sulla minuta e intricata normativa locale, di cui le parti dettagliatamente discutono, fa aggio la normativa generale recata dall’art. 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (giurisprudenza costante sia del giudice amministrativo che di quello ordinario; cfr. per tutte, rispettivamente, Cons. Stato, sez. IV, 13 marzo 2014, n. 1272; sez. IV, 14 aprile 2014, n. 1818; sez. IV, 31 marzo 2015, n. 1670; Cass. civ., sez. II, 10 novembre 2011, n. 23553; sez. II, 11 novembre 2014, n. 24013; sez. II, 31 dicembre 2014, n. 27558).
3.3.2. E poiché gli immobili sorgono in zona A e l’annesso oggetto dell’intervento è pacificamente una “costruzione aggiuntiva di epoca recente e priva di valore storico, artistico o ambientale” (per questo il Comune l’ha classificato in classe 6 a norma dell’art. 23 delle N.T.A.), di esso non si poteva tenere conto – diversamente da quanto ha ritenuto il T.A.R., sulla base di una lettura dell’art. 9 che il Collegio non condivide – ai fini delle distanze legali. Cosicché si deve concludere che, nella specie, l’intervento eseguito sul manufatto, comportando in sostanza una nuova costruzione, ha rotto la distanza intercorrente tra i volumi edificati preesistenti, che va del resto rispettata anche in ordine alle sopraelevazioni (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27 ottobre 2011, n. 5759).
4. Dalle considerazioni che precedono discende che, come già detto, l’appello è in parte fondato e in tali limiti va pertanto accolto. In riforma della sentenza di primo grado, ne segue il parziale accoglimento del ricorso introduttivo con annullamento del provvedimento impugnato in parte qua e rimessione degli atti all’Autorità amministrativa, per l’adozione degli eventuali provvedimenti consequenziali di propria competenza.
5. La domanda di risarcimento del danno per equivalente, formulata dagli appellanti nei confronti dell’Amministrazione comunale, non può essere accolta in questa sede, per mancanza di una specifica allegazione e prova del pregiudizio asseritamente subito.
6. In virtù del principio della c.d. “doppia tutela” (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 678), resta ferma la possibilità degli appellanti di adire il giudice ordinario per il risarcimento del danno da violazione delle norme sulle distanze e per la riduzione in pristino dello stato dei luoghi.
7. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.
8. Alla luce dell’esito della controversia, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li riunisce e li accoglie in parte, secondo quanto meglio esposto in motivazione, e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza di primo grado:
a) annulla il provvedimento impugnato in parte qua, restituendo gli atti all’Autorità amministrativa;
b) respinge la domanda di risarcimento del danno;
c) compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 maggio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Raffaele Greco – Consigliere
Andrea Migliozzi – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore
Depositata in Segreteria il 06 giugno 2016.

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