Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 6 aprile 2016, n. 1356

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 5851/2009 RG, proposto dalla

DU. Co. Ap. e Re. s.r.l., corrente in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Ga., Ar. Ca. e Cl. De Po., con domicilio eletto in Roma, via (…),

contro

il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Co. Di Pa. e Ro. Ma. Ag. Ri., con domicilio eletto in Roma, via (…),

per la riforma

della sentenza del TAR Lazio – Roma, sez. II-bis, n. 7173/2008, resa tra le parti e concernente il risarcimento del danno subito dall’appellante a seguito del diniego di concessioni edilizie;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune intimato;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore all’udienza pubblica del 23 giugno 2015 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, gli avvocati Ga. e Ri.;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. – La DU. Co. Ap. e Re. s.r.l., corrente in Roma, essendo proprietaria di un terreno sito nel territorio comunale di (omissis) in zona agricola di PRG, chiese al Comune il rilascio dapprima di due concessioni edilizie per altrettanti fabbricati rurali e, dopo poco, per altri due edifici.

Il Comune, paventando che tutto ciò dissimulasse un caso di lottizzazione abusiva, ne respinse tali istanze, ma il TAR Lazio, con la sentenza n. 2656/99, accolse il ricorso di detta Società. Sicché quest’ultima convenne nuovamente il Comune innanzi al TAR Lazio, con il ricorso n. 7030/2001 RG, chiedendo il risarcimento del danno provocatole dall’attività amministrativa illegittima. Essa chiese in particolare Lit. 762.000.000 per danno emergente, Lit. 24.680.000 a titolo di rimborso per le spese sostenute a causa delle concessioni de quibus e Lit. 28.835.554 per oneri concessori, oltre diversi accessori.

L’adito TAR, con sentenza n. 7173 del 21 luglio 2008, respinse la pretesa attorea, giacché: 1) – il risarcimento del danno da provvedimento amministrativo illegittimo non è conseguenza automatica del suo annullamento in sede giurisdizionale, tal danno dovendo essere rigorosamente dimostrato nell’an e nel quantum, a prescindere dalla colpa della P.A.; 2) – nella specie, detta Società non ha considerato, per stabilire il danno emergente ed il lucro cessante, l’«… effetto patrimoniale (in termini di guadagno) che hanno determinato la successiva realizzazione degli immobili e la facoltà di venderli ad un prezzo sicuramente superiore, in ragione del notorio andamento del mercato…»; 3) – detta Società non ha dimostrato gli elementi differenziali tra il costo di costruzione attuale e quello che avrebbe potuto sostenere all’epoca; 4) – non ha neppure fornito idonea documentazione circa «… l’oggetto sociale ed al bilancio…, tali da confortare le asserite determinazioni in ordine alle scelte di investimento…»; 5) – «… quanto a suo tempo sostenuto per le spese di edificazione… non è stato erogato inutilmente, ma converge nella realizzazione dell’investimento finale…».

2. – Appella dunque detta Società, con il ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità della sentenza impugnata: A) – perché il risarcimento del danno a seguito d’annullamento d’un atto illegittimo, se chiesto per equivalente, costituisce una forma di tutela ulteriore dell’interesse legittimo e il Giudice deve ristorare tutti i pregiudizi patrimoniali subiti a causa del ritardo della P.A., accertandone l’an (dimostrato in prime cure e non contestato dal Comune) e, come richiesto, rimettendo il quantum al metodo ex art. 35 del D.lg. 31 marzo 1998 n. 80; B) – l’illegittimo riferimento, mai in questi termini eccepito dal Comune all’andamento del mercato immobiliare (quasi una compensatio lucri cum damno), sì da integrare un vizio d’ultrapetizione basato su un fatto notorio, poi non adoperato dal TAR a favore dell’appellante per la perdita derivante dall’immobilizzo del capitale.

Resiste in giudizio il Comune intimato, che conclude in modo articolato per il rigetto dell’appello.

Alla pubblica udienza del 23 giugno 2015, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

3. – L’appello non può esser condiviso, per le ragioni qui di seguito indicate.

Non pare al Collegio che la Società appellante risponda alla prima statuizione del TAR, ossia la mancanza d’ogni automatismo tra l’annullamento giurisdizionale dell’atto lesivo e colpa della P.A., fonte dell’obbligazione risarcitoria. Essa invece dà per scontato d’aver dimostrato l’an della pretesa risarcitoria perché il Comune, a fronte di istanze del 1996 e nonostante la favorevole sentenza di cognizione emanata nel 1999 (ma passata in giudicato l’anno dopo), ottenne gli invocati titoli edilizi solo nel 2001.

Ora, non dura fatica il Collegio a concedere all’appellante che la tutela risarcitoria da essa invocata, specie quella per equivalente a cagione della mora judicii, sia il necessario complemento apprestato dalla legge alla tutela dell’interesse legittimo.

Ciò non toglie, però e soprattutto quando già in prime cure lo s’è affermato apertis verbis (pag. 5 della sentenza), che il risarcimento del danno derivante dal provvedimento illegittimo non è in sé la conseguenza automatica del suo annullamento in sede giurisdizionale. La Sezione ha da ultimo precisato (cfr. Cons. St., IV, 1° luglio 2015 n. 3258), su tal specifico tema della responsabilità della P.A., che il risarcimento del danno subito non può derivare in modo automatico dall’annullamento di un atto illegittimo da essa adottato. Anche se si rinvia alle presunzioni semplici ex artt. 2727 e 2729 c.c., l’illegittimità del provvedimento annullato è solo uno degli indici presuntivi della colpa della P.A., non la dimostrazione piena. Più di recente, questo Consiglio (cfr. Cons. St., V, 18 gennaio 2016 n. 125; id., III, 9 febbraio 2016 n. 559) precisa che, ai fini della stessa ammissibilità della domanda risarcitoria, non basta il solo annullamento dell’atto lesivo, ma è pure necessario che vi sia l’elemento soggettivo della colpa, dovendosi verificare se l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato siano avvenute in violazione delle regole d’imparzialità, correttezza e buona fede, cui l’esercizio della funzione pubblica si deve costantemente attenere. Sicché è compito di questo Giudice, quando si controverte sulla responsabilità della P.A. per danno a privati ed in conformità pure ai principi enunciati in materia dalla giurisprudenza comunitaria, di affermare la responsabilità stessa solo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto ed in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare l’evidente negligenza ed imperizia dell’organo nell’emanare il provvedimento viziato.

Non basta dunque predicare, come fa la Società appellante, che in sede di cognizione l’impugnato diniego fu annullato per tutti i motivi dedotti, al fine di dar per implicitamente dimostrata la predetta responsabilità del Comune, specie a fronte di elementi fattuali da esso prima facie valutati, in modo non doloso o manifestamente arbitrario, sintomo di lottizzazione abusiva. Non è in sé sufficiente il solo annullamento dell’atto lesivo, occorrendo la prova che dalla colpevole condotta amministrativa sia derivato, nella sfera patrimoniale del presunto danneggiato, un pregiudizio economico direttamente riferibile all’assunzione od all’esecuzione della determinazione illegittima. Sicché, una volta non dimostrata la sicura esistenza a priori dell’an risarcitorio, l’appellante non si sarebbe potuta limitare a chiedere il relativo accertamento mero ed il conseguente rinvio alla procedura ex art. 35 del D.lg. 80/1998, a quel tempo vigente, per la liquidazione del danno. Rettamente il TAR ha esaminato ogni singola voce del danno per verificare puntualmente, prima ed escludere, quindi, il pregiudizio patrimoniale affermato, ma non seriamente dimostrato dall’appellante.

In tal caso, il riferimento del TAR anche a fatti notori non smentiti da altra e più probante prova a confutazione, non è affatto quell’artifizio del Giudice di prime cure, asserito dall’appellante, per supportare eccezioni poco o punto svolte dal Comune. Esso è piuttosto il metodo usato per valutare e, se del caso, rigettare, inferendo l’assenza di danno e l’esistenza d’un maggior lucro ritratto grazie anche all’andamento del mercato immobiliare per il tempo trascorso, una pretesa attorea basata su elementi dedotti proprio dal mercato stesso. Il che è come dire che il TAR ha usato, per confutare la pretesa de qua, argomenti notori desunti dallo stesso contesto economico -in cui l’appellante opera e da essa adoperati per quantificare il danno-, così arguendo che i dati economici congiunturali fossero già in sé idonei a dimostrare l’assenza d’un pregiudizio risarcibile.

Non importa che questo illecito abbia causato o concorso a causare pure quel miglioramento della situazione economica, evidenziato dal TAR e che ha eliso il pregiudizio patrimoniale. Infatti, questo è il meccanismo tipico della compensatio lucri cum damno, che si verifica quando sia il pregiudizio, sia l’incremento patrimoniale derivino fattualmente dal medesimo illecito (arg. ex Cass., III, 30 settembre 2014). Né tampoco rileva che non vi fosse stata un’“eccezione” di parte avversa su tal punto, poiché la compensatio lucri cum damno è un’eccezione in senso lato, ossia non l’adduzione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto azionato, ma una mera difesa circa l’esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato, come tale rilevabile d’ufficio dal Giudice che, per determinarne l’esatta misura del danno risarcibile, può fare riferirsi a tutte le risultanze del giudizio ed anche al notorio (arg. ex Cass., VI, 24 settembre 2014 n. 20111).

È solo da soggiungere che il ricorso al fatto notorio attiene all’esercizio di un potere discrezionale di questo Giudice ed appare sindacabile solo se la decisione della controversia si basi su un’inesatta nozione del notorio (da intendersi come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo), non certo per l’eventuale insufficienza della motivazione, non essendo il Giudice tenuto ad indicare gli elementi su cui si fonda la sua determinazione (arg. ex Cass., I, 10 settembre 2015 n. 17906).

È parimenti da osservare che, mentre l’aumento dei prezzi del settore immobiliare è stato un evento noto a chiunque negli anni di riferimento della presente lite, non così può dirsi con riguardo alla c.d. “perdita secca” per l’impresa a causa dell’immobilizzo patrimoniale, poiché tal evento è al più solo intuitivo, ma nelle sue reali essenza e dimensione è variabile dipendente dall’organizzazione e dalle scelte dell’imprenditore rispetto all’andamento del mercato.

4. – L’appello va quindi respinto, poiché detta Società non ha dimostrato, a fronte della statuizione del TAR, come superare, per un verso, quanto fin qui detto e, per altro verso, le altre considerazioni sia sui dati circa «… l’oggetto sociale ed al bilancio…, tali da confortare le asserite determinazioni in ordine alle scelte di investimento…», sia su «… quanto a suo tempo sostenuto per le spese di edificazione… non è stato erogato inutilmente, ma converge nella realizzazione dell’investimento finale…».

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti ai sensi dell’art 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (cfr., per tutti, Cass., II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, più di recente, id., V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Le spese del presente giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. IV), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso n. 5851/2009 RG in epigrafe), lo respinge.

Condanna la Società appellante al pagamento, a favore del Comune resistente e costituito, delle spese del presente giudizio, che sono nel complesso liquidate in € 5.000,00 (Euro cinquemila/00), oltre IVA, CPA ed accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 23 giugno 2015, con l’intervento dei sigg. Magistrati:

Goffredo Zaccardi – Presidente

Nicola Russo – Consigliere

Diego Sabatino – Consigliere

Silvestro Maria Russo – Consigliere, Estensore

Leonardo Spagnoletti – Consigliere

Depositata in Segreteria il 06 aprile 2016.

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