Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 4 maggio 2017, n. 2027

Affinché il proprietario possa essere obbligato allo smaltimento dei rifiuti, è necessaria o la corresponsabilità con gli autori degli sversamenti, oppure un comportamento omissivo, doloso o colposo; d’altra parte non è ravvisabile un generale obbligo di recinzione, venendo in rilievo la ragionevole esigibilità e la possibile sproporzione di tale onere; inoltre, si è ritenuto non ravvisabile un obbligo di rimuovere sversamenti di terzi

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 4 maggio 2017, n. 2027

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.

sul ricorso numero di registro generale 1096 del 2017, proposto da: Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fa. Ma. Fe., An. An., Gi. Pi., con domicilio eletto presso lo studio Ni. La. in Roma, via (…);

contro

An. D’A., To. D’A., rappresentati e difesi dall’avvocato An. Ve., con domicilio eletto presso lo studio Al. Di. in Roma, (…);

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE V n. 04992/2016, del 27/10/2016, resa tra le parti, nel giudizio promosso per l’annullamento dell’ordinanza sindacale n. 339 del 2016, avente ad oggetto l’intimazione a provvedere alla rimozione dei rifiuti e alla messa in sicurezza dell’area, con esecuzione in danno;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di An. D’A. e di To. D’A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2017 il Cons. Giuseppa Carluccio e uditi per le parti gli avvocati Pa. per Pi. e Ve.;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.Con ordinanza n. 339 del 25 marzo 2016, il Comune di Napoli ordinò, ex art. 192, comma 3 del d.lgs. n. 152 del 2006, ai D’A., quali proprietari del suolo in area sottoposta a vincolo ambientale, di provvedere all’attivazione delle procedure di messa in sicurezza dell’area e, conseguentemente, di procedere alla rimozione e smaltimento dei rifiuti presenti sul suolo nella parte sottostante la via comunale, nel termine di 30 giorni dalla notifica; avvertì che decorso il termine si sarebbe provveduto all’esecuzione dei lavori in danno con recupero delle somme anticipate.

2. Il Tar (con la sentenza n. 4992 del 27 ottobre 2016) accolse il ricorso proposto dai proprietari con sentenza breve e annullò il suddetto provvedimento.

La decisione si fonda sulle essenziali argomentazioni che seguono.

a) Oltre all’art. 7 del d.lgs. n. 241 del 1990, è stato violato l’art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006, che prescrive l’effettuazione degli accertamenti da parte degli organi preposti al controllo nel contraddittorio con gli interessati, mentre è irrilevante l’adozione di provvedimenti precedenti a conclusione di altro procedimento.

b) Dalla posizione del fondo, 20 metri sotto il livello stradale, e dalla presenza della sbarra in ferro chiusa per l’accesso al fondo, si desume che presumibilmente gli sversamenti siano attribuibili a mezzi circolanti sulla strada pubblica.

c) L’istruttoria rinnovata è insufficiente, anche alla luce della sentenza del Gip del luglio 2015, che ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti dei D’A. per non aver commesso il fatto (della gestione della discarica non autorizzata); sentenza rilevante per l’accertamento in fatto, oltre che rispetto al mancato contributo dei proprietari alla illecita gestione dei rifiuti, anche rispetto all’abbandono degli stessi.

3. Il Comune ha proposto appello avverso la suddetta sentenza e ne ha richiesto la sospensione dell’esecutività.

Il Collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite le parti, ritiene che il giudizio può essere definito in camera di consiglio con sentenza in forma semplificata.

4. Con l’impugnazione il Comune ha messo in evidenza la fase pregressa, all’ordinanza del 2016 di cui si discute, svolta attraverso le seguenti scansioni: – ordinanza sindacale n. 102 del 2011, di intimazione alla rimozione dei rifiuti, sulla base di accertamenti precedenti; – impugnazione dinanzi allo stesso Tar (rg n. 2298 del 2012, ancora pendente); – conferma dell’ordinanza in esito a rigetto della cautela, anche dinanzi al Consiglio di Stato; – sequestro penale per gestione di discarica abusiva; – sentenza del GIP di non luogo a procedere per non aver commesso il fatto; – dissequestro dell’area.

Si è soffermato sulla seconda fase, successiva al dissequestro, in esito al rapporto della forestale (n. 1035 del novembre 2015), attestante la presenza di rifiuti già presenti al momento del sequestro e di altri, tra i quali telai e lamiere in ferro provenienti da autoveicoli.

4.1. Ha censurato la sentenza (per un primo profilo) sostenendo l’assenza della violazione degli artt. 7 e 21- octies della l. n. 241 del 1990, oltre che dell’art. 192 cit., trattandosi di provvedimento emesso in continuità con il procedimento avviato nel 2011, con conseguente non applicabilità della giurisprudenza che, rispetto all’art. 192 suddetto, ritiene fondamentale l’accertamento in contraddittorio e considera irrilevanti provvedimenti precedenti emessi in esito di altro procedimento.

Sotto un secondo profilo, in riferimento alla parte della sentenza che affronta il merito anche mediante il richiamo della sentenza penale, il Comune sostiene che, quanto alla posizione soggettiva dei proprietari, sarebbe errata la deduzione di estraneità, fondata sulla presenza della sbarra di ferro con lucchetto per l’accesso alla strada sterrata che conduce alla cava abbandonata, e sarebbe errata l’attribuzione degli sversamenti ai passanti dalla strada comunale, perché dai verbali di sopralluogo precedenti si ricaverebbe linearmente che la sbarra è successiva ai primi sopralluoghi.

5. Il gravame va rigettato.

5.1.L’Ordinanza sindacale n. 339 del 25 marzo 2016 (oggetto del processo in argomento) manca di ogni riferimento alla fase pregressa, richiamando solo il verbale della forestale, senza neanche esplicitare che era stato redatto in fase di dissequestro. Si configura, quindi, come provvedimento autonomo e nuovo; con conseguente illegittimità per violazione dell’art. 192 cit., essendo mancato ogni accertamento nel contraddittorio (CdS n. 1301 del 2016). Tanto sarebbe assorbente per rigettare l’impugnazione.

5.2. Anche a voler prescindere da tale profilo, ritenendo la continuità con il provvedimento precedente per via della unicità del verbale di accertamento redatto in fase di dissequestro, l’appello va rigettato perché il giudice di primo grado ha correttamente messo in risalto il difetto di istruttoria.

5.3. Dalla giurisprudenza di questo Consiglio emerge univocamente che, affinché il proprietario possa essere obbligato allo smaltimento dei rifiuti, è necessaria o la corresponsabilità con gli autori degli sversamenti, oppure un comportamento omissivo, doloso o colposo (CdS, sez. V, n. 4635 del 2012). D’altra parte, si è costantemente ritenuto che non sia ravvisabile un generale obbligo di recinzione, venendo in rilievo la ragionevole esigibilità e la possibile sproporzione di tale onere (CdS, sez V, n. 4504 del 2015); inoltre, si è ritenuto non ravvisabile un obbligo di rimuovere sversamenti di terzi (ibidem, n. 3786 del 2014).

5.4. Nella specie, appare evidente la mancanza di istruttoria in ordine alla riconducibilità degli sversamenti a comportamenti anche solo colposi dei proprietari. Tanto, in ragione: dello stato dei luoghi, quale emerge dalla documentazione in atti (dislivello di 20 metri dalla strada comunale, dissestata con muretto di contenimento franato; stradina interpoderale che conduce alla cava abbandonata); della situazione di degrado, con continui sversamenti anche dopo interventi di bonifica del Comune; -della stessa sentenza penale nella ricostruzione dei fatti, nel senso di escludere la corresponsabilità nella discarica.

Né, in ragione della conformazione dei luoghi, appare ragionevolmente esigibile una messa in protezione della cava da parte dei proprietari, tale da scongiurare comportamenti di terzi. Diventa, quindi, irrilevante la presenza o meno della sbarra all’accesso, se da tempo precedente o successivo i primi sopralluoghi, messa in evidenza dal Comune; assenza, comunque, contestata dai proprietari subito dopo il sopralluogo dal quale non risultava.

6.La peculiarità della fattispecie giustifica l’integrale compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Comune di Napoli (r.g. n. 1096/2017), lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa integralmente le spese processuali tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Oberdan Forlenza – Presidente FF

Leonardo Spagnoletti – Consigliere

Luca Lamberti – Consigliere

Nicola D’Angelo – Consigliere

Giuseppa Carluccio – Consigliere, Estensore

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *