Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 3 novembre 2015, n. 5013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 379 del 2015, proposto da:

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via (…), sono ope legis domiciliati;

contro

Comune di Torino, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Do.Sp., Gi.Fo., con domicilio eletto presso Gi.Fo. in Roma, corso (…);

nei confronti di

Comune di Fiumicino, non costituitosi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. del LAZIO –Sede di ROMA- SEZIONE II n. 10436/2013, e della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE II n. 04878/2014, rese tra le parti, concernenti criteri e metodi per la determinazione del gettito Imu e Ici;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Torino;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 settembre 2015 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati St.Me. ed altri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con le due sentenze in epigrafe appellate (nn. 10436/2013 e 48784/2014) il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – Sede di Roma – ha deciso un complesso ricorso di primo grado (integrato da motivi aggiunti) proposto dall’ odierna parte appellata Comune di Torino volto ad ottenere l’annullamento degli atti analiticamente indicati nelle epigrafi delle sentenze di primo grado e da intendersi integralmente richiamate e trascritte in questa sede.

L’ odierna parte appellata Comune di Torino aveva gravato i detti atti in quanto – a suo dire – distorsivi degli effetti dell’istituzione dell’Imposta Municipale propria (di seguito denominata IMU) sulle attribuzioni ai Comuni a valere sui fondi (Fondo sperimentale di riequilibrio e Fondo di perequazione) istituiti con la normativa in materia di federalismo fiscale municipale al fine di garantire il corretto svolgersi del processo di devoluzione dei tributi ai comuni.

Aveva rappresentato che dagli atti gravati era disceso un diretto danno per le finanze comunali: era quindi insorta prospettando numerose di censure di violazione di legge ed eccesso di potere che sono state analiticamente esaminate dal Tar ed in larga parte accolte.

Il complessivo senso delle dedotte censure era il seguente: i Ministeri odierni appellanti avevano trasformato (anche) il gettito ICI in un’entità oggetto di stima, facendo applicazione di criteri approssimativi e ottenendo un risultato lontano da quello risultante dai certificati di conto consuntivo su cui –ai sensi della norma primaria- doveva fondarsi la stima.

Per altro verso, ai fini della stima del gettito IMU avevano tenuto conto di componenti non dovute ed avevano utilizzato parametri inattendibili.

Il modus procedendi seguito dal Tar è stato il seguente: con la sentenza non definitiva n. 10436/2013, oggetto di tempestiva riserva di appello proposta dalla difesa erariale ha esaminato – e risolto in senso negativo per l’odierna parte appellante- le eccezioni processuali sollevate dalla Difesa erariale ed ha disposto che parte appellata estendesse il contraddittorio a tutti i Comuni che beneficiavano delle ripartizioni del FSR.

Con la sentenza definitiva n. 4878/2014 ha risolto le questioni di merito.

In particolare, con la sentenza non definitiva n. 10436/2013 il Tar ha:

1)disatteso la tesi della indeterminatezza del mezzo di primo grado sostenuta dalla difesa erariale, esprimendo l’avviso che l’oggetto del contendere fosse stato correttamente individuato dall’odierna parte appellata;

2) respinto l’eccezione processuale incentrata sull’irricevibilità del ricorso introduttivo facendo presente che: quanto all’impugnazione del decreto ministeriale in data 4 maggio 2012 esso risultava impugnato per mero tuziorismo;

le censure dedotte non attingevano ad oggetto le disposizioni di tale decreto ministeriale, bensì le nuove stime del gettito ICI e del gettito IMU pubblicate dal MEF in data 16 ottobre 2012 (qualificate dal MEF come sostitutive delle precedenti stime pubblicate in data 6 agosto 2012), nonché la “nota metodologica” pubblicata in pari data, con la quale il MEF aveva illustrato i criteri utilizzati per elaborare le predette stime;

inoltre le stime pubblicate in data 16 ottobre 2012 e la relativa nota metodologica non erano atti meramente applicativi del decreto ministeriale del 4 maggio 2012 (e come tali recanti semplici calcoli aritmetici effettuati sulla base dei criteri predeterminati con il predetto decreto ministeriale) ma veri e propri provvedimenti amministrativi, dotati di autonoma carica lesiva;

3) disatteso la tesi della asserita carenza di legittimazione ad agire del Comune di Torino e l’asserito difetto di interesse del medesimo

4)parimenti è stata dal Tar respinta l’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse ad agire, fondata sul carattere non definitivo delle stime pubblicate nel mese di ottobre 2012 e della relativa nota metodologica e la ulteriore eccezione processuale dedotta dalla Difesa erariale (sotto il profilo della carenza dell’interesse ad agire), incentrata sul fatto che l’art. 2, comma 7, del decreto legislativo n. 23/2011 consentiva di procedere comunque all’adozione del decreto ministeriale con il quale erano stabilite le modalità di alimentazione e di riparto del FSR.

Appariva a tal proposito troncante la costatazione per cui le ulteriori stime elaborate dal MEF unitamente alla relativa nota metodologica, in data 31 maggio 2013 erano state impugnate da parte odierna appellata con il ricorso motivi aggiunti.

Il Tar ha invece ritenuto che non fosse stato regolarmente instaurato il contraddittorio nei confronti dei Comuni beneficiari delle attribuzioni del FSR.

Ciò in quanto l’accoglimento delle censure dedotte con i ricorsi in esame, essendo volte a contestare la legittimità delle note metodologiche, avrebbe potuto produrre ripercussioni immediate e dirette anche sulle attribuzioni in favore dei Comuni che beneficiavano del Fondo.

Ne discendeva che, ferma l’ammissibilità dei ricorsi di primo grado in quanto notificati anche al Comune di Fiumicino, (art. 41, comma 2, cod. proc.) l’ANCI è stata onerata a notificare i ricorsi a tutti i Comuni che beneficiavano delle ripartizioni del FSR.

Verificata la puntuale effettuazione da parte dell’odierna appellata dell’incombente suindicato, il Tar con la sentenza definitiva n. 4878/2014 ha risolto le questioni di merito, accogliendo quasi del tutto il mezzo di primo grado e quello per motivi aggiunti.

Il primo giudice, ripercorsa in fatto e sotto il profilo infraprocedimentale la vicenda processuale, della quale ha scandito anche l’andamento cronologico, ha preliminarmente ricostruito il quadro normativo sotteso alla emissione dei provvedimenti impugnati.

Ha quindi espresso il convincimento per cui il mezzo introduttivo ed il ricorso per motivi aggiunti potessero essere trattati congiuntamente, perché la nota metodologica pubblicata in data 31 maggio 2013 – impugnata con il ricorso per motivi aggiunti unitamente ai provvedimenti con i quali, in conformità ai nuovi criteri fissati con tale nota metodologica, erano state rideterminate, all’esito della verifica di cui all’art. 9, comma 6-bis, del decreto-legge n. 174/2012 e dell’art. 1, comma 383, della legge 228/2012, le variazioni nelle assegnazioni a valere sul FSR per l’anno 2012 – si configurava come un provvedimento integrativo (e non sostitutivo) della precedente nota metodologica pubblicata in data 16 ottobre 2012.

Ha invece dichiarato inammissibile il mezzo di primo grado (ed i motivi aggiunti) nella parte in cui si era gravato l’avviso relativo a “criteri e metodi adottati per la determinazione del gettito dell’IMU e dell’ICI pubblicati per singolo Comune”, pubblicato sul sito web del MEF in data 28 agosto 2012 e dalla “nota di chiarimento” pubblicata sul medesimo sito in data 29 agosto 2012 perché nella nota metodologica pubblicata in data 16 ottobre 2012 il MEF aveva precisato che le “distribuzioni comunali” effettuate sulla base di tale nota metodologica sostituivano” quelle pubblicate sul portale del federalismo fiscale il 6 agosto u.s.”.

Sempre in via preliminare, il Tar ha escluso che la sopravvenienza della disposizione dell’art. 10-quater del decreto-legge n. 35/2013 ( che aveva comportato un’integrazione della dotazione del FSR) potesse aver determinato la cessazione della materia del contendere essendo rimasto indimostrato che la disponibilità di nuove risorse sul Fondo valesse a superare tutti gli effetti prodotti dall’applicazione dei criteri di calcolo fissati con le suddette note metodologiche del 16 ottobre 2012 e del 31 maggio 2013.

Il Tar ha quindi affrontato le complesse censure di merito, ed ha sintetizzato gli argomenti sostanziali posti a presidio delle medesime, sostenendo che le stesse potessero essere distinte in tre distinti gruppi.

Nell’ambito del primo gruppo potevano essere ricomprese infatti, quelle che denunciavano che le modalità operative descritte nelle impugnate note metodologiche si era trasformato anche il gettito ICI in un’entità oggetto di stima, facendo applicazione di criteri approssimativi e ottenendo un risultato lontano da quello risultante dai certificati di conto consuntivo.

Un ulteriore insieme di censure raggruppava quelle laddove ci si doleva della circostanza che le stesse note metodologiche avessero tenuto conto, ai fini della stima del gettito IMU, di componenti aggiuntive di gettito non dovute ed avessero utilizzato parametri inattendibili.

Infine, un terzo versante critico era composto da quelle che censuravano che le dette impugnate note metodologiche avessero proceduto a tali “operazioni integrative” nell’intento di allineare le risorse da assegnare ai Comuni per le finalità di cui all’art. 2 del decreto legislativo n. 23/2011 con le risorse disponibili sul FSR dopo il taglio operato con l’art. 13, comma 17, ultimo periodo, del decreto legge n. 201/2011.

Il Tar ha quindi iniziato la propria disamina dal primo gruppo di censure relativo ai criteri utilizzati per il calcolo del gettito dell’ICI relativo agli anni 2009 e 2010.

Il punto di partenza dal quale parte appellata traeva le mosse, era quello per cui in base al D.M. in data 4 maggio 2012, come modificato dal D.M. in data 8 agosto 2012, tale calcolo avrebbe dovuto essere effettuato esclusivamente in base ai certificati di conto consuntivo trasmessi dai Comuni ai sensi ai sensi dell’art. 161 del D. Lgs. n. 267 del 2000.

Contrariamente a tale prescrizione, invece, il MEF aveva fatto ricorso a “operazioni integrative” per tutti i comuni (e non soltanto per quelli i cui certificati di conto consuntivo erano inesistenti/lacunosi/imprecisi al dichiarato fine di riparametrare il gettito dell’ICI al dato ISTAT di 9.193 milioni di euro (dato considerato nella relazione tecnica al decreto legge n. 201/2011).

Ciò senza comunque considerare che lo stesso ISTAT nel maggio 2011 aveva rivisto tale dato, portandolo a 9.657 milioni di euro.

Il MEF, quindi, aveva utilizzato un dato statistico in luogo del dato relativo al gettito effettivo dell’ICI per gli anni 2009 e 2010; per soprammercato, tale dato statistico era errato, per ammissione dello stesso soggetto che aveva elaborato il dato.

Ad avviso del Tar detta doglianza appariva fondata.

Il MEF – pur avendo condiviso la proposta dell’ANCI, espressamente recepita nel decreto ministeriale in data 8 agosto 2012, di utilizzare per il calcolo del gettito dell’ICI relativo agli anni 2009 e 2010 i dati risultanti dai predetti certificati di conto consuntivo – una volta constatata l’incompletezza e l’incongruenza dei dati ivi riportati o addirittura, in alcuni casi, la mancanza dei certificati stessi, aveva ritenuto necessario non solo porre in essere “alcune operazioni di integrazione della banca dati”, ma anche operare un complessivo riproporzionamento del gettito ICI risultante dai certificati di conto consuntivo al dato ISTAT di 9.193 milioni di euro, indicato nella relazione tecnica al decreto legge n. 201/2011.

La nota metodologica pubblicata in data 16 ottobre 2012 dava atto di ciò ed illustrava la procedura seguita per risolvere il problema dei dati mancanti e/o incompleti, con ” integrazione della banca dati “.

Ne conseguiva, ad avviso del Tar, la fondatezza del primo gruppo di doglianze:

i provvedimenti impugnati contrastavano con l’art. 2 del D.M. in data 8 agosto 2012, tutto perché il MEF, in ragione dell’incompletezza dei dati relativi a taluni Comuni, risultanti dai predetti certificati di conto consuntivo, aveva ritenuto di poter superare attraverso operazioni correttive, per tutti i Comuni, i dati cristallizzati in tali certificati.

L’art. 2 del D.M. in data 8 agosto 2012 disponeva espressamente che le attribuzioni in favore dei Comuni a valere sul FSR dipendevano dalla “rideterminazione del gettito ICI per gli anni 2009 e 2010, come risultante dagli aggiornamenti dei certificati di rendiconto trasmessi dai Comuni”.

Senonchè il dato risultante dai certificati di rendiconto era stato “superato” per tutti i comuni, e non soltanto per quelli che tali certificati di rendiconto non avevano trasmesso, o che li avevano trasmessi incompleti, errati, etc.

E se anche si fosse voluto ritenere che il MEF fosse legittimato a porre in essere tali operazioni correttive con la finalità di garantire il rispetto dell’invarianza della dotazione del FSR (finalità la cui legittimità era pure contestata dall’ANCI con il terzo gruppo di censure), comunque doveva rilevarsi che nel maggio 2011 (in data antecedente all’adozione dei provvedimenti impugnati) il dato stimato in 9.193 milioni di euro era già stato aggiornato dall’ISTAT, portandolo da 9.193 milioni a 9.657 milioni di euro.

I provvedimenti impugnati quindi, ad avviso del Tar, dovevano essere dichiarati illegittimi non solo perché per la determinazione del gettito ICI era stato utilizzato, in violazione dell’art. 2 del D.M. in data 8 agosto 2012, un dato statistico in luogo del dato effettivo, ma anche perché l’azione amministrativa era viziata per difetto di istruttoria in quanto il dato statistico utilizzato non era aggiornato.

Il primo giudice ha quindi proceduto all’esame del secondo gruppo di doglianze.

Ivi l’odierna parte appellata si era lamentata della circostanza che ai fini della stima del gettito dell’IMU relativo all’anno 2012, il MEF avesse tenuto conto anche:

a) del gettito IMU dei c.d. immobili fantasma;

b) delle c.d. code di gettito;

c) del gettito relativo agli immobili di proprietà comunale, ( contrariamente al disposto dell’art. 13, comma 11, del decreto legge n. 201/2011).

Principiando dall’ultima articolazione della censura sud descritta, il Tar ne ha affermato la fondatezza, ritenendo che l’operato del Mef contrastasse sia con il tenore letterale dell’art. 13, comma 11, del decreto legge n. 201/2011, sia con la ratio di tale disposizione.

Ha invece disatteso le critiche avanzate alle ulteriori due componenti aggiuntive di gettito considerate dal MEF ai fini della stima del gettito complessivo dell’IMU(gettito IMU dei c.d. immobili fantasma; c.d. code di gettito, ossia i pagamenti in ritardo rispetto al primo termine di scadenza del versamento dell’IMU) ritenendole infondate.

Il primo giudice ha poi concluso il proprio scrutinio facendo presente che la fondatezza del primo gruppo di censure e la parziale fondatezza del secondo gruppo di censure trovasse ulteriore conferma nella fondatezza del terzo gruppo di censure, nella parte in cui parte appellata deduceva che il vizio di fondo delle impugnate note metodologiche era costituito dal fatto che il MEF – in palese violazione dell’art. 13, comma 17, del decreto-legge n. 201/2011 e del decreto ministeriale in data 4 maggio 2012, come modificato dal decreto ministeriale in data 8 agosto 2012 – avesse proceduto alle suesposte “operazioni integrative” nell’intento di allineare le risorse da assegnare ai Comuni con le risorse disponibili sul FSR.

Era ben incontestabile la regola dell’invarianza risorse della dotazione del FSR, in quanto affermata dall’art. 5 del decreto ministeriale in data 4 maggio 2012 e ribadita con l’art. 9, comma 6-bis, del decreto legge n. 174/2012.

Ma il modus operandi delineato con le impugnate note metodologiche risultava determinato, almeno in parte, dall’intento di non far emergere – grazie ad una sottovalutazione del gettito ICI effettivamente percepito dai Comuni ed una sopravvalutazione del gettito IMU – che la dotazione del FSR non consentiva di perseguire l’obiettivo, fissato dall’art. 2 del decreto legislativo n. 23/2011, di garantire un’attuazione “in forma progressiva e territorialmente equilibrata” del federalismo fiscale.

Ne discendeva l’annullamento delle impugnate note metodologiche pubblicate in data 19 ottobre 2012 e in data 31 maggio 2013, nonché dei provvedimenti con i quali erano state disposte le conseguenti variazioni nelle assegnazioni a valere sul FSR per l’anno 2012, con assorbimento delle restanti censure.

Ferma restando l’attuale dotazione del FSR, come modificata per effetto delle norme sopravvenute (e, in particolare, per effetto della disposizione dell’art. 10-quater del decreto-legge n. 35/2013) il Tar ha disposto che i Ministeri intimati procedessero a rideterminare le necessarie compensazioni e variazioni nelle assegnazioni da federalismo municipale per l’anno 2012, in conformità a quanto affermato nella sentenza, nonché ad effettuare i conseguenti conguagli rispetto alle somme già assegnate.

Quanto all’ultima parte del ricorso introduttivo, il Tar ha fatto presente che solo all’esito di tale rideterminazione avrebbe potuto essere eventualmente esaminata la questione (posta dal Comune di Torino solo in via subordinata, per il caso di mancato accoglimento del ricorso) relativa agli squilibri tra le entrate e le uscite comunali che – in contrasto con gli articoli 81 e 119 Cost – sarebbero derivati dall’applicazione della disposizione dell’ultimo periodo dell’art. 13, comma 17, del decreto legge n. 201/2011.

Avverso tali due sentenze le Amministrazioni originarie resistenti, rimaste quasi integralmente soccombenti, hanno proposto un articolato appello, chiedendone la riforma.

Ripercorsa in dettaglio la sequenza infraprocedimentale e ricostruito il quadro normativo (“premessa” dell’atto di appello, pagg. 1-27) e lo svolgimento del processo di primo grado (pagg. 27-43) l’appellante difesa erariale ha in primo luogo articolato le proprie critiche avverso la sentenza non definitiva n. 10436/2013 (già oggetto di riserva di appello) riproponendo la eccezione di irricevibilità del mezzo introduttivo (punto 1.1.) e quella di carenza di interesse ad agire del Comune di Torino perché sarebbe stata assente alcuna concreta lesione in capo a quest’ultimo.

In particolare, quanto a tale ultimo profilo, si è ivi sostenuto che stante la invarianza delle cifre stanziate nel FSR, l’invocato annullamento avrebbe avuto solo l’effetto di obbligare l’Amministrazione a procedere ad una redistribuzione, senza minimamente giovare al Comune odierno appellato.

Il Comune di Torino aveva soltanto accennato ad una asserita perdita pari ad Euro 21.107.500//00, comunque ascrivibile ad un segmento ( rientrante nel c.d. “secondo gruppo di censure” e relativo alla contestata inclusione nella base di calcolo degli immobili comunali) per il quale era cessata la materia del contendere ex art. 10 quater del dl.n. 35/2013 in quanto le somme erano state restituite al Comune (questo aveva ricevuto addirittura di più: Euro 21.552.860//00)

Inoltre, il Comune di Torino non era stato destinatario di alcuna operazione di “ripopolamento” dei dati e quindi non poteva lamentare alcun pregiudizio

Nella seconda parte dell’atto di appello la difesa erariale ha criticato le statuizioni contenute nella sentenza definitiva n. 4878/2014.

Ha in proposito rilevato che non era seriamente contestabile che le somme della dotazione del FSR, in quanto cristallizzato nell’Accordo 1 maggio 2012 fossero una entità fissa, non incrementabile, per cui la problematica si risolveva nella ripartizione di detta cifra fissa tra i comuni.

L’eventuale erronea applicazione della procedura di attribuzione delle somme aveva, al più, attinto un esiguo numero di comuni (poi successivamente vieppiù ridotto).

L’operato dal MEF ( l’abbandono, per tutti, del meccanismo determinativo che si era rilevato insufficiente consistente nella estrazione dei dati dai certificati di conto consuntivo presentati dai comuni) aveva invece consentito di porre tutti i comuni su un eguale punto di partenza.

Ed aveva consentito che si procedesse alla effettiva distribuzione delle somme.

L’importo di Euro 9.193 milioni era stato cristallizzato nell’Accordo dell’ 1 marzo 2012 e quindi era errato assumerne la inesattezza perché “superato” dal dato Istat del maggio 2012 pari ad Euro 9.657 milioni in quanto quest’ultimo rappresentava semplicemente il dato Istat aggiornato ad una data successiva.

Parimenti errato era l’approdo del Tar laddove quest’ultimo aveva (seppur parzialmente accolto) le doglianze raggruppate nel c.d. “secondo gruppo”.

In ogni caso, con riguardo alla vicenda relativa agli immobili di proprietà comunale, la doglianza era da considerarsi superata in considerazione della circostanza che l’art. 10 quater del dL n. 35/2013 aveva riconosciuto la somma relativa al gettito di tali immobili, ormai distribuito nell’ambito del FSR.

Quanto infine alle censure raggruppate nel c.d. “terzo gruppo” ed accolte dal Tar, l’atto di appello ha sostenuto che l’errore del Tar riposava nel non avere colto che l’art. 13 comma 7 del dL n. 201/2011 si riferiva esclusivamente alle variazioni del gettito IMU e non all’ICI.

Stante la invarianza del FSR non perteneva ad altri se non al Potere Politico determinare nuovi stanziamenti a valere sul Fondo, la cui invariabile dotazione doveva semplicemente essere ripartita tra i Comuni aventi diritto: l’errore prospettico del Tar si era spinto sino ad attribuire alle Amministrazioni un intento sviato che le stesse non avevano né interesse né ragione di perseguire: l’unico intento perseguito era invece quello di procedere alla distribuzione delle somme facenti parte della dotazione del fondo: e quest’ultimo era stato realizzato.

Parte appellata, in vista della camera di consiglio fissata per la delibazione dell’incidente cautelare ha depositato una memoria chiedendo la reiezione del ricorso in appello perché infondato sottolineando che, quanto alla censura accolta dal Tar e ricompresa nel c.d. “secondo gruppo”, l’appello della difesa erariale non conteneva alcuna doglianza (limitandosi a sostenere l’avvenuto “superamento” delle ragioni poste a sostegno della doglianza) e pertanto il detto capo di decisione doveva considerarsi coperto da giudicato, tanto più che in nessun caso sarebbe stata ravvisabile l’avvenuta cessazione della materia del contendere.

Ne conseguiva che l’intero appello era inammissibile.

Alla camera di consiglio del 12.5.2015 fissata per la delibazione dell’incidente cautelare le parti hanno concordemente chiesto il differimento della trattazione della causa ad una udienza di merito.

Tutte le parti processuali, in vista della odierna udienza pubblica, hanno depositato scritti difensivi tesi a puntualizzare le rispettive censure ed eccezioni ed in particolare parte appellata ha depositato memoria di replica in data 1 settembre 2015 ribadendo le proprie tesi.

Alla odierna pubblica udienza del 22 settembre 2015 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1.L’appello è infondato e va disatteso nei termini di cui alla motivazione che segue.

2.Il Collegio ritiene di esprimere immediatamente il proprio convincimento sulla vicenda processuale.

Premesso che stante la delicata particolarità della vicenda processuale non ci si sottrarrà dal sottoporre a scrutinio il merito della controversia, per il vero, però, proprio avuto precipuo riguardo alle censure di merito, ad avviso del Collegio l’intero appello sarebbe inammissibile per carenza di interesse (e ciò è stato puntualmente eccepito dalla difesa di parte appellata).

2.1. Tale convincimento del Collegio, muove dalle connesse consolidate affermazioni –che costituiscono jus receptum, e dalle quali la giurisprudenza amministrativa non si è mai discostata- secondo le quali:

a) “nel giudizio amministrativo l’appellante ha lo specifico onere di formulare, a pena d’inammissibilità, una critica puntuale della motivazione della sentenza impugnata, posto che l’oggetto di tale giudizio è costituito da quest’ultima e non dal provvedimento gravato in primo grado. L’assolvimento di tale onere esige la deduzione di specifici motivi di contestazione della correttezza del percorso argomentativo che ha fondato la decisione appellata. Costituisce specifico onere, ai fini dell’ammissibilità del gravame, quello di contrastare la sentenza di primo grado del T.A.R. sui capi oggetto di impugnativa e contrapporre alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata quelle dell’appellante volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime.” (ex aliis di recente Cons. Stato Sez. III, 12-03-2015, n. 1325, ma si veda anche Cons. Stato Sez. IV, 13/12/2013, n. 6005);

b) “allorquando una sentenza si fonda su una pluralità di capi autonomi, tutti convergenti verso il medesimo risultato processuale, è sufficiente accertare la resistenza di uno solo di essi ai mezzi di impugnazione per escluderne la riforma” (ex aliis, Cons. Stato Sez. V, 28-04-2014, n. 2195, ma si veda anche: “ove l’atto impugnato -provvedimento o sentenza – sia legittimamente fondato su una ragione di per sé sufficiente a sorreggerlo, diventano irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall’autorità emanante a rigetto della sua istanza.” -Consiglio Stato , sez. VI, 31 marzo 2011, n. 1981-; il principio è simmetrico a quello relativo alla impugnazione dell’atto amministrativo: “laddove una determinazione amministrativa di segno negativo si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall’annullamento.”-

Consiglio Stato , sez. VI, 29 marzo 2011 , n. 1897).b1) tale orientamento costituisce jus receptum ed è stato sistematicamente osservato anche dalla giurisprudenza civile di legittimità che ha avuto modo di affermare che “qualora la decisione impugnata si fondi, come nella specie, su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa” (Cass. 11-2-2011 n. 3386; Cass. 18-9-2006 n. 20118;Cass. SU. 8-8-2005 n. 16602; Cass. 27-1-2005 n. 1658; Cass. 12-4-2001 n. 5493).

2.2. Sol che si compulsi l’atto di impugnazione proposto dalla difesa erariale -e più specificamente e direttamente volto ad avversare le conclusioni demolitorie di merito contenute nella sentenza definitiva del Tar del Lazio- si constaterà agevolmente che:

a)ivi si conviene con la “tripartizione” per gruppi di censure contenuta nella sentenza definitiva del Tar gravata;

b)quanto al “secondo gruppo di censure” si formulano considerazioni assai sintetiche (meno di una pagina) nell’ambito delle quali si esprime il convincimento per cui la “vicenda debba ritenersi superata” a cagione della introduzione nel sistema dell’art. 10 quater del dL n. 35 del 2013.

2.3. Orbene, come si è dato atto nella parte “in fatto” della presente esposizione, quanto a tale specifico aspetto della questione, il Tar (che ha riconosciuto fondate solo in parte le censure riconducibili a tale “secondo gruppo”)ha affermato che (si riporta testualmente un breve passaggio motivazionale della gravata decisione definitiva):

a) fondato risultava il secondo gruppo di censure, nella parte in cui parte appellata si duole del fatto che il MEF, ai fini della stima del gettito IMU relativo all’anno 2012, abbia tenuto conto anche del gettito relativo agli immobili di proprietà comunale. Infatti il Collegio ritiene che il modus operandi del MEF contrasti sia con il tenore letterale dell’art. 13, comma 11, del decreto legge n. 201/2011, sia con la ratio di tale disposizione. “ (questo l’incipit del capo 7 della gravata decisione, peraltro espressamente citato dalla difesa erariale nel suo appello; nel prosieguo del capo 7 il Tar ha chiarito le motivazioni di tale convincimento, mentre nei successivi capi 8 e 9 ha respinto le altre due sottoarticolazioni del detto “secondo gruppo di censure”);

b) (capo 2 della gravata decisione definitiva) “ritiene che la sopravvenienza della disposizione dell’art. 10-quater del decreto-legge n. 35/2013, che ha comportato un’integrazione della dotazione del FSR, non possa determinare la cessazione della materia del contendere, perché la Difesa erariale non ha concretamente dimostrato che la disponibilità di nuove risorse sul Fondo valga a superare tutti gli effetti prodotti dall’applicazione dei criteri di calcolo fissati con le suddette note metodologiche del 16 ottobre 2012 e del 31 maggio 2013.”.

2.4. A fronte di tale convincimento, parte appellante si è limitata a reiterare nell’appello l’opposto opinamento secondo il quale l’ art. 10-quater del decreto-legge n. 35/2013 avrebbe “risolto”la vicenda (determinando, parrebbe una sopravvenuta, seppur parziale cessazione della materia del contendere) senza peraltro chiarire la ragione di tale affermazione.

Non è stato specificamente censurato quindi l’approdo del Tar secondo il quale, invece, detto “errore”, successivamente oggetto della richiamata disposizione, avendo inciso sulla complessiva ripartizione del fondo non fosse stato “sanato” con elisione degli effetti, dalla invocata norma (superveniens rispetto alla proposizione dei ricorsi).

2.5. Alla stregua di quanto si è prima osservato, il passaggio in giudicato di questo capo comporterebbe che:

a)anche l’accoglimento delle restanti censure non varrebbe a rimettere in discussione la statuizione demolitoria del Tar, che su tale capo si regge autonomamente;

b)parte appellante non avrebbe quindi interesse all’esame delle restanti censure di merito dell’appello;

c)ciò implicherebbe che l’intero appello proposto sarebbe per tale ragione inammissibile.

Parte appellante manterrebbe integro, infatti, l’interesse, unicamente alle censure preliminari e pregiudiziali, più direttamente attingenti le statuizioni contenute nella sentenza non definitiva: ciò in quanto, l’accoglimento delle medesime, postulando l’affermazione della originaria inammissibilità/improponibilità del mezzo di primo grado sarebbe idoneo a travolgere (anche) tutte le statuizioni demolitorie contenute nella sentenza definitiva (oltre che condurre alla riforma della sentenza non definitiva parimenti gravata).

2.6. Per il vero, nella parte iniziale dell’atto di appello, “dedicata” alla illustrazione dei motivi per cui l’iniziativa ricorsuale del Comune di Torino non sarebbe stata assistita dall’interesse ad agire discendente da un concreto pregiudizio subito, parte appellante si diffonde maggiormente sul punto.

Ma anche a volere “saldare” dette considerazioni (ivi esposte, lo si ripete, esclusivamente in chiave dimostrativa dell’asserita carenza di interesse ad agire del comune di Torino) che peraltro sono dirette a criticare le statuizioni contenute nella sentenza non definitiva n. 10436/2013 – e non a quelle rese nell’ambito della sentenza definitiva n. 4878/2014- non pare al Collegio che detta criticità possa essere superata.

2.6.1. Invero il comune di Torino ha a più riprese chiarito che:

a) dalla contestata inclusione nella base di calcolo ai fini IMU degli immobili comunali (c.d. “secondo gruppo di censure” era discesa una discrasia pari a più di 21 milioni di euro);

b)dalla verifica con il c.d. “check di coerenza” era disceso una discrasia – in danno del comune medesimo- pari a circa 400.000 Euro (pag. 21 ricorso di primo grado)

Parte appellante (che in nessuna parte delle difese versate in atti né nei motivi di appello ha contestato quanto esposto sub lett. b) si limita a fare presente che l’asserita perdita pari ad Euro 21.107.500//00, e quindi gli importi dei quali il Comune di Torino aveva lamentato la sottrazione erano stati successivamente attribuiti, nelle due annualità seguenti (il Comune di Torino aveva ricevuto addirittura di più: Euro 21.552860).

Ma alla obiezione del Comune secondo cui ciò non poteva comunque condurre alla cessazione della materia del contendere in quanto il ristoro non rilevava ai fini del calcolo del patto di stabilità interno si limita a replicare apoditticamente che la circostanza sarebbe irrilevante, e paventa che in caso di rigetto dell’appello per il Comune di Torino “potrebbero porsi danni maggiori”.

Ma tale evenienza –neppure documentata dalla difesa erariale e comunque specificamente contrastata dal Comune di Torino- non può certo elidere il pregiudizio lamentato: il ristoro ex post attribuito ha diversa “causale”; è escluso ai fini del calcolo dal patto di stabilità; ha avuto quindi diverso “peso” per le finanze comunali la vicenda complessiva concretantesi in una sottrazione con successivo ristoro, piuttosto quella (che sarebbe stata corretta, come non disconosciuto dalla difesa erariale) ipotizzata, consistente nell’omesso computo ai fini del gettito, degli importi di proprietà comunale.

L’illegittimità –come acutamente segnalato da parte appellata nella propria memoria- non soltanto sussisteva, ed era stata fondatamente denunciata: ma semmai, lo ius superveniens invocato, senza determinare la cessazione della materia del contendere, la ha comprovata per tabulas.

L’intero mezzo andrebbe pertanto dichiarato inammissibile.

3.Resa tale preliminare precisazione, e ribadito che comunque il Collegio non intende sottrarsi alla disamina del merito, si può quindi passare all’esame delle doglianze articolate avverso la sentenza non definitiva del Tar, rivestenti portata pregiudiziale.

3.1. Anche in tale caso una precisazione è d’obbligo: stante la evidente natura inscindibile degli atti gravati, e considerato che il Tar, con la sentenza definitiva n. 3804/2014 (preceduta dalla sentenza non definitiva 10435/2013) ha accolto un ricorso quasi identico a quello di cui alla odierna causa proposto dall’Anci, l’eventuale accoglimento della eccezione di inammissibilità del mezzo di primo grado proposto dal Comune di Torino, per la supposta carenza di interesse, non sottrarrebbe allo scrutinio di merito le disposizioni censurate (a meno che, in considerazione della circostanza che anche che le dette sentenze prima richiamate sono state gravate dalla difesa erariale nell’ambito del ricorso n. 5833/2014 del pari chiamato in decisione alla odierna udienza pubblica, venisse accolta l’eccezione ivi formulata tesa a fare rilevare anche la originaria inammissibilità del mezzo introduttivo proposto dall’Anci).

E posto che – come in parte prima anticipato, e come meglio si chiarirà nel prosieguo della esposizione- il Collegio è convinto della fondatezza delle censure articolate nei detti ricorsi (quasi identici), l’accoglimento della eccezione comunque non gioverebbe alla parte pubblica appellante.

4. Il Collegio è comunque persuaso della infondatezza delle dette doglianze preliminari.

4.1. L’eccezione di irricevibilità è palesemente destituita di fondamento.

Ciò che da parte del Comune di Torino si “rimprovera” alle nuove “stime” del gettito Imu ed Ici ed alla “nota metodologica” del Ministero dell’Economia e delle Finanze in materia di “revisione stime ICI e IMU”, pubblicata sul Portale del federalismo fiscale in data 16 ottobre 2012 riposa nell’avere determinato il gettito Imu ed Ici sulla scorta di criteri determinativi (in tesi errati), “nuovi”, e discostantisi dal dM 4 maggio 2012.

E’ corretta allora, sia la tesi del Tar secondo cui il detto dM 4 maggio 2012 sarebbe stato impugnato per mero tuziorismo (come anche l’impugnazione delle stime pubblicate nell’agosto 2012, visto che le nuove “stime” del gettito Imu ed Ici e la “nota metodologica” 16 ottobre 2012 è/sono integralmente sostitutive delle precedenti).

Ad ulteriore comprova, si fa altresì presente che larga parte del ragionamento appellatorio si fonda sugli approdi raggiunti dal medesimo Tar del Lazio con la sentenza n. 10612/2013 (resa sul ricorso proposto dal Comune di Lecce avverso i decreti 8 agosto 2012 e 4 maggio 2012 con i quali il Ministro dell’Interno, di concerto con Ministro dell’Economia e delle Finanze, aveva determinato di applicare al Fondo sperimentale di riequilibrio destinato al predetto Comune una riduzione rapportata alla differenza tra l’IMU 2012 -stimata e computata ad aliquota base- e la pregressa ICI per come effettivamente riscossa negli esercizi 2009 e 2010).

Senonchè tale sentenza (recante statuizione di inammissibilità del mezzo) è stata integralmente riformata dalla Terza Sezione di questo Consiglio di Stato(sentenza n. 01291/2015 dep. il 12.3.2015) per cui anche sulla scorta di tale considerazione il mezzo va disatteso.

4.2. Con una composita, ulteriore, doglianza, l’appellante difesa erariale censura la reiezione della eccezione già proposta in primo grado di difetto di legittimazione del Comune di Torino per carenza di interesse ed assenza di pregiudizio.

4.2.1. Anche tale complessa censura non merita positiva delibazione, per più troncanti considerazioni:

innanzitutto ne va sottolineato l’endemico contrasto rispetto alla tesi -pure avanzata nell’atto di appello- secondo cui, con riferimento alla doglianza facente parte del “secondo gruppo di censure” poi in parte accolto dal Tar (parte appellata ivi aveva lamentato che il MEF, ai fini della stima del gettito IMU relativo all’anno 2012, avesse tenuto conto anche del gettito relativo agli immobili di proprietà comunale) si sarebbe verificata una cessazione della materia del contendere.

Ed invero, delle due l’una:

a)o si sostiene che l’interesse a ricorrere mancava ab origine, ed allora il mezzo di primo grado sarebbe stato inammissibile;

b)o si afferma che l’interesse v’era, e poi sarebbe stato eliso, ed allora, a tutto concedere, si sarebbe al cospetto di un mezzo di primo grado che, originariamente ammissibile, sarebbe divenuto improcedibile.

Il Collegio ha già chiarito che non condivide la tesi della sopravvenuta cessazione della materia del contendere (ed ulteriormente si soffermerà sulla fattispecie, in punto di disamina del merito): ma il solo fatto che la difesa erariale invochi lo jus superveniens a tale fine, dimostra la fragilità del costrutto teso a dimostrare la carenza originaria di interesse del Comune di Torino.

4.2.2. Ma anche a volere prescindere da tale rilievo, in più rispetto a quanto si è affermato, deve dirsi che:

a)il Comune ha dimostrato un concreto pregiudizio, rappresentato, tra l’altro, da una perdita pari ad Euro 21.107.500//00 (e rimasta, nel suo importo, incontestata);

a1)e se quanto sopra concerneva unicamente il “danno” discendente dall’ incusione nella base di calcolo IMU degli immobili comunali (per la quale asseritamente la difesa erariale sostiene sarebbe cessato l’interesse a ricorrere), il comune aveva parimenti sostenuto (con affermazione, come prima chiarito, rimasta sempre incontestata) che dal check di coerenza e dalle operazioni censurate mercè il c.d. “primo gruppo di censure” avrebbe ricavato un danno pari a circa 400.000 Euro (il certificato del conto consuntivo Ici 2010 era pari ad Euro 154.382.040 mentre il dato Ministeriale faceva riferimento ad un importo “stimato” pari ad Euro 153.948.942):

b)in termini troncanti, poi, non è affatto condivisibile l’affermazione della difesa erariale che costituisce il sostrato di fondo della eccezione, secondo cui la certezza della determinazione delle quote del FSR spettanti a ciascun comune (in relazione al primo motivo di censura) e, quindi, al Comune di Torino, non sia ex se considerato un valore perseguibile mercè una iniziativa giudiziaria.

Insomma, premesso che nel caso di specie il Comune di Torino ha dimostrato il concreto pregiudizio economico discendente dagli atti gravati, il Collegio non è persuaso che tale “valore” sia l’unico perseguibile, in quanto concretamente monetizzabile.

Invero l’Ente esponenziale ha interesse a conoscere anticipatamente quale sia l’importo dei fondi sui quali può fare affidamento per adottare le proprie politiche finalizzate al perseguimento dei fini che gli sono propri;ed ha interesse a contare su una anticipata quantificazione di ciò corretta ed affidabile.

Ove sostenga che essa è affetta da errori, ha interesse a contestarla: e ciò, in disparte la futura speranza che detti “errori” vengano in futuro emendati.

L’eccezione va quindi decisamente disattesa: il Comune aveva ab inizio sostenuto (come, in tesi, prescritto dalla norma di legge primaria) che facendo riferimento ai certificati di conto consuntivo Ici si sarebbero potuti individuare i “valori” Ici corretti cui fare riferimento.

E la stessa parte appellante, nella propria istanza cautelare d’appello (poi rinunciata) ciò ha riconosciuto, evocando la evenienza che a seguito della mancata sospensione della esecutività della sentenza, si dovessero svolgere faticosi e complessi conteggi e rideterminazioni, incidenti sulla più parte dei Comuni interessati.

Detto “valore” di certezza legittimava comunque il Comune ad agire in giudizio.

Ed ancor più agevole è la dimostrazione della sussistenza di tale legittimazione con riguardo all’originario secondo motivo di censura (parimenti accolto dal Tar) nella parte in cui si era lamentato che ai fini della stima del gettito dell’IMU relativo all’anno 2012, il MEF avesse tenuto conto anche (tra l’altro) del gettito relativo agli immobili di proprietà comunale, ( contrariamente al disposto dell’art. 13, comma 11, del decreto legge n. 201/2011).

4.2.3. In conclusione pare al Collegio non sia dubitabile la legittimazione e l’interesse ad agire di parte appellata: ciò anche secondo i canoni tradizionali a più riprese predicati da dottrina e giurisprudenza.

5. Venendo all’esame delle censure di merito, si cercherà (tentando, per quanto la complessità della materia lo consenta, di conformarsi all’art. 120 comma 10 del codice del processo amministrativo: “Tutti gli atti di parte e i provvedimenti del giudice devono essere sintetici e la sentenza è redatta, ordinariamente, nelle forme di cui all’ articolo 74”) di sintetizzare, in primo luogo, la ratio della impugnazione.

Ciò, fissando i passaggi maggiormente rilevanti del quadro normativo di riferimento (in larga parte, la ricostruzione “storica” contenuta nelle gravate decisioni non è stata contestata dalla difesa erariale)

5.1. Il “passaggio” (rectius: la provvisoria e sperimentale anticipazione del passaggio) dall’Ici all’ Imu comportava (e comporta) in via generale e tendenziale una conseguenza: i comuni sarebbero stati destinatari di un gettito maggiore di quello in origine percepito attraverso l’Ici; ciò in quanto l’Imu comprende la quota di reddito da fabbricati, che prima concorreva a comporre la quota di gettito rientrante sub Irpef.

Quindi, per quanto di interesse ai fini dell’odierno procedimento la fiscalità comunale sub IMU ricomprendeva un “equivalente” dell’originario gettito ICI, più la quota di redditi da immobili prima destinata a confluire sub Irpef (con gettito, quindi, attribuito allo Stato);venivano però meno i trasferimenti erariali.

Per garantire il corretto svolgimento del c.d. “federalismo fiscale municipale” erano stati istituiti il FSR (Fondo sperimentale di riequilibrio) ed il Fondo di perequazione.

L’importo del primo era stato predeterminato, ed era invariabile.

Detto FSR “serviva” a compensare la differenza del gettito stimato costituito dall’Imu di nuova introduzione rispetto a quello effettivo relativo alle imposte anteriori all’Imu (e quindi, in primis l’Ici).

Il dato normativo di riferimento, da tenere presente, è quello contenuto sub art. 13, comma 17, del decreto legge n. 201/2011 (“17. Il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell’articolo 13 del medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna”variano in ragione delle differenze del gettito stimato ad aliquota di base derivanti dalle disposizioni di cui al presente articolo. In caso di incapienza ciascun comune versa all’entrata del bilancio dello Stato le somme residue. Con le procedure previste dall’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta, nonche’ le Province autonome di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito stimato dei comuni ricadenti nel proprio territorio. Fino all’emanazione delle norme di attuazione di cui allo stesso articolo 27, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, e’ accantonato un importo pari al maggior gettito stimato di cui al precedente periodo. L’importo complessivo della riduzione del recupero di cui al presente comma e’ pari per l’anno 2012 a 1.627 milioni di euro, per l’anno 2013 a 1.762,4 milioni di euro e per l’anno 2014 a 2.162 milioni di euro”).

Il comma 7 dell’art. 2 del decreto legislativo n. 23 del 2011 (in sentenza, per errore materiale è stata invertita la numerazione dell’articolo e del comma NDR) stabiliva le modalità di alimentazione e di riparto del Fondo sperimentale devolvendole ad un decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze reso previo accordo sancito in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

Ciò è avvenuto:

a)con decreto del Ministro dell’interno di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze in data 4 maggio 2012 (art 5 comma 1 e 2 “. Gli importi attribuiti per l’anno 2012 a valere sul Fondo sperimentale di riequilibrio, fermo restando l’ammontare complessivo del fondo stesso, sono soggetti a revisione in relazione alla variazione delle detrazioni sul Fondo di cui all’ art. 13 , comma 17, ed all’ art. 28, comma 7, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 , convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 . Entro il mese di luglio, in base a tutti i dati disponibili aggiornati, in particolare all’esito dei pagamenti dell’acconto tramite il modello F24, verrà effettuata la revisione della ripartizione delle assegnazioni, al fine di assicurare la rettifica degli eventuali scostamenti tra gettiti stimati dell’imposta municipale propria e gettiti effettivamente realizzati alla luce dei dati relativi ai pagamenti in acconto. In occasione del pagamento della terza rata del fondo sperimentale di equilibrio, sarà operato il conguaglio conseguente alle nuove stime di distribuzione dell’IMU, che saranno rese note entro il mese di luglio 2012 dal Ministero dell’economia e delle finanze. “;

b)detto decreto ministeriale in data 4 maggio 2012 è stato successivamente integrato e modificato con il successivo decreto ministeriale in data 8 agosto 2012;

Ai fini della comprensione delle censure di cui al primo originario motivo del mezzo di primo grado, risulta indispensabile evidenziare il contenuto del detto decreto Interministeriale 8 agosto 2012 in ultimo citato.

Ivi, si prevedeva che: esso integrasse e modificasse il dM 4 maggio 2012(art. 1); all’art. 2, si stabiliva che: ““Gli importi da attribuire ai comuni delle regioni a statuto ordinario per l’anno 2012 a valere sul Fondo sperimentale di riequilibrio sono modificati in relazione alla variazione delle detrazioni sul Fondo di cui all’articolo 13, comma 17, e di cui all’articolo 28, comma del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, conseguenti: a) alle nuove stime del gettito IMU per l’anno 2012 per ciascun comune, elaborate dal Ministero dell’economia e delle finanze in base al versamento in acconto dell’imposta per l’anno 2012; b) alla rideterminazione del gettito ICI per gli anni 2009 e 2010, come risultante dagli aggiornamenti dei certificati al rendiconto trasmessi dai comuni; c) alle variazioni intervenute al gettito dell’IMU in base all’articolo 4 del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni con legge 26 aprile 2012, n. 44, ed in base all’articolo 8, comma 3, del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74”.

La lett. b di tale decreto Interministeriale 8 agosto 2012, quindi, prevedeva la modalità di “rideterminazione del gettito ICI per gli anni 2009 e 2010”: essa doveva avvenire ricavandola “aggiornamenti dei certificati al rendiconto trasmessi dai comuni”.

Con la nota metodologica pubblicata in data 16 ottobre 2012 (successivamente “doppiata” con quella, integrativa, pubblicata in data 31 maggio 2013) il Mef ha illustrato la metodologia seguita per la revisione delle distribuzioni comunali relative componenti ICI e IMU quota comune utilizzate ai fini del calcolo delle variazioni … del Fondo sperimentale di riequilibrio” – ossia i criteri utilizzati per elaborare le nuove stime del gettito ICI e del gettito IMU pubblicate dal MEF in pari data – nonché i provvedimenti con i quali, in applicazione di tali criteri, sono state determinate le variazioni nelle assegnazioni da federalismo municipale per l’anno 2012

5.2.Evidenzia la difesa di parte appellata quanto segue.

Una operazione contabile che avesse avuto l’effetto di:

“contenere al ribasso” l’importo Ici “attribuito” al singolo Comune; ed al contempo “innalzare” l’importo IMU presumibilmente riscosso, avrebbe avuto, quale effetto, quello di “allargare” la forbice tra Imu ed Ici, e quindi ridurre, l’importo della compensazione a valere sul FSR.

Ciò sarebbe “servito” a “mascherare” la incapienza dell’importo destinato a confluire al FSR;

ed avrebbe avuto quale effetto quello di creare a cascata una complessiva inesattezza dei conteggi.

Quanto sopra sarebbe avvenuto con gli atti gravati, dove pure –segnala parte appellata- sarebbe stata utilizzata una stima dell’Ici inferiore all’ultima, “aggiornata” resa dall’Istat (entrambi i “fronti” della composita doglianza, come si è sommariamente descritto nella parte in fatto sono stati accolti dal Tar)

5.2.1. Non è compito del Collegio indulgere in interpretazioni teleologiche dell’operato dell’Amministrazione, e pertanto non si ritiene di indugiare nell’approfondimento di detto argomento critico: esso resta sullo sfondo, a chiarire quale sia stata –secondo parte appellata – la ratio della complessiva operazione avversata in sede giudiziale.

5.3 Preme però evidenziare, immediatamente, un dato, che assume portata troncante ad avviso del Collegio – tanto che su questo punto il Tar avrebbe potuto arrestare il proprio esame, con limitato riferimento al c.d. “primo gruppo di censure”-.

5.3.1. Il dato di riferimento indicato nel dM era quello riposante (a fini di rideterminazione del gettito ICI per gli anni 2009 e 2010, come risultante) negli aggiornamenti dei certificati al rendiconto trasmessi dai comuni.

E – il punto non è contestato, e non ha formato oggetto di rilievo da parte del Tar- erano state poste in evidenza due annualità (2009 e 2010) invece che una soltanto per rifarsi alla media risultante dalle medesime.

5.3.2.La procedura determinativa, quindi, si fondava sui dati rappresentati dai certificati di rendiconto (o conto consuntivo forniti dai comuni).

La stessa nota metodologica del 16 ottobre 2012, “muove” da questi presupposti (id est: media dei dati scaturenti dai due certificati di conto consuntivo) e chiarisce che si erano resi necessarie operazioni di integrazione “per risolvere il problema dei dati mancanti od incompleti”.

5.3.3. Ciò che invece risulta inspiegabile, ed in ogni caso collide con il contenuto del dM 8 agosto 2012 e con il precedente dM 4 maggio 2012, riposa nella estensione di questa “operazione di integrazione” alla totalità dei comuni e, quindi, anche a quelli che non avessero presentato certificati di conto consuntivo per le annualità 2009 e 2010 incompleti.

5.4. La difesa erariale:

a) non nega tale circostanza;

b)apoditticamente sostiene che essa si era resa necessaria per tutti i comuni (e non soltanto per quelli che avessero presentato dati lacunosi incompleti, o per i quali i detti dati addirittura mancassero), ma senza per il vero chiarire le ragioni di tale necessità;

c)ammette che ciò avesse condotto ad errori (il che, per incidens, costituisce esplicito riconoscimento della fondatezza del mezzo di primo grado, almeno parziale);

d) ribadisce che ciò avrebbe riguardato “un numero limitato di comuni”.

5.4.1. In questa parziale e lacunosa difesa, parte appellata ha giuoco facile nel ribadire la tesi di cui al paragrafo 5.2. ed a sostenere quindi che lo “scopo ultimo” della operazione fosse quello di “riposizionare” ed allineare gli importi al gettito complessivo dell’Ici “cristallizzato” sub Accordo dell’1 marzo 2012 e pari a 9.193 milioni di Euro.

5.4.2. Ma in disparte tale argomento – sul quale, come prima evidenziato il Collegio non ritiene di soffermarsi- vanno poste in luce alcune evidenze.

5.4.3. Muovendo dalla circostanza che la ragione delle “operazioni di integrazione” va rinvenuta nella incompletezza (od assenza in taluni casi ) dei certificati di conto consuntivo trasmessi dai comuni, davvero non è dato comprendere perché tale “integrazione” abbia avuto luogo anche per i comuni (in tesi, la maggioranza) che la cui posizione non era connotata da tali lacune.

In ogni caso, se la “integrazione” poteva essere consentita nella ipotesi in cui fosse mancato –o fosse stato carente e lacunoso – il dato indicato nei surrichiamati decreti ministeriali (id est: due certificati di conto consuntivo per gli anni 2009 e 2010 dai quali ricavare la media) detto dato, contenuto nei decreti ministeriali manifestava intatto rilievo con riferimento a quei comuni per cui, non potevano riscontrarsi lacune, incompletezze, od anomalie.

L’operazione di integrazione, ove riferentesi anche alla posizione dei comuni in posizione “regolare” (che avevano presentato, cioè, certificati di conto consuntivo per le annualità 2009 e 2010 affidabili in quanto non affetti da lacune, incomplezze, od anomalie) è certamente illegittima, in quanto non in linea con il contenuto e le espresse indicazioni contenute nei dM citati.

Che tutto ciò abbia ingenerato errori, poi, è nella sostanza riconosciuto dalla difesa erariale, come detto, nell’atto di appello, e la circostanza che esso riguardasse “solo un esiguo numero di comuni” non elide la illegittimità dell’operato dell’Amministrazione.

5.5. La sentenza del Tar va in parte qua confermata.

5.5.1. Come prima evidenziato in punto di disamina (e reiezione) dell’eccezione di carenza di interesse a ricorrere, l’appellante sostiene che il Comune di Torino non aveva interesse a prospettare la censura, in quanto (da un lato non era utilmente ipotizzabile un interesse ad agire riposante nella mera aspirazione alla complessiva legalità dell’azione amministrativa e, per altro verso) non aveva ricavato danno dalla denunciata operazione di integrazione dei dati e sottoposizione al check di coerenza: nella in constata circostanza che il saldo finale del FSR era rappresentato da un saldo non variabile e non modificabile, era carente alcun profilo di danno (pagg. 53 e 64 dell’atto di appello, laddove l’operazione di integrazione si definisce “estranea al comune di Torino”) .

5.5.2. In contrario senso, però, è rimasta priva di smentite l’affermazione (in ultimo ribadita alle pagg. 29 e 30 della memoria del comune di Torino depositata in appello il 8 maggio 2015) secondo cui il check aveva inciso, sia pure per una cifra contenuta, sulle attribuzioni assegnate al Comune: il Comune di Torino ha ribadito che a fronte di un reddito Ici 2010 che dal conto consuntivo era pari ad Euro 154.382.040, la cifra quantificata dal Ministero era pari ad Euro 153.948.942, per cui v’era una discrasia, in sfavor del comune, pari ad Euro 400.000 circa.

Modesta, quindi (come riconosciuto dal Comune, a pag 35 della memoria) ma pur sempre sussistente, il che da un canto vale a disinnescare le eccezioni processuali di carenza di interesse, come prima visto, e sotto altro profilo possiede valenza sintomatica elevata, in quanto priva di plausibilità la tesi della difesa erariale secondo cui la operazione di integrazione dei dati e sottoposizione al c.d. “check di coerenza” non avrebbe prodotto effetto alcuno nei confronti della più parte dei comuni che avevano presentato certificati di conto consuntivo non lacunosi od incompleti.

5.6. Il Tar ha poi irrobustito la propria motivazione accoglitiva delle censure c.d. “del primo gruppo” ravvisando un difetto di istruttoria riposante nell’avere utilizzato un dato statistico non aggiornato (gettito stimato dell’Ici pari a 9.193 milioni di Euro), sebbene, alla data del maggio 2011 detto dato fosse stato già aggiornato dall’Istat e quantificato in Euro 9.657 milioni.

5.6.1. La difesa erariale ha criticato l’approdo del Tar, evidenziando che il detto dato (gettito stimato dell’Ici pari a 9.193 milioni di Euro), era stato alla base dell’Accordo dell’1 marzo 2012 che aveva definito l’importo della dotazione del Fondo, ed era immodificabile dall’Amministrazione in carenza di una disposizione legislativa e/o di un nuovo Accordo in Conferenza sostitutivo di quello dell’1 marzo 2012 ; esso neppure era “errato”: la cifra di Euro 9.657 milioni era semplicemente il dato Istat aggiornato ad una data successiva.

5.6.2.In parte qua il Collegio concorda con la deduzione della difesa erariale, nei termini che vengono immediatamente chiariti.

5.6.3. Premesso che quanto ci si accinge ad affermare non può condurre al complessivo accoglimento della censura, in quanto la statuizione demolitoria va confermata alla stregua delle considerazioni prima rese circa la difformità della operazione di rettifica dati “a tappeto” e per tutti i comuni rispetto al percorso prescritto nei dM , pare al Collegio che il Tar abbia semplicemente voluto esprimere un auspicio alla coerenza complessiva, ritenendo che esso fosse stato disatteso mercè le gravate “note metodologiche”.

Invero, una volta che ci era distaccati (e per tutti i comuni) dal criterio determinativo contenuto nei dM del 2012 “media dei certificati di conto consuntivo relativi alle annualità 2009 e 2010” , allora coerenza complessiva avrebbe voluto che, almeno, tale operazione “adeguatrice” venisse svolta tenendo conto del dato statistico relativo al gettito ICI “corretto” (nel senso di aggiornato, e quindi affidabile: il giudizio di correttezza, come avviene in ogni ipotesi di dato statistico, non implica certo che vi fosse un dato “errato”, ma che un dato era da considerarsi “superato” dal secondo, in quanto semplicemente più affidabile, in quanto fondato su parametri più aggiornati,etc).

La difesa erariale ha ragione nell’evidenziare che ciò non potesse avvenire mercè le note metodologiche: ma mercè le note metodologiche, come prima chiarito, non poteva neppure avvenire la complessiva operazione “correttiva a tappeto” dei dati risultanti dai certificati di conto consuntivo, per i comuni ai quali non fossero ascrivibili lacune, carenze, ed errori.

5.7. Nei termini sinora rappresentati, e con le integrazioni alla motivazione del Tar sinora esposte, tale limitato profilo di doglianza di parte appellante va favorevolmente considerato: il dato (gettito stimato dell’Ici pari a 9.193 milioni di Euro), era stato alla base dell’Accordo dell’1 marzo 2012 che aveva definito l’importo della dotazione del Fondo, ed era immodificabile.

Non può affermarsi che esso avrebbe dovuto essere modificato mercè le gravate note metodologiche tenendo conto dell’aggiornamento del dato Istat.

6.Sebbene quanto finora rappresentato consentirebbe già di respingere l’appello,con assorbimento delle ulteriori doglianze, ritiene il Collegio di svolgere alcune conclusive considerazioni quanto alle doglianze della difesa erariale tese ad aggredire la statuizione del Tar nella parte in cui essa ha accolto, in parte, le censure di cui al “secondo gruppo”.

6.1. La difesa erariale non censura la statuizione accoglitiva del Tar (“si deve ritenere che il modus operandi del Mef contrasti sia con il tenore letterale dell’art. 13 comma 11 del dL n. 201/2011 che con la ratio di tale disposizione);

sostiene che la vicenda sia stata “risolta” ex art. 10 quater del dL n. 35/2013 convertito, con modificazioni, in Legge 6 giugno 2013, n. 64 (“Art. 10-quater 1. Ai comuni che hanno registrato il maggior taglio di risorse operato negli anni 2012 e 2013 per effetto dell’assoggettamento degli immobili posseduti dagli stessi comuni nel proprio territorio all’imposta municipale propria di cui all’articolo 13, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e’ attribuito un contributo di 330 milioni di euro per l’anno 2013 e di 270 milioni di euro per l’anno 2014.

2. Il contributo di cui al comma 1 e’ ripartito tra i comuni interessati, con decreto del Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, da adottare, sentita la Conferenza Stato-citta’ ed autonomie locali, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, in proporzione alle stime di gettito da imposta municipale propria relativo agli immobili posseduti dai comuni nel proprio territorio comunicate dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze.

3. Il contributo attribuito a ciascun comune in applicazione del comma 2 e’ escluso dal saldo finanziario di cui all’articolo 31, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183, rilevante ai fini del patto di stabilita’ interno.

4. All’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, le parole: “190 milioni di euro per l’anno 2014” sono sostituite dalle seguenti: “120 milioni di euro per l’anno 2014”.

5. All’articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, il comma 228 e’ abrogato.”).

Il Tar aveva espressamente escluso nella sentenza di primo grado che la difesa erariale avesse dimostrato che la disponibilità di nuove risorse sul FSR potesse valere a superare gli effetti prodotti dall’applicazione dei criteri di calcolo scolpiti nelle note metodologiche del 16 ottobre 2012 e del 31 maggio 2013.

L’appellante non ha espressamente gravato tale capo, né ha contrastato l’iter motivo del Tar, e ci si è già diffusi nel chiarire come ciò dovrebbe comportare un giudizio di inammissibilità dell’intero appello.

Ma anche a volere considerare le accennate spiegazioni della difesa erariale sul punto, non può non osservarsi che non è contestato che dette somme attribuite (o restituite) ai comuni, non rilevino ai fini del rispetto del patto di stabilità (il comma III, così espressamente dispone: “3. Il contributo attribuito a ciascun comune in applicazione del comma 2 e’ escluso dal saldo finanziario di cui all’articolo 31, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183, rilevante ai fini del patto di stabilita’ interno. ”).

E’ evidente, quindi, la non neutralità dell’inserimento di tali immobili di proprietà comunale nel computo del gettito Imu, e la non assoluta neutralità della operazione culminata nella restituzione di tale somme: essa riguarda sia i comuni che avevano rispettato il patto di stabilità interno negli esercizi finanziari in cui si è dispiegata l’efficacia della prescrizione gravata ed annullata dal Tar, sia quelli che non siano stati altrettanto “virtuosi”.

Quanto ai secondi, il dato è evidente: quanto ai primi, è parimenti chiaro che l’avere rispettato l’equilibrio imposto con il patto di stabilità con un minore importo di risorse, abbia comportato minori spese.

La contestata disposizione ha quindi inciso sulle politiche di spesa del comune, e la restituzione non ha eliso gli effetti prodottisi.

La fondatezza del mezzo riconosciuta in sentenza non può quindi –anche ne merito- superata in guisa da poterne dichiarare la sopravvenuta improcedibilità.

7.La conferma delle statuizioni demolitorie contenute nella gravata decisione esonera il Collegio dallo scrutinare le ulteriori doglianze.

7.1. Armonicamente con quanto prima si è chiarito in punto di volontà di esaminare esaustivamente tutti i profili della causa, ritiene il Collegio di dovere dare atto che non ci si trova al cospetto di un vero e proprio “assorbimento”.

Invero i motivi di appello risentono – come si è sinteticamente rappresentato nella parte “in fatto” della presente decisione- della impostazione data dal Tar, che ha ritenuto di dovere dedicare autonoma trattazione al c.d. “terzo gruppo di censure”.

In realtà, -e ciò appare trasparente sol che si compulsino gli scritti di primo grado- ivi non erano esposte autonome censure attingenti le note metodogiche: parte appellata si era sforzata di dimostrare quale fosse lo scopo delle medesime, e l’errore di impostazione da cui erano affette, in quanto miranti a raggiungere il risultato dell’”allineamento” ai valori medi, tratti non rigidamente ancorandosi ai certificati di conto consuntivo.

Ma allora, non può parlarsi di autonome censure, ma di argomenti dimostrativi della fondatezza delle già scrutinate doglianze e tesi a fornire una spiegazione “teleologica” dell’operato dell’Amministrazione: e si è chiarito che la esattezze delle dette censure emerge dal raffronto tra norma/superior e nota metodologica, e non necessita di ulteriore dimostrazione sotto il profilo della “causale” .

Di tali motivi di appello va pertanto dichiarata la improcedibilità, come sono improcedibili gli ulteriori argomenti critici prospettati da parte appellata, ivi compresa la questione di costituzionalità delle norme di legge per contrasto con gli artt. 81 e 199 della Costituzione.

8.Conclusivamente, l’appello va in parte respinto ed in parte dichiarato improcedibile, nei termini e con le integrazioni di cui alla motivazione che precede.

9.La particolare complessità delle questioni esaminate, la natura della controversia, e la novità della medesima, impongono la integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, e per l’effetto conferma la sentenza gravata.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 settembre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Goffredo Zaccardi – Presidente

Fabio Taormina – Consigliere, Estensore

Silvestro Maria Russo – Consigliere

Leonardo Spagnoletti – Consigliere

Giuseppe Castiglia – Consigliere

Depositata in Segreteria il 3 novembre 2015.

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