Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 25 gennaio 2017, n. 296

Il trasferimento di residenza o di domicilio di una parte deve essere portato a conoscenza dell’altra parte e, in difetto dell’adempimento di tale onere, deve escludersi la decadenza dal termine d’impugnazione, a condizione che la notificazione sia stata rinnovata presso il procuratore domiciliatario nel nuovo domicilio

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 25 gennaio 2017, n. 296

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 1422 del 2014, proposto dal signor Vi. PA., in proprio e in qualità di procuratore della signora An. PA., rappresentato e difeso dall’avv. Se. Ca., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…),

contro

il COMUNE DI (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. An. Au., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Fr. Ri. in Roma, via (…),

per la riforma

della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione Seconda bis, nr. 8545/2013, depositata in Segreteria in data 2 ottobre 2013 e notificata in data 28 novembre 2013, che ha respinto, in quando tardiva, la domanda di risarcimento danni proposta dai signori Pa. nei confronti del Comune di (omissis).

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);

Viste le memorie prodotte dall’appellante (in date 11 e 22 novembre 2016) e dal Comune (in data 15 novembre 2016) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2016, il Consigliere Raffaele Greco;

Udito l’avv. Ca. per l’appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il signor Vi. Pa., anche nella qualità di procuratore della signora An. Pa., ha appellato la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha ritenuto tardiva l’azione da lui proposta nei confronti del Comune di (omissis) per la condanna dello stesso al risarcimento dei danni derivanti dall’illegittima sospensione dei lavori e dalla tardiva emanazione del provvedimento di cui all’art. 34 del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380, in relazione a un intervento edile parzialmente abusivo posto in essere su un immobile di sua proprietà.

L’impugnazione dell’appellante risulta affidata ai seguenti motivi:

1) erroneità della pronuncia di tardività del T.A.R., stante l’avvenuta notifica del ricorso introduttivo nel termine decadenziale di 120 giorni decorrente dal 16 settembre 2010 (data di entrata in vigore del decreto legislativo 2 luglio 2010, nr. 104);

2) sussistenza di un danno per i signori Pa. derivante dal comportamento dell’Amministrazione comunale, la quale, dopo aver emesso una sproporzionata misura repressiva (determinazione nr. 300 del 1999 di sospensione dei lavori), ha ritardato senza alcuna ammissibile giustificazione il rilascio del provvedimento di sanatoria;

3) sussistenza del pregiudizio patito dai signori Pa. a causa della colpevole condotta del Comune, consistente nell’incremento dei costi per l’ultimazione dell’opera, nel costo dell’inutile (stante il blocco del cantiere) noleggio dei ponteggi, nel mancato incasso dei canoni di locazione che avrebbero potuto essere percepiti se l’edificio fosse stato completato, il tutto stimato in complessivi € 195.929,25, da rivedere in aumento a causa dell’ulteriore decorso del tempo dovuto al protrarsi della causa; ulteriore pregiudizio dovuto alla necessità di contrarre un mutuo bancario di € 130.000.000,00 per potersi procurare le somme necessarie per il completamento dell’edificio.

Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), il quale ha eccepito la tardività del ricorso in appello e comunque rilevato l’infondatezza dello stesso.

Le parti hanno poi affidato a memorie l’ulteriore svolgimento delle rispettive tesi.

All’udienza del 15 dicembre 2016, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. I signori Vi. e An. Pa., proprietari di un immobile sito nel Comune di (omissis), hanno intrapreso all’interno dello stesso, sulla base di regolare permesso di costruire, la realizzazione di un fabbricato in cemento armato, composto da piano interrato, piano terra, primo piano e sottotetto, con locale garage.

Il Comune, avendo rilevato alcune difformità delle opere in esecuzione rispetto al titolo abilitativo, ha ordinato l’immediata sospensione dei lavori con determinazione dirigenziale del 13 agosto 1999, nr. 300.

I signori Pa., con domanda del 21 settembre 1999 (prot. nr. 27208), hanno chiesto il rilascio di un “permesso di costruire in sanatoria” (rectius atto applicativo della previsione di cui all’art. 34 del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380, che consente, in caso di parziale difformità dal titolo edilizio, di evitare la demolizione dell’abuso quando questa non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità) corrispondendo il relativo contributo (rectius sanzione pecuniaria).

La richiesta è stata accolta solo in data 1 luglio 2006 dal Comune, con provvedimento nr. 277/2006.

2. Con ricorso al T.A.R. del Lazio, i signori Pa. hanno quindi chiesto la condanna del Comune al risarcimento dei danni derivanti dalla tardiva emanazione del provvedimento “in sanatoria” e dall’illegittima sospensione dei lavori, determinata da un provvedimento sproporzionato.

3. Il T.A.R. del Lazio, con la sentenza in epigrafe, ha dichiarato irricevibile il ricorso, ritenendolo tardivo.

In particolare il Tribunale di prime cure, dopo aver richiamato la pronuncia nr. 638 del 2012 del T.A.R. della Sicilia – in base alla quale, nel caso in cui il termine per promuovere l’azione avverso il silenzio sia scaduto in data anteriore all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, la domanda va proposta entro il termine di centoventi giorni decorrente da tale ultima data (16 settembre 2010) – ha ritenuto tardiva la domanda di risarcimento danni, in quanto proposta decorsi centoventi giorni dal 16 settembre 2010.

4. Con l’odierno appello, gli originari istanti contestano le predette conclusioni del T.A.R. del Lazio.

4.1. In primo luogo, gli odierni appellanti, sostengono l’assoluta erroneità della pronuncia del T.A.R., stante l’avvenuta notifica del ricorso introduttivo in data 12 gennaio 2011 e dunque entro il termine di decadenza decorrente dalla data di entrata in vigore del codice.

4.2. Ciò premesso, essi ripropongono la domanda di risarcimento dei danni, evidenziando da un lato il “danno da disturbo”, derivante dallo sproporzionato provvedimento dell’Amministrazione comunale che, a fronte di lievi violazioni del titolo abilitativo, ha arrestato il completamento dell’intero fabbricato, e dall’altro lato il “danno da ritardo”, derivante dalla colposa condotta del Comune che ha ritardato, senza alcuna ammissibile giustificazione, il rilascio del provvedimento di cui all’art. 34, d.P.R. nr. 380/2001.

4.3. Infine, gli odierni appellanti rilevano di aver subito, a causa della colpevole condotta del Comune, ingenti danni stimati in complessivi € 195.929,25 – da rivedere in aumento a causa dell’ulteriore decorso del tempo dovuto al protrarsi della causa – e consistenti nell’incremento dei costi per l’ultimazione dell’opera, nel costo dell’inutile noleggio dei ponteggi, nel mancato incasso dei canoni di locazione che avrebbero potuto essere percepiti se l’edificio fosse stato completato; lamentano poi l’ulteriore pregiudizio dovuto alla necessità di contrarre un mutuo bancario di € 130.000.000,00 per potersi procurare le somme necessarie per il completamento dell’edificio.

5. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), il quale ha insistito per il rigetto dell’appello.

5.1. In particolare l’Amministrazione eccepisce preliminarmente l’irricevibilità del ricorso in appello, rilevando che la notifica dell’impugnazione è stata effettuata nel nuovo domicilio eletto dall’Amministrazione con un giorno di ritardo.

5.2. In secondo luogo il Comune contesta la fondatezza delle pretese avversarie, affermando in particolare la propria assenza di colpa, in ragione del fatto che il ritardo nella definizione del procedimento sarebbe dipeso dalle carenze documentali dell’istanza di sanatoria dei signori Pa..

6. Tutto ciò premesso, deve innanzi tutto essere respinta l’eccezione di tardività dell’appello sollevata dal Comune.

Nel caso di specie infatti, come evidenziato dagli appellanti nella propria memoria di replica, il ritardo nella notifica dell’impugnazione è dipeso dalla mancata comunicazione alla controparte del mutamento di domicilio del procuratore del Comune rispetto a quello eletto risultante dalla sentenza.

Sul punto occorre richiamare il consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa, secondo il quale il trasferimento di residenza o di domicilio di una parte deve essere portato a conoscenza dell’altra parte e, in difetto dell’adempimento di tale onere, deve escludersi la decadenza dal termine d’impugnazione, a condizione che la notificazione sia stata rinnovata presso il procuratore domiciliatario nel nuovo domicilio (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2013, nr. 107; id., sez. IV, 25 maggio 2012, nr. 3087; id., 18 agosto 2010, nr. 5886; id., 7 aprile 2010, nr. 1989; id., 14 luglio 2004, nr. 5082).

In effetti, nel caso in esame l’appellante, dopo aver ricevuto la cartolina di ritorno della notifica effettuata al vecchio domicilio del Comune, ha prontamente provveduto a rinnovare la notifica al nuovo indirizzo, in modo da rendere superflua, per un verso, la concessione di un termine per il rinnovo della notificazione ex art. 93, comma 2, cod. proc. amm. (pure chiesta da parte appellante) e al tempo stesso escludere la tardività dell’appello.

7. Passando poi all’esame dell’appello, è fondato il primo motivo d’impugnazione della sentenza in epigrafe, col quale si censura la statuizione di tardività del ricorso di primo grado per mancato rispetto del termine di 120 giorni di cui all’art. 30, commi 3 e 4, cod. proc. amm.

Al riguardo, al di là di quanto dedotto dagli appellanti in ordine al comprovato rispetto del termine de quo, è dirimente il richiamo al più recente arresto dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (sentenza nr. 6 del 6 luglio 2015) secondo cui tale termine non si applica alle domande di risarcimento danni relative a fatti anteriori all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, le quali pertanto restano soggette al solo termine di prescrizione del diritto al risarcimento, in relazione al quale nessuno ha sollevato eccezioni.

In altri termini, non merita condivisione lo stesso presupposto da cui è mosso il primo giudice, e cioè che nella specie dovrebbe trovare applicazione il detto termine decadenziale, in modo da rendere ultroneo e superfluo ogni approfondimento circa il suo effettivo rispetto o meno da parte del ricorrente in prime cure.

8. Quanto al merito della causa, l’appello è solo parzialmente fondato, dovendosi distinguere a seconda delle diverse tipologie di danno lamentato dalla parte appellante.

8.1. In particolare, va esclusa in radice la configurabilità nel caso di specie di un danno “da disturbo”, nel senso individuato dalla giurisprudenza di pregiudizio derivante dall’illegittima compressione di facoltà di cui il privato cittadino sia titolare (cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 luglio 2010, nr. 4312, citata dall’appellante).

Infatti, se è vero che gli odierni istanti avevano avviato la propria attività edificatoria sulla base di un rituale permesso di costruire, la successiva attività repressiva del Comune (concretatasi nel già citato ordine di sospensione dei lavori nr. 300 del 13 agosto 1999, non impugnato a suo tempo) è dipesa dal fatto che in fase esecutiva erano stati realizzati degli abusi in difformità dal predetto titolo, abusi che hanno reso doveroso l’intervento dell’Amministrazione.

Né può d’altronde pervenirsi a diverse conclusioni sulla base del rilievo che alcuni degli abusi inizialmente contestati si siano rivelati ex post insussistenti (come l’appellante assume essere documentato dall’intervenuta archiviazione del parallelo procedimento penale), con la conseguenza che le difformità rilevate investivano solo una parte del manufatto: infatti, è evidente che a fronte di un’attività edificatoria abusiva in itinere, il Comune non aveva altra via che sospendere i lavori nella loro interezza, salvo poi verificare la consistenza e l’entità degli abusi effettivamente realizzati.

Ad ogni modo, risulta assorbente la circostanza che gli istanti non abbiano a suo tempo impugnato l’ordine di sospensione: ciò rende comunque non invocabile il danno cagionato da un (asseritamente) illegittimo blocco dei lavori, dovendo al riguardo richiamarsi i principi enunciati dall’Adunanza plenaria in ordine all’interpretazione dell’art. 30, comma 3, ultimo periodo, cod. proc. amm. (sentenza nr. 3 del 23 marzo 2011).

Infatti, da un lato la sospensione dei lavori ha esaurito i propri effetti legali (ivi compresi quelli lesivi per gli istanti) col decorso del termine di legge senza che gli interessati avessero agito avverso di essa; successivamente, a seguito della presentazione della successiva istanza di regolarizzazione, è venuto in rilievo l’interesse pretensivo degli istanti all’ottenimento della sanatoria (rectius, del provvedimento di irrogazione della sola sanzione pecuniaria di cui all’art. 34, d.P.R. nr. 380/2001), di modo che i danni che si assumono cagionati dai tempi del relativo procedimento possono rifluire solamente nel danno da ritardo, logicamente e ontologicamente distinto da quello di cui qui si tratta.

8.2. Per quanto riguarda quest’ultimo danno, occorre preliminarmente chiarire che, per quanto riguarda i tempi concessi all’Amministrazione per l’evasione dell’istanza ex art. 34, d.P.R. nr. 380/2001, la Sezione è dell’avviso che possa analogicamente applicarsi il termine di 60 giorni stabilito per l’accertamento di conformità di cui all’art. 36, comma 3, del medesimo decreto, tenendo conto però che il contributo risulta pagato solo in data 15 febbraio 2000, e pertanto solo da tale data poteva decorrere tale termine, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo.

Ciò premesso, occorre accertare se un ritardo vi sia stato nella definizione del procedimento e, in caso di risposta affermativa, da chi o cosa sia dipeso.

In merito alla prima questione è evidente che il procedimento in questione si è protratto ben oltre i tempi di cui al ricordato art. 36, comma 3, del d.P.R. nr. 380/2001, atteso che la domanda dei signori Pa. è stata presentata in data 21 settembre 1999 e il provvedimento è stato rilasciato solamente in data 1 luglio 2006 (come risulta pacificamente dagli atti, dovendo considerarsi un mero refuso l’indicazione del 2005 contenuta negli atti del Comune).

Per quel che concerne poi l’imputabilità del ritardo, si deve rilevare che, sebbene la difesa del Comune sostenga che il ritardo sia dipeso dalle carenze documentali dei signori Pa., tale da indurre l’Amministrazione a sollecitare più volte integrazioni documentali, emerge dalla documentazione in atti (ed è confermato dalla stessa Amministrazione) che le ultime integrazioni documentali sono state depositate in data 12 ottobre 2004, per cui da tale momento il ritardo nella conclusione del procedimento non può che essere imputato al Comune, non risultando altre ragioni ostative al rilascio del provvedimento di cui all’art. 34, d.P.R. nr. 380/2001.

In conclusione, limitatamente al lasso di tempo intercorso dal 12 ottobre 2004 al 1 luglio 2006 la domanda di risarcimento è fondata, e l’Amministrazione comunale deve corrispondere il relativo risarcimento del danno agli odierni appellanti.

8.3. Quanto poi alla quantificazione del danno, vanno riconosciute le voci relative all’incremento dei costi ed al blocco del cantiere, mentre deve escludersi la voce relativa al lucro cessante da mancata locazione dell’immobile, trattandosi di pregiudizio meramente ipotetico e non dimostrato.

Al pari, deve escludersi la rivalutazione in aumento del danno da liquidare, atteso che il ritardo fonte di danno si arresta al 1 luglio 2006, per cui, se per il periodo successivo gli istanti non hanno ripreso l’edificazione dell’immobile, ciò è dipeso esclusivamente da una loro scelta; né alcunché può ascriversi alla durata del presente giudizio risarcitorio, la quale come è evidente nulla ha a che fare con la condotta del Comune che si assume causativa di danno.

Risulta altresì irrilevante la stipulazione di un mutuo bancario, trattandosi di una scelta liberamente assunta dagli interessati nell’ambito della loro strategia d’impresa, con conseguente assunzione del relativo rischio.

8.4. Per le due voci di danno di cui si è accertata la spettanza, la Sezione reputa di poter liquidare equitativamente, applicando i medesimi parametri generali seguiti nella relazione tecnica allegata al ricorso in relazione al minor arco di tempo considerato, le somme di € 15.000,00 a titolo di maggiori costi di costruzione e di € 7.500,00 per blocco cantiere, per un importo complessivo di € 22.500,00 (ventiduemilacinquecento).

9. In considerazione del solo parziale accoglimento della domanda attorea, e quindi della parziale soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei limiti e con gli effetti di cui in motivazione e lo respinge per il resto.

Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi – Presidente

Raffaele Greco – Consigliere, Estensore

Andrea Migliozzi – Consigliere

Leonardo Spagnoletti – Consigliere

Nicola D’Angelo –

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