Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 23 giugno 2015, n. 3137

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9862 del 2014, proposto da:

TR. s.r.l. ed altri (…), lungotevere (…);

contro

A. s.p.a ed altri (…);

per la riforma

del dispositivo di sentenza del T.A.R. Piemonte – Torino: Sezione I n. 01690/2014, e della sentenza del medesimo T.A.R. n. 1892/2014, resa tra le parti, concernente affidamento lavori di ammodernamento e adeguamento di svincolo autostradale – risarcimento danni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di A. s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 giugno 2015 il cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Ro. e Ba.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con bando pubblicato sulla G.U.C.E in data 13 aprile 2013 e sulla G.U.R.I in data 19 aprile 2013, la società A. s.p.a., concessionaria del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha indetto una procedura aperta per l’affidamento dei lavori di ammodernamento ed adeguamento dello svincolo di San Giorgio sull’autostrada A5 Torino – Qu., da aggiudicare secondo il criterio del prezzo più basso mediante offerta a prezzi unitari, su un importo a base d’asta di Euro 10.316.969,65, IVA esclusa.

Alla gara hanno partecipato quindici operatori economici; le offerte ammesse sono state dodici.

La commissione di gara ha individuato la soglia di anomalia nella percentuale di ribasso del 34,409%. e, all’esito della valutazione delle offerte, ha rimesso alla stazione appaltante quelle classificatesi ai primi tre posti in graduatoria, risultate superiori a tale soglia, per il procedimento di verifica di congruità previsto dagli artt. 86 e segg. del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (c.d. codice degli appalti; d’ora in poi: codice).

Si trattava delle offerte di:

1. società IT. (ribasso pari al 42,511 per cento);

2. società PR. s.r.l. (ribasso pari al 36,428 per cento);

3. costituendo R.T.I. fra le società TR. s.r.l. e VE. s.r.l.(ribasso pari al 35,71 per cento).

A tal fine la stazione appaltante ha nominato una commissione tecnica.

Questa ha proceduto alla verifica di congruità, all’esito della quale ha ritenuto giustificata l’offerta classificatasi al terzo posto, ma non giustificate e sottostimate alcuni voci di prezzo delle offerte classificatesi ai primi due posti.

Tuttavia la stazione appaltante ha ritenuto di poter considerare affidabili tutte e tre le offerte presentate, perché, sebbene talune voci di prezzo non fossero giustificate (e dunque in ciò condividendo la valutazione della commissione tecnica), non sarebbero state però tali da inficiare l’attendibilità, la serietà e la rimuneratività delle offerte valutate nel loro complesso (determinazione dell’amministratore delegato in data 26 settembre 2013).

Di conseguenza, con determinazione dell’amministratore delegato del 19 novembre 2013, la gara è stata aggiudicata all’impresa prima classificata, cioè all’ITER.

Il costituendo R.T.I. ha impugnato l’aggiudicazione per violazione di legge ed eccesso di potere, sotto diversi profili, proponendo un ricorso che il T.A.R. per il Piemonte, sez. I – dopo avere accolto una domanda cautelare e disposto verificazione – ha respinto con sentenza 21 novembre 2014, n. 1892.

Il Tribunale regionale ha ritenuto che le offerte dovessero essere valutate nel loro complesso, nell’esercizio di una discrezionalità tecnica propria dell’Amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale per vizi (di logicità, ragionevolezza, completezza istruttoria) che – anche alla luce delle conclusioni del verificatore, secondo cui le offerte contestate avrebbero prodotto comunque un utile d’impresa – non sarebbe dato riscontrare nella vicenda.

Il R.T.I. ha interposto appello contro la sentenza, impugnandone il dispositivo e chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva.

La società A. si è costituita in giudizio per resistere all’appello, impegnandosi a non stipulare il contratto sino alla pronuncia di questo Consiglio di Stato sulla domanda cautelare proposta con riguardo alla sentenza integrale.

Depositata la sentenza, l’appellante l’ha impugnata nella sua interezza con motivi aggiunti, rinnovando la domanda cautelare.

Riproponendo, nella sostanza, le censure svolte in primo grado, alle quali il T.A.R. non avrebbe dato risposta convincente, il raggruppamento chiede l’annullamento dell’aggiudicazione e degli atti connessi, la declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente stipulato e la pronunzia di subentro o, altrimenti, il risarcimento del danno.

La società A. si è costituita in giudizio per resistere all’appello, confutandone i motivi.

Nella camera di consiglio del 27 gennaio 2015 la difesa del raggruppamento appellante, con l’accordo della controparte, ha depositato note d’udienza.

Con ordinanza 28 gennaio 2015, n. 475, la Sezione ha respinto la domanda cautelare.

In vista della discussione della causa, le parti hanno depositato memorie.

Il raggruppamento rinnova la domanda di annullamento, previa eventuale nuova consulenza tecnica.

Le parti hanno poi depositato memorie di replica.

All’udienza pubblica del 9 giugno 2015, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

Premesse. In via preliminare, il Collegio osserva che la controversia attiene unicamente a profili di diritto, mentre non vi sono state contestazioni sulla ricostruzione del fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, per cui – vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a. – deve darsi per assodata la prova dei fatti oggetto dei giudizio.

A scioglimento della riserva formulata nell’ordinanza cautelare, il Collegio dà inoltre atto che la parte appellata non solleva questione di inammissibilità o improcedibilità dell’appello, per non essere i motivi aggiunti accompagnati da copia della sentenza impugnata (il punto è stato evocato nella camera di consiglio del 27 gennaio scorso).

Peraltro l’appellante ha depositato copia di condivisibili precedenti di giurisprudenza – sia del Consiglio di Stato che della Corte di Cassazione (ai quali adde Cons. Stato, sez. V, 28 maggio 2014, n. 2775) – dai quali appare che tale omissione costituisce una mera irregolarità, sanata dal successivo deposito di copia della sentenza che consente comunque al Collegio di pronunciare nel merito.

1. Con il primo motivo dell’appello, il costituendo R.T.I. rileva che l’amministratore delegato, organo gestionale, avrebbe sovrapposto la propria valutazione circa la contestata congruità dell’offerta a quella dell’organo competente, cioè della commissione tecnica, sulla base di elementi estranei e non pertinenti (la qualificazione delle società partecipanti e la durata ridotta dei tempi di esecuzione dell’opera).

Mentre la commissione tecnica incaricata della verifica delle anomalie avrebbe proceduto in modo estremamente scrupoloso, l’amministratore delegato ne avrebbe superato la valutazione negativa con rilievi non attinenti e sulla base della scienza propria, senza una reale istruttoria: il richiamato contributo del direttore della direzione tecnica sarebbe vuoto di contenuto e i fogli di appunti e calcoli, indicati nella memoria difensiva, non potrebbero giustificare l’assegnazione di un appalto di importo così cospicuo.

1.1. Il motivo è infondato.

La commissione tecnica si è limitata a esaminare le giustificazioni presentate dalle imprese, né avrebbe potuto fare altrimenti, posto che – a norma dell’art. 88, comma 7, del codice – l’unico soggetto competente a valutare l’anomalia delle offerte è la stazione appaltante ed è “del tutto fisiologico” che questa sia il titolare delle scelte, e se del caso delle valutazioni, in ordine alle offerte sospette di anomalia (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 29 novembre 2012, n. 36), secondo un giudizio sindacabile solo per manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza (ibidem, ove anche diffusi richiami alla costante giurisprudenza).

La decisione finale – adottata nella forma di una determinazione dell’Amministratore delegato, in qualità di rappresentante legale della società – ha preso atto degli elementi forniti dalla commissione tecnica, ha riesaminato le offerte tenendo conto degli aspetti di incongruità emersi e, all’esito di una valutazione complessiva delle offerte stesse, ha ritenuto che i profili in discussione non fossero tali da inficiare la complessiva sostenibilità economica delle offerte contestate. E a questa conclusione è giunto nell’esercizio di una discrezionalità tecnica – non contestabile in questa sede perché non manifestamente abnorme -, affermando cioè che i fattori specialmente considerati (la riduzione dei tempi di lavoro, la particolare qualificazione delle imprese) inciderebbero sul prezzo offerto l’uno, avrebbe carattere residuale, come conferma di garanzia di affidabilità e di solidità delle strutture organizzative aziendali, l’altro.

Alla stregua di un pacifico indirizzo giurisprudenziale, d’altronde, la valutazione di congruità deve essere globale e sintetica e non può concentrarsi esclusivamente e in modo “parcellizzato” sulle singole voci di prezzo, dal momento che l’obiettivo dell’indagine è accertare l’affidabilità dell’offerta nel suo complesso, e non delle sue singole componenti (cfr. Cons. Stato, ad. plen., n. 36 del 2012, cit., ove riferimenti ulteriori).

Le critiche di difetto di istruttoria non appaiono fondate, perché, venendo in questione valutazioni tecniche, non possono considerarsi irrilevanti i fogli di calcolo prodotti dalla stazione appellante.

E altrettanto è a dirsi per le vicende successive (l’ammissione dell’impresa aggiudicataria al concordato preventivo, peraltro con continuità aziendale, disposta dal Tribunale di Ravenna), che – se possono essere suggestive, ma anche solo indicative di una congiuntura economica negativa – di per sé non incidono sulla valutazione dell’offerta contestata.

2. A detta del secondo motivo dell’appello, la verificazione disposta in primo grado non avrebbe confermato i margini di utile desumibili dagli atti di gara e sostenuti dalla società aggiudicataria nel procedimento di verificazione (si sarebbe passati, per la ITER, da un utile dell’1 per cento a uno dello 0,36 per cento; per la PREVE, da un utile del 4 per cento a uno dell’1,19 per cento), con la conseguenza che qualunque inconveniente nel corso dell’esecuzione rischierebbe di rendere il contratto economicamente non sostenibile. In definitiva, l’utile sarebbe meramente simbolico e dunque le offerte basse in modo anomalo, cosicché la verificazione avrebbe dovuto concludersi nel senso della illegittimità del provvedimento di aggiudicazione.

Il T.A.R. non avrebbe tenuto conto di tutte le considerazioni in fatto svolte dal R.T.I. appellante per sostenere l’inesistenza di un utile per le imprese collegate ai primi due posti della gara, pur trattandosi di questioni tecniche, prive di margini di discrezionalità amministrativa.

2.1. Anche questo motivo è infondato.

La verificazione (e prima ancora la stazione appaltante) ha confermato l’esistenza del margine di utile, in una misura bensì minore di quella indicata dalle imprese, ma comunque sufficiente a garantire la sostenibilità economica della commessa.

Correttamente il Tribunale territoriale ha ritenuto che l’entità dell’utile accertato, sia pure di assai moderate dimensioni, andrebbe valutata alla luce del contesto economico attuale, nel quale anche modesti ritorni dell’investimento potrebbero essere considerati accettabili pur di mantenere l’impresa operativa in vista di tempi migliori; e ciò, nel solco del prevalente orientamento giurisprudenziale, secondo cui la valutazione di anomalia dell’offerta va fatta considerando tutte le circostanze del caso concreto, poiché un utile all’apparenza modesto può comportare un vantaggio significativo sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa (il mancato utilizzo dei propri fattori produttivi è comunque un costo), sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e dall’aver portato a termine un appalto pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23 luglio 2012, n. 4206; Id., sez. V, 1° luglio 2014, n. 3785, quest’ultima relativa a una fattispecie in cui emergeva un utile netto pari allo 0,187% dell’importo dell’appalto, al netto del ribasso).

3. Il terzo motivo dell’appello censura la sentenza impugnata per non avere esaminato alcuni elementi di anomalia delle offerte classificate prima e seconda, messi in luce dalla commissione tecnica e rappresentate dall’appellante come esistenti ma non valutabili da parte del verificatore (nessuna analisi dei prezzi per l’attività affidata ai subappaltatori – pari al 25% del prezzo complessivo – per la ITER; giustificazione dell’offerta secondo uno schema diverso da quello richiesto per la stazione appaltante e indicazione di modalità costruttive diverse da quelle richieste negli atti di gara per la PREVE).

3.1. Neppure questo motivo è fondato.

Come appare dalle pagg. 15-18 della relazione finale, il verificatore ha preso dettagliatamente in esame la questione dei prezzi offerti dai subappaltatori, concludendo per l’assenza di extra-costi da imputare direttamente a ITER riguardo a tali voci.

Vero è che il verificatore ritiene sostanzialmente carente il disciplinare, là dove avrebbe omesso di richiedere “una formulazione delle offerte sui singoli prezzi unitari da parte dei subappaltatori con un dettaglio tale (su manodopera, mezzi, forniture, spese generali e utile) da poterne valutare la loro congruità, al pari di tutti gli altri prezzi dell’appalto, non soggetti a subappalto” (pag. 18).

Questa affermazione, tuttavia, si risolve in una censura della legge di gara, che in questa sede non può essere valutata per la mancanza di un corrispondente motivo di ricorso.

L’infondatezza del motivo riguardo alla ITER, prima in graduatoria e aggiudicataria dell’appalto, rende inutile un’ulteriore analisi dell’anomalia rimproverata sul punto all’offerta della seconda classificata.

4. Per il quarto motivo dell’appello, non sarebbero state prese in considerazione le anomalie relative a una serie di voci di costo rilevate dall’appellante sulla base di una propria relazione tecnica, tali da rendere antieconomiche e insostenibili le offerte delle imprese concorrenti. Erroneamente il T.A.R. non avrebbe disposto verificazione su questi aspetti, limitandosi alle voci di prezzo esaminate dalla commissione tecnica sulla base di una premessa non corretta (la verifica in sede giurisdizionale dovrebbe corrispondere all’accertamento compiuto in sede amministrativa). Trattandosi di profili tecnici e non di merito, si tratterebbe di questioni di cui il G.A. potrebbe conoscere.

4.1. Il motivo non ha pregio.

In disparte ogni altro rilievo (non pare vengano in questione vizi di evidente travisamento del fatto o di manifesta illogicità delle valutazioni, che soli renderebbero sindacabile in sede giurisdizionale la discrezionalità tecnica della stazione appaltante), lo stesso R.T.I. che appella (v. pag. 4 della memoria di replica) finisce per convenire con il primo giudice che il motivo attiene a profili dedotti non con il ricorso originario (strutturato sulla contrapposizione fra la valutazione della commissione tecnica e quella dell’amministratore delegato), ma con la consulenza tecnica di parte, depositata successivamente, e dunque inammissibili.

5. Dalle considerazioni che precedono, discende che – senza che sia necessario disporre nuova verificazione o consulenza tecnica – l’appello è infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza di primo grado.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

Considerata la complessità della questione, le spese di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa fra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 giugno 2015 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico – Presidente

Nicola Russo – Consigliere

Andrea Migliozzi – Consigliere

Silvestro Maria Russo – Consigliere

Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 23 giugno 2015.

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