L’Amministrazione, in ordine alla verifica della validità dei requisiti di partecipazione dei candidati ai pubblici concorsi, è titolare di un potere che non soggiace a termini temporali di decadenza in ragione delle esigenze di tutela del superiore interesse pubblico che essa deve perseguire; in ogni caso, non si può configurare in capo al candidato quale che sia affidamento a “conservare” una situazione (mancanza di requisiti di partecipazione) che comunque è contra legem e come tale deve considerarsi sempre rimuovibile
Consiglio di Stato
sezione IV
sentenza 23 gennaio 2017, n. 261
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2591 del 2014, proposto dalla signora Mi. Ma., rappresentata e difesa dall’avvocato Al. Ol., domiciliata ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della IV Sezione del Consiglio di Stato, in Roma, p.za (…);
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);
nei confronti di
Cl. Ma., Co. Co., non costituiti in giudizio.
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Lazio – Sezione III – n. 8198 del 10 settembre 2013, resa tra le parti, concernente l’approvazione della graduatoria finale di merito della selezione pubblica per l’assunzione a tempo indeterminato di n. 220 assistenti da destinare ai Centri Operativi e ai Centri di Assistenza Multicanale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Entrate;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2016 il Cons. Andrea Migliozzi e udito per la parte appellata l’avvocato dello Stato B. Fi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La sig.ra Mi. Ma. partecipava alla procedura selettiva bandita dall’Agenzia delle Entrate – per l’assunzione a tempo indeterminato di 220 unità, seconda area funzionale, fascia retributiva F3, profilo professionale assistente, per l’attività amministrativo- tributaria, da destinare ai Centri Operativi ed ai Centri di Assistenza Multicanale – all’esito della quale le veniva attribuito il punteggio di 56,002 con la conseguente collocazione al 19° posto della graduatoria provvisoria.
2. Successivamente, a seguito della pubblicazione della graduatoria finale in data 20/7/2012 la sig.ra Ma. apprendeva di non essere stata inserita tra i vincitori; inoltre, con nota del 27 settembre 2012 prot. n. 2012/137860, l’Amministrazione resistente comunicava alla predetta la sua esclusione dal concorso per la seguente ragione: “dal controllo dei dati in possesso del casellario giudiziario risultano a suo carico due decreti penali di condanna (11 marzo 2011 e 20 marzo 2012- GIP di Cagliari) per aver commesso il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti 8 art. 2 comma 1 bis legge 638/1983 art. 81 cpv c.p.9. Pertanto, ai sensi dei punti 2.5 e 3.10 del bando di concorso le comunico l’esclusione dalla procedura selettiva”.
3. L’interessata ha impugnato innanzi al T.a.r. per il Lazio il predetto provvedimento di esclusione denunciandone, con vari mezzi di gravame, la illegittimità, in ispecie per violazione delle disposizioni di tipo garantistico di cui alla legge n. 241/90, per violazione ed errata applicazione della normativa del bando e per erroneità dei presupposti.
4. L’adito Tribunale amministrativo regionale con sentenza n. 8198/2013 ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato.
5. La sig.ra Ma. ha proposto appello avverso tale decisum, denunciandone la erroneità sotto vari aspetti, così riassumibili:
a) eccesso di potere, violazione di legge e carenza di motivazione, posto che il primo giudice si sarebbe limitato a prendere atto dell’esistenza di decreti penali a carico della ricorrente senza ponderare la gravità dei reati e fornire una idonea motivazione a giustificazione dell’adottato provvedimento;
b) erroneità del capo della sentenza nella parte in cui si è equiparato (erroneamente) il decreto penale alla sentenza penale di condanna;
c) violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 (carenza di motivazione della sentenza) in relazione all’avvenuto assorbimento di alcune censure che sono state riproposte ed indicate nella indebita inversione logica dell’iter procedimentale e nella mancata comunicazione dell’avvio del procedimento (artt. 7 e ss. della legge sulla trasparenza amministrativa).
6. Si è costituita in giudizio l’Agenzia delle Entrate che ha contestato la fondatezza dell’appello chiedendone la reiezione.
7. All’udienza del 27 ottobre 2016 la causa è stata introitata per la decisione.
8. Tanto premesso, l’appello è infondato e deve essere respinto.
9. Va disatteso il vizio di carenza di motivazione dedotto nei confronti dall’impugnata sentenza con il primo motivo d’appello.
9.1. Sotto un primo generale aspetto (quello fatto valere come vizio di difetto di motivazione tout court) il Collegio rileva che, come agevolmente evincibile dal testo della motivazione resa a sostegno del decisum, il Tar, ben lungi dal limitarsi ad un mero richiamo dei ” precedenti” penali rilevati a carico della candidata, ha avuto cura, sia pure in termini concisi ma comunque esaustivi, di mettere in evidenza la valutazione effettuata dall’Amministrazione procedente circa la gravità degli addebiti mossi alla ricorrente in relazione ai decreti penali riportati e, in particolare, il disvalore intrinseco della sua condotta (come censurata in sede penale) avuto riguardo alle mansioni istituzionali propri dello status che andrebbe a ricoprire, con evidente inconciliabilità di tali situazioni.
9.2. Deve allora necessariamente dedursi che l’Amministrazione ha adempiuto compiutamente all’onere motivazionale alla medesima imposto nel momento in cui ha assunto la misura di tipo decadenziale in contestazione dovendosi dare atto che l’Agenzia delle Entrate ha adeguatamente e legittimamente giustificato l’adottato provvedimento, dando altresì idonea contezza di una siffatta scelta.
10. Parte appellante denuncia (col secondo motivo d’appello), l’erroneità della equiparazione effettuata dal T.a.r. tra decreto penale e sentenza penale di condanna, lì dove invece detta equivalenza non sarebbe possibile con conseguente illegittimità del provvedimento in contestazione tenuto conto che il bando non menzionerebbe tra le cause di esclusione la presenza di un decreto penale di condanna.
10.1. Anche tale assunto non merita positivo apprezzamento.
In primo luogo, si fa rilevare come è la stessa Cassazione penale ad affermare l’equivalenza tra decreto e sentenza penale di condanna (cfr. Cassazione sezioni unite penali n. 17781 del 2006; Cass. Sezione III panale n. 24265 del 20/6/2007).
Inoltre, questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di statuire che il decreto penale di condanna va equiparato alla sentenza penale di condanna ai fini dell’esistenza del fatto da valutare come elemento significativo di un provvedimento di esclusione (cfr. Sez. III, 26/8/2011 n. 4812; ancora, in termini sostanzialmente affermativi della predetta equivalenza, Sez. VI, 14/12/2005 n. 7095; C.g.a., Sez. Riun., 18/5/1999 n. 828/97), e il Collegio non ha motivo di discostarsi da un siffatto orientamento giurisprudenziale.
Stante la equiparazione in discorso, non può peraltro essersi inverata nella specie, come invece erroneamente supposto dalla parte appellante, la violazione della normativa dettata in proposito dal bando di concorso se è vero che al punto 2.5 della lex specialis in questione è previsto espressamente che “l’Agenzia delle Entrate si riserva la facoltà… di escludere… i candidati che abbiano riportato sentenze penali di condanna ancorchè non passate in giudicato o di patteggiamento…”.
Tale equiparazione, da ritenersi una regola generale nell’ambito dei rapporti di diritto amministrativo, è recepita, del resto, da numerose disposizioni di legge: si pensi, a titolo di esempio, all’art. 635, co. 1, lett.g), del codice dell’ordinamento militare, ovvero all’art. 38, co.1, lett. c) del vecchio codice dei contratti pubblici (oggi art. 80, co.1, del nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 2016).
11. Neppure appaiono condivisibili le doglianze che la sig.ra Ma. ha dedotto col terzo motivo di appello (quali ragioni del gravame di prime cure non espressamente esaminate dal T.a.r.).
11.1. L’appellante si duole in primo luogo di una ingiustificata inversione logica dell’iter procedimentale in ragione del fatto che l’esclusione dal concorso è stata assunta allorchè era già avvenuta l’approvazione della graduatoria definitiva, mentre tale misura avrebbe dovuto semmai essere adottata prima della “chiusura” del procedimento concorsuale
11.1.1. Il vizio in questione è insussistente.
L’Amministrazione, invero, in ordine alla verifica della validità dei requisiti di partecipazione dei candidati ai pubblici concorsi è titolare di un potere che non soggiace a termini temporali di decadenza in ragione delle esigenze di tutela del superiore interesse pubblico che essa deve perseguire, venendo in rilievo l’esercizio un potere di controllo attivato, peraltro e nel caso all’esame, immediatamente dopo l’avvenuta formazione della graduatoria; in ogni caso, non si può configurare in capo al candidato quale che sia affidamento a “conservare” una situazione (mancanza di requisiti di partecipazione) che comunque è contra legem e come tale deve considerarsi sempre rimuovibile (cfr., in ordine al carattere successivo e obbligatorio del provvedimento di accertamento della carenza dei requisiti per partecipare ad una selezione concorsuale, nell’ambito di una consolidata giurisprudenza, Cons. Stato, Sez. V, n. 4896 del 2011; Sez. IV, n. 7382 del 2010; nello stesso senso, in materia di requisiti di partecipazione a gare di appalto, Ad plen., nn. 8 del 2015, 5, 6, e 10 del 2016, nonché Corte giust. UE, sez. IX, 10 novembre 2016, Ciclat).
11.2. Non sussiste poi il lamentato vizio di violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90 in ordine al mancato avviso di avvio del procedimento.
Al riguardo vale qui richiamare un preciso orientamento giurisprudenziale – dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi (cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 4896 del 2011 cit.; Sez. V, n. 2868 del 2008; Sez. IV, n. 2151 del 2001) – secondo cui l’Amministrazione non è tenuta a comunicare previamente l’avvio del procedimento in ipotesi di adozione di un provvedimento di esclusione dalla procedura selettiva di chi ha formulato domanda di ammissione al concorso stesso.
12. Conclusivamente il proposto gravame, in quanto infondato, va respinto.
13. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.
Gli altri argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
14. Infine, va dato atto che non sono stati acquisiti al fascicolo di causa elementi che conducono, ex art. 136 t.u. n. 115 del 2002, alla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato disposta con decreto n. 172 del 19 dicembre 2013, dalla Commissione insediata presso il Consiglio di Stato ex art. 14 delle disposizioni di attuazione del c.p.a.
15. Quanto alle spese del presente grado del giudizio, avuto riguardo alla peculiarità e novità della vicenda, sussistono giusti motivi per compensarle tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe indicato, lo rigetta.
Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Andrea Migliozzi – Consigliere, Estensore
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Oberdan Forlenza – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
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