L’esame dell’appello incidentale, proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel merito su questioni pregiudiziali decise in senso ad essa sfavorevole (o non decise, come nel caso di specie), deve essere effettuato solamente se l’appello principale sia stato giudicato fondato, in caso contrario non sussistendo l’interesse dell’appellante incidentale alla pronunzia sulla propria impugnazione
Consiglio di Stato
sezione IV
sentenza 13 febbraio 2017, n. 611
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1500 del 2016, proposto dalla signora Te. Za., rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Te. e Lu. An., con domicilio eletto presso quest’ultimo difensore in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Cr. De Be., con domicilio eletto presso St. Vi. in Roma, via (…);
nei confronti di
RI. s.a.s. di De Ja. Ro. & C., in persona del legale rappresentante p.t. e altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Ga. Pa., Fr. Bu. e Al. Bi., con domicilio eletto presso il primo difensore in Roma, viale (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Veneto, sezione II, n. 1294/2015, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e altri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2017 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Uditi per le parti gli avvocati An., Ba. su delega dell’avvocato De Be., e Bu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La signora Te. Za. è proprietaria di alcuni terreni nel Comune di (omissis), adiacenti a due immobili contigui – corrispondenti ai civici (omissis) di via (omissis) e costituenti in realtà un unico edificio, classificato dal p.r.g. come “edificio storico testimoniale” – di proprietà dei signori Ro. De Ja. e Va. Bo., che li hanno trasformati adibendoli rispettivamente a ristorante e a relais di campagna e, a partire dal 2009, hanno presentato cinque successive d.i.a. per la realizzazione di opere edilizie.
2. Dopo un accesso agli atti, la signora Za. ha sollecitato il Comune a effettuare verifiche in ordine alla legittimità delle attività oggetto delle d.i.a.
3. Nell’inerzia dell’Amministrazione, ne ha impugnato il silenzio, proponendo un ricorso che il T.A.R. per il Veneto, sez. II, ha accolto con sentenza 15 febbraio 2013, n. 230, stabilendo l’obbligo per il Comune di istruire e concludere il procedimento.
4. Con provvedimento del dirigente di settore n. 14486 del 10 maggio 2013 il Comune, richiamati e fatti propri i contenuti della “Relazione su attività di verifica” in data 4 aprile 2013, ha ritenuto la conformità urbanistica ed edilizia dei titoli, disponendo l’archiviazione del procedimento finalizzato all’eventuale esercizio dell’autotutela.
5. La signora Za. ha impugnato tale provvedimento, insieme con la citata relazione e le cinque d.i.a., con separati ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica, poi trasposti in sede giurisdizionale per l’opposizione dei controinteressati (ciascuno relativo a ogni singola d.i.a.), che il T.A.R. per il Veneto, sez. II, ha respinto, previa riunione, con sentenza 7 dicembre 2015, n. 1294.
6. La signora Za. ha interposto appello contro la sentenza censurandola – dopo avere illustrato la situazione urbanistica dell’area – per le ragioni di seguito esposte:
a) violazione delle n. t.a.al p.r.g., dei principi in tema di successione delle leggi nel tempo, ulteriori violazioni di legge, erronea rappresentazione dei presupposti e perplessità della motivazione. I) Nel rispondere al primo motivo del ricorso introduttivo (illegittimità del mutamento a recettiva della destinazione d’uso), il T.A.R. avrebbe errato nel richiamarsi al precedente testo dell’art. 4 delle n. t.a., mentre avrebbe dovuto applicare la disciplina successiva, introdotta nel 2006 e vigente al momento della presentazione delle d.i.a., che per l’edificio in questione non ammetterebbe la destinazione (omissis) (ricettivo) ma – in ragione del grado di protezione 2 assegnato al bene in oggetto – lo renderebbe compatibile con le sole destinazioni (omissis). II) La tesi del Comune, fatta propria dal Tribunale territoriale, secondo cui la modifica avrebbe interessato i soli fabbricati situati a sud della S.S. (omissis), sicché per quelli a nord, come il fabbricato in questione, la destinazione ricettiva dovrebbe intendersi compresa nella (omissis), non terrebbe conto del fatto che la nuova disposizione delle n. t.a. avrebbe carattere generale e sarebbe valida per l’intero territorio comunale. III) Comunque si vogliano leggere le definizioni dell’art. 13 del regolamento edilizio comunale (secondo cui le attività turistico-ricettive ricadono nella destinazione terziaria), che il T.A.R. ha ritenuto integrativo della previsioni delle n. t.a., questo, subordinato nella gerarchia delle fonti, non potrebbe derogare la disciplina specifica di tutela. IV) La tesi dell’applicabilità dell’art. 4 delle n. t.a. nel testo ante 2006 sarebbe stata formulata per la prima volta dal Servizio gestione del territorio del Comune in una relazione del 18 maggio 2015, non comparirebbe nel provvedimento di archiviazione e ne costituirebbe una inammissibile integrazione postuma. V) Infine, con riferimento alla sentenza della Sezione 15 settembre 2015, n. 4305 – che, definendo un contenzioso fra le medesime parti, avrebbe invece espressamente affermato la possibilità di adibire il fabbricato a uso commerciale o a uffici, ricadenti nell’uso terziario, ma non a destinazione ricettiva, considerata non ammessa per gli immobili con quella classificazione – il primo giudice ne sottovaluterebbe la portata, riducendo a un’affermazione incidentale l’esclusione dal terziario di siffatte destinazioni;
b) violazione del testo unico dell’edilizia, erronea rappresentazione dei presupposti e perplessità della motivazione. Riguardo al secondo motivo del ricorso (necessità del permesso di costruire per il cambio di destinazione d’uso dell’immobile al civico 116 e in parte di quello al civico 114, il T.A.R. ha ritenuto sufficiente la d.i.a. (ai sensi dell’art. 22 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 – c.d. testo unico dell’edilizia; d’ora in poi: t.u.) sull’erroneo presupposto che il cambio di destinazione fosse conforme alle previsioni del p.r.g. Il primo giudice erroneamente avrebbe affermato che, della d.i.a. impugnate, solo quella n. 403/2009 comporterebbe un mutamento di destinazione (per il civico 116, da residenziale a turistico-alberghiera), mentre anche la d.i.a. n. 884/2010 sarebbe stata utilizzata per ricavare tre camere per il relais. Inoltre il mutamento di destinazione tra categorie funzionalmente autonome e non omogenee dal punto di vista urbanistico richiederebbe sempre il permesso di costruire in ragione del maggior carico urbanistico prodotto, come ora sancirebbe espressamente il nuovo art. 23 ter t.u., introdotto nel 2014;
c) ancora violazione del testo unico dell’edilizia e del p.r.g., erronea rappresentazione dei presupposti e perplessità della motivazione. Quanto alle opere eseguite: I) la costruzione della piscina non sarebbe legittimata dalla concessione edilizia n. 9943/2000, rilasciata per i soli lavori di ristrutturazione dell’immobile con mutamento della destinazione d’uso da residenziale a commerciale, sarebbe incompatibile con la destinazione agricola dell’area (la possibilità di una diversa destinazione varrebbe solo per i preesistenti edifici), non avrebbe natura pertinenziale in senso urbanistico per la sua funzione autonoma, la rilevante alterazione dell’assetto del territorio (estensione di oltre 110 mq), il contrasto con le prescrizioni urbanistiche di zona, il contrasto con l’art. 3, comma 1, lett. d) t.u. (trattandosi di un manufatto interrato), l’inefficacia delle prescrizioni, eventualmente difformi, del regolamento edilizio comunale; II) l’utilizzo per la realizzazione della piscina di un’area destinata a parcheggio a uso pubblico, come previsto dall’atto d’obbligo del 13 luglio 2000, comporterebbe illegittimità dell’attività edilizia per l’asservimento a una servitù di uso pubblico che ne seguirebbe e non mero inadempimento nei confronti del Comune; III) gli scarichi realizzati sarebbero in contrasto con il piano regionale delle acque e la censura non riprodurrebbe una già definitamente decisa con sentenze che avrebbero a oggetto un provvedimento diverso (l’autorizzazione allo scarico) e censure differenti (T.A.R. Veneto n. 1599/2013; Consiglio di Stato n. 1936/2014), dal che l’infondatezza della pronunzia di inammissibilità adottata dal T.A.R. sulla doglianza;
d) ancora violazione di legge e perplessità della motivazione. L’esercizio del potere di autotutela sarebbe condizionato ai presupposti dell’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 24, solo quando il procedimento sia avviato d’ufficio, mentre nel caso di specie il Comune si sarebbe determinato con provvedimento espresso, impugnato in via ordinaria.
7. Per resistere all’appello si sono costituiti in giudizio i signori De Ja., in proprio e quale legale rappresentante della RI. di De Ja. Ro. & c. s.a.s., e Bo., nonché il Comune di (omissis).
8. I privati resistenti hanno riproposto, anche via di appello incidentale condizionato, le censure di inammissibilità dedotte in primo grado e non esaminate dal T.A.R. (in quanto i ricorsi di primo grado sarebbero stati strutturati come impugnative di vecchie concessioni edilizie, le censure formulate sarebbero generiche e quella relativa alla d.i.a. per gli scarichi riguarderebbe materia coperta da giudicato).
9. Con memoria depositata il 4 dicembre 2016 il Comune sostiene che i ricorsi introduttivi della controparte riproporrebbero censure avverso le d.i.a. già definitivamente decisi dal T.A.R. Veneto e, su un profilo specifico, dal Consiglio di Stato, il che produrrebbe un effetto preclusivo, rinviando sul punto alle memorie del fascicolo di primo grado. Contesta inoltre l’appello nel merito.
10. Con memoria depositata il 19 novembre 2016, l’appellante ha riassunto le proprie censure.
11. Così hanno fatto per le proprie difese i privati resistenti con memoria depositata il 2 gennaio 2017.
12. Con memoria depositata il 12 gennaio 2017, questi ultimi hanno insistito sulla inammissibilità dei ricorsi introduttivi della controparte. In tema di procedimenti di secondo grado, l’annullamento d’ufficio non potrebbe essere disposto per la mera illegittimità del provvedimento, cosicché la scelta di merito di archiviare, adottata dall’Amministrazione, sarebbe insindacabile. Replicano inoltre alla censure proposte in questa sede.
13. All’udienza pubblica del 2 febbraio 2017, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
14. In via preliminare, il Collegio osserva che la ricostruzione in fatto, sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite ed è comunque acclarata dalla documentazione versata in atti. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio.
15. Per quanto riguarda l’ordine di esame delle questioni, sebbene il T.A.R. non si sia espresso sulle eccezioni di inammissibilità, il Collegio ritiene comunque applicabile l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l’esame dell’appello incidentale, proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel merito su questioni pregiudiziali decise in senso ad essa sfavorevole (o non decise, come nel caso di specie), deve essere effettuato solamente se l’appello principale sia stato giudicato fondato, in caso contrario non sussistendo l’interesse dell’appellante incidentale alla pronunzia sulla propria impugnazione (cfr. in questi termini Cass. civ., ss. uu, 31 ottobre 2007, n. 23019; Cass. civ., ss.uu., 6 marzo 2009, n. 5456; Cons. Stato, sez. VI, 26 marzo 2015, n. 1596; Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2016, n. 882; Cons. Stato, sez. VI, 14 giugno 2016, n. 2570). Per comodità espositiva, si procederà negli stessi termini, occorrendo, al vaglio dell’eccezione di preclusione, fatta valere dal Comune.
16. Viene esaminato prioritariamente, dunque, l’appello principale proposto dalla signora Za..
16.1. Il primo motivo dell’appello è fondato.
16.2. Come appare dalla nota del Servizio gestione del territorio del Comune, in atti, non è in discussione che la variante al p.r.g. del 2004 e quella del 2006 abbiano voluto riferirsi, rispettivamente, all’ambito del territorio comunale a nord (ove ricade il fabbricato in questione) e a sud della S.S. n. (omissis).
16.3. Tuttavia la modifica all’art. 4 delle n. t.a. che ne è seguita, con l’introduzione della destinazione (omissis) (ricettiva), riguarda formalmente tutto il territorio, cosicché si deve concludere che:
a) l’intento del pianificatore (di riservare la previsione specifica alla sola zona sud) non si è tradotto nella norma;
b) l’immobile ammetteva la sola destinazione (omissis) (terziario), formalmente distinta dalla destinazione (omissis);
c) qualunque cosa possa dire una fonte subordinata come il regolamento edilizio, l’edificio non era suscettibile di utilizzo a fini ricettivi, anche perché il giudice amministrativo può conoscere d’ufficio della legittimità dei regolamenti e, occorrendo, disapplicarli (cfr. in termini complessivi di rapporto tra fonti di grado diverso Cons. Stato, sez. IV, 6 dicembre 2013, n. 5822 e da ultimo, riguardo alla relazione fra regolamento e legge, ma con affermazioni utilizzabili in chiave generale, Cons. Stato, sez. V, 28 settembre 2016, n. 4009);
d) tale conclusione è conforme anche al precedente della Sezione, discusso dalle parti (n. 4305/2015) che, seppur senza esaminare dettagliatamente tutti i profili qui evocati, ha ritenuto ammissibile per l'”edificio storico testimoniale”, nelle condizioni date, la destinazione (omissis)ommerciale, compresa la somministrazione al pubblico di cibi e bevande, non quella ricettiva.
17. Non tutte le d.i.a. contestate implicano modifiche della destinazione d’uso. Peraltro, il carattere unitario dell’atto impugnato comporta che all’acclarata illegittimità debba far seguito l’annullamento integrale, salvo quello che eventualmente si dirà all’esito dell’esame dell’appello incidentale e delle difese pregiudiziali del Comune.
18. Restano assorbiti i motivi ulteriori dell’appello, tenuto conto dei principi elaborati dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato con la sentenza 27 aprile 2015, n. 5.
19. Occorre dunque passare all’esame dell’appello incidentale, il quale sostiene l’inammissibilità dei ricorsi di primo grado per tre ragioni: I) struttura del ricorso come impugnativa di concessione edilizia; II) genericità delle censure; III) giudicato formatosi sulla questione degli scarichi (ex Cons. Stato n. 1936/2014).
19.1. La seconda censura di inammissibilità è essa stessa inammissibile per genericità e comunque smentita dalla lettura degli atti, in quanto i ricorsi di primo grado come pure il presente appello principale appaiono adeguatamente specifici e dettagliati.
19.2. La terza riguarda un profilo particolare e limitato della controversia e, a fronte della acclarata globale illegittimità del provvedimento comunale, non è sorretta da un interesse concreto e attuale.
19.3. L’eccezione di inammissibilità sub I) è infondata.
19.3.1. Gli appellanti incidentali richiamano una decisione di questo Consiglio di Stato (sez. V, 25 luglio 2014, n. 3964) secondo cui:
a) l’esercizio del potere di autotutela amministrativa mediante annullamento costituisce espressione di un potere di merito, incoercibile da parte del giudice amministrativo;
b) sebbene l’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 abbia disciplinato i presupposti e le forme dell’annullamento d’ufficio, non è stata tuttavia modificata la natura di detto potere, che non è stato trasformato da discrezionale in obbligatorio;
c) rispetto all’esercizio di tale potere non è configurabile un obbligo di provvedere, essendo l’Amministrazione titolare di un potere di merito, che si esercita previa valutazione delle ragioni di pubblico interesse, insindacabile da parte del giudice, con la conseguenza che la richiesta del privato, rivolta all’Amministrazione, di esercizio dell’autotutela è una mera denuncia con funzione sollecitatoria, che non fa sorgere un obbligo di provvedere;
d) l’interessato non può impugnare l’eventuale risposta negativa che l’Amministrazione, come nel caso di specie, fornisca alla sua istanza sollecitatoria ritenendo gli atti legittimi, senza esprimere alcuna ulteriore considerazione e senza rivalutare gli interessi pubblici coinvolti, perché: I) ciò determinerebbe l’inammissibile elusione dei termini di decadenza previsti per impugnare gli atti e i provvedimenti amministrativi e comunque per esperire i rimedi previsti dalla legge, con lesione del fondamentale interesse alla certezza e stabilità dei rapporti giuridici; II) l’annullamento in autotutela è legato a una pluralità di presupposti (le ragioni di interesse pubblico, la comparazione degli interessi coinvolti, la tempestività) e non alla sola illegittimità dell’atto.
19.3.2. Il Collegio è dell’avviso che tale precedente (concernente un diniego di annullamento in autotutela di un’ordinanza di acquisizione dell’area di sedime in cui erano state realizzate opere abusive) non sia spendibile nella materia edilizia, nella quale trova ora applicazione l’art. 19, comma 6 ter, della legge n. 241 del 1990.
19.3.3. Il comma 6 ter stabilisce:
“La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”.
19.3.4. Adottando una soluzione diversa da quella che era stata tracciata dall’Adunanza plenaria (29 luglio 2011, n. 15), il legislatore ha accordato al terzo, che si ritenga leso da una d.i.a. o una s.c.i.a., un rimedio che consiste nel potere di stimolare l’esercizio dei poteri di autotutela dell’Amministrazione, dando luogo a uno schema che diverge da quello ordinario in cui l’avvio del procedimento e l’adozione del provvedimento sono totalmente rimessi alla discrezionalità dell’Amministrazione stessa (cfr. sez. IV, 14 marzo 2016, n. 1012), perché nel caso di specie l’istanza del privato costituisce in capo al Comune l’obbligo di procedere e quello di provvedere (messi in evidenza da T.A.R. Veneto n. 230/2013).
19.3.5. Sostenere la non impugnabilità del provvedimento di archiviazione, d’altronde, significherebbe negarne la natura di atto di conferma in senso proprio, come tale autonomamente suscettibile di essere oggetto di ricorso (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 giugno 2008, n. 2914; e v. anche sez. II, parere 13 giugno 2013, n. 2733, nonché T.A.R. Lombardia, sez. II, 30 novembre 2016, n. 2274, citata proprio dagli appellanti incidentali).
19.3.6. A questo proposito, va ricordata la costante giurisprudenza elaborata in tema di atto di conferma.
19.3.7. Allo scopo di stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio (e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini), occorre verificare se l’atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e, se del caso, una nuova ponderazione degli interessi. In particolare, non può considerarsi meramente confermativo rispetto ad un atto precedente l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può condurre a un atto propriamente confermativo in grado, come tale, di dare vita ad un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione. Ricorre invece l’atto meramente confermativo quando l’Amministrazione si limita a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2014, n. 1805; sez. IV, 12 febbraio 2015, n. 758; sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 812; sez. IV, 12 ottobre 2016, n. 4214; sez. IV, 27 gennaio 2017, n. 357).
19.3.8. Nella vicenda, il provvedimento n. 14486/2013 è stato adottato “vista la “Relazione su attività di verifica (art. 19, co. 6 bis Legge 241/90) redatta dal Responsabile del Procedimento”, dunque in base a una nuova istruttoria. Il che è sufficiente a renderlo impugnabile.
19.3.9. Il rischio di elusione dei termini previsti per esperire i rimedi di legge, evocato dai privati resistenti sulla scorta della citata decisione del Consiglio di Stato n. 3964/2014, avrebbe dovuto essere opposto alla sentenza del T.A.R. Veneto n. 230/2013, rimasta invece inappellata, che ha stabilito l’obbligo per il Comune di provvedere.
20. Pur non proponendo formalmente appello incidentale, ma sempre in via pregiudiziale, il Comune di (omissis) oppone l’effetto preclusivo che, rispetto all’attuale gravame, si sarebbe prodotto per effetto di numerose, precedenti decisioni del T.A.R. per il Veneto.
20.1. L’eccezione non ha pregio in quanto le sentenze in questione, pur riguardando la medesima controversia, hanno pronunziato su aspetti diversi da quelli ora in esame, e cioè:
a) sull’obbligo del Comune di provvedere sull’istanza della signora Za. (n. 230/2013, cit.);
b) sulla inammissibilità dell’azione di accertamento dell’illegittimità e dell’azione di annullamento delle d.i.a. per effetto dei mutamenti legislativi intervenuti (n. 535/2013);
c) sulla insussistenza di un’inerzia del Comune a fronte del provvedimento adottato (nn. 1358, 1359, 1360, 1361 e 1362/2013);
d) sulla legittimità dell’autorizzazione provvisoria allo scarico delle acque reflue domestiche (n. 615/2013, la sola di accoglimento del ricorso proposto dalla odierna appellante, peraltro rigettato a seguito della riforma disposta da Cons. Stato, sez. V, n. 1936/2014, cit.).
21. Dalle considerazioni che precedono discende, appunto, che l’appello principale è fondato, mentre è infondato l’appello incidentale. L’appello principale va pertanto accolto, con riforma della sentenza impugnata e accoglimento dei ricorsi introduttivi dei giudizi di primo grado.
22. Sono ovviamente salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione che, in sede di riedizione del potere, dovrà valutare, nello specifico, anche il punto dell’affermata formazione del giudicato sulla questione degli scarichi e, in generale, la sussistenza di tutti i presupposti cui l’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 subordina il legittimo esercizio dell’annullamento in autotutela.
22.1. A questa conclusione non si può opporre, come fa l’appellante, che la natura del potere esercitato dal Comune in un procedimento avviato su istanza del terzo interessato sarebbe qualitativamente diversa da quella spesa in un procedimento d’ufficio e dovrebbe essere limitata a valutare la legittimità dell’atto contestato, perché la fattispecie prevista dall’art. 19, comma 6 ter, della legge n. 241/1990 sarebbe ben distinta da quella del precedente comma 4.
22.2. Il Collegio è invece dell’avviso che, rispetto allo schema generale dell’art. 21 nonies, la differenza possa essere solo in ciò che – come anche prima detto – sull’istanza del privato volta ad attivare la procedura di annullamento di ufficio l’Amministrazione abbia non facoltà (come è la regola generale), ma obbligo di provvedere.
22.3. Quanto ai rimanenti aspetti, il provvedimento repressivo della d.i.a. (o della s.c.i.a.) è in ogni caso un atto di autotutela (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2015, n. 1493; sez. VI, 28 giugno 2016, n. 2842) adottato all’esito di un procedimento di secondo grado, necessariamente soggetto all’osservanza dei limiti e al rispetto dei presupposti (le ragioni di interesse pubblico, la comparazione degli interessi coinvolti, la tempestività e non la sola illegittimità dell’atto) che l’art. 21 nonies pone a garanzia dell’interesse generale (v. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 27 gennaio 2017, n. 341).
23. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, cfr. Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).
24. La complessità della vicenda giustifica la compensazione fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
a) accoglie l’appello principale;
b) rigetta l’appello incidentale;
c) per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie i ricorsi di primo grado, annullando l’atto impugnato con salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione comunale secondo quanto meglio esposto in motivazione;
d) compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Oberdan Forlenza – Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Giuseppe Castiglia –
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