Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 9 ottobre 2015, n. 4680

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE TERZA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 663 del 2010, proposto da:

-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avv. An.Ba., con domicilio eletto presso Ro.Ro. in Roma, Via (…);

contro

Ministero dell’Interno, per legge rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, Via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA – GENOVA: SEZIONE II n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente rigetto istanza di riconoscimento equo indennizzo

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 maggio 2015 il Cons. Alessandro Palanza; nessuno essendo presente per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso notificato in data 8.10.2008 la signora -OMISSIS-, vedova dell’Ispettore superiore della Polizia di Stato -OMISSIS-, impugnava davanti al Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria il provvedimento n. -OMISSIS-, con il quale il Ministero dell’Interno aveva negato il riconoscimento dell’interdipendenza della morte del coniuge (avvenuta per diffusione -OMISSIS-) con l’infermità sofferta in vita (segni di -OMISSIS-) e già riconosciuta dipendente da causa di servizio, nonché il riconoscimento dell’equo indennizzo. Il diniego impugnato è motivato dall’intempestività della domanda, presentata in data 31.5.2005, cioè oltre sei mesi dal decesso del marito, avvenuto in data 9 luglio 2004, in violazione del termine di cui all’art. 2 del D.P.R. 29.10.2001, n. 461.

2. – La sentenza, dopo aver esaminato la normativa di cui all’art. 2 del D.P.R. n. 461/2001 e le circostanze nel caso di specie, conferma la valutazione dell’Amministrazione in ordine alla tardività della domanda di riconoscimento della interdipendenza con le infermità sofferte in vita (segni di -OMISSIS-) del decesso dell’Ispettore superiore -OMISSIS-, rilevando che, nel precedente invocato dalla parte – nel quale lo stesso TAR per la Liguria si era pronunciato a favore del ricorrente nei confronti della medesima Amministrazione – era pacifico che la domanda per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità che aveva determinato il decesso fosse stata tempestiva rispetto alla data dello stesso. In quel caso quindi la tempestività o meno della separata domanda di equo indennizzo (formulata in data 16.6.1996) andava stimata – secondo i principi generali sopra richiamati – non già rispetto alla data del decesso (20.7.1994), bensì rispetto a quella (8.2.1996), successiva, del parere positivo espresso dalla Commissione medica ospedaliera circa la dipendenza da causa di servizio.

La sentenza conclude osservando che, nel caso al suo esame, si tratta invece di riconoscimento della causa di servizio che doveva necessariamente essere presentata entro sei mesi dal decesso. Piuttosto che indagare in proprio sulle cause del decesso, incaricando un medico legale di fiducia, era pertanto onere della parte, promuovere, entro sei mesi dalla morte del marito, l’apposito sub-procedimento per il riconoscimento della causa di servizio rimesso alla competenza della commissione medica ad hoc (art. 6 D.P.R. n. 461/2001), a conclusione del quale ben avrebbe potuto domandare, entro ulteriori sei mesi, la concessione dell’equo indennizzo, senza incorrere in decadenza alcuna. Il termine semestrale di decadenza è infatti posto a presidio dell’interesse pubblico alla verificabilità, entro termini congrui e ragionevoli, della dipendenza da causa di servizio ad opera dell’apposita Commissione.

3. – Con l’atto di appello l’appellante sostiene che la sentenza appellata ha interpretato la normativa applicabile in senso restrittivo ossia non considerando che il termine per la presentazione della domanda decorre da quello della conoscibilità per l’interessato della dipendenza, come per i suoi eredi. Il legislatore infatti non ha inteso fare riferimento al momento della infermità o lesione, ai fini della decorrenza del termine. Altrimenti non avrebbe fatto riferimento anche all’”aggravamento”, inteso come patologia diversa, ma causalmente riconducibile, per nesso causa-effetto, ad altra patologia. Tale nesso deve essere effettivamente conosciuto dalla parte interessata per far decorrere il termine.

4. – L’Amministrazione appellata resiste mediante argomentato controricorso a sostegno della sentenza del TAR, che ha dato conto della piena correttezza dell’atto impugnato, con chiara e sufficiente motivazione basata sullo specifico disposto normativo. La domanda relativa alla interdipendenza del decesso con infermità sofferta in vita e già riconosciuta come dipendente da causa di servizio e quella per la concessione dell’equo indennizzo possono essere proposte – come nel caso di specie – separatamente. In tal caso quella anteriore (e pregiudiziale) di riconoscimento della causa di servizio deve essere proposta secondo la regola generale, entro sei mesi dal decesso, salva la possibilità di presentare istanza di concessione dell’equo indennizzo non oltre il termine di sei mesi dalla data di notifica o comunicazione del provvedimento di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità, della lesione o del decesso denunciati. In tal senso deve intendersi quella giurisprudenza secondo la quale il termine perentorio semestrale per proporre la domanda di concessione dell’equo indennizzo decorre dalla data di presa visione del verbale della Commissione medico-ospedaliera contenente il riconoscimento della dipendenza della menomazione da causa di servizio.

L’Amministrazione deposita successivamente, in data 6 maggio 2011, una nota del Dipartimento della Pubblica sicurezza del Ministero, per precisare che, nel caso dell’aggravamento di una preesistente infermità, anche gli eredi avrebbero dovuto presentare la relativa istanza entro sei mesi dalla data del decesso che deve considerarsi come data di conoscenza della lesione di aggravamento. In data 31 maggio 2012 viene depositata una seconda nota dello stesso Dipartimento per segnalare la sentenza del Consiglio di Stato – Sezione VI – 18 agosto 2010 n. 5888, nella quale si afferma che, al pari di quanto previsto dal comma 1, dell’art. 2 del D.P.R. n. 461/2001 per la domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, anche la domanda di concessione dell’equo indennizzo deve essere presentata (ex comma 5 del medesimo articolo 2) entro e non oltre il termine decadenziale di sei mesi dalla data del decesso.

5. – L’appellante, in vista della udienza, presenta una articolata memoria, nella quale ribadisce che il termine di decadenza non può non decorrere dalla data di conoscenza o conoscibilità della interdipendenza causale tra l’infermità già riconosciuta come causa di servizio e il decesso. Ciò sia in base a principi generali sia in base alla normativa di cui all’art. 2 del D.P.R. n. 461/2001. La regola del decorso del termine dalla conoscenza della infermità o lesione prevista esplicitamente per il dipendente dal comma 1 del citato at. 2 deve infatti applicarsi nello stesso modo al caso di cui al comma 5 del medesimo articolo 2 in cui la domanda viene presentata dai congiunti. Pertanto l’automatismo tra decesso e decorso del termine posto alla base della motivazione della sentenza è del tutto illegittimo. Secondo l’appellante la evoluzione della giurisprudenza costituzionale successiva al 2008 nella materia della causa di servizio conferma tale interpretazione delle norme in questione come l’ unica possibile in via costituzionalmente orientata. Con la sentenza n. 323 del 2008 infatti la Corte Costituzionale è intervenuta a dichiarare la incostituzionalità della analoga norma prevista dall’art. 169 del D.P.R. 092/1973, parallela a quella dell’art. 2 del D.P.R. n. 461/01. L’art. 169 appena citato poneva un termine di decadenza (tra l’altro, ben più agevole, anni 5 dal congedo) per la domanda di un altro beneficio conseguente alla dipendenza da causa di servizio, quello della pensione di privilegio, laddove essa fissa la decorrenza di tale termine dalla data del congedo, in luogo che dalla data della diagnosi, argomentando in relazione al principio per cui un diritto non si può mai prescrivere prima di poter essere esercitabile. La Corte Costituzionale si muove sulla stessa linea con la recentissima sentenza n. 43/2015. Nel caso in esame è pacifico che l’appellante ha formulato domanda di equo indennizzo entro i sei mesi dalla conoscenza della sua interdipendenza con la patologia -OMISSIS- precedentemente riconosciuta come dipendente da causa di servizio. La giurisprudenza Costituzionale dimostra che una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2 del D.P.R. n. 461/2001 comporta che il termine semestrale per la domanda di riconoscimento della interdipendenza causale deve decorrere dal momento in cui si abbia la conoscenza o soggettiva conoscibilità del nesso causale stesso, e cioè dal momento in cui si siano conosciuti tutti gli elementi che entrano a supportare la domanda (diagnosi, gravità e eziopatogenesi della patologia). Costituisce una ulteriore conferma di ciò la giurisprudenza del Consiglio di Stato, che ha interpretato il D.P.R. n. 461 nel senso di far decorrere il termine dalla comunicazione del parere della CMO (che secondo lo stesso decreto è oggi competente ad accertare solo la eziopatogenesi e non la causa di servizio) e quindi dal momento della esatta conoscenza della patologia di cui si tratta (CdS – Sez V – 28 marzo 2008, n. 1298). Tutto ciò vale a maggior ragione nel caso di decesso dovuto a patologie tumorali per le quali la causa di insorgenza è incerta e sottoposta a successivi accertamenti. Nella fattispecie in esame, l’Amministrazione non ha tenuto in alcun conto la natura -OMISSIS- della patologia, individuando il dies a quo in quello del decesso, cosa assolutamente inconcepibile in una patologia -OMISSIS-, la cui eziologia non può certo individuarsi ictu oculi. Tanto meno era intuibile il collegamento alla precedente -OMISSIS-, conosciuto dall’appellante solo in base ad un’articolata relazione dell’Università degli studi di Ferrara da lei stessa richiesta. Lo stesso art. 2 del citato D.P.R. n. 461 richiede al comma 1 che la parte, nel far domanda, indichi specificatamente “la natura dell’infermità o lesione, i fatti di servizio che vi hanno concorso e, ove possibile, le conseguenze sull’integrità fisica, psichica, sensoriale e sull’idoneità al servizio, allegando ogni documento utile”. La legge stessa quindi esige per la decorrenza del termine la conoscenza della patologia e non il mero sospetto.

6. – La causa è stata chiamata ed è passata in decisione alla udienza pubblica del 20 maggio 2015.

7. – L’appello è infondato.

7.1. – Deve essere in primo luogo precisato l’ambito della presente controversia. L’ampia argomentazione svolta dall’appellante soprattutto con la memoria conclusiva e il supporto di ampi riferimenti alla più recente giurisprudenza costituzionale e amministrativa, è riconducibile ad un solo motivo di appello identico all’ unico argomento dei due motivi del ricorso in primo grado (violazione di legge e difetto di motivazione – per questa ragione la pur vastamente argomentata memoria da ultimo depositata rientra nei limiti di cui all’art. 104 c.p.a.). Tale argomento non ha che fare con la distinzione e la connessione tra la procedura per la richiesta dell’equo indennizzo e quella per il riconoscimento della interdipendenza con la preesistente infermità, su cui si diffondono la sentenza e le memorie dell’Amministrazione (e che non ha nel caso in esame alcun rilievo visto che è pacifico per le parti che il riconoscimento della interdipendenza è il presupposto per la richiesta contestuale o successiva dell’equo indennizzo). Non è neppure in contestazione in questo giudizio la natura perentoria e tassativa del termine di 6 mesi per la presentazione della domanda di riconoscimento della interdipendenza, di cui qui si discute. La controversia verte esclusivamente sul termine a quo per la decorrenza di tale termine. Il ricorrente in primo grado e poi l’appellante in primo grado negano che esso possa decorrere dal decesso come richiesto dal comma 5 dell’art. 2 per la richiesta di equo indennizzo, se manca la effettiva conoscenza della patologia e del nesso causale con l’evento dannoso.

7.2. – In secondo luogo deve essere precisato che il provvedimento impugnato respinge per tardività della domanda sia la richiesta di riconoscimento della interdipendenza causale con la precedente infermità sia la richiesta di equo indennizzo, che sono state evidentemente presentate contestualmente e non separatamente come si afferma diffusamente agli atti e nella stessa sentenza del TAR. In effetti le disposizioni del comma 5 lasciano presupporre che, senza escludere l’altra procedura, in caso di decesso la richiesta di equo indennizzo sia almeno di norma contestuale di causa di servizio, dato che gli eredi possono avanzare proprie autonome richieste solo con riferimento all’equo indennizzo con necessaria e contestuale domanda di riconoscimento di causa di servizio. Neppure questo aspetto di mera esegesi normativa è rilevante ai fini della controversia in esame, che ha altro e ed unico oggetto relativo alla decorrenza del termine di 6 mesi dal decesso ovvero, come sostenuto dalla parte appellante, dal momento in cui si acquisisce la piena conoscenza della parte interessata circa la interdipendenza causale tra l’infermità già riconosciuta come causa di servizio e il decesso stesso.

7.3. – Non è pertanto contestato dall’appellante il carattere perentorio e tassativo del termine di 6 mesi, previsto dall’ art. 2, comma 5, del D.P.R n. 461/2001. L’appellante sostiene piuttosto che tale termine deve applicarsi allo stesso modo dell’analogo termine di 6 mesi previsto dal comma 1, terzo periodo, per il dipendente, per il quale si precisa che esso decorre dalla data in cui si è verificato l’evento dannoso o da quella in cui ha avuto conoscenza della infermità della lesione o dell’aggravamento. L’appellante sostiene infatti che nel suo caso non sussistevano le condizioni di conoscenza o di conoscibilità della interdipendenza causale tra l’infermità già riconosciuta come causa di servizio con la preesistente patologia che aveva già dato luogo al riconoscimento della causa di servizio, osservando conseguentemente che per il dipendente la effettiva conoscenza è esplicitamente prevista dal comma 1 del più volte citato art. 2 come condizione per il decorso del termine e quindi la stessa condizione deve essere riconosciuta anche ai suoi eredi che agiscono in analoghe circostanze al suo posto, con analoga interpretazione delle disposizioni di cui al comma 5.

7.4. – Ad avviso di questo Collegio un’attenta lettura dell’art. 2 del citato D.P.R. n. 461 consente di escludere qualsiasi disarmonia normativa nel regime normativo riservato agli eredi rispetto a quello previsto per il dipendente. Deve invece affermarsi che in tutti i casi il termine decorre dal manifestarsi dell’evento dannoso o dalla conoscenza dell’infermità, della lesione o dell’aggravamento, tutte evenienze che in caso di richiesta da parte degli eredi connessa al decesso coincidono con quest’ultimo. Se si esaminano dettagliatamente le disposizioni del citato art. 2 che riguardano termini tra loro analoghi si nota che:

– il comma 1 prevede che: “la domanda, ai fini della concessione dei benefici previsti da disposizioni vigenti, deve essere presentata dal dipendente entro sei mesi dalla data in cui si è verificato l’evento dannoso o da quella in cui ha avuto conoscenza dell’infermità o della lesione o dell’aggravamento”;

– il comma 2 precisa che la disposizione di cui al comma 1 si applica anche quando la menomazione dell’integrità fisica si manifesta dopo la cessazione del rapporto d’impiego, precisando che anche in questo caso il termine decorre dal manifestarsi della menomazione e quindi dall’evento dannoso;

– il comma 5 non fa che applicare la stessa logica al caso degli eredi che intervengono al posto dell’interessato in caso di morte facendo decorrere il termine dal manifestarsi dell’evento dannoso ovvero dal manifestarsi della infermità o della menomazione, tutte evenienze che corrispondono e coincidono con il decesso, da cui decorre il termine;

– il comma 6 precisa ulteriormente la stessa regola per il caso in cui subentri successivamente una determinata menomazione in conseguenza dall’infermità o lesione già riconosciuta dipendente da causa di servizio, determinando la decorrenza del termine dal momento in cui la menomazione si manifesta.

7.5. – In ciascun caso quindi il termine decorre dal momento in cui si manifesta l’infermità la lesione o la menomazione per la quale si suppone la esistenza di una causa di servizio o, allo stesso modo, la interdipendenza con una precedente causa di servizio già riconosciuta, come avviene nel caso in esame con la conseguenza estrema della morte.

7.6. – Questa più precisa ed omogenea lettura delle disposizioni relative ai termini contenute relative all’art. 2 consente di impostare in modo corretto la questione di fondo posta dall’appellante che ritiene che nel caso in esame difetti la conoscenza o soggettiva conoscibilità del nesso causale, spingendo questa tesi fino a far decorrere il termine dal momento dal momento in cui si siano conosciuti tutti gli elementi che entrano a supportare la domanda (diagnosi, gravità e eziopatogenesi della patologia). Nei suddetti termini tale tesi contrasta frontalmente con la normativa che richiede esplicitamente per la decorrenza solo la manifestazione dell’evento dannoso, e non il compimento da parte del soggetto interessato di un’indagine in merito ad esso, che spetta invece all’autorità amministrativa investita dall’istanza. Si deve quindi senz’altro escludere che la parte possa o addirittura debba acquisire autonomamente e preventivamente i termini relativi a diagnosi, gravità e eziopatogenesi della patologia e quindi attendere il compimento di queste autonome acquisizioni. La legge dice con chiarezza il contrario e che il termine decorre dall’evento e dal primo manifestarsi della sintomatologia dannosa della menomazione o della morte. La interpretazione proposta dall’appellante non può quindi essere accolta, perché vanificherebbe del tutto la funzione del termine stabilito dalla legge dal momento che, al di fuori dei casi di eventi traumatici puntuali, per ogni altra infermità il termine a quo diventerebbe del tutto incerto e dipendente da attività che la stessa parte dovrebbe svolgere e da quando decide di svolgerle e portarle a compimento. Bisognerebbe paradossalmente attendere che la parte compia autonomamente gli stessi accertamenti che poi dovrà compiere l’autorità amministrativa per verificare la sussistenza della causa di servizio.

7.7. – Detto questo, vi sono tuttavia casi – diversi da quello in esame come si preciserà più avanti – in cui la tesi interpretativa dell’appellante ha invece un fondamento e per i quali potrebbe soccorrere la interpretazione integrativa e costituzionalmente orientata da lui invocata. Va infatti considerata l’evenienza che la connessione con cause di servizio non sia percepibile e cioè non sia plausibile e nemmeno ipotizzabile al momento dell’evento dannoso e sorga quindi anche in termini ipotetici solo successivamente, per fatti sopravvenuti e non prevedibili. In tale caso sarebbe certamente invocabile il principio di buona fede e quello per il quale un diritto non si può mai prescrivere prima di essere esercitabile. In tali casi devono applicarsi superiori principi generali al fine di interpretare le norme del comma 1 e del comma 5 del citato D.P.R. n. 461 nel senso che, se l’evento dannoso al momento del suo verificarsi non era neppure astrattamente conoscibile quanto alle possibili connessioni con una anche potenziale causa di servizio, il termine decorre solo dal momento in cui questa conoscenza minima e indispensabile viene acquisita dalla parte.

7.8. – Nel caso in esame deve escludersi che una ipotesi anche lontanamente simile a quella sopra raffigurata si sia verificata dato il fatto che le due patologie erano certamente contigue e ricollegabili secondo dati di comune esperienza. Lo dimostra anche la esigenza avvertita dalla stessa appellante di definire con la figura dell’aggravamento il rapporto di interdipendenza tra infermità già riconosciuta al marito ai fini della causa di servizio e il successivo decesso per malattia connessa alla precedente. Si deve pertanto escludere che la connessione dell’evento dannoso con la precedente infermità e quindi con la causa di servizio già riconosciuta non fosse ipotizzabile al punto da non far decorrere il termine.

7.9. – Vanno quindi pienamente confermate le considerazioni conclusive del TAR che questo collegio fa proprie: “…era onere della ricorrente, piuttosto che indagare in proprio sulle cause del decesso incaricando un medico legale di fiducia, promuovere, entro sei mesi dalla morte del marito, l’apposito subprocedimento per il riconoscimento della causa di servizio rimesso alla competenza di una commissione medica ad hoc (art. 6 del D.P.R. n. 461/2001), a conclusione del quale ben avrebbe potuto domandare, entro ulteriori sei mesi, la concessione dell’equo indennizzo, senza incorrere in decadenza alcuna (…). Il termine semestrale di decadenza di cui all’art. 2 D.P.R. n. 461/01 è posto infatti a presidio dell’interesse pubblico alla verificabilità, entro termini congrui e ragionevoli, della dipendenza da causa di servizio ad opera dell’apposita commissione: opinare diversamente, nel senso che sia sufficiente a salvare dalla decadenza l’esito di una perizia privata promossa in qualsiasi tempo dall’interessato, significherebbe svuotare di utilità il termine di legge, rimettendolo sostanzialmente nella completa disponibilità del richiedente.”

8. – In base alle considerazioni che precedono l’appello deve essere respinto e la sentenza del TAR confermata anche nelle sue motivazioni con le integrazioni rese necessarie dall’approfondimento dei motivi di appello.

9. – In relazione alla natura della questione e alle ragioni della decisione, si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

respinge l’appello.

Spese compensate per il presente grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonchè di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque citate nel provvedimento.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente

Angelica Dell’Utri – Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere

Alessandro Palanza – Consigliere, Estensore

Pierfrancesco Ungari – Consigliere

Depositata in Segreteria il 9 ottobre 2015.

 

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