Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 8 marzo 2017, n. 1109

È legittima un’informativa antimafia interdittiva che aveva comportato la revoca della “licenza sanitaria d’uso” per “l’esercizio dell’attività di produzione di carta e cartotecnica”. La sentenza ha motivato che il Codice delle leggi antimafia (d.lgs. 159/2011) prevede l’applicazione dell’informativa antimafia anche ai provvedimenti di autorizzazione

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 8 marzo 2017, n. 1109

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4598 del 2016, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Lo. Le., con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Gi. Pl. in Roma, via (…);

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, ed U.T.G. – Prefettura di Napoli, in persona del Prefetto pro tempore, entrambi rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

Comune di (omissis) (NA), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Er. Fu., con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Do. Fu. Gu. in Roma, viale (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, sez. I, n. 103 del 12 gennaio 2016, resa tra le parti, concernente la revoca della licenza sanitaria d’uso per l’esercizio di carta e cartotecnica, da parte del Comune di (omissis) (NA), a seguito di informativa antimafia emessa dalla Prefettura di Napoli nei confronti di -OMISSIS-

visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, dell’U.T.G. – Prefettura di Napoli e del Comune di (omissis) (NA);

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2017 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per -OMISSIS-, odierna appellante, l’Avvocato Lo. Le. e, per il Ministero dell’Interno e l’U.T.G. – Prefettura di Napoli, Amministrazioni appellate, l’Avvocato dello Stato Ag. So.;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. -OMISSIS-, impresa cartiera ed odierna appellante, è stata attinta da una informativa antimafia a carattere interdittivo, prot. n. 28203 del 5 marzo 2015, emessa dalla Prefettura di Napoli sulla base dei seguenti elementi:

a) la conferma, in grado di appello, della condanna emessa dal Tribunale penale di Napoli, in danno del socio -OMISSIS-, per il reato di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006;

b) il controllo dei fratelli, -OMISSIS- e -OMISSIS-, nell’aprile 2013, in occasione di un incontro di calcio svoltosi a (omissis) (FI), con -OMISSIS-, coinvolto, nel corso del 2014, in un procedimento penale per il reato di cui all’art. 12-quinquies della l. n. 306 del 1992, aggravato dal metodo mafioso;

c) la denuncia di un sindaco supplente della società, -OMISSIS-, risalente al 2013, per il reato di cui all’art. 12-quinquies della l. n. 306 del 1992.

1.1. Il Comune di (omissis) (NA), sulla base di tale informativa, ha disposto automaticamente, con nota dirigenziale prot. n. 17185 del 4 agosto 2015, la revoca della licenza sanitaria d’uso, rilasciata alla -OMISSIS-, per l’esercizio dell’attività di produzione di carta e cartotecnica.

1.2. Avverso il provvedimento di revoca comunale e la presupposta informativa antimafia del Prefetto di Napoli l’odierna appellante, -OMISSIS-, ha proposto ricorso avanti al T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, lamentando sia l’illegittimità dell’estensione degli effetti interdittivi, discendenti dall’informativa, alla materia delle autorizzazioni, realizzatasi con la revoca della licenza da parte del Comune di (omissis), sia l’assenza dei presupposti previsti dagli artt. 84 e 91 del d.lgs. n. 159 del 2011 per emettere l’informativa antimafia ed articolando, così, molteplici motivi di censura, e ne ha chiesto, previa sospensione, l’annullamento.

1.3. Si sono costituiti nel primo grado del giudizio il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Napoli e il Comune di (omissis) (NA) per resistere al ricorso ex adverso proposto.

1.4. Sono altresì intervenuti ad adiuvandum -OMISSIS-., in qualità di impresa legata da rapporti di fornitura con la ricorrente, nonché i dipendenti di quest’ultima, aderendo in entrambi i casi alle doglianze del ricorso.

1.5. Con la sentenza n. 103 del 12 gennaio 2016 il T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, ha respinto il ricorso e ha compensato le spese di lite.

2. Avverso tale sentenza ha proposto appello -OMISSIS- e, articolando quattro distinte censure, ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma, con conseguente annullamento dell’informativa antimafia impugnata in primo grado.

2.1. Si sono costituiti il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Napoli e il Comune di (omissis) (NA) per resistere al ricorso.

2.2. Con l’ordinanza n. 4366 del 3 ottobre 2016 il Collegio, pur evidenziato la delicatezza, anche sul piano costituzionale, delle questioni sollevate (in particolare quelle dedotte con il primo motivo, inerente all’applicazione delle informative antimafia agli atti di natura autorizzatoria), ha respinto la domanda cautelare proposta dall’appellante.

2.3. Infine nell’udienza del 2 febbraio 2017 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

3. L’appello è infondato e deve essere respinto.

4. Con il primo motivo di appello (pp. 4-14 del ricorso), che ha indubbia centralità nell’impostazione del gravame, -OMISSIS- contesta fermamente che, sulla base delle disposizioni della legge delega (l. n. 136 del 2010) e dell’attuale codice delle leggi antimafia (d.lgs. n. 159 del 2011), le informative antimafia possano esplicare il loro effetto interdittivo sulle autorizzazioni, come è avvenuto nel caso di specie, e al di fuori, quindi, dell’ambito applicativo proprio delle informative stesse (contratti, concessioni, elargizioni e contributi), perché vigerebbe in materia un rigido sistema di alternatività tra le comunicazioni e le informazioni antimafia, che non consente a queste ultime di operare in un campo applicativo, quello delle autorizzazioni, riservato a provvedimenti tipici, come le misure di prevenzione adottate dal Tribunale in via definitiva, e alle conseguenti comunicazioni antimafia, pena l’incostituzionalità di un siffatto sistema per violazione, quantomeno, dell’art. 41 Cost.

4.1. In tale prospettiva, deduce l’appellante, anche l’art. 89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011, introdotto nel 2014, si porrebbe in contrasto con il regime di alternatività voluto dalla legge delega in violazione dell’art. 76 Cost., oltre che con l’art. 41 Cost., e creerebbe un grave vulnus al sistema di garanzie che presidia la prevenzione antimafia alla libertà di impresa privata.

5. Il motivo, pur nella sua complessa articolazione, non merita accoglimento.

6. La disciplina dettata dal d.lgs. n. 159 del 2011 (c.d. codice delle leggi antimafia) consente, al contrario di quanto assume l’appellante, l’applicazione delle informazioni antimafia anche ai provvedimenti a contenuto autorizzatorio.

6.1. La tendenza del legislatore muove, in questa materia, verso il superamento della rigida bipartizione e della tradizionale alternatività tra comunicazioni antimafia, applicabili alle autorizzazioni, e informazioni antimafia, applicabili ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni.

6.2. Il più risalente riparto dei rispettivi ambiti di applicazione, tipico della legislazione anteriore al nuovo codice delle leggi antimafia (d.lgs. n. 159 del 2011), si è rilevato inadeguato ed è entrato in crisi a fronte della sempre più frequente constatazione empirica che la mafia tende ad infiltrarsi, capillarmente, in tutte le attività economiche, anche quelle soggetto a regime autorizzatorio (o a s.c.i.a.), e che un’efficace risposta da parte dello Stato alla pervasività di tale fenomeno criminale rimane lacunosa, e finanche illusoria nello stesso settore dei contratti pubblici, delle concessioni e delle sovvenzioni, se la prevenzione del fenomeno mafioso non si estende al controllo e all’eventuale interdizione di ambiti economici nei quali, più frequentemente, la mafia si fa, direttamente o indirettamente, imprenditrice ed espleta la propria attività economica.

6.3. L’esperienza ha mostrato, infatti, che in molti di tali settori, strategici per l’economia nazionale (l’edilizia, le grandi opere pubbliche, lo sfruttamento di nuove fonti energetiche, gli scarichi delle sostanze reflue industriali, le licenze sanitarie, come nel caso di specie, e persino la ricostruzione dopo i gravi eventi sismici che funestano il territorio italiano), le associazioni di stampo mafioso hanno impiegato, diretto o controllato ingenti capitali e risorse umane per investimenti particolarmente redditizi finalizzati non solo ad ottenere pubbliche commesse o sovvenzioni, ma in generale a colonizzare l’intero mercato secondo un disegno, di più vasto respiro, del quale l’aggiudicazione degli appalti o il conseguimento di concessioni ed elargizioni costituisce una parte certo cospicua, ma non esclusiva né satisfattiva per le mire egemoniche della criminalità; disegno, quello mafioso, talvolta agevolato dall’omertà, se non persino dalla collusione o dalla corruzione, dei pubblici amministratori.

6.4. La tradizionale reciproca impermeabilità tra le comunicazioni antimafia, richieste per le autorizzazioni, e le informazioni antimafia, rilasciate per i contratti, le concessioni e le agevolazioni, ha fatto sì che le associazioni di stampo mafioso potessero, comunque, gestire tramite imprese infiltrate, inquinate o condizionate da essa, lucrose attività economiche, in vasti settori dell’economia privata, senza che l’ordinamento potesse efficacemente intervenire per contrastare tale infiltrazione, al di fuori delle ipotesi di comunicazioni antimafia emesse per misure di prevenzione definitive con effetto interdittivo ai sensi dell’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011, anche quando, paradossalmente, a dette imprese fosse stata comunque interdetta la stipulazione dei contratti pubblici per effetto di una informativa antimafia.

6.5. Ciò non di rado ha condotto allo stesso aggiramento della normativa antimafia, nel suo complesso, perché l’organizzazione mafiosa, anche dopo l’interdizione di una impresa mediante una informativa, poteva (e può) servirsi di una nuova, creata ad hoc, per avviare, intanto e comunque, una nuova attività economica privata, soggetta solo al regime della comunicazione antimafia, e nuovamente concorrere alle pubbliche gare, fintantoché non venga emessa una informazione antimafia anche a carico di quest’ultima.

7. Il riordino della materia, impresso dalla legge delega, ha posto fine a molte delle gravi lacune evidenziatasi nel sistema precedente della prevenzione antimafia.

7.1. La l. n. 136 del 13 agosto 2010, intitolata «Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia», ha introdotto, nell’art. 2 che reca la specifica Delega al Governo per l’emanazione di nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, il comma 1, lett. c), il quale ha istituto la Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, con immediata efficacia delle informative antimafia negative su tutto il territorio nazionale e «con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione, finalizzata all’accelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e al potenziamento dell’attività di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa».

7.2. È evidente che l’art. 2, comma 1, lett. c) si riferisca a tutti i rapporti con la pubblica amministrazione, senza differenziare le autorizzazioni dalle concessioni e dai contratti, come fanno invece, ed espressamente, le lett. a) e b); dunque, la lettera c) si riferisce anche a quei rapporti – come nel caso di specie la licenza sanitaria d’uso revocata dal Comune di (omissis) (NA) – che, per quanto oggetto di mera autorizzazione, hanno un impatto fortissimo e potenzialmente devastante su beni e interessi pubblici, come nei casi di scarico di sostanze inquinanti o l’esercizio di attività pericolose per la salute e per l’ambiente.

7.3. Né giova replicare che l’espressione «rapporti» si riferisca solo ai contratti e alle concessioni, ma non alle autorizzazioni, che secondo una classica concezione degli atti autorizzatori non costituirebbero un “rapporto” con l’Amministrazione.

7.4. Tale conclusione non solo è smentita dal tenore letterale dell’art. 2, comma 1, lett. c), che non differenzia le une dalle altre come fanno, invece, la lett. a) e la lett. b) (che richiama la lett. a), ma anche a livello sistematico contrasta con una visione moderna, dinamica e non formalistica del diritto amministrativo, quale effettivamente vive e si svolge nel tessuto economico e nell’evoluzione dell’ordinamento, che individua un rapporto tra amministrato e amministrazione in ogni ipotesi in cui l’attività economica sia sottoposta ad attività provvedimentale, che essa sia di tipo concessorio o autorizzatorio o, addirittura soggetta a s.c.i.a., come questo Consiglio, in sede consultiva, ha chiarito nei numerosi pareri emessi in ordine all’attuazione della l. n. 124 del 1015 (v., in particolare e tra gli altri, il parere n. 839 del 30 marzo 2016 sulla riforma della disciplina della s.c.i.a.).

7.5. Di qui la legittimità, anche prima dell’introduzione dell’art. 89-bis – di cui ora si dirà – con il decreto correttivo n. 153 del 2014, disposizione, questa, fortemente contestata dalla odierna appellante, delle originarie previsioni contenute nel d.lgs. n. 159 del 2011 (Codice delle leggi antimafia) attuative dei fondamentali principî già contenuti in nuce nell’art. 2 della legge delega e, in particolare:

– dell’art. 83, comma 1, laddove prevede che le amministrazioni devono acquisire la documentazione, di cui all’art. 84, prima di rilasciare o consentire i provvedimenti di cui all’art. 67 (tra cui rientrano, appunto, le autorizzazioni di cui alla lett. f);

– dell’art. 91, comma 1, laddove prevede che detti soggetti devono acquisire l’informativa prima di rilasciare o consentire anche i provvedimenti indicati nell’art. 67;

– dell’art. 91, comma 7, che prevede che con regolamento, adottato con decreto del Ministro dell’Interno – di concerto con quello della Giustizia, con quello delle Infrastrutture e con quello dello Sviluppo Economico ai sensi dell’art. 17, comma 3, della l. n. 400 del 1988 – siano individuate «le diverse tipologie di attività suscettibili di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa per le quali, in relazione allo specifico settore di impiego e alle situazioni ambientali che determinano un maggiore rischio di infiltrazione mafiosa, è sempre obbligatoria l’acquisizione della documentazione indipendentemente dal valore del contratto, subcontratto, concessione, erogazione o provvedimento di cui all’art. 67», dovendosi ricordare che l’art. 67 tra l’altro prevede, alla lett. f), proprio le «altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominate»;

8. L’introduzione dell’art. 89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011 ad opera del d.lgs. n. 153 del 2014, dunque, non rappresenta una novità né, ancor meno, una distonia nel sistema, come invece assume l’appellante, ma è anzi coerente con esso e con le stesse disposizione della legge delega, secondo la chiara tendenza legislativa di cui si è detto, avviata dalla legge delega, che aveva già trovato parziale attuazione, sul piano sostanziale, nelle richiamate disposizioni del codice delle leggi antimafia.

8.1. Tale disposizione prevede, nel comma 1, che «quando in esito alle verifiche di cui all’articolo 88, comma 2, venga accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, il prefetto adotta comunque un’informazione interdittiva antimafia e ne dà comunicazione ai soggetti richiedenti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, senza emettere la comunicazione antimafia» e in tal caso, come espressamente sancisce il comma 2, «l’informazione antimafia adottata ai sensi del comma 1 tiene luogo della comunicazione antimafia richiesta».

8.2. Con questa previsione, che non ha natura attributiva di un nuovo potere sostanziale, invero già rinvenibile nei dati di diritto positivo sopra evidenziati, ma ha al più carattere specificativo e procedimentale, il codice delle leggi antimafia ha inteso chiarire e disciplinare l’ipotesi nella quale il Prefetto, nell’eseguire la consultazione della Banca dati nazionale unica per il rilascio della comunicazione antimafia, appuri che vi sia il pericolo di infiltrazione mafiosa all’interno dell’impresa.

8.3. L’art. 98, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011, come è noto, prevede che nella Banca dati nazionale unica, ora operativa, «sono contenute le comunicazioni e le informazioni antimafia, liberatorie ed interdittive» e, dunque, tutti i provvedimenti che riguardano la posizione “antimafia” dell’impresa; tale Banca consente, ai sensi del comma 2, la consultazione dei dati acquisiti nel corso degli accessi nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblici, disposti dal Prefetto, e tramite il collegamento ad altre banche dati, ai sensi del comma 3, anche la cognizione di eventuali ulteriori dati anche provenienti dall’estero.

8.4. Si tratta di disposizione quanto mai opportuna, considerato il carattere pervasivo ed espansivo, a livello economico, e la dimensione sovente transnazionale delle attività imprenditoriali da parte delle associazioni mafiose.

8.5. Va qui ricordato che il Prefetto, richiesto di rilasciare la documentazione antimafia, può emettere la comunicazione antimafia liberatoria, attestando che la stessa è stata emessa utilizzando il collegamento alla Banca dati, in due ipotesi.

a) quando non emerge, a carico dei soggetti censiti, la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 (art. 88, comma 1: c.d. comunicazione de plano);

b) quando, emersa la sussistenza di una di dette cause ed effettuate le necessarie verifiche, di cui all’art. 88, comma 2, per accertare la «corrispondenza dei motivi ostativi emersi dalla consultazione della banca dati nazionale unica alla situazione aggiornata del soggetto sottoposto ad accertamenti», queste abbiano dato un esito negativo e non sussista più, nell’attualità, alcuna causa di decadenza, di sospensione o di divieto (art. 88, comma 1).

8.6. Nel corso di tali verifiche, quando emerga dalla Banca dati la presenza di provvedimenti definitivi di prevenzione, ai sensi dell’art. 67, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011, o comunque di dati che, ai sensi del richiamato art. 98, impongano una necessaria attività di verifica nell’impossibilità di emettere la comunicazione antimafia de plano, il Prefetto può riscontrare la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, in base all’art. 89-bis, ed emettere informazione antimafia, sostitutiva della comunicazione richiesta.

8.7. Ciò può verificarsi, ad esempio, quando il Prefetto, nell’eseguire il collegamento alla Banca dati e le verifiche di cui all’art. 88, comma 2, constati l’esistenza di «una documentazione antimafia interdittiva in corso di validità a carico dell’impresa», come ad esempio una pregressa informativa emessa in rapporto ad un contratto pubblico, secondo quanto prevede espressamente l’art. 24, comma 2, del d.P.C.M. n. 193 del 2014 (regolamento recante le modalità di funzionamento, tra l’altro, della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, istituita ai sensi dell’art. 96 del d.lgs. n. 159 del 2011), o acquisisca dati risultanti da precedenti accessi in cantiere, ai sensi dell’art. 98, comma 2, o informazioni provenienti dall’estero, ai sensi dell’art. 98, comma 3.

8.8. L’istituzione della Banca dati nazionale unica, prevista dall’art. 2 della legge delega sopra ricordato e resa operativa con il d.P.C.M. n. 193 del 2014, consente ora al Ministero dell’Interno, e per esso ai Prefetti competenti, di monitorare, e di “mappare”, le imprese sull’intero territorio nazionale – o, addirittura, anche nelle loro attività svolte all’esterno – e nello svolgimento di qualsivoglia attività economica, che essa sia soggetta a comunicazione o a informazione antimafia, sicché l’autorità prefettizia, richiesta di emettere una comunicazione antimafia liberatoria, ben può venire a conoscenza, nel collegarsi alla Banca dati, che a carico dell’impresa sussista una informativa antimafia o ulteriori elementi di apprezzabile significatività, provvedendo ad emettere, ai sensi dell’art. 89-bis, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, una informativa antimafia in luogo della richiesta comunicazione.

8.9. E ciò perfettamente in linea con la richiamata previsione dell’art. 2, comma 1, lett. c) della legge delega – l. n. 136 del 2010 – che, giova ripeterlo, ha istituto una Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, testualmente, con «immediata efficacia delle informative antimafia negative su tutto il territorio nazionale» e «con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione, finalizzata all’accelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e al potenziamento dell’attività di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa».

9. Tale ultima finalità, chiaramente enunciata dal legislatore, pienamente giustifica, ad avviso di questo Consiglio, il potere prefettizio di emettere una informativa antimafia, ricorrendone i presupposti dell’art. 84, comma 4, e dell’art. 91, comma 6, del d.lgs. n. 159 del 2011 in luogo e con l’effetto della richiesta comunicazione antimafia.

9.1. Al riguardo questo stesso Consiglio di Stato, sez. I, nel parere n. 3088 del 17 novembre 2015 ha già evidenziato che «le perplessità di ordine sistematico e teleologico sollevate in ordine all’applicazione di tale disposizione anche alle ipotesi in cui non vi sia un rapporto contrattuale – appalti o concessioni – con la pubblica amministrazione non hanno ragion d’essere, posto che anche in ipotesi di attività soggette a mera autorizzazione l’esistenza di infiltrazioni mafiose inquina l’economia legale, altera il funzionamento della concorrenza e costituisce una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubbliche».

9.2. La prevenzione contro l’inquinamento dell’economia legale ad opera della mafia ha costituito e costituisce, tuttora, una priorità per la legislazione del settore, che ha indotto il legislatore delegante e, di seguito, quello delegato, nelle previsioni originarie del codice delle leggi antimafia e dei successivi correttivi, ad estendere la portata delle informazioni antimafia anche ad ambiti tradizionalmente e precedentemente ad esse estranei.

9.3. Questo Collegio non ignora che, con l’ordinanza n. 2337 del 28 settembre 2016, il T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, ha rimesso alla Corte costituzione la questione di compatibilità dell’art. 89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011 in relazione ad un presunto eccesso di delega ai sensi degli art. 76, 77, primo comma, e 3 della Cost.

9.4. Alla Corte competerà, ovviamente, decidere di tale delicata questione quanto al sollevato vizio inerente al presunto eccesso di delega, di cui pure si duole l’odierna appellante nel motivo qui in esame (v., in particolare, pp. 13-14 del ricorso).

9.5. Ritiene tuttavia questo Collegio che tale questione, anche al di là della sua manifesta infondatezza per le ragioni sopra vedute, sia comunque irrilevante nel presente giudizio, perché l’applicazione dell’informativa antimafia alle autorizzazioni si fonda sull’applicazione della stessa legge delega e di disposizioni del codice delle leggi antimafia anche diverse dal richiamato art. 89-bis, che pure costituisce indice significativo ed ulteriore riconferma, sul piano procedimentale, della innovativa impostazione del legislatore in questa materia.

10. Deve questo Collegio solo qui aggiungere, per completezza di esame rispetto alle delicate questioni sollevate dall’odierna appellante, che non ritiene che la nuova disciplina contrasti con gli artt. 3, 24, 27, comma secondo, 41 e 42 Cost.

10.1. Lo Stato non riconosce dignità e statuto di operatori economici, e non più soltanto nei rapporti con la pubblica amministrazione, a soggetti condizionati, controllati, infiltrati ed eterodiretti dalle associazioni mafiose.

10.2. Questa valutazione, che ha natura preventiva e non sanzionatoria ed è, dunque, avulsa da qualsivoglia logica penale o lato sensu punitiva (Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743), costituisce un severo limite all’iniziativa economica privata, che tuttavia è giustificato dalla considerazione che il metodo mafioso, per sua stessa ragion di essere, costituisce un «danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» (art. 41, comma secondo, Cost.), già sul piano dei rapporti tra privati (prima ancora che in quello con le pubbliche amministrazioni), oltre a porsi in contrasto, ovviamente, con l’utilità sociale, limite, quest’ultimo, allo stesso esercizio della proprietà privata.

10.3. Il metodo mafioso è e resta tale, per un essenziale principio di eguaglianza sostanziale prima ancora che di logica giuridica, non solo nelle contrattazioni con la pubblica amministrazione, ma anche tra privati, nello svolgimento della libera iniziativa economica.

10.4. Non si può ignorare, e la legislazione antimafia più recente non ha di certo ignorato, che tra economia pubblica ed economia privata sussista un intreccio tanto profondo, anche nell’attuale contesto di una economia globalizzata, che non è pensabile e possibile contrastare l’infiltrazione della mafia “imprenditrice” e i suoi interessi nell’una senza colpire anche gli altri e che tale distinzione, se poteva avere una giustificazione nella società meno complessa di cui la precedente legislazione antimafia era specchio, viene oggi a perdere ogni valore, ed efficacia deterrente, per entità economiche che, sostenute da ingenti risorse finanziarie di illecita origine ed agevolate, rispetto ad altri operatori, da modalità criminose ed omertose, entrino nel mercato con una aggressività tale da eliminare ogni concorrenza e, infine, da monopolizzarlo.

10.5. La tutela della trasparenza e della concorrenza, nel libero esercizio di una attività imprenditoriale rispettosa della sicurezza e della dignità umana, è un valore che deve essere preservato nell’economia sia pubblica che privata.

10.6. La stessa Corte di Giustizia UE, in riferimento alla prassi dei cc.dd. protocolli di legalità, ha ribadito di recente che «va riconosciuto agli Stati membri un certo potere discrezionale nell’adozione delle misure destinate a garantire il rispetto del principio della parità di trattamento e dell’obbligo di trasparenza, i quali si impongono alle amministrazioni aggiudicatrici in tutte le procedure di aggiudicazione di un appalto pubblico» poiché «il singolo Stato membro è nella posizione migliore per individuare, alla luce di considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti in grado di provocare violazioni del rispetto del principio e dell’obbligo summenzionati» (Corte di Giustizia, sez. X, 22 ottobre 2015, in C-425/14).

10.7. Non a caso proprio per tali considerazioni di ordine storico, giuridico, economico e sociale peculiari del nostro ordinamento, la c.d. legge anticorruzione (l. n. 190 del 2012), nell’art. 1, commi 52 e 53, ha istituito la c.d. white list, con la creazione di appositi elenchi, presso le Prefetture, dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa per attività economiche particolarmente sensibili.

10.8. Ad esempio, per il terremoto che ha colpito le province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo il 20 e il 29 maggio 2012, l’art. 5-bis, comma 4, del d.l. n. 74 del 2012, inserito in sede di conversione dalla l. n. 122 del 1° agosto 2012, ha previsto che i controlli antimafia, relativi alle imprese iscritte in tali elenchi, si estendessero «sugli interventi di ricostruzione affidati da soggetti privati e finanziati con le erogazioni e le concessioni di provvidenze pubbliche».

10.9. Ulteriore conferma questa, laddove ve ne fosse bisogno, che la distinzione tra economia pubblica ed economia privata, in taluni settori – l’edilizia, lo smaltimento dei rifiuti, il traporto dei materiali in discarica, i noli a freddo, gli autotrasporti per conto terzi, la fornitura di ferro lavorato, il trasporto terra, etc. – è del tutto inidonea e inefficace a descrivere, e a circoscrivere, la vastità e la pervasività del pericolo mafioso in esame.

11. Se ne deve concludere, pertanto, che nell’attuale sistema della documentazione antimafia la suddivisione tra l’ambito applicativo delle comunicazioni antimafia e delle informazioni antimafia, codificata dal d.lgs. n. 159 del 2011, mantiene la sua attualità – del resto ribadita nel codice stesso – se e nella misura in cui essa non si risolva nella impermeabilità dei dati posti a fondamento delle une con quelli posti a fondamento delle altre, soprattutto dopo l’istituzione, in attuazione dell’art. 2 della legge delega, della Banca dati nazionale unica, che consente di avere una cognizione ad ampio spettro e aggiornata della posizione antimafia di una impresa.

11.1. E una simile impermeabilità e incomunicabilità tra i diversi settori economici e i relativi provvedimenti interdittivi, infatti, ha inteso evitare il legislatore con le più recenti modifiche del codice delle leggi antimafia.

11.2. Il Prefetto, pertanto, avrà l’obbligo di rilasciare le informazioni antimafia nelle ipotesi di cui all’art. 91, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011 e avrà la facoltà, nelle ipotesi di verifiche, procedimentalizzate dall’art. 88, comma 2, e dall’art. 89-bis, di emettere una informativa antimafia, in luogo della richiesta comunicazione antimafia, tutte le volte in cui, nel collegamento alla Banca dati nazionale unica, emergano provvedimenti o dati che lo inducano a ritenere non possibile emettere una comunicazione liberatoria de plano, ma impongano più serie verifiche in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa.

11.3. Il sistema così delineato, che risponde a valori costituzionali ed europei di preminente interesse e di irrinunciabile tutela, non attenua le garanzie che la tradizionale ripartizione tra le comunicazioni e le informazioni antimafia prima assicurava, consentendo alle sole comunicazioni antimafia, emesse sulla base di un provvedimento di prevenzione definitivo adottato dal Tribunale con tutte le garanzie giurisdizionali, di precludere l’ottenimento di licenze, autorizzazioni o di qualsivoglia provvedimento, comunque denominato, per l’esercizio di attività imprenditoriali (art. 67, comma 1, lett. f) del d.lgs. n. 159 del 2011).

11.4. Il timore che, estendendo l’applicazione delle informative antimafia alle attività economiche soggette al regime autorizzatorio, si schiuda la via all’arbitrio dell’autorità prefettizia nella valutazione della permeabilità mafiosa e quindi anche nell’accesso alle attività economiche (solo) private, senza che tale valutazione sia assistita da preventive garanzie procedimentali o, comunque, dalle stesse garanzie delle misure di prevenzione emesse dal Tribunale, è del tutto infondato.

11.5. La valutazione prefettizia – questa Sezione deve ancora una volta e con più convinzione qui ribadirlo – deve fondarsi su elementi gravi, precisi e concordanti che, alla stregua della «logica del più probabile che non», consentano di ritenere razionalmente credibile il pericolo di infiltrazione mafiosa in base ad un complessivo, oggettivo, e sempre sindacabile in sede giurisdizionale, apprezzamento dei fatti nel loro valore sintomatico.

11.6. Gli elementi di inquinamento mafioso, ben lungi dal costituire un numerus clausus, assumono forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono, per l’insidiosa pervasività e mutevolezza, anzitutto sul piano sociale, del fenomeno mafioso, ad un preciso inquadramento (v., sul punto, la già richiamata sentenza di questo Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743), ma essi devono pur sempre essere ricondotti ad una valutazione unitaria e complessiva, che imponga all’autorità e consenta al giudice di verificare la ragionevolezza o la logicità dell’apprezzamento discrezionale, costituente fulcro e fondamento dell’informativa, in ordine al serio rischio di condizionamento mafioso.

11.7. In tale senso il criterio civilistico del «più probabile che non», seguito costantemente dalla giurisprudenza di questo Consiglio, si pone quale regola, garanzia e, insieme, strumento di controllo, fondato anche su irrinunciabili dati dell’esperienza, della valutazione prefettizia e, in particolare, consente di verificare la correttezza dell’inferenza causale che da un insieme di fatti sintomatici, di apprezzabile significato indiziario, perviene alla ragionevole conclusione di permeabilità mafiosa, secondo una logica che nulla ha a che fare con le esigenze del diritto punitivo e del sistema sanzionatorio, laddove vige la regola della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio per pervenire alla condanna penale.

11.8. Questa ultima regola, come è stato di recente chiarito, si palesa «consentanea alla garanzia fondamentale della “presunzione di non colpevolezza”, di cui all’art. 27 Cost., comma 2, cui è ispirato anche il p. 2 del citato art. 6 CEDU», sicché è evidente come la vicenda in esame in alcun modo possa essere ricondotta nell’alveo del principio anzidetto, desunto dalla giurisprudenza di Strasburgo dall’art. 6 CEDU, in quanto «non attiene ad ipotesi di affermazione di responsabilità penale», è«estranea al perimetro delle garanzie innanzi ricordate» (v., in questi significativi termini, Cass., sez. I, 30 settembre 2016, n. 19430, per la responsabilità civile), ma riguarda la prevenzione amministrativa antimafia.

12. L’equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, la libertà di impresa, da un lato, e la tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalità sostanziale sopra richiamati, richiedono alla Prefettura un’attenta valutazione di tali elementi, che devono offrire un quadro chiaro, completo e convincente del pericolo di infiltrazione mafiosa, e a sua volta impongono al giudice amministrativo un altrettanto approfondito esame di tali elementi, singolarmente e nella loro intima connessione, per assicurare una tutela giurisdizionale piena ed effettiva contro ogni eventuale eccesso di potere da parte del Prefetto nell’esercizio di tale ampio, ma non indeterminato, potere discrezionale.

12.1. La delicatezza di tale ponderazione intesa a contrastare in via preventiva la minaccia insidiosa ed esiziale delle organizzazioni mafiose, richiesta all’autorità amministrativa, può comportare anche un’attenuazione, se non una eliminazione, del contraddittorio procedimentale, che del resto non è un valore assoluto, slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore rango costituzionale, né un bene in sé, o un fine supremo e ad ogni costo irrinunciabile, ma è un principio strumentale al buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e, in ultima analisi, al principio di legalità sostanziale (art. 3, comma secondo, Cost.), vero e più profondo fondamento del moderno diritto amministrativo.

12.2. E d’altro canto, occorre qui ricordare, il contraddittorio procedimentale non è del tutto assente nemmeno nelle procedure antimafia, se è vero che l’art. 93, comma 7, del d.lgs. n. 159 del 2011 «il prefetto competente al rilascio dell’informazione, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite invita, in sede di audizione personale, i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione ritenuta utile».

12.3. Infine deve essere qui anche ribadito, come questa Sezione ha più volte chiarito, che il bilanciamento tra i valori costituzionali rilevanti in materia – l’esigenza, da un lato, di preservare i rapporti economici dalle infiltrazioni mafiose in attuazione del superiore principio di legalità sostanziale e, dall’altro, la libertà di impresa – trova nella previsione dell’aggiornamento, ai sensi dell’art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159 del 2011, un punto di equilibrio fondamentale e uno snodo della disciplina in materia, sia in senso favorevole che sfavorevole all’impresa, poiché impone all’autorità prefettizia di considerare i fatti nuovi, laddove sopravvenuti, o anche precedenti – se non noti – e consente all’impresa stessa di rappresentarli all’autorità stessa, laddove da questa non conosciuti (v., ex plurimis,Cons. St., sez. III, 5 ottobre 2016, n. 4121).

12.4. L’ordinamento positivo in materia, dalla legge-delega al cd. “Codice antimafia” sino alle più recenti integrazioni di quest’ultimo, ha voluto apprestare, per l’individuazione del pericolo di infiltrazione mafiosa nell’economia e nelle imprese, strumenti sempre più idonei e capaci di consentire valutazioni e accertamenti tanto variegati e adeguabili alle circostanze, quanto variabili e diversamente atteggiati sono i mezzi che le mafie usano per cercare di moltiplicare i loro illeciti profitti.

12.5. Nella ponderazione degli interessi in gioco, tra cui certo quello delle garanzie per l’interessato da una misura interdittiva è ben presente, non può pensarsi che gli organi dello Stato contrastino con “armi impari” la pervasiva diffusione delle organizzazioni mafiose che hanno, nei sistemi globalizzati, vaste reti di collegamento e profitti criminali quale “ragione sociale” per tendere al controllo di interi territori

13. Ne segue che, alla luce delle ragioni esposte, il primo motivo di appello debba essere respinto.

14. Con il secondo motivo (pp. 14-1 del ricorso), ancora, l’odierna appellante lamenta che il T.A.R. avrebbe errato nell’attribuire al provvedimento impugnato in primo grado la qualifica e il valore di comunicazione antimafia quando, in realtà, si tratterebbe di una informazione antimafia.

14.1. La decisione qui appellata, qualificando il provvedimento del Prefetto come comunicazione antimafia, avrebbe erroneamente esteso gli effetti della condanna penale nei confronti di -OMISSIS- a -OMISSIS- in assenza di una delle tassative ipotesi previste dall’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011.

14.2. Il motivo deve essere respinto.

14.3. Il primo giudice ha a ragione rilevato che la corretta qualificazione del provvedimento prefettizio impugnato in termini di informazione antimafia, anziché di comunicazione antimafia, non eliminerebbe comunque l’effetto interdittivo ascrivibile alla natura di informazione antimafia che deve riconoscersi al provvedimento stesso, sicché «l’impianto complessivo e l’effetto inibitorio proprio di tale provvedimento risultano validamente sorretti dal concomitante contenuto motivazionale di informazione antimafia» (pp. 21 della sentenza impugnata).

14.4. Tale motivazione è condivisibile perché, anche se il provvedimento prefettizio qui in esame deve essere correttamente inquadrato e valutato solo come informazione antimafia, di essa nel caso di specie tale provvedimento integra tutti i legittimi requisiti, sia sul piano formale che sostanziale, in quanto la Prefettura di Napoli ha ben valutato, come ora si dirà, la sussistenza di elementi sintomatici di infiltrazione mafiosa all’interno di -OMISSIS-

14.5. Di qui la reiezione del motivo, irrilevante essendo che il primo giudice abbia, peraltro solo incidentalmente e senza annettere al rilievo efficacia decisiva, qualificato il provvedimento prefettizio anche come comunicazione antimafia, avendo esso, anche indipendentemente dalla sua opinabile qualifica di comunicazione, tutte le caratteristiche, formali e sostanziali, dell’informativa antimafia, come ora meglio si dirà.

15. Con il terzo motivo (pp. 20-23 del ricorso), ciò premesso, l’odierna appellante lamenta come il T.A.R. per la Campania avrebbe totalmente omesso di considerare il deficit di contiguità mafiosa che affligge la valutazione di permeabilità criminale dell’impresa, operata dal Prefetto nell’informativa antimafia, perché la sola condanna di -OMISSIS- per il reato di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006, pur qualificato reato-spia dall’art. 84, comma 4, del codice delle leggi antimafia, non sarebbe sicuro elemento di infiltrazione mafiosa, nel caso si specie, in quanto “svestito” da connotazioni di tipo mafioso, a suo avviso non desumibile dalla frequentazione, emersa in un controllo del 2013, dei soci -OMISSIS- e -OMISSIS- con -OMISSIS-.

15.1. Il motivo è infondato.

15.2. La consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, anzitutto, ha affermato che il delitto di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006 costituisce elemento in sé bastevole a giustificare l’emissione dell’informativa, perché il disvalore sociale e la portata del danno ambientale connesso al traffico illecito di rifiuti rappresentano, già da soli, ragioni sufficienti a far valutare con attenzione i contesti imprenditoriali, nei quali sono rilevati, in quanto oggettivamente esposti al rischio di infiltrazioni di malaffare che hanno caratteristiche e modalità di stampo mafioso (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 21 dicembre 2012, n. 6618; Cons. St., sez. III, 28 aprile 2016, n. 1632; Cons. St., sez. III, 28 ottobre 2016, n. 4555 e n. 4556).

15.3. Nel caso di specie tale contesto imprenditoriale è stato attentamente valutato dal Prefetto di Napoli, il quale ha rilevato che -OMISSIS-, già socio di -OMISSIS-, destinataria di informativa antimafia la cui legittimità è stata peraltro confermata da questo Consiglio, in via definitiva, con sentenza n. 5698 del 28 novembre 2013, è stato condannato, in concorso con altri, per i delitti di associazione a delinquere, falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, attività di gestione dei rifiuti non autorizzata e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.

15.4. La sentenza di condanna definitiva emessa dalla Corte d’Appello di Napoli, richiamata dall’informativa, bene evidenzia che -OMISSIS- è stato addirittura, nella vicenda oggetto di accertamento penale, capo e promotore delle modalità del tutto irregolari con cui i suoi collaboratori attuavano la gestione dei rifiuti.

15.5. La medesima sentenza di condanna, come pure ricorda il provvedimento prefettizio (p. 2), ha in particolare evidenziato che -OMISSIS-, colpita – giova ancora ribadirlo – informativa antimafia, destinava ad attività di recupero solo carta e cartoni in vista della commercializzazione presso -OMISSIS- di (omissis) che, parimenti, faceva capo al gruppo -OMISSIS-.

15.6. L’attività criminosa era organizzata, diretta, e guidata dallo stesso -OMISSIS-.

15.7. Non vi è dubbio che tale attività criminosa, altamente indicativa ai fini antimafia ed elevata perciò dal legislatore a delitto-spia, costituisca un elemento di preoccupante infiltrazione mafiosa, nel caso di specie, ove si consideri che essa è stata gestita e diretta da un unico gruppo familiare, la -OMISSIS-, mediante le imprese da esso controllate.

15.8. In questa prospettiva l’ulteriore elemento valorizzato dall’informativa, la frequentazione degli altri fratelli nonché soci di -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, con -OMISSIS-, già segnalato negli anni ’80 per riciclaggio e associazione di stampo mafioso, estorsione e, da ultimo, coinvolto in un procedimento penale per violazione dell’art. 648-ter c.p. e dell’art. 12-quinquies della l. n. 356 del 1992, con l’aggravante del metodo mafioso (art. 7 della l. n. 203 del 1991), ulteriormente corrobora il giudizio di condizionamento, anche indiretto, di -OMISSIS- da parte di associazioni criminali di stampo mafioso, condizionamento di cui il grave reato per il quale è stato condannato -OMISSIS-, regista di un consistente traffico illecito di rifiuti abilmente organizzato, costituisce sicuro delitto-spia nel caso di specie.

15.9. Nemmeno può seguirsi la tesi dell’appellante (pp. 17-19 del ricorso) allorché afferma che gli effetti decadenziali, di cui all’art. 67, comma 8, del d.lgs. n. 159 del 2011, non possono trovare automatica applicazione per sentenze di condanna, relative a reati di illecito trasporto di rifiuti, consumati nel 2006, prima della entrata in vigore della novella del 2010, che ha inserito nell’elenco dei reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., richiamato dall’art. 67, comma 8, del d.lgs. n. 159 del 2011 (e anche, come ora si dirà, dall’art. 84, comma 4, lett. a), del d.lgs. n. 159 del 2011).

15.10. L’argomento è infondato perché l’art. 67, comma 8, del d.lgs. n. 159 del 2011, relativo alle comunicazioni antimafia, non si applica al caso di specie per le ragioni sopra vedute.

15.11. Quanto alla analoga disposizione dettata per le informazioni antimafia dall’art. 84, comma 4, lett. a), del d.lgs. n. 159 del 2011, che pure richiama l’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. ed applicabile al caso di specie, la deduzione dell’appellante è parimenti infondata non solo perché l’informazione antimafia non è un provvedimento sanzionatorio, alla quale non si applicano i principi relativi all’irretroattività del diritto punitivo, come invece a torto sostiene -OMISSIS-, ma anche perché, già con riferimento ad analoga informativa emessa nei confronti di -OMISSIS- per la medesima vicenda (condanna penale in primo grado di -OMISSIS-, poi confermata dalla Corte d’Appello), la richiamata sentenza n. 5698 del 28 novembre 2013, di questo stesso Consiglio, ha evidenziato la carenza di «interesse alla censura» perché «in sede di ipotetica riedizione del provvedimento, ora per allora, la Prefettura, proprio tenendo conto del reato ambientale, non potrebbe certo pronunziarsi in senso favorevole per la appellante».

15.12. E ciò senza dire che, peraltro, la sentenza di condanna in via definitiva della Corte d’Appello, valorizzata dall’informativa, era intervenuta il 29 settembre 2014, allorquando era già in vigore il novellato art. 51, comma 3-bis, c.p.p., al quale rinvia la previsione dell’art. 84, comma 4, lett. a), del d.lgs. n. 159 del 2011, che indica quale elemento-spia la condanna per uno di tali delitti, facendo apposito riferimento alla condanna, peraltro, e non al tempus commissi delicti, proprio perché non si è qui in materia di diritto sanzionatorio, ma di diritto amministrativo della prevenzione, che ha riguardo al fatto-spia, altamente sintomatico, di una intervenuta condanna, anche non definitiva, per uno di tali delitti.

15.13. Di qui la infondatezza, nel suo complesso, del secondo motivo qui in esame.

16. Con il terzo motivo (pp. 23-28 del ricorso), infine, l’odierna appellante lamenta che l’unico controllo effettuato nel 2013, dal quale risulterebbe la frequentazione dei -OMISSIS- con -OMISSIS-, non dimostrerebbe affatto la contiguità di questi al mondo della criminalità organizzata.

16.1. -OMISSIS- sottolinea, in particolare, che l’Ar. Ca. avrebbe reciso ogni rapporto con -OMISSIS-, estromettendolo dal ruolo tecnico prima rivestito a far data dalla stagione agonistica 2013-2014, comportamento, questo, incompatibile con il preteso vincolo stabile, di natura personale, ipotizzato dal T.A.R. per sostenere l’attualità del pericolo di condizionamento mafioso.

16.2. Il motivo va respinto.

16.3. È la stessa appellante, invero, a ricordare, ancora una volta (p. 25 del ricorso), che -OMISSIS- era stato estromesso dall’Ar. Ca., gestita dai -OMISSIS-, solo dopo che -OMISSIS-, di cui si è detto, era stata colpita da informativa antimafia c.d. atipica, nel 2012, emessa, oltre che per la condanna di -OMISSIS-, anche per la ragione del consolidato rapporto di collaborazione tra la -OMISSIS- e -OMISSIS-.

16.4. È dunque evidente che tale rapporto di stretta collaborazione vi fosse e che sia stato interrotto solo a seguito del precedente provvedimento interdittivo, per quanto atipico, emesso nei confronti di -OMISSIS- nel 2012, confermato, come detto, da questo Consiglio di Stato con la richiamata sentenza della sez. III, 28 novembre 2013, n. 5698, ai cui rilievi occorre qui anche richiamarsi anche per obbligo di sintesi (art. 3, comma 2, c.p.a.).

16.5. Né giova replicare all’appellante che, trattandosi di informativa c.d. atipica con efficacia non interdittiva, perché solo a seguito di tale informativa era emersa una condotta dissociativa, certamente non spontanea, perché diversamente non si spiegherebbe perché mai, prima di allora, i -OMISSIS- non avessero mai minimamente pensato o provveduto ad estromettere -OMISSIS- dall’Ar. Ca..

16.6. In tale estromissione, dunque, non è ravvisabile alcun elemento di novità né, ancor meno, di spontanea e sincera discontinuità rispetto al passato, apparendone chiara, al contrario, la strumentalità rispetto ad un provvedimento – l’informativa del 2012 – che, fondandosi anche sul consolidato rapporto di collaborazione ulteriormente confermato dal controllo eseguito, poi, nel 2013, era stato fortemente lesivo degli interessi della -OMISSIS-, tanto da essere stato impugnato da -OMISSIS-, a suo tempo, avanti al T.A.R. e, in appello, avanti a questo stesso Consiglio di Stato, come si è detto.

16.7. Bene ha pertanto osservato il primo giudice, in conclusione, che il controllo del 2013, «lungi dal presentare una connotazione di singolarità, denota invece la sussistenza di uno stretto e continuo rapporto di collaborazione che, pur trovando occasione in motivazioni di carattere sportivo-lavorativo, riflette comunque l’esistenza di uno stabile vincolo di natura personale, rafforzato proprio dalla precedente militanza di tale soggetto nei quadri organizzativi della locale squadra di calcio».

16.8. Di qui, per le ragioni vedute, l’infondatezza del motivo in esame.

17. Dalla piena sufficienza del quadro indiziario sin qui tratteggiato a giustificare l’emissione dell’informativa antimafia, secondo i consolidati principî affermati da questo Consiglio in materia (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743), discende la reiezione di tutti i motivi di censura, con conseguente assorbimento dell’ulteriore motivo di primo grado, qui riproposto (pp. 28-29 del ricorso), del tutto superfluo ai fini del decidere alla luce delle ragioni vedute.

18. In conclusione, proprio per tali ragioni, l’appello deve essere respinto, con piena conferma della sentenza impugnata.

19. Le spese del presente grado del giudizio, attesa la parziale novità delle questioni trattate, possono essere interamente compensate tra le parti.

19.1. Rimane definitivamente a carico dell’odierna appellante, stante comunque la sua sostanziale soccombenza, il contributo unificato richiesto per la proposizione del gravame.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto da -OMISSIS-, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 196 del 2003, a tutela dei diritti o della dignità delle parti interessate, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2017, con l’intervento dei magistrati:

Franco Frattini – Presidente

Raffaele Greco – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere, Estensore

Sergio Fina – Consigliere

Stefania Santoleri –

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