Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 6 settembre 2016, n. 3816

I provvedimenti disciplinati dal testo unico di pubblica sicurezza ben possono tenere conto di tutte le risultanze istruttorie e, in particolare, anche delle condotte costituenti reato, pur se siano risalenti nel tempo

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 6 settembre 2016, n. 3816

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8970 del 2012, proposto dal Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);
contro
Il signor Sa. An. Gi. Lo Po., rappresentato e difeso dall’avvocato Ef. Nt., con domicilio eletto presso il signor Fr. Ma. in Roma, piazza (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sez. I ter, n. 8149/2012, resa tra le parti, concernente un diniego di rilascio di una licenza di polizia di guardia giurata particolare;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor Sa. An. Gi. Lo Po.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 luglio 2016 il pres. Luigi Maruotti e uditi l’avvocato dello Stato Ma. Vi. Lu. e l’avvocato Fr. Ma., su delega dell’avvocato N. Ef.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’appellato ha presentato alla Questura di Roma una istanza volta ad ottenere il rilascio della approvazione della nomina a guardia particolare giurata.
Con l’atto n. 16B/12 del 21 maggio 2012, il Questore ha respinto l’istanza, rilevando l’assenza della sua “buona condotta”, richiesta dall’art. 138, primo comma, n. 5, del testo unico di pubblica sicurezza, poiché la sentenza del Tribunale di Torino di data 15 dicembre 1998, divenuta irrevocabile, lo ha condannato ad un atto di reclusione, per aver violato gli articoli 368, 390 e 447 del codice penale.
In particolare, il provvedimento del Questore ha richiamato la sentenza che ha rilevato come l’interessato abbia aiutato il sig. Sp. a sottrarsi all’esecuzione di una pena cui questi era stato condannato, concordando la consegna della sua patente (cui è stata apposta la foto del sig. Sp.) e denunciando falsamente il suo smarrimento.
2. Col ricorso di primo grado n. 7043 del 2012 (proposto al TAR per il Lazio), l’interessato ha impugnato il provvedimento emesso il 21 maggio 2012, lamentandone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere.
3. Il TAR, con la sentenza n. 8149 del 2012, ha accolto il ricorso ed ha annullato l’atto impugnato, compensando le spese del giudizio, ritenendo inadeguata la motivazione che, nel richiamare le vicende accadute, ha rilevato l’insussistenza del requisito della “buona condotta”, poiché il Questore ha dato rilievo ad un “unico precedente, risalente nel tempo”.
4. Con l’appello in esame, il Ministero dell’Interno ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia respinto.
L’Amministrazione appellante:
– ha ricostruito i fatti emersi in sede amministrativa;
– ha richiamato i principi affermati dalla giurisprudenza in ordine all’ambito di applicazione degli articoli del testo unico sulla pubblica sicurezza che le attribuiscono il potere discrezionale di valutare la sussistenza o meno del requisito della “buona condotta”;
– ha dedotto che la Prefettura di Roma ha ragionevolmente ritenuto come i fatti posti a base della condanna penale siano da considerare tali da giustificare una valutazione di assenza della “buona condotta” e di mancato affidamento di non abusare delle armi;
– ha lamentato che indebitamente la sentenza del TAR avrebbe sostituito la propria valutazione a quella riservata dalla legge all’Autorità amministrativa.
L’appellato si è costituito nel corso del secondo grado del giudizio e, con una memoria difensiva, ha chiesto il rigetto del gravame.
In particolare, egli ha ritenuto che sarebbe condivisibile la ratio decidendi della sentenza del TAR ed ha dedotto che il TAR si sarebbe limitato a constatare il difetto di motivazione del provvedimento impugnato.
5. Ritiene la Sezione che l’appello sia fondato e vada accolto.
5.1. Va previamente considerato irrilevante il deposito del rinnovo della licenza di porto d’armi, rilasciato nel mese di gennaio 2015.
Come ha già osservato la Sezione in casi simili (per tutte, v. Sez. III, 6 luglio 2016, n. 3004), in primo luogo, l’Amministrazione conserva l’interesse a rimuovere la sentenza che ha determinato la sua soccombenza ed a far riaffermare la legittimità del provvedimento impugnato in primo grado, anche al fine di poter formulare le proprie ulteriori valutazioni, senza attenersi al decisum della sentenza impugnata.
In secondo luogo, l’esecutività della sentenza impugnata ha potuto ben giustificare l’emanazione di atti ulteriori conformi ad essa, fermo restando l’interesse dell’Amministrazione a far rimuovere la sentenza che ha concorso alla determinazione di emanare l’ulteriore atto.
Pertanto, in assenza di una dichiarazione dell’appellato sul sopravvenuto suo difetto di interesse alla decisione del ricorso di primo grado (ciò che avrebbe comportato la riforma della sentenza appellata e la conseguente caducazione dell’atto emanato nella fase della sua esecuzione), si deve esaminare l’atto d’appello.
5.2. In coerenza con quanto prevede l’art. 11, secondo comma, del testo unico (che ha fissato la regola generale per la quale “le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi non può provare la sua buona condotta”), e dell’art. 43, anche l’art. 138, primo comma, del testo unico attribuisce alla Autorità amministrativa il potere discrezionale di valutare se sussista il requisito della “buona condotta”, quando sia chiesta l’approvazione della nomina a guardia particolare giurata.
L’art. 138 attribuisce alla competente autorità – in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi – di valutare l’assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere gli effetti della approvazione (non occorrendo al riguardo un giudizio di pericolosità sociale dell’interessato).
5.3. Nella specie, la Questura di Roma (dopo aver richiamato la “delega permanente”, rilasciata dal Prefetto di Roma) ha respinto l’istanza dell’interessato, esercitando un potere discrezionale e rilevando l’insussistenza del requisito della “buona condotta”.
Ritiene la Sezione che, in considerazione delle circostanze emerse nel corso del procedimento amministrativo, il provvedimento impugnato in primo grado non sia affetto dal vizio di eccesso di potere, rilevato dal TAR.
Costituisce una valutazione di merito, di per sé insindacabile in sede giurisdizionale di legittimità e comunque di per sé ragionevole, il ritenere che la sentenza di condanna del 15 dicembre 1998 evidenzi l’insussistenza della “buona condotta”.
In sede di applicazione dell’art. 138 del testo unico, l’Amministrazione ben può orientarsi per il rilascio del provvedimento favorevole solo nei confronti di chi non abbia violato disposizioni penali sulla punibilità di condotte caratterizzate da una certa gravità, anche perché vi sarebbe – con ogni plausibilità – il turbamento della collettività se potessero circolare con armi, col permesso della Autorità, persone nei confronti delle quali vi è stata la condanna per gravi reati.
Quanto al rilievo attribuito dal TAR alla “risalenza” delle condotte che hanno comportato la condanna, ritiene la Sezione che i provvedimenti disciplinati dal testo unico di pubblica sicurezza ben possono tenere conto di tutte le risultanze istruttorie e, in particolare, anche delle condotte costituenti reato, pur se siano risalenti nel tempo (cfr. Sez. III, 18 maggio 2016, n. 2020).
6. Per le ragioni che precedono, l’appello va accolto, sicché – in riforma della sentenza impugnata – va respinto il ricorso di primo grado n. 7043 del 2012.
La condanna al pagamento delle spese e degli onorari dei due gradi del giudizio segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza) accoglie l’appello n. 8970 del 2012 e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado n. 7043 del 2012.
Condanna l’appellato al pagamento di euro 2.500 (duemilacinquecento) in favore del Ministero dell’Interno per spese ed onorari dei due gradi del giudizio, di cui euro 1.000 per il primo grado ed euro 1.500 per il secondo grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 21 luglio 2016, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente, Estensore
Carlo Deodato – Consigliere
Manfredo Atzeni – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere

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