Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 5 maggio 2017, n. 2085

La domanda di risarcimento dei danni per equivalente, fondata sulla presunta illegittimità dell’estromissione della concorrente dal rapporto contrattuale deve essere respinta, in caso di accertata legittimità dell’interdittiva prefettizia, della quale il provvedimento estromissivo emesso dalla SA costituisce atto consequenziale di natura vincolata. Ed è sicuramente legittima l’interdittiva antimafia emessa sulla base di una sentenza di condanna per fatti mafiosi ancorché risalenti nel tempo essendo l’attualità del fatto di reato una circostanza assolutamente non contemplata dall’art. 84 D.L.vo 159/2011, il quale si limita a prevedere che la condanna per uno dei delitti-spia citati, quale che sia il tempo in cui è intervenuta, debba essere presa in considerazione dal Prefetto ai fini del rilascio dell’informativa

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 5 maggio 2017, n. 2085

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6764 del 2015, proposto da:

-OMISSIS-, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione pro tempore, dott. St.Ca., e dell’Amministratore Giudiziario pro tempore, dott. Do.Ma.Pe., rappresentata e difesa dall’avvocato Sa.St.Da., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, U.T.G. – Prefettura di Roma, in persona del Prefetto pro tempore, e Autorità Nazionale Anticorruzione – ANAC, in persona del Presidente pro tempore, tutti rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, in persona del Direttore Generale f.f. e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Vi.D.Ma., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);

Regione Lazio, non costituita in giudizio;

nei confronti di

Se. -OMISSIS- S.r.l., in proprio ed in qualità di mandataria dell’A.T.I. costituita con Ro.Un.Se. S.r.l. e Fl. & Fl. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma.Ra., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);

Ro.Un.Se. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi.Mi.Ge., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);

Fl. & Fl. S.p.a., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo per il Lazio – Sede di Roma – Sezione Prima Ter, n. 8.713/2015, resa tra le parti, concernente informativa interdittiva antimafia – risarcimento danni.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, dell’U.T.G. – Prefettura di Roma e dell’Autorità Nazionale Anticorruzione – ANAC, nonché dell’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, di Se. -OMISSIS- S.r.l. e di Ro.Un.Se.S.r.l.;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2017 il Consigliere Oswald Leitner e uditi, per l’appellante principale, l’Avvocato Se.D.Gi., su delega dell’Avvocato Sa.St.Da., per l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, l’Avvocato Vi.D.Ma., nonché l’Avvocato dello Stato Ma.An.Sc.;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Roma, con provvedimento n. 234639/Area I bis OSP del 16.10.2014, ha adottato una informativa interdittiva antimafia nei confronti degli istituti di vigilanza -OMISSIS- e -OMISSIS-, nella qualità di controllante, in quanto riconducibili alla gestione di -OMISSIS-, quale amministratore di fatto, ritenuto quale prestanome e longa manus di -OMISSIS-, personaggio di notevole spessore criminale legato alla tristemente nota “Banda della Magliana”.

2. L’odierna appellante, -OMISSIS-, ha impugnato avanti al T.A.R. per il Lazio tale informativa insieme con tutti gli atti, presupposti e correlati, e in particolare con il conseguente atto di estromissione della ricorrente in primo grado dal rapporto contrattuale in essere con l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, avente ad oggetto il servizio integrato di vigilanza, sicurezza, custodia – sorveglianza e fornitura di impianti tecnologici, chiedendone l’annullamento e il conseguente risarcimento dei danni.

3. Nel ricorso introduttivo, la ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di illegittimità dei provvedimenti impugnati:

a) la violazione e la falsa applicazione delle disposizioni di cui al D.L.vo 159/2011, con particolare, anche se non esclusivo, riferimento agli artt. 84, 85, 91, 94 e 95, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2 e 3, L. 241/1990, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 32 del D.L. 90/2014, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 24, 41 e 97 Cost., l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà manifesta, difetto di proporzionalità, travisamento di atti e fatti, erroneità e difetto dei presupposti, nonché sviamento e manifesta ingiustizia, deducendo, in particolare, che l’informativa avrebbe ritenuto il condizionamento mafioso sulla base di condanne, riportate da -OMISSIS- e di vicende giudiziarie di quest’ultimo, del tutto estranee a contesti e dinamiche mafiose e, comunque, risalenti di molto nel tempo e non riconducili al novero di quelli indicati nell’art. 84, D.L.vo 159/2011; inoltre, lo stesso provvedimento avrebbe erroneamente qualificato il -OMISSIS- come amministratore di fatto, mentre egli tale non è; infine, la decisione del Prefetto di Roma di emettere un’informativa antimafia in luogo del ricorso al disposto dell’art. 32 del D.L. 90/2014 si risolverebbe in una palese violazione della predetta disposizione di legge, del protocollo d’intesa ANAC/Ministero dell’Interno e dell’art. 14 e del protocollo n. 12, art. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo nonché del principio di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza;

b) la violazione di legge e, in particolare, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 7 e ss. della L. 241/1990 e dei principi in materia di procedimento amministrativo, la violazione degli artt. 21-bis, 21-quinquies e 21-nonies della L. 241/1990 e dei principi in materia di revoca/annullamento degli atti amministrativi, l’illegittimità derivata, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 94 e 95 del D.L.vo 159/2011, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 11 del D.P.R. 252/1998 e dell’art. 37 del D.L.vo 163/2006, l’eccesso di potere per difetto di presupposto, per difetto di istruttoria, per contraddittorietà e per logicità manifesta, il difetto assoluto di motivazione.

4. Si sono costituite in primo grado il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Roma e l’Autorità Nazionale Anticorruzione, che hanno depositato la documentazione relativa all’istruttoria che ha condotto all’adozione dell’informativa nonché la nota della Guardia di Finanza prot. n. 487975 dell’11.11.2014, pur successiva all’informativa.

5. Gli atti prodotti a corredo dell’informativa sono stati impugnati dalla ricorrente con tre motivi aggiunti, con il quali sono stati dedotti i seguenti profili di illegittimità:

a) la violazione e la falsa applicazione delle disposizioni di cui al D.L.vo 159/2011, con particolare, anche se non esclusivo, riferimento agli artt. 84, 91, 94 e 95, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2 e 3 della L. 241/1990, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 24, 41 e 97 Cost., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 10, 17 e 35 della CEDU, la violazione e la falsa applicazione dei principi del giusto procedimento, la violazione e la falsa applicazione dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento, l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà manifesta, travisamento di atti e fatti, erroneità e difetto dei presupposti, sviamento e manifesta ingiustizia;

b) la violazione e falsa applicazione dell’art. 379-bis del codice penale, anche alla luce delle disposizioni dell’art. 6, par. 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo;

c) l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per invalidità derivata.

6. Con un secondo atto per motivi aggiunti, -OMISSIS- ha inoltre articolato più dettagliatamente la domanda di risarcimento dei danni proposta con il ricorso introduttivo.

7. Si è costituita nel primo grado di giudizio la Se. -OMISSIS- s.r.l., che ha chiesto il rigetto del ricorso.

8. Si è costituita, altresì, l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea per chiedere anche essa il rigetto del ricorso.

9. Il T.A.R. Lazio, con la sentenza n. 8.713 del 26.06.2015, ha accolto il primo motivo del ricorso introduttivo di -OMISSIS-, richiamando le motivazioni di cui alle proprie sentenze n. 5.202, (5.203, citata per errore), 5.207 e 5.209 del 09.04.2015, con le quali erano state accolte le impugnative della ricorrente avverso il medesimo provvedimento interdittivo del 16.10.2014 nonché gli atti consequenziali emessi; in particolare, il T.A.R. ha ritenuto che gli elementi posti a sostegno dell’informativa non avessero il carattere dell’attualità, nonostante la sentenza di condanna, per il delitto di usura, pronunciata dal Tribunale di Roma nei confronti di -OMISSIS-, per fatti risalenti al 2001-2003, e ha annullato gli atti impugnati, respingendo tuttavia la domanda risarcitoria proposta da -OMISSIS-.

10. Avverso tale sentenza ha proposto appello -OMISSIS-, con il quale ha censurato le parti della sentenza a lei sfavorevoli, e ha proposto, altresì, i motivi non esaminati dal primo giudice.

11. Si sono costituiti il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Roma e l’Autorità Nazionale Anticorruzione, domandando di respingere l’appello principale; il Ministero e la Prefettura hanno inoltre proposto appello incidentale, con il quale hanno chiesto, previa sospensione, la riforma della sentenza di primo grado, con conseguente rigetto del ricorso proposto in primo grado e dei motivi aggiunti.

12. Si è costituita anche l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, la quale ha chiesto il rigetto dell’appello principale e ha proposto appello incidentale autonomo, in relazione all’annullamento del provvedimento di recesso dal rapporto contrattuale conseguente all’informativa prefettizia, chiedendo altresì, in ogni caso, la riforma della sentenza gravata, con conseguente rigetto del ricorso principale in primo grado e dei connessi ricorsi per motivi aggiunti.

13. Si sono costituite, infine, Ro.Un.Se. s.r.l. e Se. -OMISSIS- s.r.l., quest’ultima in proprio ed in qualità di mandataria dell’A.T.I. costituita con Ro.Un.Se. s.r.l. e Fl. & Fl. S.p.a., per chiedere il rigetto dell’appello principale e la riforma della sentenza impugnata, con conseguente dichiarazione della legittimità di tutti gli atti impugnati da -OMISSIS- in primo grado.

14. Nel corso del giudizio d’appello, la -OMISSIS- ha prodotto, poi, in data 10.09.2015 ed in data 19.09.2015, diversa documentazione e, con memoria depositata in data 01.10.2015, ha criticato, sotto vari profili, la sentenza n. 3.653/2015 del 24.07.2015 di questa Sezione, con cui era stata riformata una delle soprarichiamate sentenze del T.A.R., ovvero la n. 5.202/15 del 09.04.205, chiedendo altresì che, qualora il Collegio non avesse voluto interpretare la relativa normativa comunitaria nel senso da essa proposto, fosse rinviata alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: “Se ostino all’applicazione delle disposizioni contenute negli articoli 101 e seguenti del TFUE in materia di concorrenza, le disposizioni nazionali rispettivamente contenute nel D.L.vo 2011/159 (in particolare nell’art. 94) e nell’art. 37, commi 18 e 19, D.L.vo 2006/163, nella parte in cui prevedono la risoluzione anticipata di un contratto pubblico in violazione delle direttive europee in materia di aggiudicazione e la sua riassegnazione attraverso procedura negoziata non prevista dalle direttive medesime.”

15. In data 24.09.2015 è stata depositata la dichiarazione di rinuncia al mandato dell’avvocato Pi.Sa.Pu., uno dei due difensore dell’appellante principale e, in data 30.10.2015, è stata prodotta la dichiarazione di -OMISSIS-, di revoca del mandato difensivo al secondo difensore, avv. Fe.Te..

16. Con atto di data 05.10.2016 si sono costituiti in giudizio, per la -OMISSIS-, a mezzo del nuovo difensore, avv. Sa.St.Da., il presidente del consiglio di amministrazione, dott. St.Ca., e l’amministratore giudiziario, nominato dal G.I.P. presso il Tribunale di Roma, dott. Do.Ma.Pe..

17. Nella pubblica udienza del 23.02.2017 il Collegio, uditi i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

18. Esaurita la sintetica ricostruzione della vicenda oggetto di causa e dello svolgimento del giudizio in primo e secondo grado, va preliminarmente rilevato che, come già accennato sopra, la sentenza gravata in questa sede rinvia, quanto alla motivazione, alla parte motiva contenuta in altre sentenze del T.A.R. Lazio, tutte di identico contenuto, che hanno annullato la medesima informativa interdittiva del 16.10.2014, rigettando nel contempo la domanda di risarcimento dei danni proposta da -OMISSIS-.

18.1. Come già ugualmente detto, una delle predette sentenze, ovvero la n. 5.202 del 09.04.2015, ha costituito oggetto di un separato procedimento d’appello innanzi a questo Consiglio, all’esito del quale è stata riformata, con sentenza n. 3.653 del 24.07.2015, la quale, nelle more – considerato il tempo trascorso dalla sua emissione e constatato che, in base agli processuali, avverso la medesima non risulta essere stato proposto ricorso in revocazione – è da considerarsi passata in giudicato.

18.2. Con detta sentenza è stata accertata la legittimità dell’interdittiva impugnata in questa sede e dei relativi atti-presupposto, il tutto sulla base di un ragionamento del tutto condivisibile, per cui il Collegio ritiene che il contenuto della pronuncia possa essere richiamato e fatto proprio ai fini della decisione della presente causa, ciò anche perché i motivi di censura, le contestazioni e le argomentazioni difensive scrutinate nel provvedimento giurisdizionale de quo sono per la maggior parte sostanzialmente sovrapponili a quanto esposto e dedotto dalle parti nel presente procedimento e non risulta che, in parte de qua, siano stati allegati nuovi elementi o prodotti ulteriori documenti che impongano di discostarsi dalle conclusioni cui il Collegio Giudicante è giunto nella sentenza in questione; inoltre, nemmeno le varie critiche mosse alla stessa da -OMISSIS- e i restanti rilievi esposti da quest’ultima, con memoria dd. 01.10.2015, impongono di determinarsi diversamente.

18.3. In primo luogo, infatti, non ha trovato conferma l’affermazione dell’odierna appellante principale circa l’esistenza di un altro giudicato esterno, asseritamente formatosi nel procedimento d’appello, iscritto presso questo Consiglio di Stato sub n. 3.919/2015 e avente ad oggetto la medesima interdittiva antimafia, nel quale si sarebbe verificato un difetto di notifica dell’appello incidentale del Ministero, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, che aveva annullato l’interdittiva. -OMISSIS-, invero, non ha prodotto alcun provvedimento giurisdizionale dal quali risulti la circostanza da essa dedotta.

18.4. Inoltre, non si ritiene nemmeno condivisibile l’assunto di -OMISSIS- secondo la quale le conclusioni cui questa Sezione è giunta nella sua sentenza n. 3.653/2015 dovrebbero essere disattese, in quanto la stessa sarebbe stata pronunciata in violazione dell’articolo 6, comma 3, lett. d) della Convezione Europea dei Diritti dell’Uomo, per aver il giudicante omesso di valutare della documentazione dimessa dalla ricorrente in primo grado, dalla quale risultava che il dirigente della Questura di Roma che ha sottoscritto una delle informative poste a fondamento dell’interdittiva antimafia si trovava in palese conflitto d’interessi.

18.5. La critica mossa dall’appellante, infatti, appare del tutto inconferente già per l’assorbente rilievo che, come risulta dal paragrafo 43.7 della sentenza sopraccitata, il rigetto del motivo di appello, concernente il denunciato conflitto d’interessi, è conseguito in ogni modo anche e soprattutto al fatto che il Collegio ha ritenuto che dalla semplice lettura del provvedimento interdittivo si comprendeva che il medesimo era stato assunto sulla base di molteplici elementi istruttori e di molti atti, non provenienti dal predetto dirigente di polizia, e che era il complessivo esito di un’ampia ed autonoma valutazione da parte del prefetto, di talché il denunciato, ma non provato conflitto d’interessi doveva considerarsi comunque irrilevante ai fini della decisione.

18.6. Parimenti del tutto infondato è il rilievo dell’appellante, secondo cui la sentenza in commento andrebbe disattesa in quanto violerebbe il disposto degli articoli 2 e 4 del protocollo n. 7 della Convenzione EDU, ovvero il principio del ne bis in idem, dal momento che -OMISSIS- risulterebbe destinatario sia di un provvedimento di sequestro penale con nomina di un amministratore giudiziale, che del provvedimento interdittivo oggetto di causa, il quale, qualora ritenuto legittimo in questa sede, riacquisterebbe la sua efficacia.

18.7. A una tale tesi va obiettato, in primo luogo, che l’interdittiva antimafia non è un provvedimento di natura sanzionatoria, perseguendo essa altre finalità, di natura preventiva (così come pare potersi sostenere che neanche il sequestro preventivo del capitale sociale e del patrimonio aziendale dell’appellante abbia in sé e per sé finalità sanzionatorie), per cui va esclusa in radice la configurabilità del denunciato fenomeno di duplicazione di sanzioni per il medesimo fatto. Inoltre, nella specie, la presunta violazione del principio del ne bis in idem non è, in ogni caso, ipotizzabile e ciò anche in ragione dell’ulteriore fatto che i due provvedimenti sopraccitati si fondano su fatti-presupposto diversi; il sequestro penale, invero, viene adottato a fronte della commissione di un fatto costituente reato, mentre l’informativa antimafia viene emessa per prevenire il pericolo di infiltrazioni mafiose, in presenza di uno o più degli elementi indizianti previsti dalla normativa di settore, che possono consistere anche in circostanze non comportanti in sé e per sé responsabilità di natura penale, per cui non può di certo affermarsi che i due provvedimenti poggino sui medesimi presupposti di fatto.

19. Sgomberato il campo dalle varie critiche mosse da -OMISSIS- alla sentenza in commento, si può ora passare allo scrutinio dei singoli motivi di censura formulati avverso la sentenza impugnata nel presente giudizio nonché dei motivi di ricorso in primo grado assorbiti e riproposti dall’appellante principale, il tutto facendo riferimento nell’esposizione della motivazione ai vari passaggi della sentenza n. 5.202/2015 del T.A.R. Lazio, essendo, come già detto, la sentenza impugnata in questa sede motivata per relationem, tra l’altro, con riferimento alla predetta sentenza di primo grado.

20. Per motivi di ordine logico-sistematico, va proceduto innanzitutto all’esame dell’appello incidentale proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Roma, gravame che è fondato e va accolto, per e considerazioni di seguito esposte.

20.1. Il primo giudice ha fondato la sua statuizione annullatoria sul convincimento che “in assenza di indizi seri, precisi e concordanti, oggettivamente riscontrabili, che, secondo l’esperienza comune, assumono un significato univoco nel senso di ritenere ancora attualmente sussistenti rapporti tra il -OMISSIS- e la -OMISSIS-, l’interdittiva antimafia, risulta illegittima, per difetto di istruttoria, erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti” (v. par. 10 della sentenza T.A.R. n. 5.202/2015). In particolare, il giudice di prime cure ha rilevato che i fatti centrali addebitati a -OMISSIS-, posti in via principale a fondamento dell’informazione interdittiva antimafia, sono, in effetti, quelli, risalenti agli anni 2001 – 2003, che emergono dalla sentenza emessa dal Tribunale di Roma in data 8.11.2013 e depositata in cancelleria in data 23.12.2013, con la quale il -OMISSIS- è stato condannato per il delitto di cui all’art. 644 c.p..

20.2. Secondo il T.A.R. capitolino, in altri termini, difetterebbe all’informativa la indispensabile connotazione dell’attualità, non rilevando la data di adozione della sentenza penale che ha definito il relativo giudizio di primo grado, peraltro appellata.

20.3. Ciò che assume rilevanza, ha affermato il primo giudice, è il periodo in cui sono stati consumati i fatti-reato, oggetto di condanna e anche solo di esame e di valutazione da parte del giudice penale.

20.4. Una simile lettura del dato normativo in materia, tuttavia, non convince perché conduce ad una interpretatio abrogans dell’art. 84, comma 4, del D.L.vo 159/2011 e delvalore estrinseco che alle sentenze di condanna, anche non definitive, tale disposizione assegna.

20.5. Valga qui osservare che, a mente dell’art. 84, comma 4, lett. a), del D.L.vo 159/2011, le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva, di cui al comma 3, sono desunte, fra l’altro, “dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all’articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356”.

20.6. Ora ben può desumere e bene ha desunto l’autorità prefettizia tali elementi dalla sentenza del Tribunale penale di Roma che, pur intervenuta nel 2013 e ancorché oggetto di impugnazione, ha condannato -OMISSIS- per il delitto di cui all’art. 644 c.p..

20.7. Ritenere che tale sentenza sia irrilevante, soltanto perché ha ad oggetto fatti risalenti nel tempo, significa introdurre un elemento della fattispecie – l’attualità del fatto di reato, oggetto di condanna – che non è contemplato dalla disposizione, la quale si limita a prevedere che la condanna per uno dei delitti-spia, quale che sia il tempo in cui è intervenuta, debba essere presa in considerazione dal Prefetto ai fini del rilascio dell’informativa.

20.8. Diversamente ragionando, del resto, si perverrebbe alla paradossale conseguenza che i tempi dell’accertamento dibattimentale, nella pienezza del contraddittorio, tornano a favore e non in danno del soggetto condannato, ancorché in via definitiva.

20.9. Ove si seguisse un simile ordine di idee, infatti, quanto più si dilatano i tempi dell’accertamento dibattimentale e aumenta la distanza, sul piano cronologico, della condanna dalla commissione dei fatti, tanto più irrilevante diverrebbe l’incidenza della condanna sulla valutazione degli elementi di permeabilità mafiosa dell’impresa, trascurandosi però, in questo modo, di considerare che è spesso la complessità dei fatti e la molteplicità delle parti (e, non di rado, l’impiego di strategie processuali dilatorie), nei processi relativi alla criminalità organizzata di stampo mafioso o a reati connessi a tale tipo di criminalità, a condizionare pesantemente l’accertamento dibattimentale e la lunghezza del giudizio.

20.10. Tale lunghezza, con la conseguente sopravvenienza della condanna anche a notevole distanza di tempo dai fatti accertati, non può rendere irrilevante la sentenza di condanna, ai fini di cui all’art. 84, comma 4, lett. a), del D.L.vo 159/2011, nella valutazione del Prefetto, per il quale la condanna è un elemento attuale, ancorché intervenuta dopo molti anni dai fatti di reato, da cui egli desume gli elementi per valutare il pericolo di condizionamento mafioso.

20.11. Altra e più complessa questione investe, naturalmente, l’apprezzamento che il Prefetto compie della sentenza e, cioè, il valore intrinseco che il contenuto della sentenza assume nella valutazione discrezionale compiuta dall’autorità.

20.12. E qui si deve aver riguardo al disposto dell’art. 93, comma 4, del D.L.vo 159/2011, secondo cui il Prefetto, acquisita la relazione del gruppo interforze, “valuta se dai dati raccolti possano desumersi, in relazione all’impresa oggetto di accertamento e nei confronti dei soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell’impresa stessa, elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 84, comma 4 ed all’articolo 91, comma 6”.

20.13. Come già evidenziato da questa Sezione nella sua sentenza n. 3.653/2015 (par. 19.2), la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Roma l’8.11.2013, nel condannare -OMISSIS- per il delitto di usura p. e p. dall’art. 644 c.p., lo dipinge “come un fiduciario del -OMISSIS-, “testa di paglia” privo di pregiudizi alla qual intestare i cespiti che altri avrebbero dovuto di fatto gestire, presenza utile non solo perché privo di pregiudizi e di “storia criminale” pregressa ma anzi – trattandosi di figlio di noto uomo politico – il più adatto per accreditare i sodali nei rapporti con i terzi, in primis con le banche” (pp. 39-40).

20.14. Il T.A.R. ha ritenuto che i contatti tra il -OMISSIS- e la -OMISSIS-, legata all’organizzazione criminale tristemente nota della “Banda della Magliana”, non possano essere più attuali sia per il mero decorso del tempo, risalendo a dieci anni addietro i fatti per i quali è intervenuta la condanna, sia per il rilievo che già nel 2004 il G.I.P. presso il Tribunale di Roma, nel rigettare, con l’ordinanza n. 5.439 del 9.11.2004, la richiesta di custodia cautelare in carcere formulata nei confronti, tra gli altri, proprio di -OMISSIS-, osservava che, sulla base delle intercettazioni telefoniche, era emersa con estrema chiarezza la precisa volontà del -OMISSIS- di interrompere qualsiasi contatto e cointeressenza con la -OMISSIS-.

20.15 Nessuno dei due elementi, tuttavia, può ritenersi decisivo per escludere l’attualità dei contatti tra -OMISSIS- e la -OMISSIS-.

20.16. Quanto al primo, relativo al mero decorso del tempo, questa Sezione ha costantemente affermato (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. III, 23.1.2015, n. 305) il principio di diritto secondo cui l’interdittiva può fondarsi, oltre che su fatti recenti, anche su fatti più risalenti nel tempo, quando tuttavia dal complesso delle vicende esaminate, e sulla base degli indizi (anche più risalenti) raccolti, possa ritenersi sussistente un condizionamento attuale dell’attività dell’impresa.

20.17. Se dall’esame dei fatti più recenti non esce confermata l’attualità del condizionamento, pur ipotizzabile sulla base dei fatti più risalenti, l’informativa deve essere annullata (Cons. St., sez. III, 13.3.2015, n. 1345).

20.18. Ora l’esame della sentenza penale, effettuato dall’interdittiva, dimostra che il Prefetto ha ritenuto attuale il legame esistente tra il -OMISSIS- e la -OMISSIS- e, cioè, non interrotto, ma perdurante il rapporto di collaborazione e di cointeressenza economica descritto, seppure per affermarne la responsabilità penale in ordine a specifici fatti contestatigli, nella sentenza penale stessa, al punto che il provvedimento prefettizio, recependo le motivazioni del giudice penale, non esita a definire -OMISSIS- quale longa manus della -OMISSIS-.

20.19. L’informativa, sulla base degli elementi istruttori raccolti e delle motivazioni contenute nella sentenza penale, ha ritenuto in altri termini attuale tale stretto legame di collaborazione/dipendenza del -OMISSIS- rispetto alla -OMISSIS- e concreto, quindi, il pericolo di condizionamento mafioso da parte di tale famiglia su -OMISSIS- per il tramite del -OMISSIS-.

20.20. La circostanza che tale rapporto sia emerso solo in occasione dei fatti contestati nel periodo tra il 2001 e il 2003, oggetto del giudizio penale, nulla toglie all’attualità di tale rapporto, quale descritta dalla stessa sentenza penale e recepita dall’autorità prefettizia.

20.21. Né alla saldezza di tali legami sottrae attualità il provvedimento del G.I.P., sopra menzionato e risalente ad un’epoca immediatamente successiva ai fatti (2004), poiché tale provvedimento si limita a chiarire solo che la precedente attività delittuosa del -OMISSIS- si è interrotta non per resipiscenza, ma per puro calcolo di mera opportunità, e che “le condotte criminose realizzate dal -OMISSIS- siano state episodi, certamente negativi e gravi, connotati da elevata pericolosità, non proseguiti ulteriormente, anche a causa delle misure cautelari adottate nei confronti dei complici e dei soggetti per i quali operava” (cfr. par. 20.6 della sentenza n. 3.653/2015).

20.22. La volontà di interrompere il sodalizio criminoso, per ragioni opportunistiche o, finanche, per una pur legittima strategia processuale volta a separare le sue sorti da quelle degli altri – all’epoca – coindagati e arrestati, non significa però che i legami economici tra -OMISSIS- e la -OMISSIS- siano stati rescissi e il duraturo rapporto di collaborazione/subordinazione tra il primo e la seconda sia venuto meno.

20.23. La società ricorrente, in primo grado, non ha fornito elementi tali da far ritenere spezzato il legame di cointeressenza economica tra -OMISSIS-, che agiva indisturbato da occulto dominus all’interno della cooperativa appellata, e la -OMISSIS- – al di là del provvedimento del G.I.P., sopra citato, che tuttavia non rileva a tal fine – essendosi limitata a contestare l’assenza di attualità per il semplice decorso del tempo dai fatti.

20.24. Ma questo argomento non è probante, non solo perché il mero decorso del tempo è in sé un elemento neutro, che non smentisce, da solo, la persistenza di legami, vincoli e sodalizi e comunque non dimostra, da solo, l’interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari, ma anche perché trascura di considerare che l’infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalle quali promana e per la durezza e, insieme, durevolezza dei legami che esse instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio possibile.

20.25. Proprio le vicende esaminate dalla sentenza del Tribunale penale di Roma lo dimostrano.

20.26. A nulla rileva, d’altro canto, che tale sentenza penale abbia escluso, per tali specifiche vicende, l’aggravante di cui all’art. 7 della L. 203/1991 (par. 5.5 e seguenti della sentenza T.A.R. n. 5.202/2015), quando la giurisprudenza di questo Consiglio è ben costante nell’affermare, per analoghe vicende, che, nonostante l’eliminazione dalle imputazioni di detta aggravante per carenza di risultanze d’indagine idonee a sostenerne proficuamente l’accusa, già i reati di usura, come nel caso di specie, e di estorsione tentata continuata, per la loro stessa indole e tipicità, sono sufficienti a corroborare una non illogica valutazione di possibile contiguità con associazioni mafiose, tenuto pure conto che in materia possono considerarsi rilevanti elementi non ritenuti tali ai fini di prova in sede penale (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 11.7.2014, n. 3557).

20.27 L’attualità dei rapporti tra -OMISSIS- e la -OMISSIS-, lungi dall’essere stata convincentemente smentita dalla ricorrente in primo grado, è anzi confermata dalla recente ordinanza del 26.6.2015 del G.I.P. presso il Tribunale di Roma, depositata dalla difesa erariale, ordinanza che ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere a -OMISSIS- per molteplici contestazioni, tra le quali la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, dovute all’Istituto di Vigilanza Città di Roma, e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti.

20.28. In detta ordinanza (p. 39) si legge che “il -OMISSIS-, nonostante il processo subito e ancora in corso, non ha mai rescisso i legami con i -OMISSIS-” e che la circostanza è documentata dagli esiti della perquisizione personale e locale a suo carico, nel corso della quale è stato rinvenuto, all’interno dell’ufficio di Presidenza di Gu.Mo., in suo uso, un biglietto da visita di -OMISSIS- della “-OMISSIS– -OMISSIS-“, riportante, a suo tergo, l’appunto manoscritto con due utenze cellulari intestate a -OMISSIS–, quest’ultimo figlio di -OMISSIS-, cassiere della nota “Banda della Magliana”.

20.29. Sono stati rinvenuti altri undici orologi di pregio, non sottoposti a sequestro, cinque dei quali erano confezionati in custodie riportanti il logo del bigliettino da visita sul cui retro era appuntato, significativamente, il nome di -OMISSIS–.

20.30. -OMISSIS-, per quanto emerge dalla informativa del 19.12.2014, è titolare della “-OMISSIS-.”, esercente l’attività di commercio al dettaglio di orologi e articoli di gioielleria, con sede in Roma.

20.31. Allo stesso indirizzo vi è la sede secondaria della -OMISSIS-s.r.l., di cui è legale rappresentante e socia, al 95%, -OMISSIS-, madre di -OMISSIS-, mentre altro socio di tale società è -OMISSIS-.

20.32. La polizia giudiziaria ha riferito che dalle indagini tecniche svolte nell’ambito del proc. n. 55.278/02 DDA erano emersi contatti tra l’utenza cellulare intestata a -OMISSIS- e l’utenza cellulare intestata a -OMISSIS–, sottoposta ad intercettazione dal 12.5.2001 al 26.7.2001.

20.33. Nel capo di imputazione per riciclaggio sub 6, di cui alla più volte citata sentenza del 2013, -OMISSIS- e -OMISSIS- sono indicati quali beneficiari di assegni tratti sul conto corrente della -OMISSIS-, società gestita dalla -OMISSIS-.

20.34. Tra l’altro, ha rilevato ancora il G.I.P. nella recente ordinanza (p. 39), l’utenza mobile indicata nel biglietto rinvenuto è stata attivata solo il 21.5.2013, “segno di una attualità di rapporti tra -OMISSIS- e -OMISSIS–“.

20.35 Le motivazioni dell’ordinanza cautelare appena citata aiutano a lumeggiare l’episodio della perquisizione personale e locale eseguita nel febbraio 2014 a carico di -OMISSIS-, pur esaminata dal T.A.R. che però, dopo aver premesso come tale elemento istruttorio non sia stato valorizzato dall’informativa e costituisca una motivazione postuma, nega che da essa sia desumibile la permanenza di rapporti tra -OMISSIS- e la -OMISSIS-, poiché ritiene “verosimile che i due numeri telefonici siano serviti nel corso del processo penale riguardante entrambi (il -OMISSIS- ed il -OMISSIS-) conclusosi solo tre mesi prima della perquisizione” e afferma che l’eventuale indizio che potrebbe ricavarsi dalla perquisizione “non è suffragato da ulteriori elementi ben più attendibili in ordine alla sussistenza di tali rapporti, quali sono quelli desumibili da intercettazioni telefoniche e/o ambientali” (par. 9.3 e 9.4 della sentenza n. 5.202/2015).

20.36. Se si può convenire con il primo giudice sul rilievo che gli esiti della perquisizione non siano stati menzionati dall’informativa, per quanto contenuti negli atti dell’istruttoria svolta dall’autorità prefettizia e recepiti nell’interdittiva, non si può condividere l’analisi di tale materiale probatorio che il primo giudice compie, non solo perché la spiegazione “processuale” del ritrovamento dei numeri fornita dal T.A.R. appare assai meno verosimile e plausibile di quella “sostanziale” e, cioè, che i due soggetti continuino a frequentarsi e ad avere rapporti economici, come dimostra la vicenda degli orologi, ma perché tale ultima spiegazione, diversamente da quanto assume il T.A.R., è suffragata da elementi indiziari seri e probanti, ben evidenziati – e con effetti ben più gravi – dal G.I.P. nella sua ordinanza, elementi che non necessariamente devono provenire da intercettazioni ambientali o telefoniche.

20.37. Ne deriva che, per le ragioni appena espresse, la persistenza e la frequenza dei rapporti tra -OMISSIS-, vero dominus del -OMISSIS-, e la -OMISSIS-, contigua alla “Banda della Magliana”, in quanto sorretta da elementi valutativi seri, concreti e probanti e non smentita convincentemente dalle argomentazioni della odierna appellata, pienamente giustifica la valutazione prefettizia relativa al pericolo di condizionamento mafioso di -OMISSIS-.

20.38. In accoglimento dell’appello incidentale, proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Roma, la sentenza impugnata merita quindi riforma, con conseguente reiezione del motivo accolto dal T.A.R.

21. Devono essere quindi esaminate le censure mosse con l’appello principale da -OMISSIS- alla sentenza impugnata e i motivi dichiarati assorbiti e/o non esaminati dal primo giudice, ritualmente riproposti, partendo per ragioni di ordine logico-sistematico da questi ultimi.

21.1. Ai paragrafi 7 e 8 del I motivo di diritto del ricorso introduttivo in primo grado (pp. 22-24 dell’atto d’appello) -OMISSIS- aveva dedotto la violazione e la falsa applicazione delle disposizioni di cui al D.L.vo 159/2011, con particolare, anche se non esclusivo, riferimento agli artt. 84, 91, 94 e 95, la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del D.L. 90/2014, convertito nella L. 114/2014, e il vizio di eccesso di potere per difetto di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza, per difetto di istruttoria e di motivazione, per contraddittorietà manifesta e travisamento di atti e fatti, nonché l’erroneità e il difetto dei presupposti, lo sviamento e la manifesta ingiustizia.

21.2. La sostanza della censura, esposta in maniera piuttosto stringata, è che il Prefetto di Roma avrebbe adottato l’informativa antimafia, qui contestata, in violazione del disposto di cui all’art. 32 del D.L. 90/2014 e del Protocollo d’intesa ANAC/Ministero dell’Interno, i quali prevedono misure più attenuate e meno estreme di gestione, sostegno e monitoraggio, in favore dell’impresa sospetta di infiltrazioni mafiose, prima di emettere l’informativa, che paralizza di fatto la vita dell’impresa, aggiudicataria di ben 57 commesse pubbliche

21.3. L’adozione di tale misura definitiva e irreversibile, costituente l’extrema ratio, non preceduta dall’adozione delle misure graduate e di natura conservativa previste dal citato art. 32 (rinnovazione degli organi sociali, straordinaria e temporanea gestione dell’attività di impresa appaltatrice, sostegno e monitoraggio dell’impresa finalizzati a riportarne la gestione entro parametri di legalità), comporterebbe la violazione di tale parametro normativo, dei fondamentali canoni amministrativi di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza, nonché, infine, dei principi di cui all’art. 14 e al protocollo numero 12, art. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), per la violazione del divieto di discriminazione ivi sancito, poiché si porrebbe in contrasto con le scelte già operate dalle competenti autorità in presenza di situazioni identiche e similari, in quanto l’afflittività della scelta amministrativa avrebbe inciso in maniera sproporzionata ed esorbitante rispetto allo scopo sulla vita economica dell’impresa.

21.4. Nello scegliere la soluzione più drastica e non quella meno afflittiva, come invece gli avrebbe consentito e anzi imposto l’art. 32 del D.L. 90/2014, l’autorità prefettizia avrebbe insomma deciso, in palese violazione di ogni canone, nazionale ed europeo, di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza, di interferire in maniera eccessiva e sproporzionata nell’attività imprenditoriale di -OMISSIS-, che intrattiene rapporti stabili con numerose amministrazioni, vantando lo svolgimento attuale di ben 57 pubbliche commesse, e avente un organico di quasi 1.000 lavoratori dipendenti, impedendole così di assicurare il completamento dell’esecuzione dei contratti in essere ovvero la loro prosecuzione, al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela dei diritti fondamentali, di salvaguardare i livelli occupazionali e di tutelare l’integrità dei bilanci pubblici.

21.5. Il motivo, nonostante la sua indubbia suggestività (anzitutto, anche se non soprattutto, per l’insistito richiamo alle conseguenze che il provvedimento interdittivo può avere sui livelli occupazionali, peraltro nel caso concreto salvaguardati dal provvedimento ministeriale di ammissione al trattamento straordinario di integrazione salariale: cfr. par. 36 della sentenza n. 3.653/2015), è destituito di giuridico fondamento.

21.6. Occorre, per chiarezza e precisione, riportare qui di seguito, nelle parti di interesse ai fini del presente giudizio, il testo del più volte invocato e richiamato art. 32 del D.L. 90/2014, convertito, con modifiche, nella l. 114/2014.

21.7. Esso prevede, al comma 1, che nell’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria proceda per i delitti di cui agli artt. 317 c.p., 318 c.p., 319 c.p., 319-bis c.p., 319-ter c.p., 319-quaterc.p., 320 c.p., 322, c.p., 322-bis, c.p., 346-bis, c.p., 353 c.p. e 353-bis c.p. o in presenza di rilevate situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali attribuibili ad un’impresa aggiudicataria di un appalto per la realizzazione di opere pubbliche, servizi o forniture ovvero ad un concessionario di lavori pubblici o ad un contraente generale, “il Presidente dell’ANAC ne informa il Procuratore della Repubblica e, in presenza di fatti gravi e accertati anche ai sensi dell’articolo 19, comma 5, lett. a) del presente decreto, propone al Prefetto competente in relazione al luogo in cui ha sede la stazione appaltante, alternativamente: a) di ordinare la rinnovazione degli organi sociali mediante la sostituzione del soggetto coinvolto e, ove l’impresa non si adegui nei termini stabiliti, di provvedere alla straordinaria e temporanea gestione dell’impresa appaltatrice limitatamente alla completa esecuzione del contratto d’appalto o della concessione; b) di provvedere direttamente alla straordinaria e temporanea gestione dell’impresa appaltatrice limitatamente alla completa esecuzione del contratto di appalto o della concessione”.

21.8. Il successivo comma 2 prevede che “il Prefetto, previo accertamento dei presupposti indicati al comma 1 e valutata la particolare gravità dei fatti oggetto dell’indagine, intima all’impresa di provvedere al rinnovo degli organi sociali sostituendo il soggetto coinvolto e ove l’impresa non si adegui nel termine di trenta giorni ovvero nei casi più gravi, provvede nei dieci giorni successivi con decreto alla nomina di uno o più amministratori, in numero comunque non superiore a tre, in possesso dei requisiti di professionalità e onorabilità di cui al regolamento adottato ai sensi dell’articolo 39, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270”.

21.9. Merita però qui evidenziare che, secondo il comma 10 del citato art. 32, le disposizioni di esso “si applicano anche nei casi in cui sia stata emessa dal Prefetto un’informazione antimafia interdittiva e sussista l’urgente necessità di assicurare il completamento dell’esecuzione del contratto, ovvero la sua prosecuzione al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell’integrità dei bilanci pubblici, ancorché ricorrano i presupposti di cui all’articolo 94, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”.

21.10. È ben evidente, dalla lettura di tale ultima disposizione, che l’emissione del provvedimento interdittivo non necessariamente deve essere preceduta dall’adozione delle misure di cui al comma 1 dell’art. 32 del D.L. 90/2014, sicché il Prefetto può legittimamente emettere l’informativa, ricorrendone i presupposti di cui all’art. 91 del D.L.vo 159/2011, salvo poi, nelle ipotesi di cui al comma 10 dell’art. 32 del D.L. 90/2014, adottare successivamente le misure sostitutive di cui al comma 1 del predetto articolo.

21.11. La mancata previa adozione di tali misure non ha efficacia invalidante, dunque, sull’emissione dell’informativa né viola i canoni di adeguatezza, proporzionalità ed adeguatezza.

21.12. Dal quadro normativo sin qui descritto si desume, in altri termini, che le misure di cui all’art. 32, commi 1, 2 e 8, del D.L. 90/2014 possono essere applicate contestualmente all’adozione dell’interdittiva antimafia e che l’intervento sostitutivo dell’autorità prefettizia, in ipotesi di interdittiva già in atto, è consentito solo nelle ipotesi eccezionali, previste dal comma 10, che giustificano la prosecuzione del rapporto contrattuale, previa “bonifica” dell’assetto societario, per preminenti ragioni di interesse generale, al punto che l’attività di temporanea e straordinaria gestione dell’impresa è considerata di “pubblica utilità”, come chiarisce il comma 4.

21.13. Tanto sono preminenti ed eccezionali tali ragioni e tanto esse sono di interesse generale, peraltro, che il successivo art. 92, comma 2-bis, del D.L.vo 159/2011 prevede che il procedimento, previsto dall’art. 32, comma 1, del D.L. 90/2014, debba essere avviato obbligatoriamente d’ufficio dal Prefetto, con la conseguenza che l’impresa interessata è legittimata ad esercitare, nell’ambito di esso, esclusivamente gli strumenti di partecipazione previsti dagli art. 7, 8 e 10 della l. 241/1990 e non a chiedere l’avvio del procedimento stesso.

21.14. L’art. 92, comma 2-bis, del D.L.vo 159/2011 prevede che il Prefetto, adottata l’informazione antimafia interdittiva, verifica, altresì, la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle misure di cui all’art. 32, comma 10, D.L. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla L. 114/2014, e, in caso positivo, ne informa tempestivamente il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione.

21.15. La lettura combinata dell’art. 32, comma 10, del D.L. 90/2014 e dell’art. 92, comma 2-bis, del D.L.vo 159/2011, inserito dall’art. 3, comma 1, lett. b), numero 2), del D.L.vo 153/2014, consente di affermare che l’adozione delle misure previste dall’art. 32 non deve precedere necessariamente l’emissione dell’informativa, ma anzi che il Prefetto, nell’emettere l’informativa, valuta anche dopo la sua emissione la sussistenza dei presupposti eccezionali per l’adozione di tali misure.

21.16. La tesi dell’appellante, secondo cui l’emissione dell’informativa, in quanto extrema ratio, doveva essere preceduta o, comunque, evitata dall’adozione di tali misure, pena la sua illegittimità, non ha dunque fondamento normativo in quanto l’adozione di esse non costituisce un presupposto di legittimità dell’informativa.

21.17. Nemmeno tale tesi, peraltro, è fondata in fatto, poiché -OMISSIS- non ha offerto alcun elemento di prova, nemmeno indiziario, che sussista alcuna delle tre ipotesi eccezionali (la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, la salvaguardia dei livelli occupazionali o l’integrità dei bilanci pubblici) che consentono, ad informativa già emessa, di ricorrere all’adozione di tali misure.

21.18. Nel motivo qui riproposto è dedotto, in modo del tutto generico e apodittico, che i servizi di vigilanza svolti dall’appellante garantirebbero l’indifferibile salvaguardia dei diritti fondamentali, senza chiarire quali e con quali modalità, non potendo ritenersi che il servizio di vigilanza costituisca in re ipsa, senza precise e documentate specificazioni, uno strumento indifferibile per la tutela dei diritti fondamentali attinenti alla persona.

21.19. Anche il riferimento, certo dotato di una forte suggestività, ai livelli occupazionali, affermandosi la società necessitata, nell’ipotesi di conferma dei provvedimenti prefettizi, a licenziare i quasi 1.000 dipendenti, è meramente assertivo e sfornito di qualsivoglia supporto probatorio, non dovendo dimenticarsi che la salvaguardia dei livelli occupazionali è già ampiamente garantita dalla “clausola sociale”, contenuta nel vigente CCNL del settore della vigilanza, approvato l’8.4.2013 (artt. 25 ss.) che prescrive, nel caso di subentro di altri istituti nella gestione dell’appalto dei servizi di sicurezza privata, l’obbligo di assorbire il personale ivi impiegato dall’impresa uscente.

21.20. A tutela delle posizioni lavorative, peraltro, va anche aggiunto il recente provvedimento di corresponsione del trattamento straordinario di integrazione salariale, di cui al Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Agricole e Sociali del 6.5.2015 (cfr. il punto 38.4 della sentenza n. 3.653/2015).

21.21. Quanto all’integrità dei bilanci pubblici, pure invocata da -OMISSIS-, non ha fondamento l’osservazione secondo cui le amministrazioni pubbliche, che hanno in corso numerosi rapporti con l’odierna ricorrente, dovrebbero procedere all’immediata attivazione di nuove procedure ad evidenza pubblica, sostenendone i relativi costi e trovandosi esposte al rischio di domande risarcitorie particolarmente onere nell’ipotesi in cui la ricorrente fosse nel merito vittoriosa.

21.22. Quest’ultimo rischio è una conseguenza meramente eventuale di ogni contenzioso che investa la legittimità dell’informativa e l’argomento, dunque, prova troppo, poiché, sviluppandolo, esso condurrebbe all’assurda conseguenza che, per il timore di ingenti risarcimenti dovuti dalle casse pubbliche, il Prefetto non dovrebbe mai ricorrere allo strumento dell’interdittiva prima di aver esperito le misure di cui all’art. 32.

21.23. Nemmeno va trascurato per altro verso che, in molte ipotesi, come quello oggetto di causa, -OMISSIS- partecipa all’esecuzione di appalti nell’ambito di associazioni temporanee di imprese o di raggruppamenti temporanei di imprese, con la conseguenza che compete alla stazione appaltante verificare se procedere alla risoluzione del rapporto, una volta ricevuta l’interdittiva, o invitare la mandataria del raggruppamento ad indicare un altro operatore economico o a proseguire in prima persona l’esecuzione della commessa ai sensi dell’art. 37, commi 18 e 19, del D.L.vo 163/2006.

21.24. Né devono essere sottaciute, infine, le ipotesi nelle quali la sostituzione nel servizio, laddove ritenuto essenziale per l’interesse pubblico, non sia attuabile in tempi rapidi, anche in considerazione dell’avanzata fase esecutiva, poiché l’art. 94, comma 3, del D.L.vo 159/2011 prevede che le stazioni appaltanti non procedono alle revoche o ai recessi necessariamente conseguenti all’informativa nel caso in cui l’opera sia in corso di ultimazione “ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell’interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi”.

21.25. Per tutte le ragioni esposte l’Amministrazione non è incorsa in alcuna violazione dei parametri, di diritto interno ed europeo, qui fatti valere, non potendo ritenersi l’esercizio del potere in questa sede vagliato, nemmeno alla stregua dei principi sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, né abusivo né sproporzionato né discriminatorio a danno dell’appellante.

21.26. Per quanto riguarda la presunta violazione dei principi sanciti dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali accennata soltanto genericamente nel motivo di censura in esame, poi, giova in ogni caso ribadire quanto esposto al riguardo nella sentenza n. 3.653/2015 con riferimento alle deduzioni apparentemente più articolate svolte in quel procedimento d’appello, ovvero che il precedente cautelare di questo Consiglio, sez. IV, 16.9.2014, ord. n. 4.089, da -OMISSIS- invocato a sostegno di una presunta disparità di trattamento a suo danno nell’applicazione dell’art. 32 del D.L. 90/2014, riguarda il ben diverso caso nel quale,in assenza di una informativa, il T.A.R. Lombardia aveva annullato l’aggiudicazione dei lavori ottenuti da una impresa, il cui legale rappresentante era indagato per il delitto di turbata libertà degli incanti, ai sensi degli artt. 453 e 353-bis c.p., proprio con riferimento alla gara poi aggiudicata, con una sentenza i cui effetti sono stati sospesi da questo Consiglio, nella citata ordinanza, proprio sul rilievo che l’applicazione dell’art. 32 del d.l. 30/2014, comportante il commissariamento dell’impresa, consentiva la prosecuzione dei lavori senza procedere alla risoluzione del rapporto.

21.27. Ma ben diverso è il caso presente e quello esaminato nella sentenza passata n. 3.653/2015 di questo Consiglio, nei quali si si è in presenza di una informativa già adottata, esplicante immediati effetti interdittivi, rispetto alla quale la previsione dell’art. 32, come detto, non costituisce e non può costituire condizione di legittimità.

21.28. La contestata informativa non concreta, dunque, alcuna lesione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali né nei termini di abuso del diritto né nei termini di discriminatorio esercizio del potere.

21.29. Il motivo esposto con i paragrafi 7 e 8 del I motivo di diritto del ricorso introduttivo in primo grado (pp. 22-24 dell’atto d’appello), riproposto in questa sede, deve quindi essere respinto.

22. Con il II motivo di diritto del ricorso di primo grado, in questa sede riproposto (pp. 24-27 dell’atto d’appello), -OMISSIS- ha dedotto la violazione di legge e, in particolare, degli artt. 7 e ss. della L. 241/1990, la violazione degli art. 21-bis, 21-quinquies e 21-nonies della L. 241/1990 e dei principi in materia di revoca/annullamento degli atti amministrativi, l’illegittimità derivata, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 94 e 95 del D.L.vo 159/2011, la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 252, DPR 252/1998, la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 37 del D.L.vo 163/06, l’eccesso di potere per difetto di presupposto, per difetto di istruttoria, per contraddittorietà e per logicità manifesta, il difetto assoluto di motivazione.

22.1. Lamenta -OMISSIS- che l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, nel disporre l’estromissione di essa appellante dal rapporto contrattuale, avrebbe concluso il procedimento senza tenere in alcun conto le osservazioni dalla prima presentate.

22.2. I provvedimenti gravati in prime cure risulterebbero, altresì, inficiati da eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, poiché l’Azienda Ospedaliera non avrebbe fornito alcuna motivazione e non darebbe atto di alcuna istruttoria compiuta, limitandosi a citare l’informativa, così integrando una “non motivazione”; i provvedimenti menzionati sarebbe, dunque, illegittimi per violazione delle disposizioni in materia di autotutela, poiché non sarebbero stati accompagnati da una rivalutazione dell’interesse pubblico.

22.3. Il motivo, nei suoi molteplici profili, è privo di fondamento.

22.4. Per quanto riguarda il primo profilo di doglianza, infatti, va evidenziato che, in base alla documentazione presente in atti, risulta che -OMISSIS- ha avuto senz’altro la possibilità di partecipare al procedimento. Le è stata inoltrata, infatti, la comunicazione di avvio del procedimento dd. 21.11.2014 ed essa ha presentato la memoria pervenuta all’Azienda Ospedaliera in data 27.11.2014, sulla quale l’amministrazione ha anche preso posizione, nell’ambito della successiva comunicazione dd. 05.12.2014, ritenendo di non poter accogliere le relative deduzioni, il tutto esponendo una serie di ragioni, senza, peraltro, come si dirà appresso, esserne nemmeno tenuta.

22.5. Nemmeno sussiste il lamentato vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione o carenza di istruttoria.

22.6. La giurisprudenza di questo Consiglio è costante nell’affermare che, in presenza di un’informativa prefettizia antimafia che accerti il pericolo di condizionamento dell’impresa da parte della criminalità organizzata, non residua in capo all’organismo committente alcuna possibilità di sindacato nel merito dei presupposti che hanno indotto il Prefetto alla sua adozione, atteso che si tratta di provvedimento volto alla cura degli interessi di rilievo pubblico – attinenti all’ordine e alla sicurezza pubblica nel settore dei trasferimenti e di impiego di risorse economiche dello Stato, degli enti pubblici e degli altri soggetti contemplati dalla normativa in materia – il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva all’Autorità di pubblica sicurezza e non può essere messo in discussione da parte dei soggetti che alla misura di interdittiva devono prestare osservanza.

22.7. Ogni successiva statuizione dell’Amministrazione, quindi, si configura dovuta e vincolata a fronte del giudizio di disvalore dell’impresa con la quale è stato stipulato il contratto e il provvedimento di revoca o recesso da essa adottato non deve essere corredato da alcuna specifica motivazione, salvo la diversa ipotesi, del tutto eccezionale, non ravvisabile nel caso di specie, in cui a fronte dell’esecuzione di gran parte delle prestazioni e del pagamento dei corrispettivi dovuti, venga riconosciuto prevalente l’interesse alla conclusione della commessa con l’originario affidatario (Cons. St., sez. III, 12.3.2015, n. 1292).

22.8. È dunque radicalmente smentito l’assunto di -OMISSIS-, secondo cui il provvedimento di recesso adottato dall’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea sarebbe illegittimo per l’assoluto difetto di motivazione, e ciò sulla base della tesi, infondata, che il semplice richiamo all’informativa non risulterebbe idoneo a concretare una sufficiente e valida motivazione, mentre, per le ragioni vedute, così non è, essendo anzi tale provvedimento necessitato in seguito all’informativa e non competendo all’Azienda Ospedaliera alcun apprezzamento discrezionale circa l’obbligatorio recesso dal contratto, di modo che in capo ad essa non sussiste nemmeno alcun obbligo motivazionale circa la possibilità di ricorrere alle misure straordinarie attivabili ex art. 32, co. 10 D.L. 90/2014, che consentono all’impresa colpita da informativa antimafia di completare l’esecuzione del contratto, decisione che, infatti, compete esclusivamente all’autorità prefettizia, per cui ogni riferimento, anche incidenter tantum, alla relativa questione nel provvedimento appare comunque ininfluente ai fini della valutazione della legittimità dell’atto.

22.9. Le considerazioni sinora svolte destituiscono di fondamento anche la censura relativa alla dedotta violazione delle disposizioni della L. 241/1990 in materia di autotutela, non essendo configurabile, da un lato, alcuno spazio di discrezionalità per la stazione appaltante, salve le diverse ed eccezionali ipotesi contemplate dal già citato art. 94, comma 3, del D.L.vo 159/2011, comunque non ricorrenti nel caso di specie, anche perché l’Azienda Ospedaliera è riuscita a garantire la prosecuzione del servizio, con le modalità di cui si dirà meglio nel proseguo, e non essendo ipotizzabile, dall’altro, alcun legittimo affidamento dell’impresa da preservare nella comparazione degli interessi contrapposti.

22.10. Devono essere quindi esaminati, in quanto qui riproposti, anche i seguenti motivi aggiunti dedotti in primo grado da -OMISSIS-.

23. Con il I motivo di diritto dei motivi aggiunti in primo grado (pp. 27-35 dell’atto d’appello) l’interessata ha dedotto, riassunto in estrema sintesi, che l’informativa rilasciata dal Prefetto di Roma sarebbe illegittima perché il suo “impianto accusatorio” si fonderebbe sugli accertamenti compiuti dal Dirigente della Questura, dott. -OMISSIS- che, alla luce dei fatti dedotti nell’atto d’intervento dall’interveniente -OMISSIS- nel procedimento R.G. 12.736/2014 – era del tutto incompatibile con l’attività di controllo effettuata dallo stesso -OMISSIS-, in quanto, come si desumerebbe dalla denuncia/querela presentata dal -OMISSIS- presso la Procura della Repubblica di Roma e dalla documentazione allegata, lo stesso e la figlia detenevano e deterrebbero, tuttora, rapporti anche economici con alcuni Istituti di Vigilanza.

23.1. Tali circostanze, comportando anche solo astrattamente il venir meno dei principi di imparzialità, trasparenza e terzietà che debbono necessariamente qualificare e denotare qualsivoglia attività di vigilanza e di controllo, determinerebbero la totale inattendibilità e illegittimità delle risultanze istruttorie convogliate nel provvedimento interdittivo finale che, conseguentemente, sarebbe viziato da illegittimità derivata.

23.2. L’appellante ne trae la conclusione che i provvedimenti adottati dal Prefetto sarebbero affetti da difetto di istruttoria e di motivazione, erroneità dei presupposti e travisamento di atti e fatti, illogicità e contraddittorietà manifesta, manifesta ingiustizia perché fondati tutti sulla relazione predisposta dal -OMISSIS-, definita “l’architrave che sorregge interamente la disposta informativa antimafia gravata in questa Sede” (p. 30 dell’atto d’appello).

23.3. Il motivo è infondato.

23.4. La ricorrente in prime cure ha inteso contrapporre agli accertamenti svolti dall’autorità prefettizia e, per usare la sua terminologia, all’impianto accusatorio sostenuto da questa, fondata su molteplici elementi (e non solo sulla semplice nota del 22.5.2014 della Questura di Roma a firma del -OMISSIS-), un proprio “impianto accusatorio”, esso, sì, sfornito di qualsivoglia elemento probatorio idoneo a minare alle fondamenta la credibilità della relazione e, addirittura, l’attendibilità degli stessi provvedimenti prefettizi sulla base di una semplice denuncia/querela proposta da un terzo all’autorità giudiziaria.

23.5. Ritiene questo Collegio che, come già giustamente rilevato da questa Sezione nella più volte citata sentenza n. 3.653/2015, non è dato comprendere come possa affermarsi una situazione di incompatibilità o di conflitto di interessi del -OMISSIS- sulla base della mera e unilaterale rappresentazione dei fatti esposti in una denuncia/querela presentata all’autorità giudiziaria, prodotta da un soggetto il cui intervento in primo grado, peraltro, avrebbe dovuto dichiararsi inammissibile, senza che tale rappresentazione sia confortata da alcun elemento investigativo o da alcun supporto probatorio che ne confermi, a sua volta, l'”impianto accusatorio”; quest’ultimo, infatti, non può certamente considerarsi dimostrato in base alle mere risultanze della documentazione, non richiamata nell’atto d’appello, ma versata in atti da -OMISSIS- soltanto nel successivo corso del procedimento d’appello, dalla quale, in effetti, risultano semmai unicamente legami, anche di natura economica, del -OMISSIS- e di sua figlia con un istituto di vigilanza che, però, non è coinvolto in alcun modo nella vicenda oggetto di processo, per cui – in assenza di ulteriori elementi concreti – non può certo affermarsi che, nel caso di specie, l’operato del -OMISSIS- sia stato e possa essere stato condizionato da detti rapporti.

23.6. Come è stato evidenziato da questo Consiglio nella sua sentenza n. 3653/2015, dalla nota di chiarimenti della Questura di Roma del 14.10.2014 emerge, oltretutto, che la denuncia penale in oggetto proviene da persona che potrebbe avere forti motivi di contrasto con l’operato della Divisione Polizia Amministrativa e Sociale, in quanto destinataria, tempo addietro, di un provvedimento di revoca della licenza di guardia particolare giurata, circostanza che imporrebbe di valutarne con maggiore scrupolo e attenzione, e certamente non senza il conforto di ulteriori elementi, il contenuto prima di desumerne, in modo acritico e indimostrato, la concreta sussistenza di un conflitto di interessi e di una situazione incompatibilità in capo al -OMISSIS-, la quale, come già detto, in ogni modo, non può essere di certo tratta semplicemente dalla documentazione sopraccitata, già allegata dal -OMISSIS- alla sua denuncia-querela e sottoposta dall’odierna appellante all’esame del Collegio nel procedimento conclusosi con la sentenza n. 3.653/2015, che, apparentemente, pur citandola al par. 43, non l’ha ritenuta meritevole di positivo apprezzamento.

23.7. Già solo tale osservazione basta a destituire di qualsivoglia fondamento la prima censura dei motivi aggiunti in questa sede riproposta.

23.8. Ma, anche prescindendo da tale assorbente rilievo, è poi infondato l’assunto che l’informativa prefettizia avrebbe nella relazione del -OMISSIS- la propria “architrave”, la propria condicio sine qua non, quasi che esse simul stabunt, simul cadent, poiché è ben evidente, dalla sua semplice lettura, che essa si fondi su molteplici elementi istruttori e su molti atti, non provenienti dal -OMISSIS-, e che essa sia il complessivo e ponderato esito di un’ampia valutazione, da parte del Prefetto, che non può certo ritenersi supinamente e semplicemente adagiato sulla rappresentazione dei fatti da parte del -OMISSIS-, come invece a torto assume la ricorrente nel motivo qui esaminato.

23.9. Il primo motivo aggiunto in primo grado, riproposto in sede d’appello, quindi, deve essere respinto.

24. Anche il II motivo di diritto dei motivi aggiunti (pp. 35-36 dell’atto d’appello), con il quale -OMISSIS- ha lamentato la violazione e la falsa applicazione dell’art. 379-bis c.p. anche alla luce dell’art. 6, par. 2, della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, non merita condivisione.

24.1. Con esso si lamenta la violazione di tali disposizioni da parte della nota della Guardia di Finanza – GICO dell’11.11.2014, più volte sopra richiamata, poiché essa farebbe illegittimo riferimento a fatti coperti dal segreto istruttorio, perché relativi ad indagini penali tuttora in corso.

24.2. Si tratta di una censura del tutto inammissibile, al di là della sua infondatezza nel merito, poiché detta nota costituisce un atto successivo all’emissione dell’informativa e, quindi, non avente alcuna influenza sulla legittimità di questa.

25. Occorre infine esaminare anche il III motivo di diritto dei motivi aggiunti (pp. 36 dell’appello d’appello), con il quale -OMISSIS- sostiene che alle precedenti censure debba fare seguito l’annullamento degli atti impugnati per illegittimità derivata, essendo impossibile, a suo avviso, non considerare come viziante l’intera procedura l’avvio del procedimento sulla base di un atto redatto da un Dirigente dalla Polizia di Stato in conflitto di interessi con la società.

25.1. Il motivo va anch’esso respinto.

25.2. Il presunto conflitto di interessi è ben lungi dall’essere documentato, contrariamente a quanto sostiene l’odierna appellante, e – ammesso, quod non est, che esista – è ben lungi dallo spiegare efficacia viziante sull’intera procedura e sul provvedimento prefettizio, frutto di un’autonoma valutazione del Prefetto, fondata su molteplici e differenti elementi istruttori.

25.3. Anche esso, quindi, deve essere disatteso.

26. Vanno quindi esaminate le censure mosse con l’appello principale da -OMISSIS- alla sentenza impugnata.

26.1. Tali censure sono tutte infondate.

27. Con un primo motivo già formulato in primo grado (pp. 4-8 dell’atto d’appello) -OMISSIS- lamenta la violazione e la falsa applicazione delle disposizioni, di cui al D.L.vo 159/2011, con particolare, ma non esclusivo, riferimento agli artt. 84, 91, 94 e 95, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 24, 41 e 97 Cost., l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà manifesta e travisamento di atti e fatti, nonché l’erroneità e il difetto dei presupposti, lo sviamento e la manifesta ingiustizia.

27.1. Il T.A.R. Lazio, pur accogliendo il ricorso di primo grado e annullando, conseguentemente, tutti i provvedimenti gravati e, principalmente, l’informativa prefettizia, ha comunque respinto il motivo del ricorso introduttivo in parte qua e, cioè, nella parte in cui l’odierna appellante ha contestato che la Prefettura avesse ritenuto -OMISSIS- “amministratore di fatto” della società colpita dal provvedimento interdittivo.

27.2. In particolare -OMISSIS- contesta che -OMISSIS- sia l’amministratore di fatto della società, come invece pare ritenere la sentenza impugnata, e osserva che, per attribuire ad un soggetto simile qualifica, è necessario dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il soggetto in questione riesca a condizionare a proprio piacimento la stessa vita sociale dell’impresa, determinandone tutte le scelte societarie.

27.3. Sostiene ancora l’appellante che il T.A.R. Lazio, in modo alquanto superficiale, senza svolgere alcuna istruttoria e senza fornire, soprattutto, alcuna prova al riguardo, ha affermato che -OMISSIS- sarebbe, potenzialmente, l’amministratore di fatto della -OMISSIS- sulla base di elementi del tutto inconferenti, “spuri” al mondo del diritto e, comunque, fuori luogo.

27.4. Inoltre, deduce ancora l’appellante, il primo giudice, per arrivare a questa conclusione, prende a riferimento le evidenze riscontrate a seguito della perquisizione locale e personale effettuata il 19.2.2014 e confluite nella memoria/nota del GICO dell’11.11.2014, successiva all’adozione del provvedimento interdittivo, perché si tratterebbe, a ben vedere, di risultanze non presenti e non richiamate nel provvedimento antimafia e utilizzate dal Prefetto di Roma per affermare che il -OMISSIS- era l’amministratore di fatto della società in questione.

27.5. La tesi dell’appellante, in sintesi, è che la conclusione del T.A.R. sia erronea e infondata per i seguenti motivi:

a) perché la sentenza si limiterebbe ad affermare che il -OMISSIS- sia potenzialmente l’amministratore di fatto senza alcuna certezza, al riguardo, e comunque non al di là di ogni ragionevole dubbio (p. 6 dell’atto d’appello);

b) perché la sentenza avrebbe posto a base della sua valutazione le evidenze riscontrate a seguito della perquisizione locale e personale, compiuta il 19.2.2014 e confluite nella memoria/nota del GICO dell’11.11.2014, risultanze non valorizzate nel provvedimento interdittivo e, comunque, del tutto inidonee a provare che egli sia amministratore di fatto della società (p. 7 dell’atto d’appello);

c) perché la sentenza sarebbe contraddittoria nella misura in cui ha, da un lato, affermato che tali evidenze costituiscono una motivazione postuma, inammissibile, e dall’altro le ha valorizzate per ritenere -OMISSIS- amministratore di fatto della società (p. 8 dell’atto d’appello).

27.6. Non si potrebbe quindi dubitare in conclusione, secondo l’appellante -OMISSIS-, della illegittimità e della erroneità dei capi della sentenza di primo grado, qui gravata, che sarebbe inficiata dai vizi dedotti con il motivo e, soprattutto, dal difetto di motivazione e di istruttoria, basandosi la stessa su un quadro accusatorio che concerne un soggetto che non può essere in alcun modo qualificato come “amministratore di fatto”.

27.7 Il motivo, nelle sue molteplici argomentazioni, è privo di fondamento.

27.8. Ha ben sottolineato la sentenza impugnata, richiamando la precedente sentenza n. 5.202/2015, con motivazione che non è stata oggetto di specifica contestazione, che -OMISSIS- s.r.l. è partecipata da –OMISSIS-, nell’ambito della quale -OMISSIS- ha rivestito la carica di dirigente dal 2011 sino alle sue dimissioni, successive all’adozione dell’interdittiva antimafia e avvenute il 24.10.2015.

27.9. Il T.A.R., sempre rinviando alla sua precedente sentenza, ha poi rilevato come nel provvedimento interdittivo – e non, si badi, in atti successivi allo stesso – si legga che -OMISSIS-, fra il 2008 e il 2011, ha rivestito la carica di dirigente anche presso L’Istituto di Vigilanza “-OMISSIS-“, a sua volta partecipata dalle stesse società che figurano quali socie della -OMISSIS- s.r.l.

27.10. Nell’ambito di -OMISSIS- s.r.l., ha ancora osservato il primo giudice con motivazione non oggetto, nemmeno essa, di specifica contestazione da parte dell’appellante, -OMISSIS-, in affiancamento o su mandato diretto del Presidente, ha ricoperto l’incarico di Responsabile dello sviluppo, partecipazione, controllo e gestione, con la funzione di individuare e reperire tutte le occasioni di crescita e di rafforzamento del settore, svolgendo un “incarico di assoluto rilievo” (p. 1.3 della sentenza T.A.R. n. 5.202/2015).

27.11. Si tratta di elementi che, già contenuti nel provvedimento prefettizio e già da soli, sarebbero sufficienti a qualificare -OMISSIS- quale amministratore di fatto della società, non dovendosi dimenticare che, ai sensi dell’art. 91, comma 5, del D.L.vo 159/2011, il Prefetto competente “estende gli accertamenti pure ai soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell’impresa” e tale è e non può ritenersi, ai sensi e per gli effetti di tale disposizione, anche -OMISSIS-, come del resto ha rilevato anche il G.I.P., nella recente ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere a suo danno, laddove ha affermato, sulla scorta di tutti gli elementi investigativi prodotti, la sua situazione di effettiva proprietà del -OMISSIS-.

27.12. La capacità di condizionare, in qualsiasi modo, le scelte e gli indirizzi dell’impresa da parte di -OMISSIS- è indubbia, alla luce degli elementi valorizzati dall’informativa e – nella sostanza – rimasti incontestati dalla stessa appellante incidentale, e l’analisi degli ulteriori elementi emersi nella perquisizione locale e personale eseguita dal 19.2.2014 e dei controlli amministrativi eseguiti il 15.5.2014, meramente confermativi del suo ruolo predominante all’interno della struttura societaria, è perfino superflua e, comunque, non decisiva di fronte al delinearsi della sua chiara e inequivocabile figura egemonica all’interno di -OMISSIS- sulla base di quanto già ampiamente e sufficientemente rilevato nell’informativa prefettizia.

27.13. Figura egemonica, quella sua, che è ben lumeggiata e tratteggiata, merita qui solo aggiungere, anche dalla recente ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere emessa suoi riguardi il 26.6.2015 dal G.I.P. di Roma, di cui si è fatto più volte menzione.

27.14. Non giova nemmeno all’appellante, per contestare la figura di amministratore di fatto in capo a -OMISSIS-, richiamarsi alla regola della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio, poiché tale regola causale può trovare spazio nel giudizio penale, laddove viene in gioco la liberà personale dell’imputato, ma non nel giudizio amministrativo, che investa la legittimità del provvedimento interdittivo antimafia, ispirato ad una ben diversa logica preventiva e improntato alla regola, di stampo civilistico, del “più probabile che non”.

27.15. Pare a questo Collegio difficilmente contestabile che, alla stregua di tale regola causale, -OMISSIS- sia stato, sino alla sua recente restrizione in carcere, dominusindiscusso della odierna appellante incidentale né il suo ruolo egemonico è stato in alcun modo scalfito dalle contestazioni svolte dall’appellante e, men che mai, dall’argomentazione, del tutto inverosimile, che un mero “dipendente” della società, quale si vuol accreditare -OMISSIS-, possa “conoscere come o meglio di un Presidente o di un Amministratore le dinamiche interne della società, sia tecniche che amministrative, sarebbero da qualificare come “Amministratore di fatto”” (p. 8 dell’atto d’appello).

27.16. Proprio la circostanza che il -OMISSIS- nel corso dei recenti controlli effettuati dagli organi di polizia si sia presentato a tali organi come uno dei soci del -OMISSIS- ed abbia dimostrato di conoscere le dinamiche di conduzione degli istituti di vigilanza, sia sotto il profilo amministrativo che tecnico, circostanza, questa, ben valorizzata dall’informativa prefettizia, dimostra inequivocabilmente, laddove ve ne fosse il bisogno, la sua posizione di amministratore di fatto all’interno di -OMISSIS-, al di là di sterili disquisizioni nominalistiche sull’accezione di “socio”, peraltro significativamente adoperato dal -OMISSIS- stesso, nel qualificarsi tale.

27.17. Ogni questione sulla novità della memoria/nota del GICO dell’11.11.2014, sollevata dall’appellante incidentale, è dunque ininfluente, sul piano decisorio, in ordine alla sua qualifica effettiva e incontestabile di amministratore di fatto.

27.18. Il motivo, pertanto, deve essere respinto.

28. Con il secondo motivo (pp. 9-22 dell’atto appello) -OMISSIS- censura la sentenza impugnata, la quale ha respinto la domanda risarcitoria proposta in primo grado, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1337, 1223 e 1226 c.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del D.L.vo 80/1998, per violazione degli artt. 30 e 124 del D.L.vo 104/2010, per violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui al D.L.vo 159/2011, con particolare, ma non esclusivo, riferimento agli artt. 84, 91, 94 e 95, per violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 41 e 97 Cost., per eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, per contraddittorietà manifesta, per travisamento di atti e fatti, per erroneità e difetto dei presupposti, nonché per sviamento ed ingiustizia manifesta.

28.1. Espone, l’appellante che in primo grado aveva chiesto il risarcimento dei danni scaturenti, da un lato, dall’interdittiva antimafia adottata dalla Prefettura di Roma nonché dalla mancata adozione, da parte di quest’ultima, delle misure straordinarie ex art. 32, D.L. 90/2014 e, dall’altro lato, dall’estromissione comminata dall’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea.

28.2. Il primo giudice ha respinto la prima domanda risarcitoria conseguente alla illegittimità dell’interdittiva impugnata, ritenendo insussistente l’elemento psicologico dell’illecito sub specie, quanto meno, della colpa e ravvisando, quindi, i presupposti per il riconoscimento dell’errore scusabile.

28.3. L’appellante assume, al contrario, che nel caso di specie sarebbero sussistenti tutti gli elementi per ritenere la responsabilità dell’amministrazione prefettizia, sia sul piano oggettivo che soggettivo, e chiede la riforma della sentenza, in parte qua, con conseguente condanna del Ministero dell’Interno al risarcimento dei danni.

28.4. Il motivo deve essere respinto, in quanto l’infondatezza di tutte le censure mosse in primo grado da -OMISSIS- ai provvedimenti prefettizi, sia quelle erroneamente accolte dal primo giudice, come si è già visto, sia quelle non esaminate e in questa sede riproposte, tra cui anche quello attinente alla mancata preventiva adozione delle misure ex art. 32, D.L. 190/2014 da parte del Prefetto, con la conseguente accertata legittimità di tali provvedimenti, fanno venir meno un presupposto indispensabile dell’invocata responsabilità e, cioè, il fatto illecito dell’Amministrazione, esimendo il Collegio dall’analizzare, inutilmente e in contrasto con l’obbligo di sintesi prescritto dal codice di rito, gli ulteriori elementi costitutivi – nesso causale, colpa, danno risarcibile – della domanda proposta in primo grado ai sensi dell’art. 2043 c.c..

28.5. Ne segue che tale motivo, per la insussistenza di uno degli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana dell’Amministrazione dell’Interno, deve essere respinto.

28.6. La domanda di risarcimento dei danni asseritamente derivati dall’estromissione di -OMISSIS- dal rapporto contrattuale comminata dall’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea nonché la richiesta di immediato ri-subentro nel contratto di appalto originario, invece, sono state respinte dal giudice di primo grado, stante, per quanto concerne la prima domanda, la natura vincolata del provvedimento estromissivo consequenziale e, per quanto riguarda la domanda di risarcimento in forma specifica, sul presupposto che non vi era la prova in atti in merito della stipulazione del contratto con il nuovo R.T.I., con la conseguenza che non poteva disporsi la declaratoria di un contratto meramente ipotetico.

28.7. La domanda di risarcimento dei danni per equivalente, fondata sulla presunta illegittimità dell’estromissione di -OMISSIS- dal rapporto contrattuale in essere con l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, deve essere respinta, attesa l’accertata legittimità dell’interdittiva prefettizia, della quale il provvedimento estromissivo costituisce, come giustamente rilevato dal T.A.R., atto consequenziale di natura vincolata, come affermato anche dalla costante giurisprudenza amministrativa.

28.8. Sul punto va comunque rilevato che, diversamente da come prospettato dall’appellante nella propria memoria del 01.10.2015, tale orientamento giurisprudenziale e la normativa su cui questo si fonda, non possono ritenersi incompatibili con la normativa comunitaria, con la conseguenza che non appare necessario dare seguito alla richiesta di -OMISSIS- di rinviare alla Corte di Giustizia Europea la questione pregiudiziale se le disposizioni nazionali contenute nella normativa nazionale, in particolare nell’art. 94, D.L.vo 159/2011, ostino all’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 101 e seguenti del TFUE in materia di concorrenza, nella parte in cui prevedono la risoluzione anticipata di un contratto pubblico in violazione delle direttive in materia di aggiudicazione.

28.9. La questione sollevata dall’appellante, invero, può essere considerata manifestamente infondata, alla luce dei principi enunciati dalla CGUE con la sentenza da essa pronunciata nel procedimento C-721/2015, nella quale la Corte si è espressa positivamente sulla facoltà, in capo al legislatore nazionale, di prevedere autonomamente cause di esclusione dalla gara. In detta pronuncia, la CGUE ha affermato che “le norme fondamentali e i principi generali del Trattato FUE, segnatamente i principi di parità di trattamento e di non discriminazione nonché l’obbligo di trasparenza che ne deriva, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una disposizione di diritto nazionale in forza della quale un’amministrazione aggiudicatrice possa prevedere che un candidato o un offerente sia escluso automaticamente da una procedura di gara relativa a un appalto pubblico per non aver depositato, unitamente alla sua offerta, un’accettazione scritta degli impegni e delle dichiarazioni contenuti in un protocollo di legalità,… finalizzato a contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici”, ricordando che aveva “già dichiarato che va riconosciuto agli Stati membri un certo potere discrezionale nell’adozione delle misure destinate a garantire il rispetto del principio della parità di trattamento e dell’obbligo di trasparenza, i quali si impongono alle amministrazioni aggiudicatrici in tutte le procedure di aggiudicazione di un appalto pubblico” e rilevando che “il singolo Stato membro è nella posizione migliore per individuare, alla luce di considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti in grado di provocare violazioni del rispetto del principio e dell’obbligo summenzionati”.

28.10. Ciò premesso e constatato che, “secondo il giudice del rinvio, un protocollo di legalità come quello di cui trattasi nel procedimento principale è finalizzato a prevenire e a contrastare il fenomeno delle infiltrazioni, soprattutto nel settore degli appalti pubblici, della criminalità organizzata, che è molto radicata in alcune regioni del sud Italia. Esso è funzionale altresì alla tutela dei principi di concorrenza e di trasparenza che presidiano la normativa italiana e dell’Unione in materia di appalti pubblici”, la Corte ha concluso nel senso che “si deve necessariamente constatare che, ostacolando l’attività criminale e distorsioni della concorrenza nel settore degli appalti pubblici, una misura quale l’obbligo di dichiarare l’accettazione di un tale protocollo di legalità appare idonea a rafforzare la parità di trattamento e la trasparenza nell’aggiudicazione di appalti. Inoltre, poiché incombe su qualsiasi candidato od offerente indistintamente, detto obbligo non viola il principio di non discriminazione”, il tutto con la precisazione che “tuttavia, conformemente al principio di proporzionalità, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, una siffatta misura non deve eccedere quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito”.

28.11. Ritiene il Collegio che i principi enunciati nella pronuncia della CGUE ora ampiamente illustrati, valgano, per l’eadem ratio che accomuna le due fattispecie, anche riguardo alla previsione normativa dell’obbligo recedere dal contratto a seguito dell’adozione di un’interdittiva antimafia, ciò anche perché in questo non può mettersi ancora meno in dubbio la proporzionalità tra misura ed obbiettivo proseguito.

28.12. Per le vedute ragioni, l’istanza di rinvio pregiudiziale alla CGUE formulata dall’appellante va quindi disattesa.

28.13. Rimane da esaminare il motivo di doglianza riguardante il rigetto della richiesta di ri-subentro nell’originario contratto formulato dalla ricorrente in primo grado, motivato dal T.A.R. con il fatto che non vi era la prova in atti in merito della stipulazione del contratto con il nuovo R.T.I., con la conseguenza che non poteva disporsi la declaratoria di un contratto meramente ipotetico.

28.14. Formulando il motivo in questione, l’appellante lamenta, in primo luogo, che il T.A.R. sarebbe incorso nel tipico abbaglio dei sensi, poiché essa aveva impugnato espressamente la deliberazione n. 761 del 04.12.2014 dell’Azienda nella quale si era proceduto, da un lato, alla sua estromissione dal servizio e, dall’altro, all’assegnazione della quota parte dei servizi da essa precedentemente svolti unitamente agli altri operatori con cui aveva costituito il raggruppamento.

28.15. Prosegue l’appellante che il richiamo del T.A.R. al fatto che, al momento dell’estromissione di -OMISSIS- dal rapporto contrattuale l’interdittiva era valida ed efficace, poi, poteva tutt’al più porre al riparo l’Azienda da censure unicamente nell’arco temporale di vigenza dell’interdittiva, ma non per il periodo successivo all’annullamento del provvedimento interdittivo e, per illegittimità derivata, della deliberazione n. 761 del 04.12.2014.

28.16. Su queste premesse, l’appellante chiede che questo Collegio riformi la sentenza impugnata, ordinando all’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di disporre l’immediato ri-subentro di -OMISSIS- nel contratto d’appalto originario.

28.17. Il motivo di censura non merita accoglimento.

28.18. In primo luogo, va infatti osservato che, diversamente da come sostenuto dall’appellante, in realtà, -OMISSIS- non ha affatto impugnato la delibera n. 761/2014 del 04.12.2014 dell’Azienda Sanitaria quanto alla ri-assegnazione del contratto d’appalto al nuovo R.T.I., costituito tra le società ex-mandanti dell’R.T.I. di cui aveva fatto parte; nel ricorso introduttivo, invero, -OMISSIS- ha chiesto esclusivamente l’annullamento “della deliberazione… (di tenore sconosciuto), con la quale è stata disposta l’estromissione della ricorrente dal rapporto contrattuale in essere”, esponendo, poi, nella relativa narrativa (pag. 22), che essa ricorrente sarebbe la mandataria del raggruppamento, con la conseguenza che sarebbe del tutto erroneo il richiamo all’art. 37, co. 18, D.L.vo 163/06 e che l’estromissione immediata di essa ricorrente (mandataria) determinerebbe dunque l’impossibilità di garantire il servizio di vigilanza senza soluzione di continuità; con i successivi motivi aggiunti, -OMISSIS-, invece, ha chiesto soltanto, proponendo apposita domanda di risarcimento in forma specifica, il “ri-subentro nel contratto originario”, senza argomentare specificatamente sul punto.

28.19. L’appellante, quindi, parte da un presupposto smentito dagli atti processuali, ovvero quello di aver impugnato, in primo grado, la ri-assegnazione del servizio al nuovo R.T.I., e l’erroneità di tale assunto comporta che esso non possa valere come argomento utile per fondare la pretesa di immediato ri-subentro nel contratto originario.

28.20. Conseguentemente, l’appellante non ha nemmeno alcun interesse a vedersi accolta la sua richiesta di rinvio pregiudiziale alla CGUE, affinché questa si pronunci sulla questione se la normativa nazionale di cui all’art. 37, commi 17 e 18, D.L.vo 163/06, nella parte in cui prevede la riassegnazione di un contratto pubblico risolto anticipatamente in violazione delle direttive in materia di aggiudicazione e la sua riassegnazione attraverso procedura negoziata non prevista dalle direttive medesime, osti all’applicazione delle disposizioni contenute negli articoli 101 e seguenti del TFUE in materia di concorrenza, trattandosi, infatti, di questione estranea al thema decidendumdella presente causa.

28.21. L’ulteriore profilo di censura, per cui – a seguito dell’annullamento dell’interdittiva prefettizia e del consequenziale atto di estromissione dell’appellante dal rapporto contrattuale, per illegittimità derivata – l’Azienda Ospedaliera avrebbe dovuto automaticamente e immediatamente disporre la reintegrazione di -OMISSIS- nel rapporto contrattuale, invece, deve ritenersi superato dal definitivo accertamento dell’informativa antimafia posta a base del provvedimento di estromissione, ciò anche perché non appare ammissibile che uno stesso atto, riconosciuto, in via definitiva, come legittimo, possa essere considerato illegittimo per un certo lasso temporale.

28.22. Ne segue, che, per le vedute ragioni, la richiesta di ordinare all’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, di disporre l’immediato ri-subentro di -OMISSIS- nel contratto d’appalto originario va respinta.

29. Conclusivamente, dovendo accogliersi il ricorso incidentale, proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Roma, e invece respingersi quello principale, proposto da -OMISSIS-, in una con i motivi di primo grado, originari e aggiunti, assorbiti dal primo giudice, s’impone, in integrale riforma della sentenza impugnata, di confermare la piena legittimità dei provvedimenti prefettizi in primo grado contestati.

30. L’accoglimento dell’appello incidentale proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Roma, ed il rigetto dell’appello e dei motivi assorbiti e/o non esaminati dal primo giudice riproposti, determinano anche l’accoglimento dell’appello incidentale proposto dall’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, relativamente al provvedimento adottato dalla stessa Azienda, dovendosi ritenere pienamente legittimo e anzi necessitato in seguito all’informativa prefettizia, per le ragioni sopra viste e alle quali, per obbligo di sintesi, qui si fa richiamo, il provvedimento con il quale L’Azienda Ospedaliera ha estromesso -OMISSIS- dal rapporto contrattuale.

31. La -OMISSIS- va condannata, vista la sua soccombenza, a rifondere all’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea e all’Amministrazione le spese di lite sostenute per entrambi i gradi di giudizio, che vengono liquidate nell’importo di € 4.000,00 (quattromila), oltre accessori di legge, se dovuti, per ciascuna delle due parti indicate.

32. Sussistono invece giusti motivi per compensare integralmente tra le altre parti le spese di lite del doppio grado di giudizio.

33. Rimane definitivamente a carico di -OMISSIS-, attesa la sua soccombenza, il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso e dei motivi aggiunti proposti in primo grado nonché quello corrisposto per la proposizione dell’appello.

34. La stessa -OMISSIS- deve essere condannata a corrispondere il contributo unificato richiesto per la proposizione degli appelli incidentali da parte del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Roma nonché da parte dell’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

Sezione Terza

definitivamente pronunciando sull’appello principale e i motivi di ricorso e aggiunti, non esaminati in primo grado, come in epigrafe proposti da -OMISSIS-, nonché sull’appello incidentale, come in epigrafe proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Roma, e sull’appello incidentale autonomo, come in epigrafe proposto dall’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, così dispone:

respinge l’appello principale e i motivi non esaminati in primo grado proposti da -OMISSIS- e accoglie entrambi gli appelli incidentali e, per l’effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso ed i motivi aggiunti proposti in primo grado da -OMISSIS-;

condanna -OMISSIS- alla refusione delle spese di lite sostenute dall’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea e dall’Amministrazione Pubblica per entrambi i gradi di giudizio, che vengono liquidate nell’importo di € 4.000,00 (quattromila), oltre accessori di legge, se dovuti, per ciascuna delle due parti indicate;

compensa integralmente tra le altre parti le spese del doppio grado di giudizio;

pone definitivamente a carico -OMISSIS-, attesa la sua soccombenza, il contributo unificato corrisposto per il ricorso ed i motivi aggiunti proposti in primo grado nonché quello corrisposto per la proposizione del ricorso in appello;

condanna la stessa -OMISSIS- a corrispondere il contributo unificato richiesto per la proposizione degli appelli incidentali da parte del Ministero dell’Interno e della Prefettura di Roma nonché da parte dell’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea;

ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Dà atto che sussistono i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del D.L.vo 196/2003, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all’oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi di -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS–, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, nonché della -OMISSIS-S.r.l., della -OMISSIS-. e della -OMISSIS-, mandando alla Segreteria di procedere all’annotazione, di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Franco Frattini – Presidente

Francesco Bellomo – Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere

Giulio Veltri – Consigliere

Oswald Leitner – Consigliere, Estensore

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