Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 30 maggio 2017, n. 2564

Allo scopo di stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio (e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini), occorre verificare se l’atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi. In particolare, non può considerarsi meramente confermativo rispetto ad un atto precedente l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto, può dare luogo a un atto propriamente di conferma, in grado, come tale, di costituire un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione. Ricorre invece l’atto meramente confermativo quando l’amministrazione, a fronte di un’istanza di riesame, si limita a dichiararne l’esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 30 maggio 2017, n. 2564

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8.817 del 2015, proposto dal

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, e dall’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Milano, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Sede di Milano, Sezione Prima, n. 1.757/2015, resa tra le parti, concernente l’impugnazione dell’informativa interdittiva antimafia adottata in data 19 febbraio 2015 nei confronti dell’appellata

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 marzo 2017 il Consigliere Oswald Leitner e udito, per gli appellanti, l’Avvocato dello Stato Wa. Fe.;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con la sentenza indicata in epigrafe il T.A.R. per la Lombardia, in accoglimento del ricorso proposto dalla -OMISSIS-, ha annullato l’interdittiva antimafia del Prefetto della Provincia di Milano prot. n. -OMISSIS- di data 19.02.2015, notificata in data 20.02.2015, in quanto ha ritenuto che il provvedimento de quo fosse fondato, sostanzialmente, sull’erroneo presupposto dell’esistenza di una compagine societaria, in termini di soci e dipendenti, diversa da quella effettiva, poiché non aveva recepito le modifiche nel frattempo intervenute nella ripartizione del capitale sociale della società, operate immediatamente dopo la notificazione di altra interdittiva, emessa in data 27.01.2015 dal Prefetto di Varese nei confronti della stessa società. Non si è poi tenuto conto – secondo il giudice di primo grado – che in data 02.02.2015 la proprietà azionaria era stata trasferita integralmente al socio di maggioranza, ed era stato interrotto il rapporto di lavoro con tre dipendenti.

Avverso tale sentenza hanno interposto appello il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Milano, deducendo:

1) l’illegittimità del sindacato giurisdizionale su valutazioni afferenti al merito dell’azione amministrativa;

2) l’improcedibilità del ricorso promosso in primo grado per sopravvenuta carenza di interesse;

3) la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 86, comma 3, D.L.vo n. 159/2011.

La -OMISSIS- non si è costituita in giudizio per resistere all’appello.

All’udienza pubblica del 30 marzo 2017, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

L’appello merita accoglimento sotto l’assorbente profilo dedotto con il secondo motivo d’appello.

A questo proposito, va ricordata la costante giurisprudenza elaborata in tema di atto di conferma.

Allo scopo di stabilire se un atto amministrativo sia meramente confermativo (e perciò non impugnabile) o di conferma in senso proprio (e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini), occorre verificare se l’atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi. In particolare, non può considerarsi meramente confermativo rispetto ad un atto precedente l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può dare luogo a un atto propriamente di conferma, in grado, come tale, di costituire un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione. Ricorre invece l’atto meramente confermativo quando l’amministrazione, a fronte di un’istanza di riesame, si limita a dichiararne l’esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2014, n. 1805; sez. IV, 12 febbraio 2015, n. 758; sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 812).

Ciò premesso, va rilevato che, nel caso di specie, l’odierna appellata ha proposto, in data 05.05.2015, ex art. 91, comma 5, D.L.vo n. 159/2011, richiesta di riesame del provvedimento interdittivo del 19.02.2015, adducendo sostanzialmente le medesime circostanze considerate dal T.A.R. per giungere all’accoglimento del ricorso di primo grado.

Il Prefetto, con provvedimento del 15.09.2015, ribaditi gli elementi già considerati nella prima interdittiva nonché approfondite e valutate le circostanze addotte dall’istante, ha quindi ritenuto, motivando estesamente sul punto, che la cessione delle quote societarie, formalizzata in data 09.02.2015, e le dimissioni dei dipendenti, intervenute in data 02.02.2015, “non consentono di riesaminare in senso favorevole alla società richiedente l’interdittiva antimafia”, per cui ha confermato il provvedimento interdittivo del 19.02.2015, atto di conferma che, in base alle deduzioni dell’appellante, non contraddette dalla documentazione presente in atti, non risulta essere stato impugnato dall’appellata.

E’ indubbio che, così facendo, l’Amministrazione abbia compiuto una nuova e articolata istruttoria, il cui atto conclusivo rappresenta l’esito di una rinnovata valutazione della situazione controversa. Atto di conferma per le ragioni che si sono dette, dunque, e perciò atto che ha preso il posto di quello impugnato in primo grado e che, per essere dotato di una propria e autonoma efficacia lesiva, avrebbe richiesto una separata impugnazione, la mancanza della quale rende il ricorso introduttivo improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, trasferendosi l’interesse del ricorrente dall’annullamento dell’atto impugnato, sostituito dal nuovo provvedimento, a quest’ultimo.

Dalle considerazioni che precedono discende che il ricorso proposto in primo grado dalla -OMISSIS- e il ricorso in appello proposto dall’Amministrazione vanno dichiarati improcedibili, per sopravvenuta carenza d’interesse nel corso del giudizio d’appello, statuizione alla quale consegue necessariamente l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

Ai sensi dell’art. 26 c.p.a. e dell’art. 92, comma secondo, c.p.c., le spese del doppio grado di giudizio, attesa la novità della controversia nei suoi profili sostanziali, possono essere interamente compensate tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, dichiara improcedibili sia il ricorso in primo grado che il ricorso in appello e, per l’effetto, annulla senza rinvio la sentenza impugnata.

Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la -OMISSIS-.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani – Presidente

Francesco Bellomo – Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere

Giulio Veltri – Consigliere

Oswald Leitner – Consigliere, Estensore

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *