Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 25 maggio 2017, n. 2469

Le invalidità che inficiano il procedimento di autenticazione delle firme dei cittadini che accettano la candidatura o che presentano come delegati le liste, non assumono un rilievo meramente formale poiché le minute regole da esse presidiate mirano a garantire la genuinità delle sottoscrizioni, impedendo abusi e contraffazioni, con la conseguenza che l’autenticazione, seppur distinta sul piano materiale dalla sottoscrizione, rappresenta un elemento essenziale – non integrabile aliunde – della presentazione della lista o delle candidature. L’autenticazione non può venire meno alla sua funzione essenziale e precipua, che è quella di essere l’attestazione, da parte di un pubblico ufficiale, che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 25 maggio 2017, n. 2469

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello n. 3677 del 2017, proposto da:

Gi. Ga., ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Va. Zi., Au. Zi., con domicilio eletto presso lo studio Fi. La. in Roma, via (…);

contro

2^ Sottocommissione Elettorale Circondariale di Cosenza non costituito in giudizio;

Ministero dell’interno e Ufficio Territoriale del Governo Cosenza, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Gen. le dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Gi. Ta. non costituito in giudizio;

Ra. Gi. non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del TAR Calabria, sede di Catanzaro – sez. I, n. 805/2017

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo Cosenza;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella udienza speciale elettorale del giorno 25 maggio 2017 il Cons. Francesco Bellomo e uditi per le parti gli avvocati Al. Tu. su delega di Va. Zi. e gli Avvocati dello Stato Ma. Vi. Lu. e Ma. An. Sc.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria Gi. Ga., ed altri domandavano l’annullamento del verbale n. 45/2017 della II Sottocommissione Elettorale Circondariale di Cosenza, con sede in (omissis), con il quale la stessa ha disposto l’esclusione del sig. Fr. Go. dalla prossima competizione elettorale del Comune di (omissis), quale candidato della lista “Uniti per (omissis)”.

A fondamento del ricorso deducevano plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere.

Si costituivano in giudizio per resistere al ricorso Sottocommissione Elettorale Circondariale di Cosenza – Sede di (omissis).

Con sentenza n. 805/2017 il TAR rigettava il ricorso.

2. La sentenza è stata appellata da Gi. Ga., ed altri, che contrastano le argomentazioni del giudice di primo grado.

Si sono costituiti per resistere all’appello il Ministero dell’interno e l’Ufficio Territoriale del Governo.

La causa è passata in decisione alla pubblica udienza speciale elettorale del 25 maggio 2017.

DIRITTO

1. Fr. Go., candidato alla carica di consigliere comunale di (omissis) alle prossime elezioni dell’11 giugno, è stato escluso dalla competizione elettorale in quanto, nell’autenticare la sottoscrizione apposta in calce alla dichiarazione di accettazione della candidatura, il Segretario comunale ha omesso di indicare le modalità di identificazione del sottoscrivente, ossia gli estremi del documento di riconoscimento utilizzato per l’identificazione.

Il candidato escluso, unitamente ai delegati alla presentazione della lista elettorale in cui questi era inserito, nonché il candidato alla carica di Sindaco per il medesimo schieramento, hanno impugnato la decisione dell’amministrazione, domandando la riammissione del candidato, deducendo:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del d.P.R. n. 445/2000. Violazione dell’art. 51 della Costituzione;

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 33, d.P.R. n. 570/1960 alla luce delle sentenze Tar Calabria-Catanzaro, n. 1018/2016, 1022/2016, 1023/2016 e 1024/2016, in ossequio al principio sancito dal Consiglio di Stato, V, 18 maggio 2015 n. 2524/2016 e III, n. 2134/2016.

Il Tar ha respinto il ricorso, richiamando Consiglio di Stato, sez. III, 18 maggio 2017 n. 2354 e il principio della inderogabilità delle forme nel procedimento elettorale, resa su un caso analogo.

Appellano gli interessati, in sostanza reiterando le censure formulate in primo grado e sostenendo che la sentenza appellata le ha male giudicate, ovvero ignorate.

2. Con il primo motivo di appello si deduce erronea e/o falsa interpretazione e applicazione della sentenza Consiglio di Stato, sez. III, 18 maggio 2017 n. 2354. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del d.p.r. n. 445/2000. Violazione dell’art. 51 della Costituzione. Di seguito il contenuto delle censure.

Il Tar ha fatto applicazione del principio enunciato dal Consiglio di Stato in un quadro normativo diverso. Infatti, nel caso deciso dall’indicata sentenza la sanzione era espressamente prevista e comminata dalla legge (art. 5 L.R. F.V.G. n. 28/2007 a sua volta richiamata dall’art. 6 L.R. F.V.G. n. 19/2013), mentre nel caso in esame trova diretta applicazione l’art. 21 del d.P.R. n. 445/2000.

Se così è, allora, coglie nel segno la censura mossa in primo grado, alla luce del più recente orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo cui è «più corretto ammettere che la modalità più corretta di autenticazione, allo stato della legislazione vigente (pur poco chiara e lacunosa), sia quella prevista dal combinato disposto dell’art. 21, comma 1, e dall’art. 38, comma 3, del D.P.R. n. 445 del 2000, come questa Sezione ha affermato nella sentenza n. 1987 del 16 maggio 2016 più volte richiamata, non essendo comunque precluso al funzionario autenticatore seguire la modalità, più rigorosa, prevista dall’art. 21, comma 2, del D.P.R. n. 445 del 2000» (Cons. Stato, sez. III sentenza 28 maggio 2016 n. 2244). Orientamento che, in applicazione dei principi costituzionali e convenzionali, valorizza il favor partecipationis.

Ciò tanto più nel caso in esame, dove il Segretario comunale ha autenticato la firma del sig. Go., previa identificazione dello stesso mediante il documento di riconoscimento, dimenticandone l’annotazione per ragioni di affollamento presso gli uffici. Infatti, la presenza della firma e dell’autentica del Segretario comunale – in uno alla sua, inequivoca, dichiarazione – certifica la firma del candidato, degradando a mera irregolarità.

3. Il motivo è infondato.

È ben vero che la sentenza 18 maggio 2017 n. 2354 del Consiglio di Stato, sez. III riguarda una situazione analoga in fatto ma non in diritto, in ragione della legislazione elettorale vigente nel Friuli Venezia Giulia. Tuttavia, ma il principio ivi fissato – pedissequamente richiamato dal Tar – è di carattere generale: «le invalidità che inficiano il procedimento di autenticazione delle firme dei cittadini che accettano la candidatura o che presentano come delegati le liste, non assumono un rilievo meramente formale poiché le minute regole da esse presidiate mirano a garantire la genuinità delle sottoscrizioni, impedendo abusi e contraffazioni, con la conseguenza che l’autenticazione, seppur distinta sul piano materiale dalla sottoscrizione, rappresenta un elemento essenziale – non integrabile aliunde – della presentazione della lista o delle candidature».

Può aggiungersi, che il precedente invocato dagli appellanti (Cons. Stato, sez. III sentenza 28 maggio 2016 n. 2244) non è pertinente a loro favore. A prescindere che il caso è diverso, la sentenza dà torto all’interessato, affermando che «non per questo l’autenticazione può venire meno alla sua funzione essenziale e precipua, che è quella, appunto, di essere l’attestazione, da parte di un pubblico ufficiale, che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza».

In altre parole, la questione relativa all’applicabilità del comma 1 o del comma 2 del D.P.R. n. 445 del 2000 non è decisiva quando sono in gioco forme sostanziali, in cui certamente rientra quella in esame, essendo senz’altro corretta l’affermazione secondo cui l’indicazione delle modalità di identificazione del sottoscrittore è un adempimento, preordinato a dare evidenza documentale alla materiale attività di accertamento dell’identità del sottoscrittore compiuta dal pubblico ufficiale, oggettivamente ineludibile ed infungibile nell’ambito del procedimento delineato dal legislatore, trattandosi di prescrizione funzionale alla certezza dell’avvenuta identificazione del sottoscrittore.

Né l’omessa indicazione degli estremi del documento di riconoscimento utilizzato per l’identificazione del sig. Go. degrada a irregolarità essendo le operazioni di autenticazione dimostrate, poiché funzione accertativa e funzione dichiarativa all’interno del procedimento di autenticazione sono parimenti essenziali.

4. Con il secondo motivo di appello si denuncia omessa e/o carente motivazione in ordine al secondo motivo di ricorso di primo grado. Violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 33, d.p.r. n. 570/1960 alla luce delle sentenze Tar Calabria n. 1018/2016, 1022/2016, 1023/2016 e 1024/2016, in ossequio al principio sancito dal Consiglio di Stato, n. 2524/2016 e n. 2134/2016. Di seguito il contenuto delle censure.

In base al quadro normativo indicato la Commissione elettorale avrebbe dovuto consentire ai delegati della lista tanto di prendere cognizione, immediatamente, della esclusione della candidatura del sig. Go., quanto, soprattutto, richiedere chiarimenti mediante audizione; ciò, tenuto conto che la mancata annotazione del documento di riconoscimento del sig. Go. è ascrivibile, esclusivamente, al pubblico ufficiale autenticatore, inerente l’esclusivo esercizio di una potestà a questi attribuita dalla legge e che sfugge, pertanto, ai diritti ed ai doveri del candidato, al quale la legge non riconosce alcun potere in tal senso. Trattandosi, poi, di una mera irregolarità, tale facoltà si traduce in un obbligo a carico della Commissione sempre in ossequio a favor partecipationis, mutilato in tale circostanza da un’omissione commessa dal Segretario comunale e solo ad egli imputabile.

5. Il motivo è infondato.

Non è – evidentemente – l’asserita violazione del “giusto procedimento” – a costituire la sostanza della censura, ma la natura di mera irregolarità del vizio e la sua non imputabilità all’interessato.

Se nonché, per quanto detto al punto precedente, non si tratta di mera irregolarità e il favor partecipationis (cui si contrappone la par condicio dei partecipanti alla competizione elettorale) non giustifica la sanatoria del vizio nell’ambito del procedimento elettorale.

È ben vero che l’interessato patisce un’inadempienza al funzionario autenticante, ma l’esclusione non è una sanzione per un fatto illecito, in cui rileva (neppure sempre) la colpa del soggetto che l’ha commesso, ma l’effetto di una disciplina rigorosa di ammissione alle elezioni, che peraltro i candidati sono tenuti a conoscere, sicché è loro onere di impiegare l’ordinaria diligenza per verificarne il rispetto.

6. L’appello è respinto.

La natura della controversia giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Terza, respinge l’appello.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani – Presidente

Francesco Bellomo – Consigliere, Estensore

Manfredo Atzeni – Consigliere

Massimiliano Noccelli – Consigliere

Pierfrancesco Ungari – Consigliere

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