Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 13 marzo 2015, n. 1335

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE TERZA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1507 del 2011, proposto da:
MA.GI.,
rappresentato e difeso dall’avv.to Ra.Pr. ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Gi.De., in Roma, via (…),
contro
– l’A.U.S.L. FG/3 – GESTIONE LIQUIDATORIA DELL’UNITA’ SANITARIA LOCALE FOGGIA/6 – LUCERA,
in persona del legale rappresentante p.t.;
– l’Azienda Sanitaria Locale per la Provincia di Foggia (già A.U.S.L. – FG/3),
in persona del legale rappresentante p.t.
costituitesi in giudizio, rappresentate e difese dall’avv.to Gi.No.Bo. ed elettivamente domiciliate presso il dr. Alfredo Placidi, in Roma, via (…),
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – BARI – SEZIONE III n. 02409/2010, resa tra le parti, concernente rigetto istanza di riconoscimento qualifica di direttore amministrativo capo servizio.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni appellate;
Viste le memorie da queste prodotte a sostegno delle loro difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta, alla pubblica udienza del 5 febbraio 2014, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;
Udito, alla stessa udienza, l’avv. Ra.Pr. per l’appellante, nessuno essendo ivi comparso per le appellate;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
 

FATTO e DIRITTO

 
1. – Con nota prot. n. 9500 in data 4 novembre 1993 l’Amministratore Straordinario ed il Responsabile del Servizio Amministrazione del Personale dell’U.S.L. FG/6 comunicavano all’odierno appellante, dipendente della stessa U.S.L. con la qualifica di Direttore Amministrativo, la reiezione della domanda da lui presentata per il riconoscimento della qualifica superiore di Direttore Amministrativo Capo Servizio.
Avverso tale provvedimento, nonché per il riconoscimento della anzidetta qualifica superiore, l’interessato propose ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, che, rubricato al n. r.g. 709/1994, con sentenza n. 631 del 2 ottobre 1999 veniva dichiarato perento.
Con ricorso notificato il 14 febbraio 2002 e depositato il 16 marzo 2002 ( R.G. n. 333/2002 ) l’interessato adiva nuovamente il medesimo T.A.R. per l’annullamento del citato provvedimento di reiezione e per il riconoscimento della pretesa qualifica superiore.
Il T.A.R., con la sentenza indicata in epigrafe, lo ha dichiarato inammissibile per intervenuta decadenza ai sensi dell’art. 69, comma 7, del D. Lgs. n. 165/2001, in quanto proposto oltre il termine del 15 settembre 2000.
2. – Con appello notificato il 9 febbraio 2011 e depositato il 25 febbraio 2011, l’originario ricorrente ha impugnato la predetta sentenza, deducendo difetto di motivazione della stessa per non aver tenuto conto della circostanza ch’egli “aveva invece tempestivamente prodotto il ricorso giurisdizionale già in data 25.2.1994 proprio dinanzi allo stesso giudice” e che tale giudizio “trovò il suo esaurimento con la decisione di perenzione”, che, afferma, “non ha pregiudicato l’appellante nel suo diritto a rinnovare la domanda” e dunque “non impedisce la delibazione di un altro ricorso con cui sia stato impugnato il medesimo provvedimento” ( pagg. 13 – 14 app. ).
Chiede, in conclusione, che il ricorso introduttivo sia accolto in via definitiva nel merito.
Si sono costituite in giudizio, per resistere, la GESTIONE LIQUIDATORIA DELLA EX UNITA’ SANITARIA LOCALE FOGGIA/6 di LUCERA e l’Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Foggia.
Esse, con memorie in data 20 gennaio 2015, hanno esposto le loro difese.
La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 5 febbraio 2015.
3. – Va preliminarmente rilevata la tardività della produzione di memorie da parte delle Amministrazioni appellate in data 20 gennaio 2015, in violazione di quanto disposto dall’art. 73, comma 1, del cod. proc. amm., che prevede per tale adempimento il termine di trenta giorni liberi antecedenti alla data dell’udienza.
A questo riguardo, non può che ricordarsi come la giurisprudenza sia consolidata nel ritenere che i termini fissati dall’art. 73 del cod. proc. amm. per il deposito di memorie difensive e documenti abbiano carattere perentorio, in quanto espressione di un precetto di ordine pubblico sostanziale posto a presidio del contraddittorio e dell’ordinato lavoro del giudice, con la conseguenza che la loro violazione conduce alla inutilizzabilità processuale delle memorie e dei documenti presentati tardivamente, da considerrarsi tamquam non essent (in termini Cons. Stato, Sez. III, 13 settembre 2013, n. 4545 ).
4. – L’appello è infondato.
Com’è noto, l’art. 45, comma 17, del Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 80 ha devoluto alla cognizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie di cui all’articolo 68 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998, mentre ha lasciato incardinate nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a questioni attinenti al periodo antecedente, da proporre, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000.
La precitata disposizione legislativa è stata poi trasfusa – sia pure con una formulazione parzialmente differente, che, comunque, non ne muta la sostanza – nell’art. 69, comma 7, del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
La normativa de qua ha introdotto una fattispecie di decadenza dal diritto di agire in giudizio, stabilendo, quale dies ad quem, la data del 15 settembre 2000, il cui superamento determina la decadenza sostanziale e non solo processuale della relativa azione ( cfr. Corte Cost., Ord. n. 382 del 7.10.2005 e Cass., SS. UU., 2 marzo 2006, n. 4591 ).
In quest’ottica, è stato ribadito che il precitato termine del 15 settembre 2000 deve considerarsi posto quale termine di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale, con conseguente attinenza di ogni questione sul punto ai limiti interni della giurisdizione ( cfr Cass. Civ., Sez. Un., 8 maggio 2007, n. 10371).
Orbene, nella specie il presente giudizio è stato introdotto davanti al Tribunale amministrativo regionale con atto notificato in data 14 febbraio 2002, cioè ben oltre il termine previsto del 15.9.2000 per le controversie inerenti il periodo anteriore al 1° luglio 1998.
Né può darsi ingresso alla tesi dell’appellante circa l’idoneità dell’analoga azione giudiziaria proposta nel 1994 e poi sfociata nella decisione di perenzione del 2 ottobre 1999 ad impedire la decadenza prevista dall’indicata norma, atteso che l’ésito finale di perenzione di quel giudizio ( effetto di un’implicita ma chiara rinuncia a coltivarlo, maturata peraltro quando era già in vigore la norma recante la nuova previsione di un termine di decadenza per azioni siffatte ) ha determinato un effetto estintivo, che, se non impedisce ex art. 310 c.p.c. alle parti che non hanno coltivato il processo di promuoverne un secondo sulla medesima situazione sostanziale, vale comunque a rendere inefficaci tutti gli atti processuali compiuti, compreso l’atto introduttivo della lite, al quale non può essere attribuito alcun effetto processuale e sostanziale e quindi neppure quello di impedire la decadenza dal diritto fatto valere in giudizio; ed invero, allorché l’atto richiesto per impedire la decadenza consista nell’esercizio di un’azione, la tempestiva proposizione della domanda giudiziale non è idonea a conseguire tale effetto nel caso che il processo sia dichiarato estinto, dal momento che l’operatività di quell’atto deve permanere durante tutto l’iter necessario al conseguimento dello scopo che gli è proprio ( Cass., 19 aprile 1982, n. 2407 ).
Si badi peraltro che la decadenza di cui qui si discute, derivante direttamente dalla veduta norma transitoria, non si era ancora compiuta allorché è intervenuta la perenzione del primo giudizio, sì che l’interessato si è trovato per oltre 11 mesi nella situazione di poter promuovere un utile nuovo ricorso innanzi al T.A.R. per la tutela della sua situazione sostanziale nel termine di decadenza.
Se ciò non ha fatto, imputet sibi.
5. – L’appello va dunque respinto.
Le spese del presente grado di giudizio possono nondimeno essere integralmente compensate fra le parti, alla luce della sostanziale assenza di rituali difese da parte delle Amministrazioni appellate.
 

P.Q.M.

 
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge e, per l’effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 5 febbraio 2015, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Salvatore Cacace – Consigliere, Estensore
Dante D’Alessio – Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Depositata in Segreteria il 13 marzo 2015

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