Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 11 maggio 2017, n. 2200

La sottrazione al regime autorizzatorio non trova sostegno nell’assimilazione, ai sensi dell’art. 86, terzo comma, del D.Lgs. n. 259 del 2003, delle infrastrutture di comunicazione elettronica alle “opere di urbanizzazione primaria”. Anche tali ultimi interventi – come espressamente previsto dall’art. 3, comma 1, lett. e), punto e.2) del D.Lgs. n. 380 del 2001 – per l’effetto modificativo dell’assetto del territorio ad essi peculiare si qualificano come “nuova costruzione” e non sono sottratti al controllo comunale previsto dall’art. 10 del D.Lgs. n. 380 del 2001

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 11 maggio 2017, n. 2200

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1041 del 2015, proposto da:

E. To. S.p.A., ed altri, in persona dei rispettivi l.r.p.t., tutte rappresentate e difese dagli avvocati Gi. Ro. (C.F. (omissis)),ed altri, con domicilio eletto presso Lu. Me. in Roma, via (…);

contro

Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Pi. Ab. (C.F. (omissis)), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);

Ente Parco Regionale dei Castelli Romani, Comune di (omissis), non costituiti in giudizio;

It. Di. Au. S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ge. Te. (C.F. (omissis)), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…)1;

Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Ra. Wa. Spa, Pe. Spa, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio – Roma – Sezione II Ter, n. 11402/2014, resa tra le parti, concernente ingiunzione allo sgombero e demolizione di opere abusive e rimozione di impianti ed antenne insistenti su Monte (omissis).

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), di It. Di. Au. S.r.l. e dele Ministero dello Sviluppo Economico;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 aprile 2017 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Lu. Me., Ma. Mo., Ge. Te., Pi. Ab. e l’Avvocato dello Stato Al. Ma.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.R.T. – Re. Te. It. S.p.A. ha impugnato in primo grado l’ordinanza ingiunzione di sgombero e demolizione, prot. 16407 del 12/08/2003 con la quale il Sindaco del Comune di (omissis), congiuntamente al responsabile dell’Ufficio tecnico, hanno ingiunto alla R.T. (quale esercente le emittenti (omissis), (omissis) e (omissis)) di demolire “a loro cura e spese, entro il termine di 90 giorni dalla data di notifica della presente ingiunzione, tutte le opere abusive in premessa indicate”, invitando le emittenti “a trasferirsi presso i siti ufficiali individuati dal Piano Territoriale di coordinamento, adottato in data 4.4.2001 dal Consiglio Regionale, che vorrà attivarsi affinché i Comuni individuati quali siti ufficiali recepiscano le indicazioni contenute nel Piano Territoriale di Coordinamento stesso”. Con l’ulteriore avvertenza che “trascorso il suddetto termine di 90 giorni, si provvederà, a termini di legge e senza ulteriore preavviso, alla demolizione d’ufficio delle sopra menzionate opere e di ogni ulteriore opera eventualmente eseguita, sia nei confronti degli interessati sia nei confronti di chiunque altro occupi Monte (omissis), con il recupero delle spese sostenute dall’Amministrazione Comunale a carico dei soggetti interessati”, nonché di ogni atto ad esso coordinato o connesso.

2. Il Tar ha respinto la domanda. Ha affermato il primo giudice, che “il provvedimento impugnato si rivela essere un atto dovuto ed a contenuto vincolato (divenendo in tal modo non decisivo il mancato avviso di avvio del procedimento), in presenza di un non controverso abuso edilizio (stante la riconosciuta necessità di permesso di costruire per il manufatto in esame), adottato dal Comune (e per esso dal titolare del competente Ufficio amministrativo, sia pure con un -giuridicamente irrilevante- avvallo dell’organo politico, evidentemente consigliato dalla portata generale della questione), nell’ambito delle proprie specifiche competenze urbanistiche ed edilizie, a fronte di un vincolo assoluto di inedificabilità previsto dagli strumenti urbanistici comunali”

3.Con atto di appello notificato al Comune in data 17/02/2015, la società R.T., unitamente alle Società E. To. ed El. In. S.p.A., queste ultime nella dedotta qualità rispettivamente di titolare della postazione di trasmissione radiotelevisiva e di titolare della autorizzazione generale per operatore di rete e già cessionaria del ramo d’azienda facente capo a RT. S.p.a., hanno impugnato la sentenza chiedendone, per il tramite di un unico articolato motivo, l’integrale riforma “previa eventuale trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 23 L. 10 marzo 1953 n. 87” con conseguente annullamento degli atti impugnati con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

4. Il comune di (omissis) si è costituito in giudizio. Ha eccepito la mancanza di specifiche critiche alla sentenza di primo grado, con riferimento ad alcuni capi della stessa, nonché chiesto, per il resto, la reiezione del gravame.

5. Nel giudizio si è costituita anche la s.r.l. It. Di. Au. (di seguito, per brevità ID.). Ha innanzitutto dedotto di essere la proprietaria dell’area sulla quale insistono gli impianti, nonché evidenziato di aver autonomamente impugnato l’ordinanza di sgombero n. 135 del 12/8/2003 dinanzi al TAR del Lazio (10495/2003 RG), ed in quella sede di avere ottenuto la sospensione del provvedimento impugnato, disposta con ordinanza n. 6453/2003 e non ancora seguita da sentenza. Ha, nel merito, aderito alle deduzioni dell’appellante, ampliandole ed integrandole con ulteriori argomentazioni.

6. La causa è stata dapprima in delibata in sede cautelare all’udienza camerale del l’8/1/2015. La Sezione, nel rilevare che “che l’appello non appare assistito da consistente fumus boni iuris quanto ai motivi volti sostenere il titolo al mantenimento degli impianti di radiodiffusione in Monte (omissis), in presenza di vincolo di inedificabilità a ciò ostativo e di prescrizioni a tutela della cornice ambientale e paesistica del sito; – che la posizione della soc. I.D., proprietaria del suolo di insistenza degli impianti e non destinataria del provvedimento che si impugna, si configura esterna al presente contenzioso e suscettibile di separata tutela, mentre la stessa ricorrente E. To. s.p.a. rivendica la titolarità in suo capo degli impianti di trasmissione in tecnica digitale terrestre, ivi compresi quelli operativi in Monte (omissis)”, ha comunque ritenuto che il periculum in mora potesse essere “apprezzato nei limiti del pregiudizio all’attività di radiodiffusione per il tempo necessario alla delocalizzazione degli impianti in altro sito per il prosieguo dell’attività in concessione” ed in relazione a tale ultima considerazione, ha accolto la domanda di sospensione dei provvisori effetti della sentenza gravata “con limitato effetto della durata di sei mesi, termine congruo per gli interventi di delocalizzazione”.

7. La causa è stata poi chiamata per la discussione alle udienza del 14/04/2016 e del 22 /09/2016. In entrambe le occasioni la Sezione ha disposto breve differimento, auspicando, in adesione a quanto prospettato dagli appellanti, la chiusura dell’iter amministrativo medio tempore avviato per l’esecuzione della sentenza di primo grado e la conseguente individuazione di un sito di rilocalizzazione degli impianti.

7.1.Da ultimo, la causa è stata chiamata all’udienza del 20/04/2017. In vista della discussione, le appellanti hanno chiesto ulteriore rinvio, allegando l’avanzato stato del procedimento condotto dalla Regione Lazio e teso all’individuazione del sito alternativo.

Il Comune si è fermamente e motivatamente opposto al rinvio, evidenziando il lungo tempo trascorso nonchè l’assenza di concreti elementi dai quali possa evincersi la pronta soluzione della vicenda sul piano amministrativo.

7.2. All’esito della discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Le società appellanti sostengono, con unico ed articolato motivo di appello, che il Tar: a) non avrebbe tenuto in alcun conto la circostanza che il provvedimento gravato riguardasse infrastrutture di comunicazione elettronica ed impianti radioelettrici di interesse generale, regolarmente censiti ed eserciti ex art. 32 Legge 223/1990; b) non avrebbe considerato che, a cagione della mancanza di un sito alternativo a Monte (omissis) (considerata la resistenza opposta dal Comune di (omissis) quanto a Colle (omissis) e dall’Ente Parco dei Monti (omissis) quanto a Monte (omissis)), l’esecuzione della ordinanza comunale comportava l’oscuramento del segnale in assenza, peraltro, di qualsivoglia superamento dei valori di emissioni elettromagnetiche.

Inoltre, a giudizio delle appellanti la rimozione delle strutture in oggetto si porrebbe in contrasto con il Codice delle comunicazioni elettroniche, che assimilerebbe le relative infrastrutture ad opere di urbanizzazione primaria precludendo agli enti locali di introdurre divieti alla loro installazione. Ed a tale stregua, ove l’art. 31 DPR 380/2001 potesse essere interpretato nel senso proposto dal Comune di (omissis) nell’ordinanza gravata, si configurerebbe altresì un contrasto con interessi costituzionalmente garantiti e dunque con gli art. 3,21,41 e 97 Cost.

2. Il collegio deve innanzitutto dare atto, in adesione a quanto osservato dal Comune di (omissis) nella propria memoria di costituzione, che gli appellanti focalizzano le contestazioni su un unico thema decidendum: ossia la presunta mancata considerazione, da parte del giudice di prime cure, della specificità della disciplina delle infrastrutture di comunicazione elettronica rispetto ai profili urbanistici edilizi. Per il resto limitandosi a sottolineare la natura dirimente, ai fini delle valutazioni di legittimità demandate al collegio, della documentata mancanza di un sito alternativo per la ricollocazione degli impianti, in ispecie ritenuti del tutto assimilabili per funzioni e disciplina alle opere di urbanizzazione primaria.

Difettano, per converso, specifiche contestazioni sui capi della sentenza relativi ai motivi del ricorso introduttivo vertenti a) sull’incompetenza del Sindaco, b) sulla mancata comunicazione di avvio del procedimento, c) sulla mancata definizione del procedimento di concessione in sanatoria, d) sulla violazione della delibera consiliare n. 11/02 di approvazione del testo della convenzione con l’associazione “condominio Monte (omissis)”, e) sull’incompetenza comunale in materia di tutela della salute pubblica e del paesaggio.

Su tali aspetti è da ritenersi formato il giudicato.

3. Ulteriore chiarimento, che appare necessario avuto riguardo al tenore delle argomentazione spese negli ulteriori atti difensivi dagli appellanti, e dalla ID. s.r.l. nella propria memoria di costituzione, concerne l’esistenza e la perdurante efficacia dell’ordinanza cautelare n. 6453/2003 con la quale il Tar Lazio ha sospeso gli effetti dell’ordinanza di sgombero nei confronti di ID. s.r.l., proprietaria dell’area di sedime degli impianti.

Essa è questione che, seppur oggettivamente connessa, non riguarda la decisione del quale il collegio è investito a mezzo del gravame. Potrebbe semmai rilevare in sede giurisdizionale di ottemperanza, sempre che, nelle more, come ragionevolmente si auspica, non intervenga, a superamento dell’interinale statuizione cautelare, una decisione definitiva del giudizio in primo grado.

4. Del pari non rileva l’avvenuta impugnazione in primo grado del successivo verbale del 20/08/2015 con il quale il Comune di (omissis) ha accertato l’inottemperanza agli obblighi derivanti dall’ordinanza di sgombero. Trattasi di atto successivo e conseguente che non interferisce, ed anzi, presuppone l’accertamento di legittimità dell’ordinanza da ottemperare.

5. Così come non rilevano le considerazioni circa l’assetto proprietario della aree di sedime: l’ordinanza di sgombero, qualificabile nel caso di specie quale atto plurimo, è rivolta sia al proprietario che ai locatari e titolari degli impianti, quest’ultimi odierni appellanti. Sicchè, giusto quanto già indicato in sede cautelare, la contestazione del proprietario si configura “esterna al presente contenzioso e suscettibile di separata tutela”.

6.Nel merito l’appello è infondato. Il quadro normativo di riferimento in materia di esercizio dell’attività di diffusione radio-televisiva, sebbene autorizzata a livello ministeriale, postula comunque che tale attività venga esercitata attraverso strutture idonee che non contrastino con la normativa urbanistica, e tale valutazione è rimessa ai Comuni interessati.

Con riferimento alla dedotta violazione degli artt. 16 e 32 della Legge 6 agosto 1990 n. 223 nonché dell’articolo 23 della Legge 3 maggio 2004 n. 112, può dirsi, in accordo con quanto osservato dall’amministrazione nelle proprie difese, che la disciplina riveniente da tali norme non contempla affatto un meccanismo di sanatoria edilizia in favore delle strutture delle emittenti autorizzate, a livello ministeriale, alla attività di diffusione radio-televisiva. L’art. 27 della legge 112/04 prescrive invece che possano continuare ad operare gli impianti che non siano ” in contrasto con le norme urbanistiche vigenti in loco”. La stessa legge 223/90 sottintendeva la necessità di tale controllo, disponendo che il censimento ministeriale costituisse titolo per la richiesta di permesso di costruire (art. 4).

6.1.Né appare dirimente l’art. 32 cit., sul quale le appellanti insistono molto nelle loro memorie conclusive. La disposizione prevede che “i privati, che alla data di entrata in vigore della presente legge eserciscono impianti per la radiodiffusione sonora o televisiva in ambito nazionale o locale e i connessi collegamenti di telecomunicazione, sono autorizzati a proseguire nell’esercizio degli impianti stessi, a condizione che abbiano inoltrato domanda per il rilascio della concessione di cui all’articolo 16 entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino al rilascio della concessione stessa ovvero fino alla reiezione della domanda e comunque non oltre settecentotrenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”. Essa si riferisce alla “concessioneper l’installazione e l’esercizio di impianti di radiodiffusione sonora e televisiva” di cui all’art. 16 della medesima fonte, atto quest’ultimo necessario, nello schema della legge 223/90 per ottenere la (allora) “concessione edilizia” contemplata dall’art. 4 della medesima legge.

Concessione edilizia che, nel caso di specie, non v’è stata, né poteva esserci in considerazione del vincolo assoluto di inedificabilità previsto dagli strumenti urbanistici comunali (circostanza non contestata) e dei penetranti vincoli paesaggistici ed ambientali derivanti dai piani sovraordinati.

7.Anche con riferimento alla pretesa violazione del Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. 259/03), il quale assimilerebbe – nella tesi delle appellanti – le infrastrutture dei servizi di comunicazione elettronica alle opere di urbanizzazione primaria, la censura non convince.

L’art. 3 co. 1 lett. e) punto 4 del D.P.R. 380/01 dispone chiaramente che rientri negli interventi di nuova costruzione che necessitano di permesso di costruire “l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione”.

Nel senso della necessità di munirsi di permesso di costruire anche per i soggetti autorizzati ai sensi del Codice delle comunicazioni elettroniche la Sezione del resto si è già puntualmente espressa, chiarendo che la sottoposizione di siffatti impianti al titolo abilitativo edilizio “non soffre eccezione per effetto della disciplina dettata dall’art. 87 del codice della comunicazioni elettroniche approvato con D.Lgs. n. 259 del 2003. Tale ultima disposizione reca una disciplina unitaria del procedimento autorizzatorio delle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici, abbinando all’interno di un unico procedimento – a fini di semplificazione ed accelerazione del rilascio dell’atto conclusivo – la verifica dell’osservanza dei limiti di esposizione alle emissioni radio-elettriche e di ogni altro interesse di rilievo pubblico che si colleghi alla porzione di territorio su cui interviene l’installazione dell’impianto, ma non reca alcuna prescrizione volta a derogare alla disciplina urbanistico/edilizia del sito interessato”.

La Sezione ha avuto cura di aggiungere che “La sottrazione al regime autorizzatorio non trova, inoltre, sostegno nell’assimilazione, ai sensi dell’art. 86, terzo comma, del D.Lgs. n. 259 del 2003, delle infrastrutture di comunicazione elettronica alle “opere di urbanizzazione primaria”. Anche tali ultimi interventi – come espressamente previsto dall’art. 3, comma 1, lett. e), punto e.2) del D.Lgs. n. 380 del 2001 – per l’effetto modificativo dell’assetto del territorio ad essi peculiare si qualificano come “nuova costruzione” e non sono sottratti al controllo comunale previsto dall’art. 10 del D.Lgs. n. 380 del 2001 citato” (Cons. Stato Sez. III, Sent., 19/05/2014, n. 2521).

8. Circa, infine, il sospetto avanzato dai ricorrenti sulla compatibilità costituzionale dell’art. 31 del DPR 6 giugno 2001 n. 380 – se interpretato nel senso di legittimare la demolizione di impianti ex lege equiparati ad opere di urbanizzazione primaria, rispetto alla libertà di iniziativa economica ed all’accesso all’informazione televisiva – il collegio ritiene che la questione sia manifestamente infondata.

La normativa paesaggistico-ambientale presiede alla tutela di interessi di indubbio rilievo costituzionale e del tutto ragionevolmente pone limiti alla libertà di iniziativa privata quando quest’ultima possa risultare potenzialmente dannosa. Sono ben possibili equi contemperamenti avuto riguardo alla pregnanza degli interessi in gioco, ma dev’essere il legislatore ad autorizzarli espressamente, in esecuzione di precise scelte di carattere politico e comunque nel rispetto del principio di ragionevolezza.

Né può ipotizzarsi, avuto riguardo all’attuale pluralità e diffusione delle fonti di informazione, una restrizione del diritto di cui all’art. 21 cost tale da giustificare la permanenza in funzione di apparati gravemente lesivi del paesaggio, e da determinare, sul piano normativo, l’incostituzionalità delle disposizioni che ne impongono la rimozione.

9. L’appello è pertanto respinto.

10.Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna gli appellanti alla refusione delle spese di lite sostenute dal Comune di (omissis) per la difesa in appello, forfettariamente liquidate in €. 3.000 (tremila), oltre oneri di legge. Le compensa nei confronti delle altre parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:

Franco Frattini – Presidente

Francesco Bellomo – Consigliere

Manfredo Atzeni – Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere

Giulio Veltri – Consigliere, Estensore

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