Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 10 gennaio 2017, n. 46

L’integrazione della retta deve certo tener conto delle esigenze finanziarie del Comune, secondo un ragionevole equilibrio tra i valori costituzionali in gioco, ma queste ultime non possono assurgere giammai, come pretende il Comune appellante, a ragioni condizionanti addirittura il ricovero dell’assistito, che necessiterebbe di un previo assenso del Comune, né possono totalmente annullare il «nucleo irriducibile» del fondamentale diritto all’assistenza che spetta alla persona bisognosa di ricovero stabile presso strutture residenziali, sì da concludersi, illegittimamente, nell’integrale rigetto dell’istanza volta ad ottenere una compartecipazione al pagamento della retta, dovuta ai sensi dell’art. 6, comma 4, della l. n. 238 del 2000

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 10 gennaio 2017, n. 46

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1774 del 2014, proposto dal

Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Ti. Ug. (C.F. (omissis)) ed altri, con domicilio eletto presso lo stesso Avvocato Gu. Fr. Ro. in Roma, via (…);

contro

-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, -OMISSIS- ed -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’Avvocato Il. Ro. (C.F. (omissis)) ed altri, con domicilio eletto presso l’Avvocato Il. Ro. in Roma, via (…);

nei confronti di

Assemblea dei Sindaci del Distretto Sociosanitario dell’Ambito Territoriale (omissis), non costituita in giudizio;

Comune di (omissis), non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, sede di Milano, sez. III, n. 01786/2013, resa tra le parti, concernente la partecipazione al costo del servizio socioassistenziale da parte del Comune di (omissis)

visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’-OMISSIS-, di -OMISSIS- ed -OMISSIS-;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2016 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per il Comune di (omissis), odierno appellante, l’Avvocato Ti. Ug. e per -OMISSIS-, -OMISSIS- ed -OMISSIS-, l’Avvocato Fr. Tr. su delega dell’Avvocato An. Tr.;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. -OMISSIS-, deceduta nel 2015, era persona ultrasessantacinquenne in condizione di handicap grave, in quanto affetta da deficit cognitivo conclamato per il morbo di Alzheimer, e dal mese di maggio dell’anno 2009 è stata inserita presso la residenza sanitaria assistenziale gestita dalla -OMISSIS-, con sede in -OMISSIS-.

1.1. Del suo nucleo familiare, sino al suo intervenuto decesso, non facevano parte altre componenti, in quanto i figli, -OMISSIS- ed -OMISSIS-, non convivevano con lei ed erano titolari di nuclei familiari autonomi.

1.2. Il figlio -OMISSIS- era anche amministratore di sostegno della madre.

1.3. Con istanza del 28 settembre 2009 i due figli, odierni appellati, hanno chiesto al Comune di (omissis) di farsi carico dell’integrazione della retta versata per l’inserimento presso la RSA applicando il criterio dell’I.S.E.E.

1.4. Con atto n. 41435 del 27 ottobre 2009 l’Amministrazione ha respinto l’istanza, rilevando l’impossibilità di prescindere dalla situazione economica dei tenuti agli alimenti e ribadendo la necessità che ai costi delle prestazioni concorressero, oltre alle persone che beneficiano del servizio, anche i soggetti civilmente obbligati ai sensi dell’art. 433 c.c.

1.5. Il provvedimento si fondava esplicitamente sul Regolamento, allora vigente, approvato con delibera n. 42 del 14 marzo 1991, il cui art. 2 esclude il contributo comunale nel caso anche di mera esistenza di persone tenute agli alimenti ai sensi dell’art. 433 c.c. e che di fatto vi provvedono.

2. Tale provvedimento è stato impugnato avanti al T.A.R. per la Lombardia, sede di Milano, da -OMISSIS- ed -OMISSIS- nonché dall’-OMISSIS-, portatrice degli interessi delle persone con disabilità o anziane e delle loro famiglie per espressa disposizione statutaria.

2.1. Nel primo grado del giudizio si è costituito il Comune per resistere al ricorso.

2.2. Nelle more del giudizio, con successiva determinazione n. 3229 del 29 gennaio 2010, l’Amministrazione ha annullato in autotutela la determinazione n. 41435 del 27 ottobre 2009, evidenziando altresì che i ricorrenti non avevano presentato una richiesta di contributo finanziario nelle forme previste dal regolamento locale di riferimento, con la precisazione che, qualora gli interessati l’avessero presentata, l’istanza sarebbe stata istruita ed esaminata.

2.3. Il T.A.R. per la Lombardia, con l’ordinanza n. 122 del 5 febbraio 2010, ha perciò respinto l’istanza cautelare, proposta dai ricorrenti, prendendo atto della disponibilità comunale a riesaminare l’istanza.

2.4. -OMISSIS-, quale amministratore di sostegno di -OMISSIS-, ripresentava perciò, il 16 marzo 2010, una nuova istanza volta ad ottenere l’erogazione del contributo in favore di -OMISSIS- per il pagamento della retta.

2.5. A seguito della presentazione di una nuova istanza, tuttavia, l’Amministrazione, con atto n. 17089 del 13 maggio 2010, ha negato il contributo richiesto, evidenziando che dalle verifiche effettuate era emerso che -OMISSIS-, alla data di presentazione dell’istanza, fosse titolare di un diritto reale di usufrutto su di un immobile, sicché l’istanza è stata respinta perché contenente dichiarazioni non veritiere.

2.6. Tale provvedimento è stato impugnato dai ricorrenti avanti al T.A.R. per la Lombardia con primi motivi aggiunti.

2.7. L’amministratore di sostegno ha presentato una nuova istanza di contribuzione nel mese di giugno 2010, respinta dal Comune di (omissis) con determinazione n. 24873 del 22 luglio 2010, recante la conferma della valutazione negativa già espressa con atto del 13 maggio 2010 n. 17089.

2.8. Anche tale secondo diniego è stato impugnato dai ricorrenti con secondi motivi aggiunti.

2.9. Infine, con la sentenza n. 786 dell’11 luglio 2013, il T.A.R. per la Lombardia, sede di Milano:

a) ha dichiarato inammissibile il ricorso principale nella parte relativa all’impugnazione del provvedimento n. 41435 del 27 ottobre 2009 in quanto annullato in autotutela dallo stesso Comune di (omissis);

b) ha accolto il ricorso principale in ordine all’impugnazione del regolamento comunale laddove prevedeva come possibile motivo di esclusione dall’accesso al beneficio l’esistenza di altri soggetti tenuti agli alimenti ai sensi dell’art. 433 c.c.;

c) ha accolto alcuni dei motivi dedotti con i ricorsi per motivi aggiunti avverso i provvedimenti n. 17089 del 13 maggio 2010 e n. 24873 del 22 luglio 2010, annullandoli;

d) ha assorbito i restanti motivi;

e) ha respinto la domanda risarcitoria proposta dai ricorrenti.

3. Avverso tale sentenza ha proposto appello principale il Comune di (omissis), articolando sette censure che saranno di seguito esaminate, e ne ha chiesto la riforma, con conseguente reiezione del ricorso e dei motivi aggiunti proposti in primo grado.

3.1. Si sono costituiti gli appellati, con apposito controricorso depositato il 24 maggio 2014, non solo per chiedere la reiezione dell’appello principale, ma per proporre, a loro volta, appello incidentale avverso la sentenza nella parte in cui ha respinto la domanda risarcitoria e riformulando, altresì, i motivi assorbiti dal primo giudice.

3.2. Nell’udienza pubblica del 20 dicembre 2016 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

4. L’appello principale proposto dal Comune di (omissis) è infondato e deve essere respinto.

5. Con il primo motivo (pp. 7-8 del ricorso) il Comune denuncia l’erroneità della sentenza impugnata:

a) per aver disposto l’annullamento dell’art. 2, punto 1, del regolamento comunale, secondo il quale può costituire motivo della mancata dichiarazione di bisogno l’esistenza di persone tenute alla corresponsione degli alimenti ai sensi dell’art. 433 c.c.;

b) per aver disposto l’annullamento di questa specifica disposizione senza che esso mai fosse stato espressamente richiesto dai ricorrenti in primo grado;

c) per aver, in ogni caso, disposto l’annullamento di tale disposizione regolamentare senza che questa mai fosse stata posta a base di alcuno degli atti impugnati.

5.1. L’appellante principale deduce, sotto tutti tali profili, l’error in procedendo per la asserita violazione dell’art. 39 c.p.a. e dell’art. 112 c.p.c.

5.2. In particolare osserva come solo nell’atto prot. n. 41435 del 27 ottobre 2009 – doc. 2 fasc. di primo grado di parte resistente – il Comune, in riscontro all’istanza presentata dai ricorrenti il 30 settembre 2009, abbia fatto riferimento incidenter tantum al fatto che l’art. 8 della L.R. n. 3 del 2009 prevedesse espressamente che alla copertura dei costi relativi alle prestazioni assistenziali in oggetto dovessero partecipare anche i soggetti obbligati ai sensi dell’art. 433 c.c.

5.3. Tale atto, come si è accennato, è stato tuttavia annullato in autotutela dal Comune di (omissis), con provvedimento dirigenziale n. 7 prot. n. 3229 del 29 gennaio 2010 – doc. 5 fasc. di primo grado di parte resistente – con riferimento ai suoi primi quattro paragrafi e, quindi, anche nella parte che riportava la previsione dell’art. 8 della L.R. n. 3 del 2008, unitamente a tutte le relative considerazioni espresse dal dirigente.

5.4. Ciononostante, secondo il Comune appellante, inammissibilmente il T.A.R. per la Lombardia avrebbe ritenuto di pronunciarsi comunque su quanto disposto dall’art. 2, punto 1, del regolamento, nonostante le previsioni di questo mai fossero state poste a base di un valido provvedimento lesivo.

5.5. Per altro verso, a giudizio dell’appellante principale, i ricorrenti in prime cure avevano sempre espressamente gravato l’art. 3 del regolamento e non già, invece, l’art. 2, sicché anche sotto tale ulteriore profilo il primo giudice sarebbe andato ultra petita.

5.6. Il motivo è infondato e va respinto.

5.7. L’appellante trascura di considerare che, con provvedimento dirigenziale n. 24783 del 22 luglio 2010, il Comune di (omissis), dopo aver elencato e ribadito le stesse ragioni indicate nel precedente provvedimento n. 41435 del 27 ottobre 2009, rilevava appunto che «come risulta dalle ispezioni SIATEL effettuate, vi sono due soggetti titolari di beni immobili e redditi adeguati, sigg.ri -OMISSIS- e -OMISSIS-, entrambi tenuti ex art. 433 c.c. agli alimenti nei riguardi della madre, sig.ra -OMISSIS-» proprio sulla base delle disposizioni dell’impugnato regolamento e in particolare, benché non fosse espressamente citato, dell’art. 2, punto 1, del regolamento.

5.8. Il provvedimento dirigenziale n. 24783 del 22 luglio 2010 richiamava e faceva proprie, nella parte dispositiva, tutte le ragioni indicate nelle motivazioni, anche quelle tratte dal precedente provvedimento e, in particolare, quella appena citata, che si legge a p. 2, lett. d), del provvedimento dirigenziale n. 14783 (doc. 10 fasc. di primo grado di parte ricorrente).

5.9. La circostanza che i ricorrenti abbiano fatto riferimento, nel ricorso e nei motivi aggiunti, all’art. 3 anziché all’art. 2 del regolamento, per una mera svista, nulla toglie sul piano sostanziale al fatto che essi abbiano voluto impugnare e far annullare la disposizione regolamentare la quale prevede che costituisca motivo di esclusione dal beneficio l’esistenza di persone tenute agli alimenti, individuata correttamente dal T.A.R., nella sentenza qui impugnata (p. 5), nell’art. 2 del regolamento.

5.10. Di qui, risultando concretamente e direttamente lesiva per i ricorrenti la motivazione contenuta in tale provvedimento, anche con riferimento ai soggetti di cui all’art. 433 c.c., e la disposizione regolamentare di cui essa ha inteso fare concreta applicazione, il rigetto del motivo qui in esame.

6. Con un secondo motivo (pp. 9-15 del ricorso) il Comune di (omissis), all’esito di una ampia disamina della normativa di settore e della giurisprudenza costituzionale formatasi in materia, denuncia l’error in iudicando nel quale sarebbe incorso il primo giudice nell’annullare l’art. 2, punto 1, del regolamento comunale alla luce, soprattutto, di quanto ha chiarito la Corte costituzionale nella sentenza n. 297 del 19 dicembre 2012.

6.1. L’annullamento di tale disposizione da parte del T.A.R. per la Lombardia, ad avviso dell’appellante principale, sarebbe evidentemente errata non solo per il fatto che tale disposizione non è mai stata opposta dall’Amministrazione ai ricorrenti in prime cure per negare loro il contributo dagli stessi richiesto in favore di -OMISSIS-, ma anche perché, contravvenendo all’orientamento della Corte costituzionale, esso si basa su di una interpretazione non corretta delle disposizioni del d.lgs. n. 109 del 1998.

6.2. Disposizioni che, contrariamente a quanto afferma la sentenza qui avversata, lasciano spazio – come ha poi anche confermato il successivo d.P.C.M. sulla ridefinizione dell’ISEE nell’art. 6, comma 3, lett. b) – ad una regolamentazione a livello regionale e locale che preveda la partecipazione degli eventuali figli, anche non conviventi e non appartenenti al medesimo nucleo familiare, alle spese inerenti al ricovero nelle strutture assistenziali.

6.3. Il motivo, infondato, va respinto.

6.4. Valga al riguardo richiamare quanto ha stabilito la costante giurisprudenza di questo Consiglio, anche dopo la citata pronuncia n. 296 del 2012 della Corte costituzionale, sul rapporto tra la previsione dell’art. 3, comma 2-ter, del d.lgs. n. 109 del 1998 che, in quanto non afferente a livelli essenziali delle prestazioni, ben può essere derogato dalla normativa regionale in una materia di competenza ripartita, come la stessa Corte ha chiarito in riferimento al caso della Regione Toscana, ma non già dai regolamenti comunali, che devono sottostare alla previsione del legislatore statale (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 8 novembre 2013, n. 5355).

6.5. Peraltro, come questo Consiglio ha pure chiarito nella stessa sentenza dell’8 novembre 2013, n. 5355, lo spinoso problema della immediata applicabilità dell’art. 3, comma 2-ter, del d.lgs. n. 109 del 1998, affrontato dalla Corte nella citata pronuncia, è finanche superfluo nel caso di specie, riguardante la Regione Lombardia, poiché «l’art. 8, comma 2, lettera (h) della L.R. n. 3 del 2008 recepisce (anziché discostarsene) il principio dell’I.S.E.E. personale (e non familiare) per le prestazioni di cui si discute».

6.6. Nella Regione Lombardia, dunque, il principio in contestazione – quello dell’evidenziazione della situazione personale del solo assistito – è dettato direttamente ed autonomamente dalla legge regionale, ciò che, una volta di più, evidenzia l’illegittimità del regolamento adottato dal Comune di (omissis), in parte qua, non solo con la normativa statale, ma anche con quella regionale applicabile al caso di specie.

7. Con il terzo motivo (pp. 16-17 del ricorso) il Comune appellante deduce che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in error in procedendo, violando l’art. 112 c.p.a., per aver omesso l’esame di una delle motivazioni poste a fondamento del provvedimento di rigetto, costituito dalla mancata sottoscrizione della dichiarazione I.S.E.E. da parte di -OMISSIS-.

7.1. In particolare, come ricorda il Comune, l’amministratore di sostegno, al fine di integrare la documentazione allegata alla prima istanza di richiesta inoltrata il 16 marzo 2010, ha prodotto, il successivo 23 giugno 2010, una nuova dichiarazione I.S.E.E. – doc. 9 fasc. parte resistente in primo grado – sostitutiva di quella precedentemente contestata dall’Amministrazione.

7.2. Questa dichiarazione I.S.E.E., consistente in una autodichiarazione da rendersi obbligatoriamente con le formalità di cui al d.P.R. n. 445 del 2000, risultava tuttavia priva di sottoscrizione e, quindi, priva di qualsivoglia validità.

7.3. Conseguentemente il Comune, con il citato provvedimento prot. n. 24873 del 22 luglio 2010, ha respinto l’istanza di contributo eccependo, tra i diversi motivi di rigetto, la mancata sottoscrizione della dichiarazione in argomento e la conseguente inidoneità ai fini dell’ottenimento del contributo richiesto.

7.4. In assenza della sottoscrizione, deduce il Comune appellante, la dichiarazione sostitutiva non produrrebbe effetti perché risulterebbe priva di un elemento essenziale, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 445 del 2000, e quindi correttamente il Comune avrebbe respinto l’istanza anche per tale motivo.

7.5. Il T.A.R., non avendo esaminato tale motivazione posta, con le altre, a fondamento degli atti impugnati in primo grado, sarebbe incorso nell’omessa pronuncia di tale motivazione di rigetto, di per sé sufficiente, in un diniego sorretto da una pluralità di ragioni giustificatrici, a sorreggere la legittimità degli atti emessi dal Comune.

7.6. Il motivo, con le precisazioni che seguiranno, è nel merito infondato.

7.7. Si deve convenire con il Comune appellante nell’affermazione che erroneamente il T.A.R., nell’assorbire tutti i motivi dedotti in primo grado, ha omesso di pronunciarsi su uno dei plurimi motivi posti a fondamento dell’atto impugnato e capaci di giustificarne autonomamente la legittimità.

7.8. L’assorbimento dei motivi non è consentito quando uno di essi investa una delle ragioni poste a fondamento dell’atto impugnato che ne giustifichi in sé sola la legittimità.

7.9. Cionondimeno, esaminando nel merito tale motivo, esso è infondato.

7.10. Si deve rilevare infatti, come gli odierni appellati hanno anche ricordato nella memoria depositata il 18 novembre 2016 (pp. 13-14), che ai sensi dell’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 109 del 1998 (ora abrogato) la dichiarazione sostitutiva unica, ai fini dell’I.S.E.E., può essere presentata ai Comuni o ai centri di assistenza fiscale (C.A.A.F.) o direttamente all’Amministrazione alla quale è richiesta la prima prestazione o alla sede I.N.P.S. competente per territorio.

7.11. -OMISSIS- ed -OMISSIS- si sono rivolti ad un C.A.A.F. ed hanno presentato tale dichiarazione a tale soggetto, che era tenuto a verificare se la dichiarazione fosse regolarmente sottoscritta.

7.12. Tale verifica è stata indubbiamente svolta nel caso di specie, ove si pensi che, come previsto dall’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 109 del 1998, il C.A.A.F. ha rilasciato l’attestazione, che è il risultato della combinazione dei dati forniti attraverso la dichiarazione.

7.13. Ma la verifica della dichiarazione, come pure deducono gli appellati, è stata effettuata anche dall’I.N.P.S.

7.14. Dall’esame dell’attestazione quale atto proprio dell’I.N.P.S. – doc. 11 fasc. di primo grado di parte ricorrente – si evince come la stessa I.N.P.S. attesti che, in base ai dati contenuti nella dichiarazione sostitutiva unica di cui al protocollo I.N.P.S.-I.S.E.E. 2009-06907955 trasmessi dal C.A.A.F. 53&Più s.r.l. il 23 dicembre 2009, la dichiarazione era sottoscritta e come successivamente sia stata fatta regolare rettifica sempre con richiesta valutata anche formalmente regolare dall’Istituto.

7.15. La stessa I.N.P.S., competente a vagliare la regolarità della dichiarazione, ha rilasciato la corrispondente attestazione, mentre la dichiarazione trasmessa al Comune è, all’evidenza, una copia che, pur firmata e timbrata dal C.A.A.F., non è stata nuovamente sottoscritta da -OMISSIS- per la semplice ragione che il Comune non doveva ricalcolare l’importo già indicato nell’attestazione.

7.16. In ogni caso il Comune di (omissis), qualora avesse nutrito ancora dubbi sulla provenienza della dichiarazione pur a fronte a delle predette attestazioni, avrebbe dovuto richiedere una integrazione documentale e non già sporre tale mancanza a fondamento del diniego.

7.17. Al riguardo, tenendo a mente la previsione speciale dell’art. 4 del d.lgs. n. 109 del 1998 rispetto ai generali principî del d.P.R. n. 445 del 2000 invocato dal Comune, non si può non valorizzare la previsione del comma 5 di tale disposizione (ora, come detto, abrogata ma applicabile ratione temporis), che fa salvo «il diritto degli enti erogatori di richiedere idonea documentazione atta a dimostrare la completezza e veridicità dei dati indicati nella dichiarazione».

7.18. E tanto il Comune avrebbe dovuto fare, richiedendo – se del caso – l’idonea documentazione che superasse ogni dubbio sulla provenienza della dichiarazione presentata a mezzo del C.A.A.F., senza sterilmente applicare e invocare, anche in questa sede, la violazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 445 del 2000.

7.19. La censura quindi, con le precisazioni esposte, deve essere respinta.

8. Con il quarto motivo (pp. 17-19 del ricorso) il Comune appellante lamenta che il T.A.R. avrebbe omesso di valutare la fondatezza delle considerazioni puntualmente espresse dall’Amministrazione nel provvedimento dirigenziale del 22 luglio 2010 in ordine alla valenza economica del diritto di usufrutto posto in capo alla madre.

8.1. Il Comune di (omissis) aveva evidenziato come il diritto di usufrutto di cui era titolare -OMISSIS-, relativo ad un immobile residenziale e a un box entrambi posti in una zona di pregio di (omissis), avrebbe potuto essere meglio valorizzato, in particolare affittando i beni.

8.2. Nella sentenza gravata, ad avviso del Comune, nessun cenno viene fatto in ordine a tale motivazione che, seppur fondata e rilevante, è stata erroneamente tralasciata.

Anche tale motivo è infondato.

8.3. Il primo giudice ha correttamente rilevato che la mancata menzione del diritto di usufrutto non potesse costituire motivo per negare il beneficio della compartecipazione invocato da -OMISSIS- e ha osservato che «nel caso di specie proprio la normativa regolamentare non consentiva l’automatica esclusione dal beneficio in ragione dell’omessa dichiarazione della titolarità di un diritto reale di usufrutto» (p. 11 della sentenza impugnata).

8.4. La valutazione del primo giudice non solo è corretta, ma anche esaustiva, in quanto le considerazioni del Comune in ordine al valore dell’usufrutto e al suo più redditizio impiego (mediante un eventuale locazione dei cespiti da parte dell’usufruttuaria) non avrebbero potuto spiegare nessuna efficacia se non nei limiti in cui potessero incidere sull’I.S.E.E. nella misura prevista dall’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 109 del 1998 ratione temporis applicabile e, cioè, dall’indicatore del reddito combinato «con l’indicatore della situazione economica patrimoniale nella misura del venti per cento dei valori patrimoniali, come definiti nella parte seconda della tabella 1», con una differenza, ben evidenziata dagli appellanti (p. 14 della memoria depositata il 18 novembre 2016), di appena € 600,00 annui ai fini che qui interessano (doc. 11 e 12 fasc. di primo grado di parte ricorrente).

8.5. Dall’attestazione I.S.E.E. rettificata, infatti, il valore passava da € 5.025,69 ad € 5.640,00 all’anno (doc. 13 fasc. di primo grado di parte ricorrente).

8.6. Tale valutazione, peraltro, non risulta essere stata oggetto di specifica contestazione nel pur analitico ricorso in appello da parte del Comune, con conseguente suo riconoscimento ai sensi e per gli effetti dell’art. 64, comma 2, c.p.a.

9. Con il quinto motivo (pp. 19-20 del ricorso) il Comune appellante lamenta l’error in iudicando compiuto dal primo giudice nell’interpretare l’art. 4, comma 7, del d.lgs. n. 109 del 1998 perché, secondo la tesi del Comune, le autodichiarazioni di -OMISSIS- erano gravemente omissive e non veritiere e non sarebbero state sanabili ai sensi di tale disposizione, che consente la sanatoria solo per errori materiali o di modesta entità.

9.1. L’assunto è infondato perché l’art. 4 del d.lgs. n. 109 del 1998 consente, invece, di presentare una nuova dichiarazione sostitutiva unica a fronte di qualsivoglia omissione o difformità, riscontrata dall’Agenzia delle Entrate, e non solo per errori materiali o di modesta entità.

9.2. E del resto, se si si tiene conto del fatto che la mancata dichiarazione dell’usufrutto, ai fini che qui rilevano, ha comportato un lieve scostamento di € 600,00 annui (doc. 13 fasc. di primo grado di parte ricorrente), la censura del Comune appare ancor meno condivisibile, dimostrando la marginalità e, comunque, la lievità dell’omissione relativa alla mancata dichiarazione di tale diritto ai fini dell’I.S.E.E.

9.3. E ciò, vale qui infine rilevare, senza peraltro considerare che l’immobile sul quale grava l’usufrutto è stato venduto il 19 gennaio 2010, sicché esso, in ogni caso, non potrebbe essere valorizzato anche successivamente a tale data, men che mai nella misura e con gli effetti erroneamente pretesi dall’Amministrazione.

9.4. Il motivo, pertanto, va disatteso.

10. Con il sesto motivo (pp. 20-21 del ricorso) il Comune appellante lamenta l’error in procedendo compiuto dalla sentenza impugnata per aver ritenuto la violazione del disposto dell’art. 2, comma 1, punto 2, del regolamento comunale, nonostante esso non fosse stato impugnato, e l’error in iudicando insito, comunque, nell’interpretazione datane dal T.A.R.

10.1. Anche tale motivo va respinto in quanto:

a) il primo giudice non ha annullato né in alcun modo censurato tale disposizione del regolamento, pronunciando ultra petita, ma si è limitato ad offrire una lettura di tale disposizione regolamentare in modo, peraltro, del tutto corretto;

b) l’interpretazione dell’art. 2 citato è, appunto, scevra da errore, perché il T.A.R. ha correttamente rilevato che solo la mancata proprietà di immobili, e non già la mancata dichiarazione dell’usufrutto sugli stessi, potesse essere motivo di esclusione dalla compartecipazione del Comune.

11. Infine, con il settimo ed ultimo motivo (pp. 21-22 del ricorso), il Comune appellante lamenta che il primo giudice sarebbe incorso nel vizio di omessa motivazione per non aver esaminato un’altra fondamentale ragione di rigetto, esposta nell’ultimo capoverso della parte motiva del provvedimento prot. n. 24873 del 22 luglio 2010, nella quale il Dirigente rilevava che «la struttura presso la quale disporre il ricovero della persona in stato di bisogno, per ovvie ragioni di carattere economico, non può essere autonomamente decisa dal soggetto medesimo (ovvero dal suo tutore o amministratore di sostegno), bensì di comune accordo con l’Ente Locale erogatore nell’ambito delle strutture convenzionate con lo stesso».

11.1. Il Comune sostiene che, al fine di ottenere la concessione del contributo, è necessario prima richiedere lo stesso all’ente e quindi, una volta ottenuto il beneficio, concordare con lo stesso ente erogante, nell’ambito delle strutture convenzionate con lo stesso, la struttura assistenziale nella quale disporre il ricovero.

11.2. Ad avviso dell’appellante sarebbe evidente che il Comune, per ovvie ragioni di carattere economico, non possa accollarsi in modo indiscriminato la retta di qualsivoglia R.S.A. liberamente scelta dal soggetto bisognoso o dal suo amministratore di sostegno.

11.3. Se così fosse, secondo tale tesi, l’Amministrazione non avrebbe alcun controllo sulla spesa di cui si tratta e non sarebbe in grado di organizzarsi presso le strutture convenzionate richiedenti rette congrue preventivamente pattuite con la stessa Amministrazione.

11.4. Il motivo, con le precisazioni che seguono, è infondato.

11.5. Anche per quanto attiene all’esame di questa censura, come si è sopra veduto nell’analisi del terzo motivo, si deve convenire con il Comune appellante allorquando afferma che il T.A.R. non ha esaminato le specifiche ragioni esternate sul punto dall’Amministrazione, costituenti anche esse – al pari di quelle sin qui già scrutinate – autonome ragioni del provvedimento.

11.6. Anche per esse vale la considerazione, sopra svolta, secondo cui l’assorbimento dei motivi, operato dalla sentenza impugnata, non è consentito quando uno di essi investa una ragione giustificatrice del provvedimento che ne fondi in sé sola la legittimità.

11.7. Cionondimeno, esaminando nel merito anche tale motivo, esso è infondato.

11.8. La pretesa comunale di imporre alla persona richiedente una previa concertazione circa la struttura appropriata presso la quale ricoverarsi, al fine di ottenere l’integrazione economica della retta da parte del Comune, è illegittima perché contrastante, a livello della legislazione nazionale, non solo con l’art. 6, comma 4, della l. n. 328 del 2000 (che prevede la sola previa informazione del Comune, come ora si dirà), ma anche, a livello di legislazione regionale lombarda, con gli artt. 2 e 7 della L.R. n. 3 del 2008, che garantisce la libertà di scelta dell’assistito, salvo il limite dell’appropriatezza, che nel caso di specie, incontestabilmente, è stata valutata al momento dell’inserimento dell’assistita presso la R.S.A. di -OMISSIS-, gestita dalla -OMISSIS-, e poi sempre confermata dalla competente A.S.L. sulla base della disciplina c.d. SOSIA introdotta con DGR n. 7435 del 2012.

11.9. L’appropriatezza del ricovero, che compete all’autorità sanitaria, non può essere messa in discussione dal Comune chiamato ex lege all’integrazione della retta, come questa Sezione ha chiarito in numerose pronunce (v., ad esempio, Cons. St., sez. III, 10 luglio 2012, n. 4085).

11.10. Nemmeno convince l’interpretazione dell’art. 6, comma 4, della l. n. 328 del 2000 sostenuta dal Comune appellante.

11.11. Tale disposizione prevede, infatti, che per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali il Comune nel quale essi hanno la residenza «prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica».

11.12. La disposizione prevede solo la previa conoscenza e non il preventivo assenso del Comune, che assume gli obblighi connessi all’integrazione della retta, che è definita eventuale perché ad essa il Comune è tenuto solo nelle ipotesi e nel momento in cui ricorrano, in concreto, i requisiti assistenziali e reddituali richiesti dalla normativa di settore.

11.13. Questo Consiglio ha al riguardo già chiarito che «una interpretazione ragionevole delle sopradette disposizioni è nel senso che l’obbligo a carico del Comune sorge nel momento in cui si verificano le condizioni per procedere alla erogazione del contributo», momento che si verifica quando la situazione economica della persona assistita si deteriora «a tale punto da non potersi permettere di corrispondere la retta alla casa di riposo con le proprie risorse economiche» (Cons. St., sez. III, 23 agosto 2012, n. 4594).

11.14. Qui occorre solo aggiungere che la erogabilità del contributo compatibilmente con le disponibilità di bilancio – v. ora, in questo, senso l’art. 14 del nuovo regolamento ISEE approvato dal C.C. di (omissis) con delibera n. 26 del 9 marzo 2016 – non può tradursi in un sindacato sulla scelta dell’assistito e sul ricovero del paziente, pena la violazione di diritti inviolabili all’assistenza e alla salute e la lesione del principio di eguaglianza sostanziale, tutti costituzionalmente garantiti.

11.15. L’integrazione della retta deve certo tener conto delle esigenze finanziarie del Comune, secondo un ragionevole equilibrio tra i valori costituzionali in gioco (sulla necessità di questo contemperamento v. in generale, di recente, Cons. St., sez. III, 20 luglio 2016, n. 3297), ma queste ultime non possono assurgere giammai, come pretende il Comune appellante, a ragioni condizionanti addirittura il ricovero dell’assistito, che necessiterebbe di un previo assenso del Comune, né possono totalmente annullare il «nucleo irriducibile» del fondamentale diritto all’assistenza che spetta alla persona bisognosa di ricovero stabile presso strutture residenziali, sì da concludersi, illegittimamente, nell’integrale rigetto dell’istanza volta ad ottenere una compartecipazione al pagamento della retta, dovuta ai sensi dell’art. 6, comma 4, della l. n. 238 del 2000.

11.16. Il motivo, dunque, è nel merito infondato e deve essere respinto.

12. In conclusione, per le ragioni sin qui esposte che in parte integrano, ove occorra, le motivazioni della sentenza impugnata, l’appello principale del Comune deve essere respinto.

12.1. I provvedimenti comunali impugnati in primo grado, quindi, devono essere annullati perché illegittimi in tutte le plurime motivazioni poste a loro fondamento.

12.2. Il Comune di (omissis), nel riesaminare l’istanza presentata da -OMISSIS- (e/o dai suoi eredi), terrà pertanto conto di tutti i principî appena affermati, valutando ora per allora se sussistessero i requisiti reddituali previsti dalla legge al tempo vigente, secondo il parametro dell’I.S.E.E., per la sua compartecipazione alla retta, e corrisponderà agli eredi, compatibilmente con le risorse finanziarie di cui dispone, le somme sborsate dalla stessa -OMISSIS- (o dagli eredi in proprio in nome e favore di questa) per coprire la quota di compartecipazione alla retta non corrisposta dal Comune sino al decesso della stessa assistita.

13. Deve essere esaminato, ora, l’appello incidentale proposto dall’-OMISSIS-, da -OMISSIS- e da -OMISSIS- nel controricorso depositato il 28 maggio 2014.

13.1. Con l’unico motivo di appello incidentale essi lamentano, a loro volta, che erroneamente la sentenza impugnata in parte qua abbia respinto la loro domanda risarcitoria (pp. 13-15 del controricorso).

13.2. Il primo giudice ha respinto la domanda risarcitoria proposta in primo grado per la motivazione che essa sarebbe del tutto generica e non recherebbe «la puntuale dimostrazione, secondo il principio posto dall’art. 2697 c.c., degli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2943 c.c. » poiché, del resto, «la mera allegazione di danni qualificati rispettivamente come “patrimoniale” e come “esistenziale” non vale a dimostrare l’effettiva sussistenza» (pp. 11-12 delle sentenza impugnata).

13.3. Gli appellanti incidentali contestano tale assunto, stigmatizzato quale error in iudicando della sentenza impugnata, perché sostengono, al contrario, che il Comune di (omissis) non si sarebbe limitato a respingere la domanda, ma anche incaricato gli uffici di trasmettere gli atti, per opportuna conoscenza e per tutte le eventuali determinazioni in ordine alle dichiarazioni «non veritiere» rese sul patrimonio della ora defunta -OMISSIS-, rispettivamente alla competente Procura della Repubblica presso il Tribunale, al giudice tutelare e alla competente Agenzia delle Entrate.

13.4. A fronte dell’avvenuto riconoscimento della illegittimità di provvedimenti comunali, sostengono gli appellanti incidentali, la necessità, per -OMISSIS-, di dover affrontare gli oneri dei vari procedimenti avanti a tali enti non potrebbe non concretarsi in un danno ingiusto, sia di carattere patrimoniale che di carattere non patrimoniale, considerando il danno all’immagine e all’onorabilità che per lui ne consegue.

13.5. Per quest’ultimo aspetto, secondo tale tesi, il danno “esistenziale” sarebbe addirittura in re ipsa e non necessiterebbe di prova alcuna (p. 15 del controricorso).

13.6. Il motivo deve essere respinto.

13.7. Gli appellanti incidentali non hanno offerto alcuna prova né che i procedimenti presso la Procura della Repubblica, presso il giudice tutelare e presso l’Agenzia delle Entrate, per effetto della trasmissione degli atti disposta dal Comune, si siano aperti né che essi, una volta apertisi, abbiano comportato un qualsivoglia danno, anche di carattere morale, ad -OMISSIS-.

13.8. L’esigenza di dover affrontare tali procedimenti, meramente affermata nel controricorso (p. 14), non può certo integrare la rigorosa prova del danno a fronte della non documentata esistenza di tali procedimenti.

13.9. Ne segue che il motivo di appello incidentale, in quanto infondato, deve essere respinto.

14. Gli appellanti incidentali hanno riproposto, nel controricorso (pp. 15-27), tutti i motivi, anche aggiunti, proposti in primo grado ed assorbiti dal primo giudice, che ha accolto i motivi I e II del ricorso principale nonché il motivo I del primo ricorso per motivi aggiunti ed i motivi I, VIII e XI del secondo ricorso per motivi aggiunti.

14.1. Ritiene il Collegio che le ragioni esposte dal T.A.R. a fondamento della propria decisione, unitamente alle ulteriori ragioni sin qui esposte, ragioni tutte determinanti l’illegittimità del regolamento comunale, in parte qua, e degli atti comunali che hanno inteso negare l’integrazione della retta a -OMISSIS-, siano pienamente satisfattive dell’interesse legittimo azionato dai ricorrenti in primo grado, anche per quanto attiene alle censure assorbite dal primo giudice, dal cui esame gli odierni appellati non potrebbero ritrarre una utilità maggiore e diversa rispetto a quella conseguita per effetto dell’accoglimento dei motivi sin qui esaminati, per le ragioni tutte sopra esposte.

14.2. Ne consegue che tutti i motivi riproposti dagli odierni appellati nel controricorso, in quanto giuridicamente irrilevanti ai fini del decidere, debbano ritenersi assorbiti alla luce di quanto sopra esposto.

15. In conclusione l’appello principale, proposto dal Comune di (omissis), e quello incidentale, proposto dall’-OMISSIS-, da -OMISSIS- e da -OMISSIS-, devono essere respinti entrambi, con conseguente conferma della sentenza impugnata anche alla luce di tutte le ragioni sin qui evidenziate.

16. Le spese del presente grado del giudizio, attesa la reciproca parziale soccombenza delle parti, possono essere interamente compensate tra le parti.

16.1. Devono essere posti rispettivamente a definitivo carico del Comune di (omissis) il contributo unificato corrisposto per la proposizione dell’appello principale nonché a definitivo carico dell’-OMISSIS-, di -OMISSIS- e di -OMISSIS- il contributo unificato corrisposto per la proposizione dell’appello incidentale.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello principale, come proposto dal Comune di (omissis), nonché sull’appello incidentale, come proposto dall’-OMISSIS-, da -OMISSIS- e da -OMISSIS-, li respinge entrambi e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata anche ai sensi di cui in motivazione.

Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

Pone definitivamente a carico del Comune di (omissis) il contributo unificato corrisposto per la proposizione dell’appello principale.

Pone definitivamente a carico dell’-OMISSIS-, di -OMISSIS- e di -OMISSIS- il contributo unificato corrisposto per la proposizione dell’appello incidentale.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 196 del 2003, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2016, con l’intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani – Presidente

Manfredo Atzeni – Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere

Giulio Veltri – Consigliere

Massimiliano Noccelli –

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