Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 10 agosto 2017, n. 3993

Al fine di poter beneficiare del permesso di soggiorno per attesa occupazione, infatti, è indispensabile che il soggetto si iscriva sin da subito nelle liste di collocamento, al fine di poter reperire una nuova occupazione, e da tale iscrizione decorre il termine di cui all’articolo 22, comma 11, del D.Lgs. 286/98, per il quale l’inoccupato può soggiornare nel territorio nazionale.

Sentenza 10 agosto 2017, n. 3993

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6.391 del 2016, proposto da:

Mu. Um. Ra., rappresentato e difeso dall’avvocato Va. Gi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Re. Ca. in Roma, via (…);

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore ed altri, tutti rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. per la Emilia Romagna – Bologna – Sezione Prima, n. 381/2016, resa tra le parti, concernente diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno ed altri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 luglio 2017 il Consigliere Oswald Leitner e uditi, per l’appellante, l’Avvocato Or. Va., su delega dell’Avvocato Va. Gi. e, per gli appellati, l’Avvocato dello Stato Is. Pi.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Emilia Romagna l’odierno appellante, Ra. Mu. Um., ha proposto ricorso avverso il provvedimento dd. 14 gennaio 2015 della Questura di Cesena – Forlì, con il quale gli era stato rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo, nonché il decreto dd. 13 luglio 2015, di rigetto del ricorso gerarchico presentato dall’interessato, al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento di diniego o, in subordine, il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione.

Il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso, ritenendo che il ricorrente non soddisfacesse i requisiti previsti dal T.U.IM. in materia di reddito minimo idoneo allo sostentamento dello straniero e che il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione presupponesse l’avvenuta iscrizione dell’interessato nelle liste di collocamento, non provata in alcuno modo dall’interessato.

Avverso tale decisione ha interposto gravame l’odierno appellante, articolando tre motivi di appello.

Con il primo motivo l’appellante lamenta l’errata valutazione circa la presunta mancanza del requisito del reddito (capacità reddituale).

In primo luogo, l’interessato deduce che, alla luce del disposto dell’articolo 5, comma 5, D.L.vo 286/98, tale valutazione non si può limitare ad una mera analisi tecnica-ragionieristica, ma deve tenere conto di una serie combinata di elementi, tra cui gli eventuali legami familiari e sociali con il proprio paese di origine e la durata del soggiorno nell’ambito del territorio nazionale.

Nella specie, la decisione del primo giudice era invece limitata alla constatazione che l’interessato non ha fornito all’Amministrazione elementi idonei a rilevare un’adeguata capacità reddituale, indicativa della stabile autosufficienza economica, il che non corrisponderebbe affatto al vero.

L’appellante, invero, avrebbe dato evidente dimostrazione di essere stabilmente e continuativamente impegnato nello svolgimento di attività di lavoro autonomo, nel caso di specie rosticceria kebab/pizzeria, che – per l’anno 2014 – ha di fatto prodotto un reddito imponibile di € 7.116,00-, come è stato dimostrato attraverso la produzione della dichiarazione dei redditi in sede di ricorso gerarchico e dinanzi al T.A.R., documentazione della quale quest’ultimo ha scelto di disinteressarsi, dando peso esclusivamente alla bozza di dichiarazione inviata telematicamente nel settembre del 2015, la quale rivelava, erroneamente, una perdita di € 7.196,00, come anche confermato dall’apposita dichiarazione rilasciata in data 1 aprile 2016 dal ragioniere dell’appellante, sig. Aranzulla. Diversamente da come affermato dal primo giudice, la dichiarazione dei redditi presentata il 10 marzo 2016 non potrebbe essere considerata una “macchinazione artificiosamente posta in essere” dall’appellante, al fine di ottenere un esito a lui favorevole, ma con la stessa è stato posto rimedio ad un errore contabile commesso dal consulente fiscale. Perciò, l’appellante ha evidentemente soddisfatto il requisito dell’autosufficienza reddituale sia con riferimento all’anno 2014 che anche all’anno 2015, come rilevavano i dati contabili prodotti.

Con il secondo motivo di gravame l’appellante si duole della mancata applicazione, ragionevole ed orientata, della normativa specifica in materia di rilascio del permesso di soggiorno, con particolare riferimento al mancato apprezzamento della fase di avviamento dell’attività lavorativa intrapresa.

Sostiene, in particolare, l’appellante che l’articolo 26, commi 2 e 3, D.L.vo 286/98 prevede che il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo presuppongono che lo straniero dimostri la disponibilità di un reddito di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria, ma che, secondo un’ottica di ragionevolezza, la valutazione compiuta in ordine alla sussistenza di tale requisito non deve limitarsi unicamente al vaglio di tale criterio. Per questo motivo, il giudice di prime cure avrebbe dovuto, secondo un minimo di elasticità di giudizio, valutare la situazione nel complesso, tenendo in debito conto che si trattava di attività commerciale avviata di recente, con tutte le conseguenze che da ciò possono derivare, in termini di costi sostenuti e utile prodotto che inevitabilmente risente delle difficoltà di avvio. In ogni caso, gli investimenti effettuati, già a partire dal 2015, avrebbero prodotto ottimi risultati in termini di rientro economico.

I due motivi di gravame vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi tra di loro.

Ebbene, in primo luogo, va dato atto che l’interessato non ha dedotto particolari situazioni attinenti ai legami familiari e sociali con il proprio paese di origine che avrebbero necessitato di essere apprezzati da parte dell’autorità amministrativa e, nel caso di specie, anche la durata del soggiorno del soggetto nell’ambito del territorio nazionale non pare assumere un’importanza tale da comportare che l’insufficienza reddituale debba essere considerata recessiva rispetto al fattore in questione. I provvedimenti impugnati appaiono quindi senz’altro immuni da vizi sotto i due profili in commento.

Per quanto riguarda, invece, in particolare, la situazione reddituale dell’appellante, va rilevato che è incontestato che, nel 2013, l’uomo non ha prodotto alcun reddito (nella dichiarazione dei redditi, egli ha esposto una perdita di € 340,00-). Tale carenza reddituale, poi, deve ritenersi essersi ulteriormente aggravata nel 2014, dal momento che, alla luce dell’attività istruttoria disposta da questo Collegio, non si ha alcun motivo di discostarsi dalle conclusioni del primo giudice, per cui il reddito denunciato all’Agenzia delle Entrate con la dichiarazione integrativa del 10 marzo 2016 (reddito imponibile di € 7.116,00-), radicalmente difforme dal dato contenuto della dichiarazione dei redditi presentata nel settembre 2015 (perdita di € 7.196,00-) non corrisponde alla reale situazione reddituale del soggetto e che la denuncia integrativa abbia avuto l’unico scopo di ottenere un risultato favorevole nella presente controversia. Le indagini compiute dalla Guardia di Finanza, infatti, hanno evidenziato che, attraverso la dichiarazione integrativa dei redditi e dell’Iva, presentata nel mese di marzo 2016, l’interessato ha semplicemente “reso noto all’erario l’impegno ad adeguarsi ai valori di reddito presunti dagli studi di settore riferiti alla propria attività”. Contestualmente alla presentazione “a sfavore” l’appellante avrebbe dovuto provvedere al versamento delle nascenti maggiori imposte. Tale pagamento, però, non è mai stato effettuato dall’interessato. Un tanto si può ritenere senz’altro significativo per la reale mancanza del reddito dichiarato, anche perché l’uomo non ha fornito alcuna documentazione specifica dell’epoca che oggettivamente comprovi l’inequivocabile andamento positivo dell’esercizio commerciale nell’anno 2014, non essendo, infatti, a tal fine, sufficiente l’autodichiarazione del consulente fiscale, non accompagnata da alcun concreto elemento di riscontro, che parla genericamente di un mero errore contabile.

Ne segue che, non assumendo la situazione reddituale dell’anno 2015 alcuna importanza nel giudizio circa la capacità reddituale dell’appellante, in quanto si tratta di dato temporalmente successivo all’emanazione del provvedimento questorile, la cui legittimità va valutata, in virtù del principio tempus regit actum, con riguardo agli elementi esistenti e rappresentati nelle dovute forme, al momento dell’adozione dell’atto, nel caso di specie appare doveroso concludere che l’Amministrazione abbia senz’altro giustamente rilevato che l’interessato non ha soddisfatto il requisito reddituale ex articolo 26, D.L.vo 286/98 e, quindi, rigettato correttamente l’istanza del 12 novembre 2014, di rinnovo del permesso di soggiorno.

Tale conclusione, poi, non pare nemmeno in contraddizione con la prospettazione della fisiologica necessità di affrontare una serie di investimenti finalizzati all’avvio dell’attività economica da parte dell’appellante. Il soggetto che intraprende una nuova attività imprenditoriale, infatti, è tenuto a valutare ex ante le proprie capacità economiche, di modo che i relativi esborsi, del resto non documentati in alcun modo nel dettaglio dall’interessato, non possono essere addotti quale giustificazione per un livello di reddito che non garantisce l’autosufficienza reddituale. Il fatto che l’appellante non sia riuscito, per ben due anni consecutivi a produrre alcun reddito, invero, non è altro che la dimostrazione dell’incapacità di produrre redditi sufficienti, la quale, in parte, trova le sue origini anche nell’epoca precedente al vero e proprio avvio dell’attività commerciale e che si è trasposta negli anni 2013 e 2014 in esame, quando si è concretamente manifestata.

Per quanto sinora esposto, i motivi di censura esaminati non meritano quindi accoglimento.

Con il terzo motivo di gravame l’appellante deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha riconosciuto la possibilità del rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione, in violazione degli articoli 6, comma 1 e 22, comma 11 del D.L.vo 286/98 nonché dell’articolo 13, comma 2, DPR 394/99.

Sostiene l’appellante, che la normativa dell’articolo 22, comma 11, D.L.vo 286/98, seppure espressamente predisposta per il lavoratore subordinato, è comunque estensibile, per via analogica, anche ai lavoratori autonomi e che dal complesso delle norme elaborato dal legislatore nazionale in materia di immigrazione si evince una più generale regola di ragionevolezza relativa alla tollerabilità di temporanee o parziali carenze di reddito per i soggetti che dimostrano o che abbiano dimostrato di produrre reddito in conformità alla ratio sottesa all’intera materia. Inoltre, l’iscrizione nelle liste di collocamento costituirebbe una possibilità riconosciuta allo straniero rimasto momentaneamente senza lavoro, ma non un dovere, e tale iniziativa avrebbe potuto avvenire soltanto successivamente al rigetto dell’istanza principale di rinnovo del permesso di soggiorno e l’accoglimento di quella subordinata del rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione.

Anche quest’ultimo motivo di doglianza è infondato.

L’articolo 22, comma 11, del D.L.vo 286/98, prevede, infatti, espressamente che “la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario ed ai suoi familiari legalmente soggiornanti. Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore ad un anno ovvero per tutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al reddito percepita dal lavoratore straniero, qualora superiore”.

Appare evidente che la ratio della norma è quella di tutelare il soggetto che ha perso il proprio posto di lavoro e non quella di ovviare all’insufficienza del reddito prodotto attraverso l’attività lavorativa regolarmente esercitata dall’interessato, nella specie, nella forma del lavoro autonomo. Al fine di poter beneficiare del permesso di soggiorno per attesa occupazione, infatti, è indispensabile che il soggetto si iscriva sin da subito nelle liste di collocamento, al fine di poter reperire una nuova occupazione, e da tale iscrizione decorre il termine sopra indicato, per il quale l’inoccupato può soggiornare nel territorio nazionale. L’appellante, però, non ha mai cessato la propria attività e non si è nemmeno iscritto nelle liste di collocamento, per cui non ha alcun titolo per il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa di occupazione, la cui concessione è legata indefettibilmente al duplice presupposto appena indicato, non ricorrente nel caso di specie.

In conclusione, l’appello è infondato è la sentenza impugnata merita di essere confermata.

In considerazione della particolarità del caso esaminato, sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Rimane definitivamente a carico dell’appellante il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso in appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 luglio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Franco Frattini – Presidente

Francesco Bellomo – Consigliere

Umberto Realfonzo – Consigliere

Giulio Veltri – Consigliere

Oswald Leitner – Consigliere, Estensore

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