Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 1 aprile 2015, n. 1731

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE TERZA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9051 del 2014, proposto da Ma.Pe., rappresentato e difeso dall’avv. An.Ca., con domicilio eletto presso l’avv. Ad.Gi. in Roma, Via (…);

contro

Questore di Ravenna, ed il Prefetto di Ravenna, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, Via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – BOLOGNA: SEZIONE II n. 00916/2014, resa tra le parti, concernente diniego rilascio licenza di porto d’armi per fucili da caccia armi e munizioni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Questore di Ravenna e del Prefetto di Ravenna;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 marzo 2015 il consigliere Bruno Rosario Polito e uditi per le parti gli l’avv. Gi. ed altri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

 

1. Con ricorso proposto avanti al T.A.R. per l’ Emilia Romagna il sig. Ma.Pe. impugnava, assumendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere in diversi profili, i seguenti provvedimenti:

– decreto emesso dalla Questura della Provincia di Ravenna, in data 25 settembre 2013, recante il rigetto dell’istanza dell’odierno ricorrente tesa ad ottenere il rilascio di licenza di porto d’armi per fucili da caccia;

– decreto del Prefetto della Provincia di Ravenna, in data 21 ottobre 2013, con il quale si vieta di detenere armi e munizioni e si dispone la contestuale confisca dei mezzi di offesa.

Con sentenza n. 916 del 2014 il T.A.R. adito respingeva il ricorso.

Il T.A.R. statuiva in particolare:

– l’assenza di contraddittorietà tra le note del Commissariato di P.S. di Faenza e la comunicazione della Stazione Carabinieri di Brisighella acquisite nella fase istruttoria dei procedimenti sfociati negli atti preclusivi della disponibilità delle armi;

– che eventuali condanne penali non sono le uniche condizioni impeditive del rilascio della licenza di porto d’arma, ma anche ogni concreto elemento ritenuto idoneo a dubitare dell’ affidabilità del richiedente in ordine all’ astratta possibilità che possa abusare dell’autorizzazione e delle armi in suo possesso;

– che – secondo consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa in subiecta materia – ai fini di detto giudizio di affidabilità, l’autorità amministrativa, ai sensi degli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S. approvato con r.d. 18 giugno 1931 n. 773, può comunque valorizzare, nella loro oggettività, non solo i fatti di reato, ma anche vicende e situazioni personali del soggetto interessato, che pur non assumendo rilevanza penale, siano indice di pericolosità, o, comunque, della non completa affidabilità di colui che li ha commessi, e ciò anche quando non si tratti di precedenti specifici connessi proprio al corretto uso delle armi

– che nell’ordinamento italiano il porto delle armi ha carattere eccezionale, rispetto al generale divieto di girare armati, in concreta attuazione del principio racchiuso nel broccardo ne cives ad arma ruant.

Appella il sig. Pe. che ha contrastato le conclusioni del primo giudice e insistito, anche in sede di note conclusive, per la riforma della sentenza impugnata, anche alla luce della sentenza assolutoria intervenuta in sede penale relativa a fatti cui l’ Amministrazione ha dato rilievo ai fini dell’adozione dei provvedimenti oggetto di impugnativa.

Il Ministero dell’ Interno si è costituito in resistenza e ha depositato una relazione e documenti.

All’udienza del 12 marzo 2015 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

2. Il presente contenzioso investe i provvedimenti adottati dal Questore e dal Prefetto di Ravenna recanti, rispettivamente, il diniego di rilascio della licenza di porto di fucile per uso caccia e il divieto della detenzione di armi.

Entrambi i provvedimenti muovono dal deferimento del ricorrente all’autorità giudiziaria per plurime figure di reati che si assumono consumati in ambito familiare e nei confronti di appartenenti al nucleo familiare stesso (artt. 570. 572, 382, 585, 476, 594 e 612 c.p.).

Ciò posto il provvedimento questorile esattamente evidenzia che la remissione delle querela da parte della parte offesa (evento peraltro frequente nei casi di conflittualità fra persone legate da rapporto di coniugio o di parentela) – cui ha fatto seguito il decreto di archiviazione del procedimento penale per taluno degli anzidetti rati, – nonché l’estinzione per prescrizione del reato di cui all’art. 612, comma secondo, c.p., non eliminano, sul piano storico e fattuale, i comportamenti e le circostanze ritenute rilevanti ai fini del giudizio di affidabilità in ordine alla condotta di vita e all’assenza di pericolo di abuso dal parte di chi sia autorizzato alla detenzione e uso delle armi, alla luce di quanto previsto dall’art. 43, comma secondo, ultimo periodo, del r.d. n. 773 del 1931.

Uguale giudizio prognostico sulla possibilità di abuso è espresso nel provvedimento del Prefetto con richiamo all’art. 39 del menzionato r.d.

Tale ultima disposizione prevede, infatti, l’adozione della misura interdittiva della detenzione di armi nei confronti di “persone ritenute capaci di abusarne”.

Detta misura può essere adottata, in via prudenziale, nei confronti di soggetti nei cui confronti per qualità soggettive, stile di vita ed ogni altra circostanza venga meno l’affidamento sul corretto uso delle armi.

Le statuizioni emesse dagli organi preposti alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica nell’ ambito della Provincia si connotano per ampia sfera di discrezionalità.

I fatti presi in considerazione ed il pericolo di abuso che si è inteso prevenire non sono suscettibili di scrutinio nel merito da parte del giudice della legittimità dell’azione amministrativa, salvi evidenti profili di travisamento dei presupposti del provvedere, irragionevolezza e non adeguatezza allo scopo perseguito, che non emergono nella fattispecie di cui è controversia.

I fatti rassegnati nel rapporto di polizia e nelle denunzie di parte, per i quali è poi sopravvenuta la remissione della querela (che non recedono a fronte delle non negative notazioni della locale stazione dei Carabinieri in ordine alla figura ed ai rapporti sociali dell’odierno appellante) hanno introdotto un quadro certamente non rassicurante quanto alla condotta di vita di chi è stato autorizzato all’uso e detenzione di armi, idoneo a sostenere il giudizio prognostico del possibile utilizzo improprio dell’arma in pregiudizio ai tranquilli ed ordinati rapporti con gli altri consociati e segnatamente con i familiari. L’ assoluzione per i reati procedibili d’ufficio – intervenuta dopo l’adozione dei provvedimenti interdittivi del Prefetto e del Questore – non rende inattendibile, in base al principio tempus regit actum, sul piano prognostico e della cautelal’iniziale giudizio sul pericolo di abuso e sulla non irreprensibilità della condotta di vita dell’interessato.

Occorre, del resto, considerare – come correttamente posto in rilievo dal primo giudice – che il nostro ordinamento è ispirato a regole limitative della diffusione e possesso dei mezzi di offesa, tant’ è che i provvedimenti che ne consentono la detenzione ed utilizzo vengono ad assumere – su un piano di eccezionalità – connotazioni concessorie di una prerogativa che esula dall’ ordinaria sfera soggettiva delle persone. Ciò determina che, nel bilanciamento degli interessi coinvolti, assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell’ Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all’ incolumità delle persone, rispetto a quello del privato, tanto più nei casi di impiego dell’arma per attività di diporto o sportiva.

Il mutato quadro della vicenda alla luce delle sopravvenienze cui il ricorrente fa richiamo (dequotazione dei fatti che hanno determinato l’allarme sociale; sviluppo e mutamento dei rapporti con i familiari) può indurre l’ Autorità di p.s. a un riesame della sua posizione, ma non determina, ora per allora, l’illegittimità dei provvedimenti a suo tempo adottati alla luce di circostanze in fatto di esso giustificativi sul piano della cautela, della sicurezza e della prevenzione del danno.

Per le considerazioni che precedono l’appello va respinto.

In relazione ai profili della controversia spese e onorari del giudizio possono essere compensati fra le parti.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 marzo 2015 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Romeo – Presidente

Bruno Rosario Polito – Consigliere, Estensore

Vittorio Stelo – Consigliere

Angelica Dell’Utri – Consigliere

Roberto Capuzzi – Consigliere

Depositata in Segreteria il 1 aprile 2015.

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